Dopo l’interessante confronto avuto sulle scuole superiori con la prof. Alessandra, suggestionata anche dal tema del mese, mi sono azzardata a chiedere ad Alessandra se secondo lei c’era un rapporto tra scarsa autostima fatta crescere nelle figlie femmine rispetto alla matematica e i loro risultati a scuola.
Ecco, allora, le sue considerazioni.
“[…] I matematici di alto livello costituiscono un mondo quasi esclusivamente maschile.
Negli Stati Uniti, Camilla Benbow e colleghi hanno sottoposto studenti di dodici anni a un test: il SAT-M (Scholastic Aptitude Test), la cui media si aggira normalmente sui cinquecento punti.
Per ogni ragazza che supera questo punteggio a dodici anni, ci sono due maschi che fanno lo stesso. Questo rapporto si trasforma in quattro a una quando il traguardo diventa seicento punti e in tredici a una oltre i settecento punti. […]Soltanto le élite matematiche sono quasi del tutto composte da uomini; sulla totalità della popolazione la supremazia dei maschi è meno forte. [Al di sotto dei 500 punti] un terzo dei ragazzi scende al di sotto della media delle ragazze o viceversa un terzo delle donne supera la media dei ragazzi.
Il vantaggio dei maschi dipende anche dal contenuto delle prove. Gli uomini sono decisamente in testa nella risoluzione di problemi matematici; ma sono le donne a essere in prima fila, anche se per un piccolo scarto, nel calcolo mentale.
Infine, mentre fin dall’inizio delle elementari emerge un distacco tra bambini e bambine, non si rileva alcun vantaggio sistematico prima della scolarizzazione. Le capacità aritmetiche precoci nei piccolissimi, in particolare, non sono affatto appannaggio del genere maschile.”
Da “Stanislas Dehaene, Il pallino della Matematica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010, pagg 168 – 173 (paragrafo: Il talento matematico è un dono biologico?) [titolo originale: La bosse des maths, Paris: Odile Jacob, 1997]”
E in queste prime righe c’è già quasi tutto quello che c’interessa: nell’ambito dell’eccellenza i maschi surclassano le femmine. Restando in una fascia di competenze e conoscenze medie le proporzioni si ribaltano, anche se in maniera meno clamorosa.
Dice in proposito Androulla Vassiliou, Commissario europeo per l’istruzione:
“La correlazione tra genere e risultato educativo è mutata notevolmente nell’ultimo cinquantennio e ora le differenze acquistano forme più complesse. Il personale scolastico è costituito principalmente da donne, ma i sistemi educativi sono gestiti da uomini. La maggioranza dei laureati sono donne, mentre il fenomeno della dispersione scolastica interessa per lo più i ragazzi”
E, tornando a Dehaene:
“Non vi è alcun dubbio che parecchi fattori di ordine psicologico o sociologico siano nettamente svantaggiosi per le donne. Le inchieste mostrano che in media le donne sono più ansiose degli uomini nei corsi di matematica e che hanno meno fiducia nelle loro capacità; che la matematica sembra loro una disciplina tipicamente maschile, di scarsa utilità per la loro futura carriera professionale e che, infine, i loro genitori, e sopratutto i padri, condividono tale opinione. Questi stereotipi costituiscono ciò che gli psicologi chiamano una profezia che si autoavvera. Lo scarso entusiasmo delle ragazze in matematica e la convinzione che in quel campo non potranno mai brillare contribuiscono a renderle meno interessate ai corsi e quindi meno competenti in materia.
Sono convinto che i pregiudizi che circondano nelle nostre società la matematica siano in gran parte responsabili del solco che separa le prestazioni matematiche delle donne da quelle degli uomini […] un solco che potrebbe essere almeno in parte ridotto modificando l’atteggiamento politico e sociale verso la matematica.
E’ significativo che in Cina, per esempio, le adolescenti più dotate ottengano risultati amtematici superiori non solo a quelli delle coetanee USA, ma anche agli adolescenti americani più dotati, mostrando così che la differenza tra uomini e donne è debole di fronte all’impatto di strategie educative.
Una metanalisi recente, riportata in decine di articoli, suggerisce che negli Stati Uniti, negli ultimi trent’anni, lo scarto medio tra uomini e donne si sarebbe ridotto della metà. Un’evoluzione che potrebbe riflettere il miglioramento della situazione della donna durante lo stesso periodo.”
