Un bambino vivace come gli altri

Descrivere il Vikingo come bambino vivace è un eufemismo. Parlare di lui come un bambino capriccioso sarebbe semplicemente sbagliato. Dire che è un bambino difficile inizia a rendere l’idea, ma io preferisco dire che è un bambino ad alto bisogno, o un bambino impegnativo. Ma come sapete l’appellativo che lo descrive al meglio è quello di bambino amplificato, appellativo che è la causa principe che ha portato me e Silvia a fondare insieme questo sito. .

Mi capita spesso di incontrare persone che mi chiedono se il definire un bambino come amplificato, non contribuisca a mettergli un’etichetta e a perdere di vista l’individuo speciale che è in lui.
Questa settimana, in risposta al post pubblicato con la lettera di Marzia, sul mio profilo su facebook, Francesca mi ha scritto: “sarò sincera ma mi mette i brividi pensare di associare a tanti bambini (diversi tra loro) un’etichetta che li accomuna e suona come una malattia. che un test possa decidere se un bambino è “amplificato” o meno e di conseguenza se tu sia un genitore di bambino amplificato o meno mi mette altrettanto i brividi. non è ipermedicalizzazione (senza il medico)?
Rossana ha aggiunto: “non c’è il rischio di rendere “patologici” (passami il termine) problemi difficili ma comunque normali che si affrontano durante la crescita dei proprio figli?

Lo scambio è continuato per qualche commento, ma ho capito di non riuscire ad esprimere il concetto con le limitazioni di facebook, e quindi mi sono decisa a scrivere questo post per poter spiegare meglio il mio punto di vista sulla questione.

Prima di tutto vorrei chiarire che le stesse domande me le pongo anche io in continuazione. Però è un po’ come chiedersi se nasce prima l’uovo o la gallina. Io so per certo che mio figlio ha manifestato queste caratteristiche del temperamento dal primo giorno di vita. La sua necessità di movimento continuo, i suoi cambi di umore repentini con l’altalena emotiva che li accompagna, la sua paralizzante paura delle novità, la sua introversione che lo porta al limite del mutismo, la sua sensibilità ai rumori e alla luci che lo rende fragilissimo. No, non è un bambino diverso dagli altri bambini. E’ un bambino che ha le stesse paure, le stesse gioie, gli stessi passi dello sviluppo, solo che li manifesta in modo diverso, in modo amplificato appunto.

Francesca in un altro commento mi ha scritto: non so, conosco un sacco di cinni che per certi periodi sono stati molto pesi (la frollina stessa ha avuto fasi pesissime, con grandi attacchi di pavor nocturnus) ma con questo non ho mai pensato che fosse parte di una certa tipologia. Mi ricordo che mio padre da piccola mi diceva che ero insicura e così sono cresciuta insicura. Insomma, ho delle perplessità, perché se una cosa la vivi come assoluta, allora lo diventa. Capisco bene che ci possano essere genitori disperati, ma contestualizzerei un po’: si può essere disperati per periodi e avere figli angioletti per altri. Non vorrei che questo tipo di definizione (e quoto in pieno rossana quando parla di “patologico”) diventi un modo per ascrivere fenomeni tipici dell’infanzia e della crescita con cose fuori dal comune, amplificando (passami il gioco di parole) situazioni che invece sono solo la storia particolare di quella persona unica e particolare che è il bambino.

Il punto è proprio questo: gli altri bambini attraversano delle fasi difficili ma poi ne escono. Magari hanno un periodo oppositivo in cui tutto è no, ma poi tornano collaborativi. Queste sono fasi normali e anzi fisiologiche della crescita. Ogni bambino è unico e particolare, eppure tutti i bambini sono uguali nel senso che attraversano le diverse fasi della crescita più o meno negli stessi momenti. Per fare un esempio noto a tutti: il periodo dei terrible two, o dei meravigliosi due anni, come l’ho chiamato io. Ci passano tutti i bambini, e tutti i genitori sono ugualmente stupiti da questa fase oppositiva dei loro bimbi che improvvisamente pretendono di fare tutto da soli, che si rifiutano di collaborare, che testano le loro capacità e la loro pazienza. Eppure i duenni non sono tutti uguali tra loro, ognuno attraversa questa fase a modo suo, pur potendo riconoscere gli atteggiamenti comuni a tutti. Ecco, lo stesso vale per i bambini amplificati, ognuno con le sue peculiarità che li distingue e rende unici nel loro essere “uguali”. Solo che la fase dei terrible two per i bambini amplificati nasce dal momento in cui sono nati, e continua molto più a lungo che i primi 2 o 3 anni di vita.

La genetica ha la sua responsabilità in questo, e non a caso gli stessi tratti del temperamento del Vikingo sono molto evidenti nel padre, nel nonno paterno e nella nonna materna.
Però è giusto chiedersi se mettergli il bollino dell’amplificato in realtà non contribuisca a considerarlo diverso, magari anche malato. Naturalmente è un rischio che si corre, e bisogna stare in guardia.
L’etichetta di amplificato a me è servita per trovare i confini e riuscire a definire una situazione che mi sembrava fuori dal mondo. Mi è servita proprio per capire che non c’è nulla di sbagliato in lui, e di accettarlo per quello che è: un bambino introverso, emotivamente fragile, altamente energetico, che ha un bisogno costante di aiuto per riuscire a crescere in equilibrio con se stesso. E la stessa etichetta mi ha aiutata a capire che non c’è nulla di sbagliato in me come genitore e come persona. Non sono io a renderlo così, non sono io a fargli venire le crisi isteriche perché non riesce a disegnare un pellicano. Non sono io a spingere l’altalena delle sue emozioni. Il sapere che ci sono altri genitori che stanno vivendo le mie stesse insicurezze, che si stanno ponendo le mie stesse domande, che stanno vivendo a tratti lo stesso sconforto, mi fa sentire un po’ più forte.

