Il ruolo del padre nell’educazione di genere

Il ruolo tradizionale del padre lo conosciamo, è ormai raccontato da tante storie e memorie comuni, e da una storia della famiglia, come istituzione, sulla quale ormai la sociologia ha lavorato molto. Il padre era il gestore e il controllore dell’immagine pubblica della famiglia, mentre la madre era la titolare della sfera privata. Col tempo questa rigida divisione si è lentamente erosa, aprendo al padre altri ruoli e responsabilità fino a vedersi ribattezzato, con un tremendo neologismo un po’ ipocrita, “mammo”; come se a occuparsi della famiglia un uomo perdesse le sue cartteristiche.

Quello che veramente è in ballo, nel trattare questi argomenti, non è il genere, l’appartenenza a un genere o l’adesione a un modello maschile o femminile. Neanche è davvero da porsi seriamente il problema della cosiddetta teoria del gender, per la quale una lettura che ne ricostruisce la storia è più che sufficiente a liquidarla come una ipocrita battaglia politica tra faziosi. La domanda che fa tremare i polsi al padre, di fronte alla questione di quale modello di mascolinità o femminilità trasmettere o avallare, è «quanto sei disposto a metterti in discussione per il bene dei tuoi figli e delle tue figlie?». Perché dietro ogni questione riguardo il sesso, il padre sa che a lui guarderà una società che ancora crede molto spesso nel suo ruolo di garante dell’immagine pubblica della famiglia. E ancora tanti padri pensano che un figlio o una figlia omosessuali siano una vergogna e il segno di un loro personale fallimento, perché così sono stati educati a pensare. Il primo ostacolo per viversi pacificamente la propria paternità è infatti l’immagine del proprio padre.

Si può facilmente evitare il problema, per un papà: basta aderire all’ancora vigente modello tradizionale, per cui per esempio è cosa buona e giusta desiderare il maschietto vivace, intraprendente e anche un po’ sgarbato perché è così che crescerà un “vero uomo”; mentre le stesse caratteristiche saranno oggetto di biasimo in una figlia, perché non sta bene che una bambina sembri troppo fuori dagli schemi dell’educazione, dell’ordine e delle regole che anche da grande sarà tenuta a osservare per essere una “brava ragazza”.

Oppure un papà può aprire gli occhi su un mondo nel quale i condizionamenti sono tanti e nel quale è facile scambiare un comportamento, un colore, un gioco come qualcosa di “essenzialmente” maschile o femminile, come se queste due caratteristiche fossero innate o iscritte in una eternità immutabile. Ancora molti padri si rifugiano in questo modo di vedere il mondo come una sicurezza, alla ricerca di certezze di fronte a media che confondono le opinioni, rappresentano in maniera distorta le cose, vivono di titoli falsi e assurdi. La recente vicenda delle supposte “Lezioni porno all’asilo” racconta un realtà incredibile, nel 2015; e c’è ancora qualcuno che non sa che il rosa era il colore della virilità. Di essenzialmente maschile o femminile, in realtà, c’è molto poco.

Nessun padre perderà potere e influenza sui figli se si mostrerà curioso e aperto verso quei cambiamenti che la società chiede ormai a gran voce da tante parti; semplicemente, trasformerà il suo potere e la sua autorità nel supporto necessario a dare a un bambino o una bambina la sicurezza e la serenità per essere tutto quello che vorranno essere. Pensare che la famiglia “naturale” esista, e che la coppia eterosessuale sia l’unico modello ammissibile di famiglia, significa semplicemente avere una visione ristretta e discriminante di cos’è l’amore. In questo non c’è davvero niente di paterno.

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2 thoughts on “Il ruolo del padre nell’educazione di genere”

  1. A me non piace l’accostamento di questo video alle tematiche del “gioco del rispetto”, scusate.
    Io vorrei che fosse chiaro che un maschietto può sentirsi libero di pettinare i minipony e giocare con le bambole, senza per questo avere problemi nell’identificare la propria sessualità. Qui invece viriamo sul contrario: se permetto a mio figlio di giocare con le bambole, finirà a volersi vestire da femmina. Che secondo me è esattamente il contrario di quello che si dovrebbe cercare di passare.
    Mi sembra che nel discorso dell’educazione di genere finiscano sempre più spesso temi legati all’omofobia che paradossalmente non aiutano l’emancipazione dagli stereotipi “attività da maschio” vs “attività da femmina”

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  2. Vedendo questo clip ho proprio pensato che ha colpito al cuore la paura profonda che il proprio figlio maschio sia una “femminuccia” (cosa che mette molto più in crisi di una figlia femmina “maschiaccio”). Purtroppo i tempi e la velocità del clip corto rendono un po’ difficile da incamerare l’evoluzione di questo padre, dall’omofobia violenta all’accettazione che arriva alla provocazione dei codici consueti. Devo dire che oltre ai commenti entusiasti ho letto in giro un bel po’ di malessere su questo video da parte di persone insospettabili: essere messi di fronte al fatto che siamo anti-sessisti e anti-omofobi eppure… non siamo neutri riguardo al modo in cui ti cresce un figlio e un po’ di paura, un po’ di delusione, un po’ di sacrosanto timore di quello che potrà essere la sua vita, fanno sempre capolino. Qualcuno diceva: come il figlio che non segue le orme del padre potrà provocare in lui un’analoga delusione che però non dovrebbe avere il potere di bloccarlo e fargli recitare una parte non sua.

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