Dicevamo che la differenza di genere risulta sorprendentemente marcata solo nei “piani alti”; per i livelli di eccellenza; per coloro che della matematica faranno poi una professione. La mia esperienza mi racconta che anche in quei piani ci sono fattori legati al sociale e allo psicologico che influiscono enormemente le donne.
Conosco almeno due ricercatrici, una in fisica e l’altra in matematica, che hanno abbandonato il loro lavoro sopratutto in quanto donne, e non per le loro capacità. So che leggeranno quest’articolo e le invito caldamente a raccontare la loro esperienza personale.
Molto interessante quel che dice in proposito Sheryl Sanberg in questa conferenza TED (sottotitolata in italiano)
Ma ciò premesso Dehaene ci dice quel che sa su
“un gruppo di indici convergenti [che] sottolinea il contributo di variabili biologiche a vantaggio dei maschi in matematica.
In una popolazione di bambini superdotati in matematica, troviamo tredici volte più maschi che femmine, ma anche due volte più mancini che destrimani, quattro volte più miopi e due volte più allergici che nella popolazione normale. Più del 50% dei matematici in erba è mancino, o ambidestro, oppure proveniente usa la destra anche se viene da una famiglia che comprende dei mancini.Infine il 60% è primogenito.
Il ritratto dello scienziato mancino, occhialuto e malaticcio non è poi soltanto un parto della fantasia!
[…] Ancora non disponiamo di una spiegazione convincente di questi misteriosi legami tra sesso, cromosoma X, mancinismo, allergie, ordine di nascita e matematica. Tutt’al più possiamo provare a tratteggiare un quadro impressionista di qualche catena causale possibile. Secondo il neuropsicologo Norman Geshwind e i suoi colleghi, l’esposizione a un tasso elevato di testosterone durante la gestazione avrebbe effetti tanto sul sistema immunitario quanto sulla diversificaizone dei due emisferi cerebrali: il testosterone rallenterebbe lo sviluppo dell’emisfero sinistro [quello che controlla, dal punto di vista motorio, la parte destra del corpo e che è prevalentemente deputato al linguaggio].
Si può allora immaginare che aumentino le possibilità di diventare mancino e che cresca ugualmente la capacità di rappresentazione nello spazio: una funzione meglio governata nell’emisfero destro. Questo senso raffinato dello spazio, infine, [è ampiamente provato che] faciliterebbe la manipolazione dei concetti matematici. Poiché il testosterone è un ormone maschile, non è impensabile che questa ricaduta di effetti abbia maggior impatto sugli uomini che sulle donne. […]
Inoltre, i comportamenti spaziali di ratti femmine, dopo un trattamento ormonale, superano quelli di femmine normali e si pongono allo stesso livello di quelli dei maschi normali; si ricordi infine che la concentrazione di ormoni sessuali è più elevata al momento della prima gravidanza (non dimentichiamo che la maggior parte dei superdotati in matematica sono primogeniti).
Modellato in questo bagno variabile di ormoni sessuali, è ragionevole pensare che il cervello maschile sia orgniazzato in maniera differente da quello femminile.
Con tutta probabilità i circuiti neurali variano sottilmente in funzione del genere […] in un modo che noi ignoriamo quasi del tutto na che spiegherebbe il leggero vantaggio dei maschi nel grande spazio matematico.
Il paragrafo successivo s’intitola: “Quando la passione genera il talento” e mostra come siano più l’abnegazione (quantità di tempo dedicato, intensità dell’investimento emotivo, costanza) per la materia, data dalla passione, a portare a risultati straordinari piuttosto che questioni biologiche.
“più che un dono innato, il talento per il calcolo pare, dunque, il frutto di un addestramento precoce, qualche volta accompagnato da una capacità eccezionale o persino morbosa a concentrarsi sul campo ristretto dei numeri.
Le nostre conclusioni coincidono con l’introspezione di due grandi geni dei secoli passati: Tomas Edison per il quale “il genio consiste dell’un per cento di ispirazione e del novantanove per cento di traspirazione” e il naturalista Buffon che confessa (con falsa modestia?) che: “il genio è soltanto una grande attitudine alla pazienza”.