Detto ciò però è importante non fermarsi all’etichetta, e superare questa sensazione di impotenza, proprio partendo dall’accettazione del suo modo di essere. Il passo successivo, sul quale sto lavorando ogni giorno come genitore, è quello di riuscire a trovare il modo per aiutarlo ad esempio a trasformare la sua testardaggine distruttiva in tenacia che gli permetta di arrivare a raggiungere i suoi obiettivi.
Incanalare la sua energia invece di dissiparla a forza di salti in ogni direzione, sbattendo addosso a chiunque si trovi a passare di li, senza una direzione precisa, seguendo il vento che soffia in quel momento. E usarla invece per fare un grande salto e superare tutti gli ostacoli, e arrivare dove vuole lui, anche fin sulla luna.

Ieri sono andata a prendere i miei piccoli all’asilo alle 16. Sono disoccupata da poco più di una settimana e sono felice di potermi prendere cura di loro dopo l’asilo, compito a cui si è dedicato il padre negli ultimi 6 mesi. Avevo tutte le intenzioni di godermi un paio di ore di gioco gioioso con i miei due tesori. Il Vikingo era in giardino a giocare con L’AmichettoSuo (quello che gli insegna tutto di Star Wars, dissennatori e mummie che ti uccidono nella notte). Pollicino mi vede e trotterella felice verso di me, con il sorriso sulle labbra, e mi avvolge con il suo tenero abbraccio. Il Vikingo grugnisce un “sto giocando con L’AmichettoMio.” Non mi scompongo, sono anni che si va avanti così, e so che questo è un momento di transizione per lui, il passaggio da una attività ad un’altra, da un luogo ad un altro, e che ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi all’idea. Gli dico che può continuare a giocare mentre entro dentro a prendere delle cose e parlare con l’insegnante, ma che poi dobbiamo andare. Quando arriva il momento lui saluta il suo amico e mi segue tranquillo fino fuori dal cancello. Mentre varchiamo la soglia del cancello mi racconta allegramente che si è divertito a giocare con L’AmichettoSuo (cosa molto rara, perché lui normalmente non racconta nulla!). Gli rispondo “e si tesoro, ho visto che ti stavi divertendo con lui”. Tempo un nanosecondo e lui inizia a singhiozzare, IO, balbetta, NON VOGLIO, piange, ANDARE, singhiozza, VIA. Va in apnea emotiva, non respira ed è tutto rosso, io lo abbraccio, cerco di tranquillizzarlo, lui riprende a respirare, ma continua a sighiozzare, è stravolto. Io cerco di mostrare empatia. Gli dico che capisco che si stava proprio divertendo e che deve essere veramente frustrante per lui lasciare l’asilo mentre si diverte così tanto a giocare con il suo amichetto. Lui continua a sighiozzare, poi si arrabbia con me, urla “PERCHE’ DEVI VENIRE COSI’ PRESTO???”, mi da’ un pugno sulla spalla. Io gli fermo la mano e gli dico con fermezza che non si picchia. Che capisco che è arrabbiato ma non può picchiare. Poi continuo con l’empatia. Sono trascorsi pochi minuti e 100 metri dal cancello, ed è passato da allegria, a tristezza, e infine rabbia. Gli dico: “pensa al tuo amico L. che va via alle 3! Chissà se anche lui si arrabbia così tanto con la sua mamma che lo va a prendere così presto? perché tu almeno puoi rimanere a giocare li fino alle 4, che è un’ora in più di lui!” Lui smette di piangere, mi guarda in silenzio, sorride e dice “eh già” e mi inizia a raccontare di quello che ha fatto o detto L. come se nulla fosse.
Passata la crisi continuiamoa camminare. Duecento metri dopo passiamo accanto al parchetto con i giochi normalmente popolato di bambini. Solo che non c’è nessuno a giocare, perché è già buio e fa freddo e sono già tornati a casa. E allora si rimette a singhiozzare e a piangere perché …sono andata a prenderlo troppo tardi!!!! Vi risparmio il resto, ma nel tragitto a piedi fino a casa l’altalena emotiva ha compreso 4 crisi di pari intensità, e si tratta di 600 metri di strada.
Alla fine anche Pollicino ha iniziato a dare i numeri, perché quando il fratello urla in quel modo lui giustamente alla quarta crisi si agita un pochino, che povera stellina ha solo 18 mesi, ed è stanco anche lui dopo una intera giornata di lavoro al nido, ed anche il suo capace buffer emotivo ha bisogno di ricaricarsi.
Vi dico la verità che arrivati a casa avevo già dimenticato la mia voglia di giocare gioiosamente con i miei figli.

Questa non era una giornata particolarmente difficile, ma solo una giornata come le altre, ne più ne meno, e vi ho raccontato solo 600 metri di strada. Non vi ho parlato della frustrazione di non riuscire a scrivere la lettera S, dell’acqua del bagno troppo calda, della cena che non gradiva, della ginnastica acrobatica nel salotto di casa per usare un po’ di energia fisica rimasta, del cocomero che non gli compriamo mai (ma è novembre!!!) e tutto il resto che è successo lo stesso giorno.
Un bambino non amplificato probabilmente si sarebbe dispiaciuto di andare via dall’asilo ma forse lo avrebbe espresso con un’intensità minore, e forse poi si sarebbe anche dispiaciuto di non poter giocare con gli amichetti al parco giochi. Magari una delle due volte si sarebbe anche messo a piangere se era particolarmente stanco. Ma la sua giornata non sarebbe oscillata pericolosamente tra momenti di gioia irrefrenabile e rabbia, o frustrazione. Vi confesso di essere molto provata e stanca di questa altalena emotiva, ma sopratutto non voglio che lui la subisca, perché è paralizzante. Penso che sia molto bello che lui riesca a provare sentimenti così forti, che riesca a vivere emozioni con tutto il suo corpo, e non voglio togliergli o negargli questo suo modo di essere. Vorrei solo aiutarlo a trovare il suo ritmo, per riuscire a cavalcare i suoi sentimenti, a farsi guidare dalle sue emozioni, invece di essere perennemente sopraffatto da esse. Credo proprio che questa sarà la nostra sfida più grande.

