Se mamma lavora, il figlio è felice

Questo è il titolo di un articolo pubblicato sulla stampa che da qualche giorno rimbalza tra i miei contatti facebook. L’articolo riporta brevemente i risultati di una ricerca della Columbia University School of Social Work che, in sintesi, libera dai sensi di colpa le mamme che tornano a lavorare nel corso del primo anno di vita del bambino, dimostrando che non c’è differenza tra i loro figli e quelli delle mamme casalinghe, sul piano dello sviluppo cognitivo e del successo, ad esempio, in campo scolastico, misurato entro i primi 7 anni di vita. Ottimo. Ci voleva.

A differenza dei miei contatti su facebook però, questa ricerca, buona per carità, non mi entusiasma più di tanto, in quanto mi sembra poco risolutiva e al limite mi fa arrabbiare per certi aspetti. Mi rendo conto che queste riflessioni potrebbero generare un po’ discussione, e anzi me lo auguro, e quindi cercherò di essere il più chiara possibile.

Purtroppo non ho trovato la pubblicazione originale della ricerca, e quindi posso basare queste riflessioni solo su quello che è stato riportato dai giornali (non solo italiani), il che è soggetto a grandissime limitazioni. Lo studio si vanta di prendere in considerazione più fattori per poter confrontare le due situazioni, rispetto alle ricerche svolte in precedenza. In pratica partendo dal presupposso, a mio parere giustissimo, che non è possibile confrontare la mamma lavoratrice con quella non lavoratrice a parità di condizioni, perché le condizioni al contorno necessariamente cambiano.
Lo studio evidenzia che l’elemento che sembra pesare di più è la maggiore disponibilità economica raggiunta anche grazie al lavoro della madre che compenserebbe la diminuizione del tempo trascorso insieme, fornendo ad esempio scuole di qualità superiore e attività extrascolastiche migliori. Lo studio è stato svolto negli USA dove la scuola, si sa, costa moltissimi soldi, e c’è una grande disparità in termini di qualità e prospettive a seconda della scuola che si frequenta. In questo caso quindi è chiaro che uno stipendio in più in famiglia fa una bella differenza per il futuro dei figli. Quindi mi chiedo, lo stesso ragionamento vale in Italia o in un altro paese in cui la scuola è “gratuita”?
Un altro aspetto che sembra compensare la diminuizione di tempo trascorso insieme è la perenne diatriba tra qualità e quantità. Apparentemente se il poco tempo che la madre trascorre con il figlio è di qualità, nel senso che la madre anche se lavoratrice si occupa attivamente del piccolo, è in grado di garantire l’attaccamento emotivo di cui ha bisogno. Una differenza importante è tra i figli di madri che lavorano part-time e quelle che lavorano full-time, chiaramente a vantaggio del part-time. Sembra quasi che il part-time dia quell’aiutino economico alla famiglia, e quel grado di soddisfazione personale alla madre sufficienti a garantire uno sviluppo sano nel bambino, senza togliere troppo tempo ed energie, come invece farebbe un lavoro full-time.

La ricerca purtroppo non è in grado di mettere in relazione il grado di soddisfazione personale della mamma con la crescita del bambino. Eppure questa per me è una delle domande più interessanti. Io so di essere più felice lavorando e che dedicarmi solo ai figli potrebbe condurmi rapidamente alla pazzia. Però un lavoro noioso non mi renderebbe più felice. Se una mamma si trova a fare un lavoro che non le piace, non è che poi torna a casa stressata e quindi la qualità del tempo trascorso con i figli non è così buona? Certo c’è sempre il discorso dello stipendio in più, che aiuta soprattutto in una situazione di crisi economica globale. Senza contare tutte quelle che non hanno veramente scelta. Che devono lavorare, anche se vorrebbero stare con i figli. Mi sarei sicuramente entusiasmata di più per questo studio della Columbia se fosse riuscito a misurare il fatto che una madre felice e soddisfatta della propria vita è una madre migliore, sia nel caso in cui lavora sia nel caso in cui scelga di stare a casa con i figli, purché sia una scelta consapevole. Sfortunatamente lo studio non è riuscito a dare indicazioni chiare a questo proposito.