Silvietta mi chiede conto della mia esperienza come insegnante e quindi la fornisco, ma non so se è così significativa. Nei Licei Scientifici effettivamente i pochi studenti “genietti” in matematica che ho incontrato erano maschi. In generale però le ragazze surclassano di una spanna, come determinazione, senso di responsabilità, organizzazione e quindi profitto, i compagni maschi.
Come laureata in matematica (iscritta senza avere un vero e proprio fuoco sacro) posso confermanre il senso d’ansia e inadeguatezza di fronte ai problemi da risolvere. Niente a che fare con la sicumera di certi compagni!
Concludo con l’opinione di due mie ex studenti bravi cui ho sottoposto un estratto dal libro di Daheane leggermente più lungo di quello riportato qui:
Antonio (il migliore della sua classe, in matematica. L’ho conosciuto al liceo scientifico tre anni fa e ora è iscritto a matematica):
“Il mio personale parere è che non ci sia tanto una differenza biologica quanto effettivamente socio-culturale. Certo è anche possibile che l’intelligenza sie “suddivisa” diversamente a seconda del sesso di una persona (talvolta si confonde l’intelligenza con la predisposizione al calcolo o alla matematica). Però è certamente una questione interessante che merita di essere approfondita… magari anche utilizzando mezzi filosofici o scientifici piuttosto che quelli statistici!”
Alessia (conosciuta al Liceo Classico sei anni fa, brava in matematica ma non quanto altri compagni e compagne, sta diventando, con passione e soddisfazione, medico):
Inizio da una piccola esperienza personale:il primo anno dell’università ho dovuto sostenere l’esame di fisica 1 e 2… Nonostante quel libro si fosse consumato sotto le mie dita e avessi compilato quaderni interni di esercizi, l’ho superato solo dopo il terzo tentativo…e la cosa più curiosa è stata che dopo aver sfangato lo scritto con la minima sufficienza, ho chiuso con un brillante orale…
Tutto questo per dirle che, nella mia piccola esperienza, io avvertivo di avere proprio un gap mancante, di non avere uno schema mentale, una dote innata che mi permettesse di applicare tutte quelle formule che conoscevo a memoria... Secondo me si tratta di una predisposizione, di uno status menti che o ce l’hai o non ce l’hai…insomma non si può apprendere da nessun libro…
Tuttavia la realtà in continua trasformazione che sto vedendo negli atenei è che le donne stanno diventando le indiscusse protagoniste, anche nelle facoltà scientifiche un tempo predominio indiscusse del sesso forte… Le dico solo un dato che ho letto su una rivista scientifica: se il trend continuerà a essere questo, è previsto che nel 2021 le università di Medicina avranno solo future dottoresse da far laureare!!! Pazzesco non trova?!
E dopo tutte queste dilungazioni arrivo al brano: molto interessante. Che ci sia un imprinting familiare in negativo ne sono convinta, ma ciò non può essere a mio parere sufficiente a vanificare le passioni di tutte le ragazze che coltivano il sogno della Matematica… Le nuove generazioni (intendo quelle dopo di me) sono molto più sveglie e ben determinate e a volte affrontare questo sogno come una sfida contro la propria famiglia può essere uno stimolo da non sottovalutare…
Riguardo la base biologica invece non le nascondo che mi ha strappato un sorriso: tutti i più grandi geni della storia erano mancini e tutti i mancini che conosco hanno un estro artistico invidiabile… E visto che anche la Matematica è un arte converrà con me, povera destrimane, che qualcosa di fondato deve esserci…
[…] credo che il tratto finale dell’articolo sia la parte più stimolante: ci sarà forse una indiscussa base biologia ma è la passione, anche secondo me, a fare di un esperto di Matematica un genio….
[allievi che risolvono teoremi di geometria irrisolti da secoli a volte proprio perché non hanno le basi? Chi?]
