Quando lo strofinaccio è potere: famiglia, lavoro e casa

Nuovo post di Lorenza, dopo la sua favola per l’8 marzo, per parlare ancora del complesso tema della conciliazione. Il suo stile è unico, ironico e leggero, almeno quanto sono corposi gli argomenti che tratta.

lavoro_mammeGenitoricrescono ha già la sua guru della Sopravvivenza Domestica Minima, verso la quale abbiamo tutti un debito di riconoscenza e che andremo sicuramente a rileggere, alla fine di questo post, perché oggi vorrei parlare di pulizie di casa o, meglio, di lavoro familiare. Con il termine “lavoro familiare” l’Istat ricomprende sia i lavori domestici (pulizie, spesa, riordino) sia la cura dei figli o di altri componenti all’interno del nucleo familiare. Gli ultimi dati disponibili a questo riguardo risalgono al 2008-2009 e indicano nel nostro Paese ancora una notevole asimmetria nella distribuzione del lavoro familiare, che è poi un modo forbito di dire che spazzolone e strofinaccio, compiti e attività pomeridiane dei figli sono ancora largamente appannaggio delle donne e delle madri. Secondo gli ultimi dati Istat, il 76,2% del lavoro familiare è svolto, nel nostro Paese, dalle donne.

Una percentuale plebiscitaria che vede le donne leader in un settore che, è stato calcolato, costituisce circa il 30% del PIL Europeo: il settore del lavoro familiare, appunto. Altro che quote rosa: nel nostro Paese, le donne costituiscono quasi la totalità del CdA della SpazzaeLava Spa, della CucinaconStile Spa e della sua controllata Sistemalacucina, oltre che della società offshore Caricalalavastoviglie. E, attenzione, sempre secondo i dati Istat, costituiscono l’intero CdA e ricoprono tutte le cariche della LavaeStira spa e della controllata CaricalaLavatrice. Una vera e propria enclave di potere che ha il suo centro nevralgico nelle regioni meridionali, dove le donne dominano incontrastate in tutti questi settori.

Tant’è che ci hanno riflettuto su anche economisti e sociologi, notando (giustamente) che preparare un pranzo è un’azione profondamente economica. La logica conclusione di questo ragionamento è che, se le donne invece di scolare la pasta lavorassero, il PIL italiano crescerebbe (giacché ci dovrebbe essere qualcun altro che, pagato, scolerebbe la pasta, e questo genererebbe un circolo virtuoso di sviluppo). Succede infatti che quando le donne lavorano fuori casa, siano costrette a cedere una piccola parte del loro lavoro non solo a qualcun altro (asili nido, colf pagare regolarmente) ma addirittura ai propri compagni. Così accade, di fatto. Le donne che lavorano cedono in particolare le quote e i posti nel Cda della Curaifigli srl e della Failaspesa spa, quote che gli uomini stanno velocemente accumulando e che, con la sapienza finanziaria che li contraddistingue, fanno confluire insieme a quelle del Riparalalampada srl e della Lavalamacchina spa nella grande holding Il Casalingo (holding peraltro temutissima dalle enclavi di potere maschile, e soggetta a costante campagna denigratoria, provate a leggere Decostructing “I casalinghi”). La crisi ha variamente agito sui vari assetti societari, con una notevole variazione dell’andamento delle azioni: non abbiamo, in questo momento, dati su cosa stia realmente succedendo. La mia impressione, tuttavia, è che con la crisi gli uomini stiano inevitabilmente acquistando quote di mercato, ma che le donne mantengano saldamente le quote maggioritarie.

Sempre seguendo la logica dei nostri economisti e sociologi, le donne italiane sono talmente subissate dalla quantità di lavoro familiare che grava sulle loro spalle, da perdere qualsiasi interesse e possibilità reale per accedere a ruoli più prestigiosi fuori casa.

E qui si entra nel vivo della questione e del dilemma.

C’è il punto zero della vicenda, sul quale però non ho voglia di ragionare, ed è lo stato delle politiche per le famiglie nel nostro Paese, che ormai (vergognosamente) fa fatica a garantire persino i fondi per la cura delle persone non autosufficienti.