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78 thoughts on “Un bambino vivace come gli altri”

  1. Aaaahhh, ma è amplificata!!! Ah, beh, allora sto zitta e torno quatta quatta nel mio paradiso di madre di bimba non amplificata…
    A parte scherzi, non ci sarebbe nulla di male se tu una domenica volessi leggere un libro per un’oretta o andartene a ballare, serve anche quello per ricaricarsi. E servono a questo i turni tra genitori, secondo me.

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  2. @Barbara, @ITmom, ok, chiedo scusa se non mi sono espressa in modo chiaro, avete perfettamente ragione su tutto, e non lo dico solo per opportunità. Io la penso esattamente come voi (anche sulla sindrome del papà… so bene di cosa si tratta). No, non è questo che volevo intendere. Io corro sempre da mia figlia ogni momento libero dal lavoro (addirittura rimando alla notte le faccende domestiche, ma questa è un’altra storia). Provo a spiegare meglio il mio concetto: io mi riferivo essenzialmente alla sindrome del colibrì e a quell’incessante turbinio in cui solo un bimbo amplificato ti fa vivere. Io non ho mai nemmeno pensato che mia figlia (che è a tutti gli effetti amplificata) dovesse trascorrere interi pomeriggi in camera sua, o che io dovessi stare tutta la domenica sul divano. Per “riposo e ricarica di energie” del fine settimana, intendevo vivere in modo “ricco” il tempo con i figli, in modo piacevole, costruttivo, naturale. Questo è il punto: con una figlia amplificata (e non so se qualche altro genitore può capire) questo non è così “scontato: ogni proposta diventa per lei un pretesto per polemizzare, si passa da un’attività all’altra con forsennata voglia di fare ma poi si fa poco o nulla perchè o cambia idea, o non le piace, o si arrabbia perchè non le riesce, o mille altre ragioni. Cerco di organizzare i nostri fine settimana, anche quelli di maltempo, con attività spesso diverse, incontri con amici (suoi), sport oppure occupazioni che a lei piacciono. Ma al dunque lei trova sempre qualcosa che non va, un motivo per cui “rovinare il momento”. Quando dico “lei non mi dà tregua” è il mio modo di esprimere i comportamenti che mette in atto per “smontare” i miei tentativi di vivere insieme momenti piacevoli, scevri da ogni “emergenza emotiva”e io “mi sento attaccata dalla sua esuberante richiesta di attenzioni” perchè ogni suo atteggiamento risulta essere talmente eccessivo da poter essere vissuto come un “attacco”, anche se questo termine può risultare improprio. Per riuscire a stare con lei in modo positivo, io sto attuando alcune tecniche che ho trovato qui, e a dire il vero sto osservando molti miglioramenti. Ma non riesco ad attuare queste tecniche per 13-14 ore consecutive.
    La mia stanchezza non è dovuta allo stare con lei perchè voglio stare da sola o leggere un libro, o uscire con le amiche, o guardare un film o divertirmi in discoteca…. (no, assolutamente no) la mia stanchezza è dovuta al fatto che per arginare il suo “essere” devo costantemente stare in guardia, trovare le parole giuste, riflettere prima di dire o fare qualsiasi cosa, per non permettere alla situazione di degenerare. E vivere costantemente sul chi va là, non mi permette di godere del tempo che posso trascorrere con lei, ma aumenta solo il mo senso di frustrazione e inadeguatezza, che solo chi ha un figlio amplificato prova costantemente.

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  3. Riprendo anche io il commento di Monica per fare qualche considerazione, da genitore di due ‘bambini non amplificati’.
    i weekend per me sono pesantissimi, così come le vacanze estive o di natale… e lo sono per qualsiasi genitore che passi il tempo a occuparsi davvero dei suoi figli, giocando, inventando, ascoltando e sentendoli dire ogni 5 minuti: ‘e dopo cosa facciamo?’ mentre vorrebbe starsene sul divano a leggere o guardare la tivù.

    il tempo trascorso con i figli è molto impegnativo. perché li vogliamo ascoltare, vogliamo dar loro tanto etc etc. ma alla fine della giornata il livello di sopportazione è pesante. a meno che non li si affidi ad altri, e qui voglio sottolineare la differenza tra genitori che hanno nonni, zii o tate che si accollano per qualche ora al giorno i figli, e genitori che hanno scelto l’educazione ‘in proprio’ senza delegare.

    i bambini sono impegnativi sempre perché non sanno stare da soli, non tutti almeno, i miei ad esempio no, vogliono sempre l’attenzione della mamma o del papà. vogliono parlare, raccontare, dalla mattina alla sera quando tu vorresti solo pensare ai cavoli tuoi, farti una doccia senza sentire ‘mammma!!’, fare una telefonata senza essere interrotta 150 volte, andare in un negozio senza essere costretta a comperare sempre qualche regalino pena pianti e capricci, e quando uno dei figli è tranquillo l’altro lo stuzzica così si azzuffano… è la normale vita di ogni genitore che faccia il genitore davvero.