Rispetto alla domanda se la matematica è una forma mentis per cui l’intuizione non imbrigliata dalla disciplina riesce meglio oppure è uno studio in cui invece la disciplina, l’autocontrollo, l’applicazione sono più importanti, credo che siano importanti entrambi gli aspetti. L’eccellenza richiede duro lavoro e anche molta creatività, uno senza l’altra non è sufficiente. Ma nel contesto scolastico non credo che l’obiettivo sia il raggiungimento di livelli eccellenti, io punterei piuttosto a non lasciare indietro nessuno. Valorizzare i talenti, imparare dal lavoro di squadra, proporre strategie alternative, giocare. Per andare bene in matematica serve giocare tantissimo, e quello si impara da piccoli.
@straba @supermambanana ecco io protendo per la seconda linea di pensiero, stavo per rispondere a straba quando ho letto che c’è gente ben più preparata di me che giunge a questa conclusione 🙂
@Close, chiedi quando viene misurata l’eccellenza. Dipende. Tanti ragazzi già alla fine delle medie sono convinti di non capire un tubo di matematica, mentre io ripeto loro sempre che è vero che esiste gente assolutamente negata, ma è veramente poca. Il programma delle medie è sicuramente alla portata di tutti, anche perchè dove non si eccelle nell’intuizione si può ancora sopperire con l’applicazione. E’ più in là, come dicevo, quando i problemi si differenziano in tipologia (meccanica, deduttiva, induttiva, di calcolo, creativa – mai visto quei problemi di geometria in cui devi costruire tu una figura in più? ecco.) che si vede chi riesce a gestire le varie cose magari contemporaneamente. Ricordo mio cugino raccontare di un suo compagno, in quinto scientifico 35 anni fa, usare un teorema per risolvere un problema. La classe era basita, l’avevano studiato il teorema, ma pensavano che fosse un ente astratto da imparare a memoria e mai sarebbe venuto loro in mente di usarlo semplicemente enunciandolo (ndr il tipo in questione ha sposato un’altra mia cugina e ora insegna fisica teorica all’Università, tanto per dire). Che poi dire che un bambino di quinta elementare è un genietto matematico perchè fa le moltiplicazioni a 72 cifre con la virgola… oddio ci vuole un certo coraggio. Quello è calcolo, non matematica. La matematica vera si assaggia alle medie, se fatte bene.
Oggi ho dato una mano al figlio di un’amica, primo scientifico, prodotti notevoli. Gli ho chiesto, prima di cominciare, cosa sia un prodotto notevole e perchè si studia. Non lo sa, e non è l’unico. Non so se siano i prof che non lo spiegano o gli alunni che non ascoltano, ma secondo me si dà troppo poco peso al PERCHE’ si studino certe cose. Quando gli ho detto che senza prodotti notevoli si vive benissimo, ma che saperli ti semplifica la vita, facendo degli esempi, si è ammutolito. Come, una prof che ammette che non sapere una cosa non è la fine del mondo???? La matematica va un pò spogliata di questa sua aura di impenetrabilità se vogliamo dare ai giovani la possibilità di scoprirsi portati o meno. Pretendere che sappiano le formule a memoria
è inutile e spesso anche controproducente, se non affianchiamo il ruolo di crescita formativa e di senso critico che le è naturale.
straba, il tuo commento sulla presunta o vera mal predisposizione ad affrontare “la vita vera” e’ esattamente uno dei parametri che considerano negli studi 😀 e anche qui ci sono due correnti di pensiero, una che dice come dici tu (ma poi le statistiche a posteriori non sembrano confermare che si venga fuori disadattati da queste scuole, anche andando all’universita’) altri dicono che PROPRIO PERCHE’ non sono come la vita vera, e cioe’ ambienti in cui le donne sono zittite o non considerate o pagate meno etc etc, la scuola ti fornisce un modello cui aspirare, e per questo le donne che ne escono sono + forti. Il dibattito e’ antico e molto vivo, come dicevo, e non si risolve in un commento sotto un post immagino. Aggiungo anche che in un contesto dove questa e’ la realta’ di massima (se guardo le scuole superiori della mia zona per esempio, sono tutte mono-sesso, se voglio mandare i boys in una mista dovrei fare km) diciamo che la ghettizzazione non si sente affatto, anzi magari il contrario. In pratica comunque in UK gli anni che fanno in mono-sesso sono soltanto 4, i primi 4 della superiore (qui non ci sono le medie) poi si ricongiungono negli ultimi 2 anni per chi vuole continuare dopo la prima “licenza” per ottenere il titolo che serve ad accedere all’universita’.