C’è un punto uno della vicenda. Il punto uno è la quasi-nullafacenza del maschio italiano vs. l’esasperato richiamo all’ordine della donna italiana, una specie di scontro titanico su la risciacquatura dei piatti prima di essere messi nella lavapiatti, sulle leggi fisiche che regolano la stenditura dei panni bagnati, e su quelle metereologiche che (dovrebbero) regolare l’abbigliamento dei figli. Come fare, come uscirne? Come fanno le donne che, lavorando, devono per forza delegare ai mariti, soprattutto la cura dei figli? Sbraitano, tacciono, sfiniscono i mariti di rimproveri o sfiniscono loro stesse di maalox? I padri imparano? A voi la parola.

E qui passiamo al punto due, che è un’intuizione interessante che ho scoperto giusto venerdì scorso, e sulla quale ancora sto ragionando, ma mi piacerebbe farlo con voi. Perché nel lavoro familiare c’è sempre il sacrificio e l’auto-immolazione, ma c’è anche l’esercizio del potere. Ta-taaaaaa. Il punto di svolta. «Stai a vedere, mi sono detta, che le donne italiane non mollano lo strofinaccio perché non vogliono perdere il potere tra le mura domestiche, preferendolo a una improvvida avventura al di fuori, avendo peraltro scarse possibilità di successo». È possibile? Quanto, sotto sotto, la logica del potere che ci frega sempre, così palesemente, sul posto di lavoro, agisce invece quando teniamo in mano lo strofinaccio e gestiamo con piglio il 100% dei panni sporchi?

– scritto da Lorenza di Milano e Lorenza

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22 thoughts on “Quando lo strofinaccio è potere: famiglia, lavoro e casa”

  1. @Gio, @Marzia, @Polly… Belle questioni… A volte secondo me dipende tantissimo da come diciamo le cose, è un sottile passaggio tra “ti rimprovero per come hai fatto le cose” e “facciamolo insieme, ti faccio vedere come lo farei” (Polly, scusa, mi presti un attimo le figlie che stendono di loro spontanea volontà? Così, per uno scambio culturale con i miei figli!!)

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  2. @giuliana, @M@w, @Lanterna: la valenza sociale del lavoro di cura nei confronti del gruppo di pari (le altre mamme) è cosa davvero notevole sulla quale riflettere… Così come mi fanno tanto pensare queste parole sulla gestione condivisa del lavoro familiare: “E la parte più difficile è trovare il tempo di parlarne senza sbraitare. E di accordarsi su un numero limitato di faccende importanti.” Quanto è vero! E’ che queste questioni vengono sempre affrontate come una questione economica (ergo: negoziazione razionale di beni e servizi), mentre davvero mi viene da pensare che bisogna iniziare a parlare di alleanza… L’alleanza dello strofinaccio!!! 😀

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  3. 😀 Vittore, grazie per il tuo commento, mo’ me lo stampo e me lo appendo al frigo. Ma sei sicuro che le donne siano così sprovvedute da lasciare proprio così, senza colpo ferire, il potere dello strofinaccio che per millenni hanno esercitato? Possibile non sia rimasto neanche un briciolo di DNA della matrona romana, dentro di noi?!? 😉

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  4. @Silvietta e @Supermambanana: 🙂 “scarse” e “improvvida”, parole in libertà e non a caso… Quanto bisogno di pari opportunità c’è nel nostro Paese, non tanto e non solo tra le mura domestiche, quanto sui posti di lavoro?!? Quale è il luogo nel quale le donne sono davvero discriminate? Questa è una delle tante domande che stanno nascoste sotto la polvere del tappeto di questo post… Tutte le statistiche e gli studiosi sostengono che le donne sono discriminate sul lavoro perché sono discriminate in casa: se questo è certamente vero in alcune zone, siamo sicuri che in altre non sia vero proprio il contrario? E se le donne italiane facessero una valutazione di opportunità e, non trovandole altrove, le trovassero tra le mura domestiche?

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  5. ottimo articolo, Lorenza.
    Ho l’impressione che deteniamo con tanta solerzia lo Strofinaccio Power nei confronti dei compagni con la stessa logica con cui lo deteniamo nei confronti dei figli. Voglio dire, qual è il vero motivo per cui dopo che le mie figlie hanno steso i panni di loro spontanea volontà, io li vado a sistemare nello stendipanni? sì certo, se sono stesi bene risparmio sullo stiro. Ma perché non insegnare alle bimbe come si stendono i panni? Forse ci sopravvalutiamo. 😉

    Chissà se questa dinamica si istaura anche nelle coppie fisse e con figli dello stesso sesso. In quel caso non sarebbe evidentemente una dinamica di genere.