Ma c’è un’altro aspetto che mi sta a cuore, e che non ho letto da nessuna parte. Il coinvolgimento dei papà. Quanto pesa il fatto che la mamma lavora sul grado di coinvolgimento dei papà nella vita famigliare? E quanto contribuisce in modo positivo il coinvolgimento dei papà sulla crescita dei figli? Molti studi mostrano che i bambini il cui padre è presente crescono meglio, e hanno più possibilità di avere una vita felice rispetto ai figli di padri assenti. E se la smettessimo di parlare delle mamme e di quanto poco tempo passano con i figli, e iniziassimo a misurare anche il tempo che i padri passano con i figli? E se entrambi i genitori lavorassero un po’ meno e trascorressero più tempo con i figli? Ecco, cari ricercatori della Columbia, la prossima volta mi piacerebbe che inseriste anche i padri nel vostro studio, perché credo che sia arrivato il momento di capire che i figli hanno due genitori e non solo una mamma.

Per approfondire (in inglese)
Economix Blog New York Times
U.S. study finds first-year maternal employment has no ill effects on child’s development
The guardian

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48 thoughts on “Se mamma lavora, il figlio è felice”

  1. Parto dal presupposto che non ho letto nessuno dei commenti precedenti… Volevo solo ed esclusivamente dire che io sarei frustrata come mamma full time… E non me la sentirei di stare tutto il giorno con il mio favoloso bambino…
    Lavoro per me stessa e non solo per l’aiuto economico del mio stipendio (da fameeeeeee)e alla luce delle frustrazioni che mia madre (casalinga ex lavoratrice) ha riversato su di noi sono certa che sarò una madre più felice e anche solo per questo potrò dare molto di più a mio figlio…
    Un abbraccio a tutte!
    Cris

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  2. Oh, Silvia, come sono d’accordo con te…
    Sono d’accordo anche con D. quando dice che ogni situazione e’ a se. Ci sono persone che amano prendersi cura della casa e della famiglia, che sono convinte di fare le cose meglio di chiunque altro e quindi non fanno neanche avvicinare terzi alla lavastoviglie, e ci sono persone che non possono fare a meno di uscire di casa appena svegliate per andare a fare qualcosa fuori. Anche la felicita’ dei genitori dipende molto dalla loro personalita’, e ogni regime familiare e’ differente sia economicamente che organizzativamente.
    Mi piace pensare che ognuno di noi genitori cerchi di fare del proprio meglio con cio’ che ha e per come e’ fatto, e per come sono fatti i propri figli, che anche loro hanno milioni di esigenze diverse.
    Ero molto preoccupata quando ho mandato mia figlia al nido poco prima dell’anno di eta’, fino ad allora era sempre stata con me o col padre e occasionalmente con mia madre. Beh, l’inserimento e’ stato rapidissimo e lei si e’ trovata molto bene con i quasi coetanei. Adesso che il nido e’ chiuso e siamo tutti a casa, sono costretta a cercare compagni di giochi quasi giornalmente, altrimenti lei e’ nervosa e insoddisfatta. Questo solo per dire che a parte le necessita’ familiari, per alcuni bambini la scelta di di fornire un piu’ ampio numero di adulti come “curatori” puo’ essere positiva, e comunque migliore di quella di avere la mamma e/o il papa’ disponibili 24 ore su 24.
    Insomma, credo che le variabili dietro alla ricerca sociologica siano talmente tante e talmente diverse che sia molto difficile dare una lettura obiettiva dei risultati. Solo su una cosa siamo tutti d’accordo, e non ci voleva una ricerca scientifica per dircelo: se il clima familiare e’ soddisfatto, i figli crescono piu’ felici.