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  4. @Monica: hai quella che io chiamo la “sindrome del papà”, in modo lo ammetto molto poco paritario. Credo che sia normale, per genitori che lavorano, avere difficoltà a gestire l’intera giornata con i figli. Primo perchè non ci sono abituati, e secondo perchè non ci sono abituati neanche i pargoli, ai quali non sembra vero avere un’intera giornata per stare col genitore che vedono poche ore al giorno. Si, a 5 anni e mezzo tua figlia dovrebbe essere perfettamente in grado di intrattenersi da sola per più o meno brevi periodi (mia nipote della stessa età è capace di chiudersi in camera sua per un intero pomeriggio, uscendo solo per bisogni fisiologici… certo lei è una bambina piuttosto tranquilla ma ci sarà pure una via di mezzo!), ma perchè dovrebbe se la domenica ti ha tutta per sè? Come ripeto spesso a mio marito, che tra l’altro ha un lavoro neanche tanto impegnativo a livello di orario, la domenica di riposo te la devi scordare. Dal momento in cui hai famiglia, il tuo tempo libero deve essere dedicato alla famiglia. Scusa se il mio tono appare un pò brusco ma tu mi capisci, è lunedi mattina ed esco giusto giusto da una domenica di pioggia densa di discussioni di questo tipo…
    Credo che la soluzione per passare del tempo di qualità coi propri figli senza stancarsi troppo sia di organizzare attività, qualcosa che piaccia possibilmente a tutti e tenga impegnata almeno mezza giornata. Aria aperta, passeggiate semiculturali in centro, gite, luna park, un cinema… il vero problema sono le giornate di tempo pessimo, ma a 5 anni e mezzo si può fare insieme una torta, e con i giusti rituali il tempo necessario ti copre l’intero pomeriggio… e poi c’e’ sempre la buona vecchia suddivisione dei compiti fra mamma e papà, che magari un genitore una domenica deve anche fare qualcosa per sè. E allora mattina io pomeriggio tu, ma se posso permettermi non ogni settimana. Bisogna anche fare qualcosa tutti insieme ogni tanto. Spero d’essere stata d’aiuto.

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  5. Mi ero persa la sindrome del colibrì (non ho ancora avuto tempo di leggere proprio tutto….), ma ora che ho letto di cosa si tratta, con ulteriore sorpresa devo dire che “ce l’ho”.
    E questo mi risulta forte e chiaro al termine di un week-end casalingo…. Non che durante la settimana vada tutto perfettamente bene, ma il poco tempo che trascorro a casa con Trilli (dopo il lavoro e prima della nanna) mi permette di concentrarmi su di lei, ragionare e mettere in pratica alcune tecniche qui consigliate, per circa tre ore e poi “rilassarmi” dopo il suo addormentamento. Ma durante il fine settimana? Scopro che la mia resistenza termina ben prima di sera e già verso il primo pomeriggio comincio a dare segni di sconforto e di nervosismo. Una giornata intera trascorsa a casa con lei non la riesco proprio a reggere. Sono un’incapace? Forse. Ma ritengo che non sia possibile attuare in ogni momento una strategia, per calmarla, per insegnarle a concentrarsi, per allenarla emotivamente, ecc…. Perchè in ogni caso, lei non mi dà tregua. E dopo un pò accade puntualmente che perdo di mano la situazione e mi sento “attaccata” dalla sua esuberante ricerca di attenzioni e conferme.. Ma non è che a 5 anni e mezzo una bimba non si possa intrattenere per almeno 5 minuti a qualche gioco solitario? Forse non sono ancora allenata io stessa, ci sto provando, ma dopo un tot di ore trascorse a parare i suoi colpi, riflettendo su ogni atteggiamento e studiando ogni sua reazione, e attuando il comportamento più appropriato per gestirla in modo positivo (sì, positivo ma per me non del tutto naturale), io arrivo a sera che puntalmente mi ritrovo a sbroccare.
    E siccome il week-end a casa dovrebbe essere (per come lo intendo io) un momento di “riposo e ricarica energie” per affrontare meglio la settimana lavorativa, osservo sempre con immenso dispiacere che mi ritrovo il lunedì mattina a tirare un sospiro di sollievo per essere in ufficio e riuscire finalmente a comportarmi “come voglio” e non “come devo”. Brutto, eh?

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  6. ed io mi lamento di Second per molto meno! devo ammettere che non t’invidio per niente e non sò come hai avuto il coraggio di affrontare una seconda maternità! per fortuna il piccolo è più buono sennò ti dovevano ricoverare! Hai mai provato un centro dove potevano insegnargli a gestire l’emotività? attraverso il gioco, lo sport etc..?

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  7. Vorrei chiarire che io non ho mai giustificato mio figlio perchè amplificato. Sono stata e sono tutt’oggi una madre molto più severa della media nei confronti dei suoi comportamenti inaccettabili e vengo spesso tacciata di eccessivo rigore.
    L’ho sempre messo in discussione su tutto e l’ho sempre esposto alla responsabilità delle sue azioni con tutti.
    Se mio figlio si distrae a scuola per pensare ai fatti suoi (perchè parte per galassie lontanissime, o perchè un rumore troppo forte catalizza la sua attenzione, o perchè si innervosisce per qualsiasi minimo particolare insignificante per i più) e per questo salta qualche parte di dettato o non copia parte degli appunti di una lezione dati dalla maestra, lui è tenuto a casa a rifare tutto da capo.
    So che è una misura piuttosto pesante (rischia di lavorare il doppio): ma serve un messaggio chiaro. Lui a questo punto della sua vita DEVE imparare a gestire la sua ipersensibilità al contesto. Dato che sono certa che ora ha gli strumenti per farlo, pretendo anche il suo impegno. Credo molto nell’organizzazione e nell’autodisciplina per vincere la nostra costante sindorme del colibrì (https://genitoricrescono.com/bambino-adulto-amplificati-sindrome-colibri/). Insomma, quello che può dare, lo pretendo e gli spiego sempre, costantemente, che lui deve pretenderlo da se stesso.