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  6. In effetti a vederla come una azienda, crea un certo orgoglio sapere di detenere le quote di maggioranza … salvo poi entrare nei dettagli operativi … perchè è sempre nell’operatività che in questo paese ci areniamo mica nel management!
    Io sono una pessima casalinga e lo stesso vale per mio marito però ci piace vivere nel pulito, portare abiti decorosi e mangiare cibi commestibili (almeno nei limiti del possibile), quindi necessariamente occorre stabilire turni e compiti guardando più ad orari ed energia fisica che a genere. Ma sul fronte management in effetti le mie quote sono decisamente maggioritarie, pare che io sia l’unica a poter agire senza un preciso piano d’azione 🙂
    Io comunque il potere dello strofinaccio non lo apprezzo per niente!

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  7. La frase più odiata: “lui è bravo, ti aiuta”. Ah sì? In questa casa vivo e sporco solo io?
    Come m@w, anch’io sono per la condivisione dei compiti, ma vengo da un percorso molto diverso: quello di un padre viziato e di una madre lavoratrice incapace di delegare. A me questa situazione ha causato il classico rifiuto: farò di tutto per non essere come loro.
    Ovvio che, così come sono, non ho nessun potere, nemmeno ricattatorio. Ovvio che mi devo rassegnare che alcune cose non siano fatte come vorrei io. E altrettanto ovvio che LUI si debba rassegnare che alcune cose non siano fatte come vorrebbe lui.
    Certo che, se la scuola la smettesse di raffigurare solo le mamme con lo straccio in mano (e i papà con la cravatta e la valigetta), forse si potrebbe passare a un punto 3.

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  8. Bellissimo articolo, ironico e molto vero! io lavoro anche fuori casa, e con mio marito abbiamo una gestione condivisa del menage domestico e della figliolanza, anche se io resto il socio di maggioranza, e che dire? spesso mi devo tappare occhi, bocca e naso davanti ai pasticci che mi combina! ma cerco di apprezzare la collaboratività e non spegnerla sul nascere con i rimproveri

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  9. Grazie per la citazione, Lorenza! E grazie per i tuoi punti.
    Punto uno: io ho imparato che se voglio la mia compagna felice, deve avere più tempo da gestire come vuole. E il tempo glielo regalo facendo io cose in casa. Non è facile, ma è efficace.
    Punto due: la logica del potere fa vincere sempre e uno solo, il potere stesso. Che lo eserciti l’uomo o la donna, dentro o fuori, è lui che dovrebbe sparire. Confrontandosi e trovando una parità possibile, il potere sparisce e rimane la relazione – finalmente.

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  10. Per quanto riguarda il punto uno, confesso di essere stata una bambina molto viziata. I miei lavoravano entrambi, con una diversa distribuzione d’orario, ed io sono cresciuta nella convinzione che ogni papà potesse, all’occorrenza, preparare un pranzetto squisito, sparecchiare e lavare i piatti (a mano) e naturalmente apparecchiare per la compagna (i miei erano sposati, ma preferisco questo termine) che sarebbe rientrata verso le tre con una fame da lupi.
    I suoi giorni “liberi”, che d’estate coincidevano con i miei, invece li ricordo come una specie di incubo: cambi di lenzuola, giramenti di materassi, lavaggio vetri e pavimenti, svuotamento pensili del bagno e della cucina a partire dalle sei del mattino. Mio padre non cambiava orario, nei suoi giorni “liberi”. E poi naturalmente il tempo e le attenzioni che dedicava a noi figlie, sia nei ruoli più tradizionalmente paterni, come imparare ad andare in bicicletta senza rotelle, sia nell’appassionarsi ad una serie televisiva, ad un gioco o una discussione.
    Perciò, quando ho deciso a mia volta di diventare una compagna, ho dato per scontato che, lavorando entrambi, ci saremmo divisi i compiti sulla base delle nostre possibilità. E così è, con la complicazione che i nostri orari invece coincidono e non ce la faremmo senza un punto zero e nemmeno senza un punto 0.1, ossia un aiuto da parte di mia madre. Se questo aiuto non ci fosse, saremmo costretti a ridimensionare il nostro lavoro fuori casa, anzi, vorremmo già ridimensionarlo o almeno rilocarlo. E, come il cane che inevitabilmente si morde la coda, chi si trovasse ad avere più tempo domestico si troverebbe anche ad avere un carico di lavoro domestico superiore. E anche ad esercitare una maggiore influenza sul suo andamento.
    Come si fa, chiedi, quando si delega la cura della casa e dei figli col marito? Si fa che non si delega al marito, ma si condivide col compagno (anche noi, per la cronaca, siamo sposati), ovvero si accetta di non decidere unlateralmente cosa mangiare, come vestire i figli, quali attività debbano o non debbano svolgere. E la parte più difficile è trovare il tempo di parlarne senza sbraitare. E di accordarsi su un numero limitato di faccende importanti. Perché questa è secondo me la differenza ed anche il grosso limite della mamma italiana tipo, tanto per continuare a fare di tutt’erba un fascio, ovvero la pretesa di continuare ad esercitare un eccessivo controllo su tutto.
    E quando non lo fa, e questo è il punto tre, deve imparare ad accettare che i suoi figli eventualmente escano con un paio di pantaloni rossi e una maglia viola o senza cappellino e che le altre mamme la giudichino una cattiva mamma che trascura i figli.
    E che, finchè la situazione non cambia sensibilmente, il papà che se ne occupa dovrà rassegnarsi ad essere considerato una bestia rara, un poveretto, un sant’uomo, oltre che a sorbirsi qualche pomeriggio di consigli su dove e cosa rifarsi e maldicenze sui rispettivi compagni che, invece, non alzano un dito.

