Dopo l’interessante confronto avuto sulle scuole superiori con la prof. Alessandra, suggestionata anche dal tema del mese, mi sono azzardata a chiedere ad Alessandra se secondo lei c’era un rapporto tra scarsa autostima fatta crescere nelle figlie femmine rispetto alla matematica e i loro risultati a scuola.
Ecco, allora, le sue considerazioni.
“[…] I matematici di alto livello costituiscono un mondo quasi esclusivamente maschile.
Negli Stati Uniti, Camilla Benbow e colleghi hanno sottoposto studenti di dodici anni a un test: il SAT-M (Scholastic Aptitude Test), la cui media si aggira normalmente sui cinquecento punti.
Per ogni ragazza che supera questo punteggio a dodici anni, ci sono due maschi che fanno lo stesso. Questo rapporto si trasforma in quattro a una quando il traguardo diventa seicento punti e in tredici a una oltre i settecento punti. […]Soltanto le élite matematiche sono quasi del tutto composte da uomini; sulla totalità della popolazione la supremazia dei maschi è meno forte. [Al di sotto dei 500 punti] un terzo dei ragazzi scende al di sotto della media delle ragazze o viceversa un terzo delle donne supera la media dei ragazzi.
Il vantaggio dei maschi dipende anche dal contenuto delle prove. Gli uomini sono decisamente in testa nella risoluzione di problemi matematici; ma sono le donne a essere in prima fila, anche se per un piccolo scarto, nel calcolo mentale.
Infine, mentre fin dall’inizio delle elementari emerge un distacco tra bambini e bambine, non si rileva alcun vantaggio sistematico prima della scolarizzazione. Le capacità aritmetiche precoci nei piccolissimi, in particolare, non sono affatto appannaggio del genere maschile.”
Da “Stanislas Dehaene, Il pallino della Matematica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010, pagg 168 – 173 (paragrafo: Il talento matematico è un dono biologico?) [titolo originale: La bosse des maths, Paris: Odile Jacob, 1997]”
E in queste prime righe c’è già quasi tutto quello che c’interessa: nell’ambito dell’eccellenza i maschi surclassano le femmine. Restando in una fascia di competenze e conoscenze medie le proporzioni si ribaltano, anche se in maniera meno clamorosa.
Dice in proposito Androulla Vassiliou, Commissario europeo per l’istruzione:
“La correlazione tra genere e risultato educativo è mutata notevolmente nell’ultimo cinquantennio e ora le differenze acquistano forme più complesse. Il personale scolastico è costituito principalmente da donne, ma i sistemi educativi sono gestiti da uomini. La maggioranza dei laureati sono donne, mentre il fenomeno della dispersione scolastica interessa per lo più i ragazzi”
E, tornando a Dehaene:
“Non vi è alcun dubbio che parecchi fattori di ordine psicologico o sociologico siano nettamente svantaggiosi per le donne. Le inchieste mostrano che in media le donne sono più ansiose degli uomini nei corsi di matematica e che hanno meno fiducia nelle loro capacità; che la matematica sembra loro una disciplina tipicamente maschile, di scarsa utilità per la loro futura carriera professionale e che, infine, i loro genitori, e sopratutto i padri, condividono tale opinione. Questi stereotipi costituiscono ciò che gli psicologi chiamano una profezia che si autoavvera. Lo scarso entusiasmo delle ragazze in matematica e la convinzione che in quel campo non potranno mai brillare contribuiscono a renderle meno interessate ai corsi e quindi meno competenti in materia.
Sono convinto che i pregiudizi che circondano nelle nostre società la matematica siano in gran parte responsabili del solco che separa le prestazioni matematiche delle donne da quelle degli uomini […] un solco che potrebbe essere almeno in parte ridotto modificando l’atteggiamento politico e sociale verso la matematica.
E’ significativo che in Cina, per esempio, le adolescenti più dotate ottengano risultati amtematici superiori non solo a quelli delle coetanee USA, ma anche agli adolescenti americani più dotati, mostrando così che la differenza tra uomini e donne è debole di fronte all’impatto di strategie educative.
Una metanalisi recente, riportata in decine di articoli, suggerisce che negli Stati Uniti, negli ultimi trent’anni, lo scarto medio tra uomini e donne si sarebbe ridotto della metà. Un’evoluzione che potrebbe riflettere il miglioramento della situazione della donna durante lo stesso periodo.”