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  3. Le vostre letture molto attente degli articoli e dei dati della ricerca (in particolare mi riferisco a D., Serena, Morgaine, ecc.) conducono amaramente a concludere che questo tipo di ricerche è compiuta al solo scopo di essere indirizzata verso conclusioni già scritte. I dati si manipolano, i campioni statistici si scelgono con cura, la validità del risultato è tutto fuorchè scientifica…
    In effetti possono solo essere lo spunto per discussioni o materiale per articoletti giornalistici riempitivi…
    Qui da noi è stata l’occasione per ricordarci che crediamo fermamente al ruolo del papà nella crescita dei figli e che ci sono ancora molti ostacoli sociali, culturali e personali per una completa espressione di questo ruolo.

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  4. @Gp, mi è piaciuto tantissimo il tuo primo commento.. non ho tanto tempo per leggere tutti quelli successivi. Mi hai descritta alla perfezione. Sai, in queste ferie, ho capito che il nostro modo di fare è fortemente condizionato da quello che ci hanno insegnato i nostri genitori. Io cresciuta da mamma che mi diceva “è l’uomo quello che deve lavorare di più”, sono arrivata a pensarlo pure io. Però questa settimana che i bimbi sono andati in vacanza solo con il papà mi sono ricreduta. Anche voi papà avete diritto a godervi i figli come facciamo noi mamme, anche voi avete modi e idee (stravaganti!) per far crescere bene i bambini… Il ruolo del padre deve cambiare, ma non può succedere se noi mamme non ve lo permettiamo!

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  5. @ Serena: Se ho dato l’impressione di sposare qualche forma di determinismo, me ne scuso. A conferma: la bambina di cui ho parlato non solo non è né disturbata, né violenta, ma è una delle migliori della classe e, pur essendo evidentemente un po’ più matura della sua età, non è una bambina triste o sofferente. E’ sofferente sua madre, che lavora evidentemente non per seguire una soddisfazione personale (anche se è una brava infermiera), ma per pagare le bollette.
    Però non possiamo negare che i bambini sono in generale lasciati sempre più a sé stessi o consegnati alla televisione. Quello che dici sul ruolo della famiglia allargata (che è praticamente venuta meno) è importantissimo e avrei voluto aggiungerlo, se non fosse che avevo già fatto un trattato. Tutti questi fattori, insieme e spalmati su un’intera società, non sono certo favorevoli ai bambini e i bambini, anche loro nell’insieme, danno chiari segnali di sofferenza.

    Per quanto riguarda invece quello che dimostra la ricerca, permettimi di essere più scettica di te. Ho letto gli articoli in inglese e non la ricerca, come te, ma direi che si potrebbe dire che si dimostra esattamente il contrario (sempre con sintesi giornalistica): cioè che i bambini che hanno madri che lavorano hanno ritardi cognitivi A MENO di non provenire da famiglie agiate, CHE possano permettersi delle cure di qualità e SE le madri sono empatiche E gratificate dal proprio lavoro O sono bambini curati da una famiglia allargata (come i bambini afro-americani, esclusi dalla ricerca perché non facevano tornare i conti). Come dire, per tutti gli altri questi danni quindi ci sono. Ora, gli articoli non lo dicono, ma mi piacerebbe capire i numeri. I fortunati bambini che si trovano in queste condizioni ideali quanti sono percentualmente? Converrai che fa una grande differenza se parliamo del 10% o del 90%… A mio parere (assolutamente personale e non scientifico) in Italia questi bambini non sono poi così tanti e tutto sommato sarebbe più importante capire cosa serve agli altri, invece che constatare che a pochi le cose vanno bene così.

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  6. Sono abbastanza daccordo con tutti voi, l’unica cosa è, appunto, questo focalizzarsi sul fatto che se la mamma lavora potrebbero capitare disastri vari. I figli si fanno in due e allora andrebbero cresciuti in due, così come la casa andrebbe gestita in due. Quando ho parlato di divisione al 50% ovviamente è una semplificazione,ma ci si da una mano l’un l’altra.
    Non vedo questa esclusività nel rapporto con i figli della mamma, ma per esperienza e necessità, vedo che si può crescerli insieme.
    Spesso sono le mamme che non mollano, mi capita spesso di sentire:
    “figurati, mio marito non non può dargli da mangiare va nel panico per cuocere la pappa!””non sa fare quest’altro come invece lo so fare io etc etc”
    ecco spesso il punto è questo, molti babbi (o papà) che vorrebbero fare, sono nell’impossibilità di fare perchè le supermamme non danno spazio. Poi ci sono quelli che si imboscano con scuse tipo “…il bambino fino a 9 mesi ha bisogno solo della mamma”…ma per piacere!!!