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  8. @deborah, @silvia, esatto, condivido in pieno.
    Io amo pensare che ci sarà la giusta “ricompensa” e ad anni difficili seguiranno anni di successi per i nostri piccoli.
    Trilli mi ha fatta disperare, ha saltato qualche tappa senza dubbio (a due anni e mezzo parlava correttamente e utilizzava con proprietà di linguaggio i congiuntivi… ricordo ancora la baby sitter di allora che non credeva alle sue orecchie), e la sua sensibilità ha picchi estremi….
    Però credo che le sue caratteristiche e la sua energia, se ben incanalata, possano essere un punto di partenza importante per lei, e un punto di forza nella sua vita. Il problema è riuscire ad insegnarle a gestirle positivamente.

    L’altro giorno dopo una delle sue ennesime crisi, ha fatto un lungo sospiro e mi ha detto “mamma… però che fatica diventare grandi….”. Vorrei poterle dire che la fatica che sta facendo ora non la dovrà più fare dopo….

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  9. Beh, vi ringrazio per le risposte.Come fa capire Serena, ogni genitore ha il metro per gestire suo figlio e so benissimo che cosa vuol dire avere un bambino (nel mio caso una bambina) se non amplificato, sicuramente molto, molto vivace.
    Ricordo ancora questo episodio:
    Io e un’amica nel mio appartamento , mamme da poco.
    Le nostre 2 bambine, stessi mesi.
    Mia figlia che urlava come un’aquila e la sua, buona buona nella sdraietto.
    Ricordo che rimasi shockata perchè la mia amica mi accompagnò in camera a cambiare il pannolino della mia, lasciando sola sua figlia in salotto.
    le chiesi, basita:”ma se la lasci sola, lei non piange?”
    “Noooo”, rispose lei, serafica..”E’ tranquilla”
    Io avrei pagato un atteggiamento come il suo con una crisi di pianto di almeno 1/4 d’ora!
    Ho sempre voluto un bene dell’anima a mia figlia, non l’avrei mai cambiata con una più tranquilla, perchè lei era lei, era (ed è)l’unica per me, però soffrivo terribilmente nel sentirmi ostaggio degli stati d’animo di una creaturina così piccola. Mi sentivo in balia della sua forte personalità. Se devo dire che cosa è cambiato negli anni, nel rapporto con mia figlia, è proprio questa: ho preso in mano il timone della barca. (E vediamo se riesco a tenermelo stretto.)
    A ripensarci, molto, nel mio caso, era dovuto all’inesperienza, al legame fortissimo che sentivo per lei. Per capirci:se lei stava male, stavo male anch’io. Se lei piangeva, io dentro mi esacerbavo. Insomma, anche nei confronti dei figli piccoli ci vorrebbe un giusto distacco emotivo. Più per loro che per noi. Ma non è sempre facile.Se dovessi fare un bilancio dei primi cinque anni , direi che sono stati anni di conquista di un rapporto madre e figlia (al momento) equilibrato. Per lei anche una conquista nel saper un po’ stare al mondo.
    E’ una cosa grande, se uno ci pensa. Ma anche piccola. Perchè ci sono certi bambini (e la bambina dello sdraietto è una di loro) per i quali questi progressi sono del tutto naturali e non ci faticano nemmeno un pò.
    Concludo dicendo che, quando si parla di bambini amplificati, forse , si parla anche di bambini per i quali diventano conquiste cose che ai loro coetanei vengono naturali. Che so, stare seduti a tavola per più di tre minuti, ad esempio. O non cadere in crisi isterica se non si riesce a scrivere correttamente lettera..
    Tu guardi un bambino amplificato e la prima cosa che pensi è:”è troppo”
    Troppo nelle esternazioni di se stesso.
    E fanno anche molta tenerezza, perchè è troppo per noi genitori, ma è troppo anche per loro. Spesso ne soffrono.
    Devono imparare più di altri ad autogestirsi.
    Noi non possiamo farci carico delle loro emozioni. Noi, a volte, possiamo consolarli o redarguirli, ma alla fine rimaniamo sempre spettatori di ciò che gli succede dentro.
    E’ come se, a fronte del fatto che loro sono più agitati, noi dovessimo essere più sereni ed equilibrati.Sono sicuramente, bambini davvero esigenti.
    NINOS DE ALTA DEMANDA!

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  10. Ed eccomi qui..POtevo mancare? Un commento ve lo devo anche per il smeplice fatto di avermi aiutato tantissimo quando non capivo cosa stava davero accadendo..
    Ho passato giorni e notti a disperarmi perchè io non mi sentivo una buona madre..
    Sicuramente nel nostro caso ha pesato una storia di prematurità grave del mio patacecio: una gravidanza difficile, una nascita pre-termine, per lui 3 mesi in ospedale, tra la vita e la morte ..pensavo fosse quello..pensavo che fosse la mia stanchezza a non farmi comprendere ed invece leggendo questo sito ho capito..Sono una mamma (anche un po’ amplificata..) di un bimbo amplificato.

    Silvia questA tua affermazione:

    All’uscita di scuola lui si spoglia! Nel senso che, anche se è gennaio, si toglie il giubbotto e spesso anche la felpa per restare 10 minuti in maglietta (ovviamente non indossa mai altro: una t-shirt ed una felpa, non può sopportare altro)…

    mi ha fatto venire i brividi..ecco qua ..è proprio Patacecio..