Quanti bei commenti!!! Vorrei aggiungere il mio sull’insegnamento. Premetto che vivo in una famiglia di insegnanti da generazioni (mia madre e mia sorella le ultime). Mia madre è stata anche la mia insegnante elementare e mai ho notato da parte sua pregiudizi di genere (non perchè sia mia madre ma era un’ottima insegnante). Forse per le donne insegnanti è più facile non avere pregiudizi che per i maschi. Ad ogni modo, come ho già avuto occasione di dire, al liceo ero in una classe eccellente, piena di menti brillanti (tutte a modo loro) e con degli insegnanti – maschi e femmine – eccezionali. Io non penso di aver mai subito pregiudizi di genere e per quanto ricordi nemmeno i miei compagni. Se ingiustizie scolastiche c’erano, erano di altro genere. Volevo però citare un aneddoto a proposito della creatività matematica. Come ho già detto eravamo in tre quelli particolarmente dotati in matematica, due ragazze e un ragazzo. L’ultimo anno la nostra insegnante ci martellava di problemi anche piuttosto difficili per prepararci all’esame di maturità. Una volta propose un problema di geometria che ricordo vagamente riguardasse un cechio. Solo io e il mio compagno siamo riusciti a risolverlo ma in un modo completamente diverso: lui ha usato la trigonometria, io ho messo la figura in un piano cartesiano. La soluzione era comunque giusta. Con anni di ripetizioni di matematica alle spalle, posso dire molto tranquillamente che certe intuizioni o le hai o non le hai. Puoi imparare meccanicamente a risolvere equazioni ma un problema lo devi intuire. Ognuno di noi ha i suoi limiti e i suoi talenti. Quello che però ho osservato è che forse le donne si arrendono prima ai loro limiti, ma non saprei dire se è una questione culturale.
Un’ultima considerazione sulle scuole per soli maschi/femmine. Io mio figlio non ce lo manderei mai, e mi sanno sempre di ghetti. OK, forse le donne sono avvantaggiate dall’avere modelli di successo femminili, ma fuori? La realtà è che non imparano, secondo me, a confrontarsi con qualcosa di “diverso” e soprattutto a tirare fuori le unghie per ottenere qualcosa che gli è dovuto. Non si arrabbieranno mai perchè il compagno maschio ha ottenuto più di lei senza meritarlo e non sarà pronta ad affrontare lo stesso problema una volta “fuori” dove, lo sappiamo bene, i pregiudizi sono duri a morire. Io francamente preferisco che mio figlio, maschio, si confronti con femmine che possono essere più brave di lui e impari ad accettare il talento come una questione individuale che prescinde dal sesso e questo, a mio avviso, è un percorso che deve iniziare presto.
@ Barbara
Secondo me il fatto che il professore fosse maschio amplificava un comportamento che in realtà è ben radicato nella nostra società ed emerge in forme diverse e più o meno forti. In sintesi una ragazza che trasgredisce (dice parolacce, beve, fuma ecc.) è sempre più fastidiosa di un ragazzo, e cose così.
Quello che scrivi sulla matematica è affascinante, mi piacerebbe averti come prof 🙂 Non so, la mia prof. di matematica delle medie mi voleva bene ma diceva che non mi facevo grossi problemi se 2+2 faceva 4 o 5, quindi io non faccio testo riguardo al talento matematico 😉
Però mi permetto una riflessione grezza e forse tirata per i capelli. Quando viene misurata l’eccellenza in matematica? Alle elementari? Alle medie? Alle superiori? All’Università? Perché se per arrivare all’eccellenza si tratta di applicare il principio di non limitarti a “fare quello che ti hanno detto”, a mio avviso anche l’educazione di genere potrebbe avere il suo peso.