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  11. non so se le possibilità siano scarse e l’avventura improvvida, ma di certo c’è potere tra le mura di casa. un potere con valenza casalinga (“io so come si gestisce una casa, tu guardati la partita, decerebrato”) e uno con valenza sociale (“care mamme del parco, sapeste come sono stanca, tutto il giorno a lavare e stirare, un inferno!” – col ghigno della soddisfazione e dell’orgoglio che non se ne va). c’è il potere dell’adesione a un ruolo, anche, quello della moglie-madre perfetta un po’ anni 50, mai passato di moda, ma che garantisce, almeno nell’immaginario, figli e consorti felici.
    bellissimo post, grazie Lorenza!

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  12. Sul punto Zero concordo, meglio stare zitti!
    Punto uno, con rimando a quanto hai scritto prima: nella nostra holding di famiglia, orgogliosamente mi sono pigliato quasi tutti i posti nel CDA. Ho spodestato quella “nullafacente” di mia moglie. Le delego il minimo indispensabile, e con timore e tremore. (domenica l’ho mandata a fare la spesa con una lista di 6 cose necessarie ed è riuscita a spendere 170 euro!!!).
    Nota sugli economisti: la donna innalza il Pil quanto sta a casa… le gravidanze di mia moglie sono state un vero salasso economico per la famiglia… il lavoro è una sano deterrente…
    Punto tre: il potere è un fatto geneticamente maschile e quindi il vero e nuovo terreno di conquista si chiama casa! Spingere le donne verso il mondo del lavoro è di fatto una congiura mascherata dal termine pari opportunità, perché di fatto, toccando l’ancestrale attaccamento materno verso i figli, impedisce loro di fare carriera (sempre a beneficio dell’uomo), ma allo stesso tempo lascia campo libero alla conquista del potere casalingo al marito. Vero maschio beneficiario del tutto!

    Lo strofinaccio logora chi NON ce l’HA!

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  13. e brava Lorenza 🙂

    sul punto due, il mio passo successivo farebbe chiudere il cerchio e tornare al punto zero, se le donne provano ebbrezza nell’esercizio del potere casalingo, non sarà anche perché non sono stimolate, suggestionate (nel senso del crearne il sogno, l’aspirascional ‘nzomma) a pensare che ci possa essere ebbrezza nell’esercizio del potere altrove?

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  14. “preferendolo a una improvvida avventura al di fuori, avendo peraltro scarse possibilità di successo». È possibile?”

    ecco, io un po’ credo sia possibile (parlo per me): magari è pigrizia, magari è innato senso di conservazione e protezione (più acuto quando nasce la prole), però da un po’ di tempo mi sto molto interrogando (e ti interrogherò), sia sulle “scarse” sia sul concetto di “improvvida”. Sicuramente, finito il periodo più accuditivo, la sensazione è che le porte attorno a te si chiudano, lasciandoti solo il regno di un “castello incantato”, di cui prenderti cura, si, perché sia dorato. Ma a volte, temi, di dorato, nella prigione, ci siano solo le sbarre….

    al solito, grazie per la leggerezza, l’ironia, la capacità di lettura!
    francesca aka silvietta

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