Dicevamo che la differenza di genere risulta sorprendentemente marcata solo nei “piani alti”; per i livelli di eccellenza; per coloro che della matematica faranno poi una professione. La mia esperienza mi racconta che anche in quei piani ci sono fattori legati al sociale e allo psicologico che influiscono enormemente le donne.
Conosco almeno due ricercatrici, una in fisica e l’altra in matematica, che hanno abbandonato il loro lavoro sopratutto in quanto donne, e non per le loro capacità. So che leggeranno quest’articolo e le invito caldamente a raccontare la loro esperienza personale.
Molto interessante quel che dice in proposito Sheryl Sanberg in questa conferenza TED (sottotitolata in italiano)
Ma ciò premesso Dehaene ci dice quel che sa su
“un gruppo di indici convergenti [che] sottolinea il contributo di variabili biologiche a vantaggio dei maschi in matematica.
In una popolazione di bambini superdotati in matematica, troviamo tredici volte più maschi che femmine, ma anche due volte più mancini che destrimani, quattro volte più miopi e due volte più allergici che nella popolazione normale. Più del 50% dei matematici in erba è mancino, o ambidestro, oppure proveniente usa la destra anche se viene da una famiglia che comprende dei mancini.Infine il 60% è primogenito.
Il ritratto dello scienziato mancino, occhialuto e malaticcio non è poi soltanto un parto della fantasia!
[…] Ancora non disponiamo di una spiegazione convincente di questi misteriosi legami tra sesso, cromosoma X, mancinismo, allergie, ordine di nascita e matematica. Tutt’al più possiamo provare a tratteggiare un quadro impressionista di qualche catena causale possibile. Secondo il neuropsicologo Norman Geshwind e i suoi colleghi, l’esposizione a un tasso elevato di testosterone durante la gestazione avrebbe effetti tanto sul sistema immunitario quanto sulla diversificaizone dei due emisferi cerebrali: il testosterone rallenterebbe lo sviluppo dell’emisfero sinistro [quello che controlla, dal punto di vista motorio, la parte destra del corpo e che è prevalentemente deputato al linguaggio].
Si può allora immaginare che aumentino le possibilità di diventare mancino e che cresca ugualmente la capacità di rappresentazione nello spazio: una funzione meglio governata nell’emisfero destro. Questo senso raffinato dello spazio, infine, [è ampiamente provato che] faciliterebbe la manipolazione dei concetti matematici. Poiché il testosterone è un ormone maschile, non è impensabile che questa ricaduta di effetti abbia maggior impatto sugli uomini che sulle donne. […]
Inoltre, i comportamenti spaziali di ratti femmine, dopo un trattamento ormonale, superano quelli di femmine normali e si pongono allo stesso livello di quelli dei maschi normali; si ricordi infine che la concentrazione di ormoni sessuali è più elevata al momento della prima gravidanza (non dimentichiamo che la maggior parte dei superdotati in matematica sono primogeniti).
Modellato in questo bagno variabile di ormoni sessuali, è ragionevole pensare che il cervello maschile sia orgniazzato in maniera differente da quello femminile.
Con tutta probabilità i circuiti neurali variano sottilmente in funzione del genere […] in un modo che noi ignoriamo quasi del tutto na che spiegherebbe il leggero vantaggio dei maschi nel grande spazio matematico.
Il paragrafo successivo s’intitola: “Quando la passione genera il talento” e mostra come siano più l’abnegazione (quantità di tempo dedicato, intensità dell’investimento emotivo, costanza) per la materia, data dalla passione, a portare a risultati straordinari piuttosto che questioni biologiche.
“più che un dono innato, il talento per il calcolo pare, dunque, il frutto di un addestramento precoce, qualche volta accompagnato da una capacità eccezionale o persino morbosa a concentrarsi sul campo ristretto dei numeri.
Le nostre conclusioni coincidono con l’introspezione di due grandi geni dei secoli passati: Tomas Edison per il quale “il genio consiste dell’un per cento di ispirazione e del novantanove per cento di traspirazione” e il naturalista Buffon che confessa (con falsa modestia?) che: “il genio è soltanto una grande attitudine alla pazienza”.
