Il gioco come base propedeutica dell’attività sportiva e come strada privilegiata per sperimentare la socialità e il rispetto reciproco, senza ansia da risultato.
Questa è l’occasione buona per divagare leggermente dall’argomento di cui mi piace parlare di solito, ovvero lo sport in senso stretto.
Quando penso al gioco mi vengono in mente bambini spensierati che si arrampicano sugli alberi e gruppi di ragazzi vocianti che si divertono sul bagnasciuga: leggerezza, festa, regole inesistenti. Giocare è sinonimo di pausa, un modo per staccare dall’impegno e gestire il tempo senza nessun obbligo e finalità.
Mi pare però che questo punto di vista sia parziale oppure limitato; perché esiste un periodo della vita in cui il gioco è un’attività importante e serissima. Durante l’infanzia infatti giocare rimane l’azione principale e pertanto è eseguita con concentrazione e regole precise; le priorità dei bambini sono molto diverse dalle nostre e noi genitori dovremmo partecipare con empatia ed impegno al loro mondo creativo.
Ammetto candidamente di non essere così portata a giocare con i bambini, ho poca fantasia e una pazienza limitata, confesso di fare fatica a portare a termine le infinite ripetizioni della stessa azione; infatti nella nostra famiglia il genitore dei giochi è stato il papà, delle cui doti ludiche si sono sempre accorti tutti i bambini nel raggio di un chilometro: la simpatia e l’affinità sono pregi che traspaiono anche senza dichiararli.
Trovo che il gioco sia importantissimo (anche da adulti) non solo come momento di riposo ma anche e soprattutto come metodo di insegnamento. Credo che da questo punto di vista giocare insieme a praticare uno sport non abbia nulla di meno di altri sistemi educativi: la partita di pallone al parco, chi arriva prima, buttare giù i birilli, colpire la pallina, chi fa il salto più lungo. Sono solo alcuni esempi di attività propedeutiche a quella sportiva che i nostri ragazzi fanno comunemente appena possono riunirsi.
Durante la partita o la gara al campetto si imparano i rudimenti delle regole di convivenza e dei precetti sportivi che poi possono sviluppare in attività strutturate e più focalizzate; la cosa più bella è che giocando non esistono pressioni sulla prestazione o sul risultato, pur apprendendo alcune basi della socialità e della cultura che sono importanti e fondamentali. Insomma il modo che ho trovato io per giocare con mia figlia è stato sempre più sportivo che concettuale, e credo che sia una buona maniera perché è quella in cui mi sono trovata più a mio agio, trasmettendo a lei il divertimento e la passione di fare una cosa che mi piace.
Credo che giocare bene sia importantissimo e non solo per i bambini: avere momenti di pausa e di allegria aiuta soprattutto gli adulti, a patto che ognuno trovi il suo sistema preferito.