Si parla del prossimo rientro in classe con grandissima preoccupazione. Ma quali sono stati gli effetti della chiusura prolungata delle scuole e della didattica a distanza, sulla salute mentale dei nostri figli e figlie? Questo post fa parte di una serie di testimonianze da parte di genitori che ci raccontano come è andata per loro. I nomi sono stati modificati per garantire la privacy dei minori coinvolti.
“Ma così mi diventi un Hikikomori, quelli che rimangono sempre chiusi in casa”
“Che figo!”
“Non te l’ho detto perché tu dicessi che è figo” rido.
“Lo so – ride – solo che ho paura”
“Di cosa?”
“Di non essere bravo quanto gli altri si aspettano da me”.
“Capisco! Ma anche Ronaldo sbaglia i rigori, ogni tanto, non per questo smette di essere Ronaldo”.
“Ok! Io comunque in lockdown ci stavo proprio bene”
In realtà il vomito era già comparso prima: le interrogazioni, la paura di essere inadeguato. Un paio di volte ci era toccato anche andarlo a prendere. Avevamo buttato giù un percorso di empowerment “pane e salame” della serie: “Ciccio, non esiste che ti si viene a pigliare a scuola ogni volta che tu ti agiti un pelino, ok?” Poi però non era più solo la scuola, ma anche altre situazioni, dove tutti lo vedevano e lui aveva paura che non funzionasse qualcosa. E il qualcosa era qualsiasi stupidata banale, tipo “se tossisco che tutti mi vedono”. E finiva che la paura che succedesse poi lo faceva succedere.
Poi è arrivato il Coronavirus e ci ha messi tutti in attesa. E siccome l’essere umano è estremamente adattabile ci siamo adattati. Per mesi si è giocato a baseball in giardino (che grazie a dio c’è), si son guardati film, si è dato fondo a tutti i giochi in scatola e di carte che si potevano raccattare in casa. Non c’era il “chi invitiamo?” non c’era il “dove andiamo?”.
Lezioni on-line (quelle rare volte) e verifiche on-line dove si, un po’ ci si agita, ma solo avere un secchio sotto al tavolo e la possibilità di dire “scusa maestra, tolgo il video che ho la connessione lenta” tiene il vomito al posto suo, nello stomaco.
E pare tutto risolto no? Si aspetta solo che riapra.
E riapre, infatti. E il primo step è la messa della domenica. Una messa all’aperto, tutti con la mascherina che quasi non ti riconosci dopo mesi che non ti vedi. E lì riparte il vomito. Solo una volta, a dire il vero, la prima.
Quanto basta perché ci sia la paura che succeda ancora e la paura, come dicevo, fa si che possa effettivamente succedere. Uno potrebbe dire pazienza, è solo la messa. Ma ovviamente il problema non è quello.
Lui si augura che la scuola non riparta: legge tutti i giorni le notizie e naturalmente non ci capisce nulla, come tutti noi. E allora pensa di leggerci quello che vorrebbe: la scuola non riparte e se riparte poi chiude subito. Lui vorrebbe starsene a casa, anche a fare i compiti, che non è un lavativo, ma senza uscire, senza paura di vomitare in classe la sua timidezza.
Abbiamo chiesto aiuto, ad una psicologa. Ci ha detto che è bravo, che ha molte risorse, che è molto consapevole. Non ha detto che ce la farà di sicuro, anche se sarebbe stato bello. Ci ha detto di non farlo rinunciare a niente, di forzare un po’ e così stiamo facendo. Con fatica che non vi dico.
A piccoli passi stiamo uscendo da questo lockdown che non è stato probabilmente la causa ma ha regalato mesi di inopportuna comfort zone e di falsa normalità che bisogna smontare pezzo a pezzo senza ancora avere chiaro come la si dovrà rimontare.
Un po’ come un Lego, quando perdi le istruzioni.
Io proprio grazie al lockdown ho deciso di fare homeschooling.
La messa? Cioè a un ragazzo che ha già tutte le sue paturnie, mettiamo pure altre regole (davvero inutili e dannose) e altre imposizioni in testa! Niente messa, alla prossima uscita si va al parco a giocare a baseball, magari invitando quell’amico facile con cui ci si conosce da tanto. La messa…
Mi dispiace moltissimo, ma sono sicura, io che non sono psicologa, che ce la farete anche se hai ragione che è tanta fatica. Un abbraccione