Silvietta mi chiede conto della mia esperienza come insegnante e quindi la fornisco, ma non so se è così significativa. Nei Licei Scientifici effettivamente i pochi studenti “genietti” in matematica che ho incontrato erano maschi. In generale però le ragazze surclassano di una spanna, come determinazione, senso di responsabilità, organizzazione e quindi profitto, i compagni maschi.
Come laureata in matematica (iscritta senza avere un vero e proprio fuoco sacro) posso confermanre il senso d’ansia e inadeguatezza di fronte ai problemi da risolvere. Niente a che fare con la sicumera di certi compagni!
Concludo con l’opinione di due mie ex studenti bravi cui ho sottoposto un estratto dal libro di Daheane leggermente più lungo di quello riportato qui:
Antonio (il migliore della sua classe, in matematica. L’ho conosciuto al liceo scientifico tre anni fa e ora è iscritto a matematica):
“Il mio personale parere è che non ci sia tanto una differenza biologica quanto effettivamente socio-culturale. Certo è anche possibile che l’intelligenza sie “suddivisa” diversamente a seconda del sesso di una persona (talvolta si confonde l’intelligenza con la predisposizione al calcolo o alla matematica). Però è certamente una questione interessante che merita di essere approfondita… magari anche utilizzando mezzi filosofici o scientifici piuttosto che quelli statistici!”
Alessia (conosciuta al Liceo Classico sei anni fa, brava in matematica ma non quanto altri compagni e compagne, sta diventando, con passione e soddisfazione, medico):
Inizio da una piccola esperienza personale:il primo anno dell’università ho dovuto sostenere l’esame di fisica 1 e 2… Nonostante quel libro si fosse consumato sotto le mie dita e avessi compilato quaderni interni di esercizi, l’ho superato solo dopo il terzo tentativo…e la cosa più curiosa è stata che dopo aver sfangato lo scritto con la minima sufficienza, ho chiuso con un brillante orale…
Tutto questo per dirle che, nella mia piccola esperienza, io avvertivo di avere proprio un gap mancante, di non avere uno schema mentale, una dote innata che mi permettesse di applicare tutte quelle formule che conoscevo a memoria... Secondo me si tratta di una predisposizione, di uno status menti che o ce l’hai o non ce l’hai…insomma non si può apprendere da nessun libro…
Tuttavia la realtà in continua trasformazione che sto vedendo negli atenei è che le donne stanno diventando le indiscusse protagoniste, anche nelle facoltà scientifiche un tempo predominio indiscusse del sesso forte… Le dico solo un dato che ho letto su una rivista scientifica: se il trend continuerà a essere questo, è previsto che nel 2021 le università di Medicina avranno solo future dottoresse da far laureare!!! Pazzesco non trova?!
E dopo tutte queste dilungazioni arrivo al brano: molto interessante. Che ci sia un imprinting familiare in negativo ne sono convinta, ma ciò non può essere a mio parere sufficiente a vanificare le passioni di tutte le ragazze che coltivano il sogno della Matematica… Le nuove generazioni (intendo quelle dopo di me) sono molto più sveglie e ben determinate e a volte affrontare questo sogno come una sfida contro la propria famiglia può essere uno stimolo da non sottovalutare…
Riguardo la base biologica invece non le nascondo che mi ha strappato un sorriso: tutti i più grandi geni della storia erano mancini e tutti i mancini che conosco hanno un estro artistico invidiabile… E visto che anche la Matematica è un arte converrà con me, povera destrimane, che qualcosa di fondato deve esserci…
[…] credo che il tratto finale dell’articolo sia la parte più stimolante: ci sarà forse una indiscussa base biologia ma è la passione, anche secondo me, a fare di un esperto di Matematica un genio….
@ Ellegio Ho insegnato per 10 anni in vari ordini di scuola. Solo tre volte al Liceo Scientifico. La quantità di argomenti da affrontare ha scoraggiato in me molte fantasie. Mi sono limitata a quelle fantasie che ritengo veramente irrinunciabili e produttive: un certo ribilanciamento delle energie a favore delle rappresentazioni grafiche, per esempio (troppa algebra e poco disegno non sono utili).
Una volta ho avuto una quarta che l’anno precedente non aveva fatto praticamente niente per irresponsabilità (e assenze) del supplente annuale che era capitato loro(confermato dai colleghi).
In questa classe ho affrontato il programma di terzo e una parte di quello di quarto.