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  7. Comprendo benissimo che ci sono tanti equilibri famigliari quante sono le famiglie, e alcuni funzionano e altri no. Non sostengo che ci sia una soluzione preconfezionata buona per tutti, vorrei solo non fermarmi allo stereotipo. Starei molto attenta, ad esempio, a contrapporre come i due termini della questione la “mamma-che-lavora-ma-è-presente-e-soddifatta” alla “mamma-che-non-lavora-per-seguire-i-figli-ma-è frustrata”, intanto perché le variabili e le sfumature sono molte di più (mamme che lavorano tantissimo, mediamente, un po’…, lavori che gratificano, lavori che piacciono, che si sopportano o si detestano… presenza costante, distrazione, rancore…).
    Anche lo stereotipo della mamma che si sacrifica ai figli ma poi è frustrata mi sembra uno stereotipo anti-femminile, che fa dire alle donne, da altre donne, che non valgono niente se non lo dimostrano sul campo del lavoro. Inoltre, a naso e basandomi sulle persone che conosco (vivo in un quartiere piuttosto popolare, dove ci sono più operaie e commesse che ricercatrici universitarie), direi che la maggior parte delle donne che lavorano lo fa per pura necessità economica e sarebbe ben contenta di occuparsi della propria famiglia in maniera esclusiva, se questo non significasse l’indigenza. Perché per moltissime la gratificazione di occuparsi dei propri figli sarebbe di gran lunga superiore a quella di fare un lavoro che di soddisfazioni ne dà ben poche. Direi che la percentuale di donne che lavorano e non sono poi così contente e presenti e concentrate sul “tempo di qualità” (non per cattiveria, ma perché dopo il lavoro hanno il bucato, poi la spesa, cucinare…) non è esattamente irrilevante.
    Chiaro poi che se ho denaro e delego a qualcuno tutta una serie di incombenze mi è molto più facile concentrarmi sul rapporto con mio figlio una volta rientrata dal lavoro. A patto, aggiungiamolo, che si tratti di un figlio unico, massimo due. Gli altri eventuali li sacrifichiamo sull’altare del lavoro (voluto o imposto).
    Io conosco una bambina di nove anni che ha la madre infermiera e il padre poliziotto, entrambi fanno i turni, entrambi hanno le famiglie lontano, questa bambina non solo è spesso a casa da sola, di giorno e di notte, ma a lei è affidata la sorella più piccola. Vi assicuro che la madre non ha tutta questa gratificazione personale nell’uscire di casa per andare a lavorare.
    Ma faccio un passo in più: io ho un lavoro che molti riterrebbero gratificante, sono una libera professionista, non sono affatto ricca, ma guadagno bene. Ho orari molto flessibili, cerco per lo più di lavorare quando i bambini sono a scuola e di essere libera quando sono a casa, se un giorno uno è malato lo tengo a casa con me. Li accompagno personalmente alle loro attività extra-scolastiche, alle visite mediche, alle festicciole. Mi posso permettere un aiuto domestico per non pensare a una serie di incombenze. Eppure mi sento dilaniata, vedo la piccola che avrebbe bisogno di stare a casa e non andare alla materna, ma non posso concederglielo, il quarto avrebbe poi bisogno di un sacco di tempo per risolvere dei piccoli problemi di linguaggio, forse sarebbe bastato un mio impegno particolare, ma a settembre dovrò rivolgermi a un foniatra perché non ho potuto concentrarmi in particolare su questo aspetto. Non voglio fare la supermamma, ma semplicemente fare bene la mamma, come cosa importante per me. Eppure non è possibile, perché due buoni redditi ci permettono di concederci qualche cosa superflua, ma un solo reddito, per quanto buono, non ci permetterebbe di arrivare a fine mese. In più siamo liberi professionisti, ciò vuol dire che bisogna pensare in anticipo ad eventuali tempi duri, perché siamo senza rete (né famigliare, né assistenziale).
    Perché ho scritto tutto questo? Perché, lo ripeto, il ritornello del tempo di qualità, se non è del tutto falso, mi pare certamente falsato, sopravvalutato, personalmente credo che la quantità di tempo sia un fattore fondamentale, non secondario. Magari un tempo fatto di attimi meno perfetti, ma di consuetudine, di cura, di presenza.
    Da anni, tutti i professionisti dell’educazione che conosco mi dicono che le condizioni intellettuali e caratteriali dei bambini delle nuove generazioni sono sempre più allarmanti. Si esprimono peggio, sono più violenti, meno capaci di seguire le regole, depauperati intellettualmente. Questo dalla materna alle superiori. Non parliamo degli adolescenti e dell’uso smodato di alcool, droghe e sesso. Stiamo parlando di tendenze generali e diffuse in quasi tutto il mondo occidentale. Personalmente sono convinta che questi siano gli effetti di un’assenza genitoriale. Ma se vogliamo chiamarla “presenza di qualità”…