    Serena il tuo post mi ha fatto commuovere..ogni riga me la sono letta due, tre volte..quello che descrivi è il mio Patacecio!!! Brava!!! Però credo che arrivati a questo punto penso che sia quasi inutile spiegare a chi non ha un bimbo amplificato cosa significhi..perchè semplicemnte chi non lo vive non può capire.
    Mi veniva da ridere – se non piangere – quando mi chiedevano della mia esperienza di prematurità e poi la mamma di turno mi diceva:
    “ehhh, ti capisco mio figlio ha avuto l’ittero per 2 giorni…”…non rispondevo per educazione…

    Amplificato ha comunque un senso negativo e uno positivo per fortuna..
    Negativo perchè non si tratta di capricci..quelli li so riconoscere e riprendo Patacecio ogni volta che li fa… In alcuni casi però si tratta di un turbinio di emozioni che lui capisce di non saper gestire..e piange perchè capisce questa sua diffiicoltà..

    Positivo perchè un bimbo di 4 anni che ti ferma per ammirare la Luna, che si commuove quando sente la serenata di Mozart e ti dice: mamma, senti questa musica, fa proprio bene al cuore”..beh.. non è da tutti i giorni e ti regala delle sensazioni meravigliose..Pro e contro quindi.. Il nostro compito è godere delle cose positive e cercare di attutire quelle negative o meglio – come leggevo – cercare di trasformare le caratteristiche negative in positive.

    POsso dire che non è facile? Che dopo una giornata di lavoro, di file alle poste, di mutuo a fine mese e tanti altri pensieri devi sempre trovare un’energia per superare tanti piccoli ostacoli che sai che troverai ogni giorno…
    La fatica è soprattutto mentale perchè nel caso di Patacecio non parliamo di un bambino iperattivo, anzi, pure troppo casalingo..se gli chiedete se vuole andare al parco o andare in una lavanderia a gettoni indovinate cosa sceglie!!! :=)
    E’ mentale perchè non basta dirgli no..ma devi dare una spiegazione, devi farlo ragionare, devi perderci un po’ di tempo.

    L’unica via di uscita – e sto finendo, scusate il lungo intevento – è capire questo..capire lui..Rispettare i suoi tempi, i suoi alti e bassi emotivi… e avere anche la capacità di comprendere un capriccio da un momento nero, buio che sta attraversando..

    Grazie a Silvia e Serena per avermelo fatto capire..starei ancora a dannarmi per capire cosa non va in me, senza loro due!

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  11. @deborah, ho capito bene il senso del tuo post, ed è un pò quello che in certi momenti mi è passato per la mente in questo ultimo periodo in cui la mia Trilli sembra che stia assumendo una dimensione più “umana” e in cui io sto prendendo di nuovo in mano le redini della mia vita e soprattutto del mio rapporto con lei. Però poi ripenso ai 5 anni e mezzo passati e arrivo sempre alla stesa conclusione: il pensare di avere un bambino amplificato NON è una giustificazione, NON è un alibi, NON è un modo di deresponsabilizzarsi di fronte alla nostra capacità di gestire/tollerare certe situazioni. Trilli da quando è nata è sempre stata davvero vistosamente sopra le righe; tutti, ma proprio tutti, mi dicevano “che strano… ma perchè continua a muovere le gambine in quel modo?” quando ad appena 5 giorni passava il tempo ad urlare e a scalciare… non per minuti…. per ore… ore… ore. Dal primo momento in cui è nata ha dimostrato un’indole “diversa”.. niente carrozzina (lei voleva stare sù..), e faceva cose a due-tre mesi (ho le registrazioni sulla videocamera) che chiunque la vedeva, non se ne capacitava. Potrei dilungarmi e raccontare mille episodi in cui nessuno, non solo io, ma nessuno, riusciva a gestirla, a calmarla, e i giorni e le notti di urla, e le mille visite dai migliori primari perchè temevamo che avesse chissà quale terribile malattia, invece fortunatamente non aveva niente. E’ cresciuta, le urla sono diventate pianti, ma i comportamenti sopra le righe sono rimasti.
    Però, c’è un però… adesso che ha 5 anni e mezzo, e io ho trovato, grazie a voi, una risposta al mio dramma di madre (mi incolpavo di tutto e non riuscivo ad accettarla), sto approcciandomi a lei in modo diverso, più sereno forse, e lei sta rispondendo bene, tanto da farmi credere che forse il peggio è passato e in un impeto di entusiasmo, che forse il suo essere amplificata era solo una mia “idea”……. Ma quando ripenso al passato o riguardo alcune registrazioni fatte in momenti che avrebbero dovuto essere “felici” (vacanze, feste…) allora mi ricordo: NON era una mia idea, ERA LEI, e adesso che sta crescendo, sta cambiando, sta migliorando, sta imparando a convivere con il suo essere amplificata. Perchè non passa giorno che, con qualche atteggiamento, non mi ricordi che l’esserlo è nella sua natura, e può solo imparare a gestire meglio il turbine di emozioni che la invade. Ma questo, per noi e la nostra convivenza con lei, è già un ottimo risultato!!
    Ecco, questo tipo di persone esiste davvero, ma forse se i genitori sapessero, capissero ed imparassero ad interagire con loro fin dai primi mesi (e non dopo anni, come ho fatto io), forse si eviterebbero parte di quella disperazione che ti stravolge la vita e convertirebbero in positivo le mille fatiche del gestire un amplificato.