Anni dopo ho chiesto loro come si erano poi trovati in quinto (non mi avevano fatto più avevre notizie e non mi sembrava, già di per sé, un bel segnale). Ebbene, uno di loro, poi iscrittosi a matematica, mi ha “” rimproverato”” di aver dedicato troppo tempo a coloro cui non fregava niente della matematica togliendo tempo prezioso che avrei potuto dedicare a esponenziali e logaritmi.
Annosa questione quella di “coloro cui non frega niente”: come distinguere i depressi dagli zuzzerelloni? Come decidere fin dove si deve lavorare per non perdere nessuno e quando si deve mollare? Io ci sto ragionando ancora…
Be’, come si fa a non essere d’accordo? 🙂
Alessandra, però non capisco questa dichiarazione di resa di fronte allo scientifico. A me, al contrario, sembra il luogo d’elezione per fare di tutto e ancora di più 😉
Ma infatti secondo me la chiave del discorso è COME insegnarla per renderla più fruibile a tutti, non adattare gli argomenti in programma in modo che tutti possano raggiungere buoni voti.
Da quello che ho visto quando i ragazzi vengono stimolati rispondono. Io dico anche spesso che ognuno deve trovare la sua strada, e il mio lavoro è di mostrare le strade possibili. Se qualcuno alza la mano e dice che non ha capito, cerco di cambiare approccio. Maschi e femmine, di qualunque età.
@ Barbara
@ Ellegio
La matematica è una faccenda terribilmente complessa (eppure fa della semplicità il suo faro)e insegnare matematica significa insegnare tante cose: linguaggi (ogni branca ha il suo dilaetto) – fatti di immagini, simboli e termini tecnici – concetti, procedure, scampoli di filosofia del pensiero, storia dell’evolulzione del pensiero, tecniche per risovere problemi pratici, tecniche per risolvere problemi astratti, giochi, racconti, ecc.
Ogni insegnante dà un taglio personale al proprio lavoro (alla faccia del detto odioso: “la matematica non è un’opinione!”) e non esiste un taglio giusto o un taglio sbagliato in assoluto (anche se, indubbiamente, se ci si concentra esclusivamente su alcuni degli aspetti succitati, trascurandone completamente altri, si toglie qualcosa agli studente. Nei Licei scientifici, per esempio, lo si deve fare per forza…).
Il mio taglio è abbastanza trasversale (quando insegno in licei non scientifici): tento di portare avanti in parallelo più cose possibili. Compatibilmente con la classe che ho davanti, con il programma e con il tempo a disposizione…
Bello che il mondo sia vario, no?
Però resta il fatto che al di là del giusto rilievo che va dato all’importanza culturale della matematica (e delle scienze in genere), alle chiavi di senso che vanno fornite etc etc, quello che a me piace trasmettere, anche alle femmine (soprattutto alle femmine, dato che qui mi pare stiamo parlando di ragazze dai 14 anni in su) è anche il gusto per gli aspetti più tecnici della matematica. Il gusto di un problema risolto, di un calcolo difficile quando ne vieni a capo…
Alessandra, sì, senza banalizzare. Se è vero che i maschi da noi vanno meglio perché la struttura delle prove di eccellenza in qualche modo li favorisce, perché la nostra cultura li indirizza da piccoli alla risoluzione dei problemi, mentre le femmine sono più abili nel calcolo e con il linguaggio, un approccio “narrativo” potrebbe coinvolgerle di più. Anche se non si può ridurre la storia a narrazione, ovviamente. Durante un corso di aggiornamento internazionale con insegnanti di altri paesi (in realtà, proprio di altri continenti) mi aveva colpito il ricorso alla narrazione (appunto) come proposta di metodologia didattica.
@Alessandra forse sarebbe bello aggiungere una nuova materia, storia delle scienze. I grossi progressi nella fisica, nella chimica e anche nella tecnologia sono ovviamente agganciati alle scoperte matematiche, anche ad altissimo livello. I russi per esempio arrivarono primi in quasi tutte le tappe della corsa allo spazio perchè avevano una grande squadra di matematici che risolse le equazioni del trasporto dei fluidi (nel caso specifico applicate al carburante dei razzi) molto prima degli americani. La chimica sembra così astrusa (e lo è) perchè nacque molto prima della comprensione della struttura atomica eccetera. Io queste cose in classe le dico eccome, e invito sempre i ragazzi ad approfondire se sono interessati. Io stessa non sono un’esperta e queste conoscenze me le sono trovata da me.