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    • @D. fai molte considerazioni importanti in questo tuo commento,e mi trovo d’accordo con quasi tutto quello che scrivi, soprattutto sul fatto che non ci sono solo i due estremi: mamma lavoratrice e felice, e mamma a casa e depressa. Le sfumature e i vari toni di grigio tra il bianco e il nero tipiche dell’essere umano, è proprio ciò che rende le scienze sociali così difficili e allo stesso tempo interessanti. Alla fine del tuo commento però trai delle conclusioni sulle quali sono un po’ perplessa. Che i bambini siano più violenti, si esprimano peggio, siano meno capaci di seguire regole, è veramente solo colpa della madre che lavora invece di stare con i figli? Mi sembra di capire che in primo luogo questa ricerca dimostri proprio il contrario: ossia che non ci sono differenze tra figli di madri lavoratrici e non lavoratrici. Quando parli della bambina di 9 anni a casa da sola con la sorellina piccola, che per carità è una situazione terribile, mi viene in mente mia nonna e i suoi 4 figli, la cui più grande aveva 9 anni, e che doveva badare ai fratellini piccoli mentre mia nonna era fuori a lavorare per qualche ora. Erano altri tempi, era la consuetudine dettata dalla necessità di un’epoca in cui non c’era scelta. Eppure nessuno dei miei zii è diventato violento. Forse bisogna aggiungere altre riflessioni, su quella che era la situazione sociale di qualche decennio fa, come ad esempio la rete di persone che si occupavano dei bambini, oltre alle mamme, ma anche il controllo degli adulti nelle strade. Ai miei tempi, quando io ero dodicenne e andavo a giocare da sola ai giardini sotto casa, si può essere certi che se qualcuno di noi faceva qualche cosa di sbagliato, c’era sempre qualche adulto presente,che anche se sconosciuto, si prendeva la briga di intervenire, magari quietando una lite che avrebbe facilmene potuto trasformarsi in atto di violenza nei confronti di qualcuno. Oggi questo controllo sociale non c’è praticamente più, almeno nelle grandi città, e l’educazione dei bambini e dei ragazzi è quasi esclusivamente affidata ai genitori. E poi vogliamo parlare del ruolo della televisione? Insomma, come sempre il problema è molto più complesso di quanto sembra. E quindi sono d’accordo con te sul fatto che sarebbe semplicistico ridurlo ad un discorso di quantità o qualità.

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  8. @Serena: “potere ai Papà”, se ne avete già discusso mi invii il link della discussione? Grazie.

    @Barbara: i consigli tuoi sono più che apprezzati! Grazie!!

    @Mario: (…siamo solo in due papà qui….mi sa che dobbiamo chiamare rinforzi!…)

    Vorrei congratularmi con gli autori di questo blog e con tutti i suoi partecipanti; internet è un contenitore dove ci stà di tutto, ma raramente si incontrano luoghi così interessanti, argomenti così attuali e ben discussi e alimentati.