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  12. Che bel post e che bei commenti, soprattutto.
    Mi ha molto colpito quello di Melia, a cui consiglio, se non l’ha già letto , un bellissimo libro che parla anche e non solo delle diversità e della loro accettazione.
    Il Libro si intitola:”L’epoca delle passioni tristi” scritto da Benasayag e Schimt, i quali portano le loro esperienze di filosofi psicologi impegnati nel sociale. Ha molto a che vedere col tema del mese. Lo consiglio a tutti.
    Detto questo, anche io, come itmom, ora che mia figlia ha 5 anni e mezzo, mi chiedo se sia stata mai realmente amplificata. Sicuramente era/è stata una “nina de alta demanda”.Poi, dai 4 anni in su, le cose sono progressivamente cambiate ed è cambiato anche il mio atteggiamento nei suoi confronti.
    Mi spiego meglio: se a due anni “tolleravo” che si stendesse urlando al supermercato, a tre non più. Se a tre anni tolleravo che scappasse via per i corridoi dei supermercati, sempre per rimanere in tema, a quattro le facevo fermamente notare che non si trovava al parco e che certi atteggiamenti non erano più tollerabili. Reagivo a modo mio con una distanza disapprovante (e, oserei dire, glaciale)
    So che forse non mi spiego bene, ma per me , a un certo punto, finiva la comprensione per quella cosa lì. Punto.
    L’anno scorso, per spiegarmi meglio, quando andavo a prenderla all’asilo , cercava ogni pretesto per litigare. All’inizio ci riusciva, perchè i bambini sono abilissimi in queste cose, poi ho lasciato che se la sbrogliasse da sola con le sue continue e immotivate arrabbiature. Semplicemente ero felice di vederla e non volevo farmi trascinare nel vortice dell’incazz.. da lei.
    Ecco non vorrei , ma lo dico con tutto il rispetto possibile, che definirli amplificati fosse anche una sorta di giustificazione per ciò che, a una data età, non è più tollerato.Se cominciamo a dire:mio figlio è normale e lo trattiamo come tale lui imparerà forse anche a comportarsi “normalmente” , con tutti i dubbi che ho per questa etichetta.Imparerà anche a gestire certe sue emozioni, seppur violente. Noi non possiamo essere sempre lì a cavar le castagne dal fuoco. Se imparano ad allacciarsi le spighette da soli, devono anche imparare a controllare progressivamente da soli il proprio stato emotivo. Come si cerca sempre di far tutti. Certo, si procede per tentativi e non siamo genitori col fucile in mano
    In fondo la società che ci circonda, tollerante o meno, è quella in cui i nostri figli dovranno vivere e cercare di essere felici e io credo che crescere sia anche adattarsi alla collettività mantenendo il più possibile integra la propria personalità.
    Non è un compito facile, ma è quello cui tutti quanti siamo chiamati.
    L’anno scorso,al secondo anno di materna, quando mia figlia ha avuto un po’ di problemi di socializzazione, perchè avendo fame di amicizie reagiva in maniera manesca di fronte ai rifiuti dei suoi coetanei, ho telefonato a una mamma per scusarmi del morso che la mia aveva procurato a sua figlia e ho redarguito la mia nana semplicemnte dicendole che a quattro anni, qualsiasi fossero stati i motivi che l’hanno indotta a un gesto simile, non si doveva permettere mai più di fare del male a qualcun’altro.
    Insomma, per quanto io come madre potessi comprendere la sua sofferenza, non ho voluto essere comprensiva, proprio perchè voglio che superi da sola queste difficoltà.
    Ognuno poi ha la sua esperienza, mi rendo conto, ma spesso si vedono bambini, anche grandi, fuori controllo e si sentono le madri dire, tra il rassegnato e il compiaciuto “Ehh, ma lui è così..”E non sanno che con il loro atteggiamento , creanno danno in primo luogo al figlio che rischia di diventare infrequentabile.
    Detto questo, e mi scuso per essermi dilungata, non volevo far riferimento all’autrice del post o a coloro che hanno scritti questi bellissimi commenti, ma a un atteggiamento che vedo un po’ in giro. Va bene la comprensione , ma un “adesso basta!” molto spesso , almeno nella normalità dei casi, fa crescere e maturare più in fretta di tante parole.
    Forse non va bene corrergli sempre dietro. In fondo , sono loro che devono fare lo sforzo di crescere. Noi possiamo certo far da guida, ma la fatica è soprattutto quella dei nostri bambini. E lo dico riconoscendo che è una fatica grande, molto più grande della nostra, come genitori. In fondo, è il loro lavoro. Non non possiamo mancare mai, dobbiamo esser lì, come fari nella nebbia (permettetemi la suggestiva metafora) ma loro devono assumersi l’onere di crescere.

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    • @Deborah grazie per il tuo commento, che mi sembra in linea anche con quello di CosmicMummy che parlava di alibi. Sottoscrivo l’adesso basta! urlato appunto anche ieri all’uscita dall’asilo quando il capriccio era evidentemente non dettato da nessuna altalena emotiva, del tipo raccontato nel post qui sopra, ma da un mero tentativo di rompermi causa scazzamento. Gli ho detto “Adesso basta Vikingo! Non è che ogni giorno che ti vengo a prendere ti puoi inventare un modo per piangere tutto il percorso, perché io mi sono anche un po’ rotta le scatole di questa storia!”
      Sono d’accordissimo con te sul fatto che i bambini devono assumersi l’onere di crescere, e non bisogna essere iperprotettivi nei loro confronti giustificando in continuazione i loro comportamenti. Io credo che la tua comprensione di genitore finisce nel momento in cui ti rendi conto che quella cosa li a questo punto deve saperla fare (non dare morsi a 4 anni mi sembra più che legittimo). Come dici te a 4 anni ha sviluppato la capacità di capire che non può scappare per gli scaffali dei supermercati come faceva a 3. Però ci sono altri bambini che a 3 non scappavano tra gli scaffali, e qui sta la differenza. Nel riconoscere a tua figlia che lei a 3 non era in grado di rimanersene buona e ferma accanto a te mentre facevi la spesa, nonostante altri bambini lo facessero. Questa sua incapacità potrebbe essere dovuta a maleducazione come direbbero i maligni, o ad un temperamento più esuberante come dico io. E in quello aiuta l’etichetta, per potersi sentire più “normali”.
      Per il resto io non faccio altro che dire al Vikingo “questo non è accettabile!” “non voglio che ti comporti così” eccetera eccetera. Altro che giustificare…
      (però ammetto di essermelo perso tra gli scaffali un paio di volte quando era più piccolo! 😉 )