Allo stesso tempo però una delle grandi forze della scienza è proprio quella di poter utilizzare un risultato a prescindere da come è stato trovato, e il progresso sta proprio in questo: partire dallo status quo e andare avanti. Anche questo va insegnato…
@Barbara Ottimo l’esempio sulla storia della filosofia e certo non penso ai frammenti presenti (come contentino) a fine capitoli dei libri di testo: penso a qualcosa di più profondo e più utile. Con lo scopo di sostenere il SENSO delle cose e non certo fare nozionismo.
Penso al ruolo del nostro CORPO nella nascita dei numeri e alla storia dell’affermazione del sistema decimale posizionale e ai residui di questo percorso accidentato presenti ancora nelle lingue del mondo.
Penso alla storia dell’introduzione delle cifre arabe e degli algoritmi di calcolo. Penso all’invenzione del metodo risolutivo delle equazioni che utilizziamo oggi (i Greci utilizzavano un metodo geometrico di tentativi e errori molto più vicino alla mentalità dei ragazzi di oggi!). PEnso alla storia dell’introduzione dei simboli in luogo delle parole. Penso al travaglio che i matematici hanno vissuto prima di accettare di conferire status di veri numeri ai numeri negaticvi. Ecc (Il racconto di queste storie non darebbe anche un po’ di conforto ai poveri studenti messi così duramente alla prova da questa materia, che sembra così monolitica e minacciosa, sopratutto se presentata come un fatto ovvio e come un mostro nato così come lo vedono da chissà dove?)
@Ellegio Sostieni possa attrarre più le ragazze, un inquadramento storico, perché pensi alle statistica che ci raccontano i maschi più appassionati alle sfide e alle “cose tecniche” e le femmine più ai racconti?
Scusa, @ellegio, non capisco: perchè trattare l’inquadramento storico di un problema matematico coinvolgerebbe di più le ragazze?
Le indicazioni nazionali sono molto ambiziose (Al termine del percorso liceale lo studente dovrà padroneggiare i principali concetti e metodi di base della matematica, sia aventi valore intrinseco alla disciplina, sia connessi all’analisi di fenomeni del mondo reale, in particolare del mondo fisico. Egli dovrà saper connettere le varie teorie matematiche studiate con le problematiche storiche che le hanno originate e di approfondirne il significato.
Lo studente dovrà acquisire una consapevolezza critica dei rapporti tra lo sviluppo del pensiero matematico e il contesto storico, filosofico, scientifico e tecnologico., giusto per iniziare…) ma coma questo si traduce nella pratica didattica è un altro discorso. Io riconosco il valore dell’inquadramento storico di un argomento (e oltretutto nel contesto della scelta di pratiche didattiche volte a coinvolgere maggiormente le ragazze mi sembra che sia importante) ma resto sempre insoddisfatta da una trattazione superficiale e al limite del nozionistico. Meglio un solo frammento, ma con una modalità che metta in gioco un po’ tutti – anche maschi e femmine con le loro differenze (ma qui forse si va OT).
@Alessandra non lo so. A parte il fatto che qualche elemento di storia della matematica è in programma, per gli argomenti che si prestano meglio (molti libri di testo hanno a fine capitolo una pagina o due in cui spiegano la storia di quell’argomento, già dalle scuole medie), io penso sempre all’esempio della filosofia. A scuola noi studiamo di fatto storia della filosofia, e ci sembra anche di studiare contemporaneamente filosofia. Poi ho assistito a una lezione di filosofia in una scuola superiore negli USA e mi sono venuti i brividi.
Purtroppo studiare la storia delle varie discipline rischia sempre di darci delle basi solidissime sui tempi più antichi e tagliare su quelli più moderni, che spesso sono i più avanzati e magari anche i più importanti…
@Barbara Sono d’accordo con quanto dici riguardo al valore formativo della matematica. Mi sono spiegata male: col dire fare Storia della Matematica non intendevo fare fuffa (a Roma si dice così per “aria fritta” o simili), ma fare le cose che dici tu, ma non svincolate dal contesto storico-filosofico in cui sono nate; anzi.