    Chapeau!

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    • @Gp io vivo in Svezia dove la situazione per i papà (ma anche per le mamme) è decisamente diversa, per questo scrivo spesso su questo tema. Puoi provare a leggere tutti i post con il tag papà https://genitoricrescono.com/tag/papa/, e naturalmente continuare a seguirci in futuro. Magari iscrivendoti alla newsletter per essere certo di non perdere nulla. Abbiamo in mente molte sorprese per i prossimi mesi 🙂

      @Flavia io però nella scienza ho una certa fiducia, e non credo che sia vera l’affermazione che “i numeri e le ricerche dimostrano solo quello che qualcuno vuole che dimostrino”. C’è un metodo scientifico che viene seguito per interpretare i numeri e non è proprio una cosa fatta a caso. Completamente diverso è il discorso di cosa e come queste notizie vengono riportate sui quotidiani e i mezzi di informazione. Li si che si fanno tagli e aggiustamenti a seconda di quello che si vuole comunicare, come ad esempio in questo caso nella scelta del titolo da parte del La Stampa. Che un figlio di genitori felici sia felice, è una cosa che non abbiamo bisogno che la scienza ci confermi, però la scienza può dimostrare che c’è uno sviluppo cognitivo difficile o più lento o che c’è una predisposizione alla depressione o all’uso di sostanze stupefacenti, oppure no, anche in base ad altri fattori. Queste sono cose decisamente importanti da sapere.

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  9. @Silvia… eh si… ha finito… ma poi ci siamo persi un pò tutti quanti. 😉

    Comunque si sta facendo tardi… e questa è un altra storia.

    Complimenti per il blog e a tutti i partecipanti… proprio un sito piacevole e ben frequentato…

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  10. Non ce l’ho fatta a leggere a fondo tutti i commenti, comunque grazie per il post e condivido soprattutto la sua conclusione sui papà. Ribadisco solo due concetti a cui io tengo molto: uno, i numeri e le ricerche dimostrano solo quello che qualcuno vuole che dimostrino, e quindi quasi sempre me ne infischio, di qualunque “parte” siano. Due, grazieadio non abbiamo bisogno di nessuna ricerca per dimostrare che per il benessere dei figli una madre felice (per esempio una che lavora full time ma ha un partner che la aiuta molto) è meglio di una infelice (che lavori o no). Lo sappiamo e basta… e quindi ognuno ha il sacrosanto diritto-dovere di perseguire la propria felicità.

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  11. @Serena, ricordo che tempo fa arrivò sui giornali svedesi una diatriba tedesca che scatenò non poche polemiche da queste parti. In pratica, per difendere una politica familiare alquanto deficitaria (in Germania, almeno fino a qualche tempo fa, gli asili comunali scarseggiavano e le cosiddette Tagesmutter erano richiestissime ma non riuscivano a coprire i bisogni crescenti delle famiglie, ponendo le madri tedesche davanti al consueto dilemma lavoro/figli) una certa lobby mediatica presentò delle cifre e dei resoconti che dovevano incoraggiare le madri a restare a casa in quanto l’ingresso anticipato all’asilo produceva peggiori risultati una volta arrivati a scuola. E chi era la pecora nera usata nel confronto? Per l’appunto la Svezia, in cui la stragrande maggioranza dei bambini inizia l’asilo poco dopo l’anno. Naturalmente sui giornali svedesi comparvero subito tutt’altre cifre e resoconti di tono completamente diverso…

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  12. Penso anche io, come te, che più che lavorare, non lavorare, lavorare un po’, conti il grado di soddisfazione della madre. Una madre felice e soddisfatta, qualsiasi cosa faccia, riesce ad essere più paziente e attiva con i figli.

    Certo però che una mamma che lavora full time, magari non proprio vicino a casa e ha anche molti hobby, impegni, amicizie, etc. Vorrei sapere quanto sarebbe il tempo di qualità che dedica ai figli?
    Devono prendere appuntamento per raccontarle i propri problemi?

    La qualità del tempo è estremamente importante ma questo tempo deve esserci.

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