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  13. @Serena: se avessi avuto per primo Luca credo che non avrei fatto il secondo dopo un anno e nove mesi (eh si, ai tempi pensavo “beh, dai a quasi due anni Gaia sarà grande e sarà più facile gestire un neonato”. Grande a nemmeno due anni?? Benedetta inesperienza).Cmq penso che avrei aspettato un pò di tempo prima di avere il secondo per permettere a Luca di capire meglio cosa sarebbe successo e a me di organizzarmi. Avendo avuto prima Gaia è stato più semplice lasciarsi andare al desiderio di fare il bis, lei era molto tranquilla…Era. Il fratello l’ha contagiata! Solo un pò però. 🙂

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  14. Greenspam li chiama “Bambini con bisogni speciali”…. come il mio Cioccolato….
    A lui di etichette, con il nome più tecnico e ghettizzante di diagnosi, ne sono state date tante: autistico, iperattivo, Savant prodigio, iperdotato…. o semplicemente difficile….
    Con voi potrei dire anche io amplificato.
    La cosa buffa è che io per prima sono un’addetta ai lavori: medico e psicoterapeuta…
    Ma per Ciock sono solo la mamma,una mamma che alterna giorni sereni e di speranza a giorni neri di totale paranoia.
    perchè anche lui ha alti e bassi: momenti in cui sembra un bambino normalissimo a giornate in cui fa una crisi dopo l’altra.
    La nascita di Fragola, 4 mesi fa, non lo ha certo aiutato.
    E così la nostra vita è scandita dalle attività di Ciock: psicomotricità, terapia multisistemica in acqua, scuola di musica, psicoterapia, gruppi guidati, grafomotricità….
    E il metodo floor time a casa,con noi.
    Ci sono momenti in cui penso che, nonostante stia facendo tutto quanto è in mio potere, Ciock non sarà mai un bimbo come tutti gli altri…
    Ma poi mi rendo conto che questo è un problema mio, non suo.
    Ciock non è un bimbo come tutti gli altri, perchè dovrebbe esserlo?
    E’ il mio bimbo, specialissimo e unico… sono io che mi devo adattare a lui, siamo noi che dobbiamo allargare i nostri orizzonti per comprendere questi bambini.
    E stare insieme, tra mamme con analoghi problemi è già un passo avanti.
    Vorrei dire di più, ma Fragola reclama.
    Magari un’altra volta.
    Intanto, grazie per esserci.
    Melia.

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  15. Ecco, Monica qui su è un esempio fra tanti (e vi assicuro: tanti, molti di più di quelli che mi sarei mai aspettata quando due anni fa abbiamo cominciato a scrivere i primi post di gc). Quando parli di un certo tipo di carattere, di certe situazioni, di certi stati d’animo, a qualcuno scatta una molla: avviene il riconoscimento.
    E spesso, davvero spesso, quelle persone ci hanno detto: è la prima volta che qualcuno mi aiuta a rimettere a posto i tasselli impazziti del puzzle.
    Mio figlio a 7 anni mi dice: “mamma, mi sto innervosendo, puoi aiutarmi a calmarmi?” oppure “mamma, mi sento strano, ho bisogno di un momento per calmarmi”. A volte non ce la fa e scoppia in un delirio senza senso: ma è lui a saper ritrovare la calma ora e a chiedere scusa se qualcuno ha fatto ingiustamente le spese delle sue crisi.
    Mio figlio non è affatto superdotato intellettivamente (e neanche ci assomiglia: guardate, non ha proprio nessun talento particolare), non è affatto un iperattivo, al limite è fisicamente un po’ avvantaggiato rispetto alla sua età e solo per quello che gli pare(ma conta anche il fatto che è magro ed agile).
    E’ un gran pasticcio emotivo, come se avesse la tempesta dentro. Gli costa parecchi guai a scuola (ma ora sempre meno). Stiamo imparando a domarla. Mi sembra che abbiamo fatto grossi passi avanti. L’esuberanza fisica ormai si è placata anche con l’educazione (a 7 anni sai benissimo che non puoi saltare sul divano a casa di amici o correre tra i tavoli al ristorante, se no sei un disadattato, non un bambino vivace!): ma io se so che si è contenuto per motivi di vita sociale, poi so che gli devo uno sfogo, se no sto negando la sua identità. Quindi, che ne so, dopo un pranzo a casa da parenti, lo porto a correre. E poi c’è l’abitudine alle ore di scuola: mica facile per uno a cui le gambe si muovono da sole dopo un po’. Eppure non si è mai alzato dal banco durante una lezione: è amplificato, mica maleducato!
    All’uscita di scuola lui si spoglia! Nel senso che, anche se è gennaio, si toglie il giubbotto e spesso anche la felpa per restare 10 minuti in maglietta (ovviamente non indossa mai altro: una t-shirt ed una felpa, non può sopportare altro)… Volete solo immaginare gli sguardi delle altre mamme???? O delle nonne??? Ma che devo fare: ha bisogno di respirare dopo tanto contenimento. Volete che glielo neghi?
    Ora, arrivare a dei banali compromessi che aiutano tutti a vivere meglio, trovare la chiave per un dialogo con lui, offrirgli un modo per decifrare se stesso, tutto questo passa per la CONOSCENZA di mio figlio. Le etichette sono sgradevoli… ma sulle etichette ci sono sempre tante informazioni utili!

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