Gli studiosi in didattica, da anni, indicano di fare così in tutti gli ordini di scuola. In realtà poi al Liceo Scientifico non c’è veramente tempo, in altri ordini di scuola gli studenti hanno troppe poche basi culturali e strumenti troppo deboli per poterlo fare. Al Liceo Classico credo ci starebbe al bacio!
Il problema, al solito, è la formazione degli insegnanti, perché non è appannaggio di tutti (a meno di non tornare al rischio FUFFA) conoscere la disciplina e anche le sue intersezioni con la storia e la filosofia (e magari no solo), appunto.
Io stessa, che pure mi ci appassiono abbastanza, ho vari buchi.
@Alessandra non sono molto d’accordo sulla questione del liceo classico: la matematica secondo me è altamente formativa, nel senso che stimola e sviluppa competenze e capacità generali oltre che specifiche. Un ragionamento rigoroso, che utilizza solo alcune premesse (i principi matematici, o i dati di un problema già alle elementari) per trarre delle conclusioni, il costruirsi un metodo generale o uno strumento specifico per giungere a un risultato, arrivare a un risultato specifico imponendo delle condizioni particolari da una formula generale secondo me (e anche secondo il ministero dell’istruzione, fortunatamente) sono elementi necessari nello sviluppo intellettivo e cognitivo di una persona. Un bravo insegnante di matematica al liceo classico punta più su questi aspetti che sulla difficoltà e specificità di calcolo che si raggiunge per esempio allo scientifico, ma li dà. Non a caso gli argomenti in programma nei due licei sono quasi uguali (come i libri di testo), la differenza è in come li si fa, dove ci si concentra. E non a caso studenti che hanno fatto un buon corso di matematica al classico non sono affatto indietro rispetto a quelli che provengono dallo scientifico in facoltà come fisica o matematica.
Ovviamente tutto dipende poi da come lo fai, il corso, da quanto è bravo l’insegnante e da quanto la classe è disposta a seguirlo.
@Barbara, in merito all’essere portati o meno per la matematica, Dehaene propone il fatto che il “senso del numero” sia il punto di partenza per l’innesco di una spirale in positivo o in negativo: se questa facoltà, molto precoce (rilevabile già in neonati, addirittura! Ma, come tante altre cose, che dipende molto dell’ambiente in cui cresce il bambino) è ben formata, il bambino si accosterà all’aritmetica (la porta d’accesso alla matematica) benevolmente, riportando i primi successi e ricevendo una spinta positiva a “giocare con la matematica”, se il senso del numero non è ben formato (caso estremo – gli unici che veramente possiamo definire “negati” – i discalculici che hanno lesioni, o difetti di sviluppo, all’area del cervello deposta al senso del numero suddetto) la spirale che s’innesca, ovviamente, sarà di tipo negativo.
Sto mantenendo la “variabile maesrta” fuori dal gioco: tutto, o quasi, può venir ribaltato da una pessima maestra o da un’ottima maestra!
NEll’articolo del mese scorso mi sono soffermata parecchio poi sull’importanza dei PERCHE’, nell’insegnamento della matematica.
@Ellegio Sono d’accordissimo che l’approccio migliore alla matematica sia dato dal gioco!
@Deborah che occasione mancata che al Liceo Classico non s’insegni storia della matematica (ovviamente a misura di liceale)! Si disinnescherebbero tutte le pretese di non congruità con l’indirizzo di studi e, a un tempo, forse si riconquisterebbero tanti che s’iscrivono al Liceo Classico “perché così faccio meno matematica”!
#licei monogenere-o-misti non ho, sinceramente, un’opinione!
@Barbara Hai toccato il tasto giusto. Io trovavo la materia , come dire, insensata. Facevo tanta fatica a studiarla, non mi piacevano proprio tutti quei giochini coi numeri, non capivo a che servissero. Scevri di poesia, di bellezza, così mi sembravano. D’altra parte, mica avevo scelto il liceo classico a caso… Poi, qualche temo fa, su rai ed. hanno dedicato tutto un programma sul teorema di poincarè e allora mi è sembrato che , finalmente, tutte quelle teorie, tutti quei numeri, avessero un fine ultimo. Addirittura quasi metafisico, filosofico. E’ davvero un peccato che, neppure al liceo, si mostri questo risvolto della matematica.