esiste molta ricerca su “gender and education”, soprattutto in paesi di cultura inglese (UK, US, Canada, Australia etc) dove la tradizione di scuole a sesso unico (al superiore soltanto) e’ ancora presente e viva, ormai non piu’ per motivi puritani vittoriani, ma proprio per l’ipotesi che sia i ragazzi sia le ragazze riescano meglio in queste scuole. Per esempio, ricerca recente suggerisce che le ragazze che frequentano scuole femminili sono piu’ inclini a scegliere le materie che di solito sono dominate da uomini, matematica e affini appunto. Il dibattito su se siano effettivamente meglio e’ ancora molto acceso, anche perche’ sulla carta le scuole a sesso unico (sia maschili che femminili) sono sempre quelle “migliori”. La cosa diventa poi estremizzata in US, dove ci sono anche universita’ femminili, e in effetti se si leggono dei testi sul femminismo l’argomento che colpisce e’ che queste universita’, proprio per aver creato un ambiente in cui le ragazze sono circondate da “role models” femminili in tutte le materie, hanno in effetti contribuito a metter su la generazione di donne di successo che, sarebbe stupido negare, sono ben piu’ numerose oltreoceano che da noi. Voglio dire, tutta questa questione e’ estremamente attuale e importante secondo me, e nasconderla sotto il tappeto come spesso vien fatto non aiuta a sviscerarne le caratteristiche e le potenzialita’
@Close ti rispondo un pò di fretta e spero di spiegarmi bene. Premetto anche che non sono un’esperta di educazione nè di diattica giovanile, quindi parlo in base a ciò che ho vissuto in prima persona e a ciò che ho visto dalla cattedra. Prima però un commento a quello che hai detto del tuo prof di latino: secondo te è un caso che fosse maschio lui? Le prof donne secondo te hanno lo stesso comportamento?
Poi, si, ho detto anch’io che la crescita intellettuale avviene a salti. I concetti matematici che si studiano crescono in complessità e richiedono lo sviluppo di nuove connessioni mentali, punti di vista, metodi di risoluzione, atteggiamenti etc. E’ anche per questo che lo studio della matematica è profondamente formativo, oltre che insegnare a far di conto. Qualche volta nei ragazzi vedi la lucina dietro l’occhio che si accende, o senti proprio il click nella loro testa quando si rendono conto che quel nuovo problema o argomento devono guardarlo con un punto di vista nuovo, tutto quello che hanno intellettivamente usato finora non serve o non basta. Puoi quasi sentire due neuroni collegarsi, e hanno fatto un salto. Tralasciando il fatto che tutto ciò è stupendo per l’insegnante, e che il lavoro dell’insegnante è quello di avvicinarli quei due neuroni, spiegando il problema da più punti di vista possibili, alla fine di un corso di matematica il/la ragazzo/a è cresciuto perchè ha la capacità di affrontare tanti tipi di problemi diversi (il classico problem solving: è una capacità a prescindere dal tipo di problem), conosce tecniche deduttive e induttive, sa riconoscere i dati e gli assunti di un problema e sa come muoversi per risolverlo.
Detto ciò, vengo alla tua domanda: la matematica, da un certo punto in poi (prime dimostrazioni di geometria, per esempio) diventa profondamente creativa, e la soluzione dei problemi non è più lineare e meccanica. Quindi uno studente abituato a eccellere per applicazione rischia di crollare, che secondo me è quello che succede a molte ragazze: sono brave bambine, si comportano bene, studiano sempre, fanno tutti i compiti e viaggiano costantemente su voti soddisfacenti. Poi nella seconda parte delle scuole superiori o all’Università entra prepotentemente questa fase creativa e non lineare e loro magari non crollano, ma vengono superate da chi “si è fatto da sè” trovando magari quei collegamenti mentali da solo e in libertà. Spero di essermi spiegata, vado di corsa, scusate
@ Barbara
a me sembra che il salto che descrivi sia generale, ma parlo per ricordi di allieva e di una maturità maschile/femminile che va a balzi in generale e si riflette nel metodo di studio.
Ripensavo all’aneddoto raccontato da La Staccata e mi è tornata in mente una forte asimmetria di comportamento che aveva ad esempio il mio prof. di latino verso ragazze e ragazzi: lui premiava le ragazze tranquille e studiose, col voto e i ragazzi immaturi e sfacciati, ridendo insieme a loro; era punitivo invece verso i ragazzi tranquilli e studiosi, che umiliava, e le ragazze immature e sfacciate, a cui regalava quintalate di 2 e 3 e cercava di far uscire dalla scuola.
Ovviamente è una singola persona e non fa testo, ma riscontro una certa affinità con un modello educativo generalizzato (cioè quando un maschio manca di rispetto all’autorità, il rimprovero è più blando rispetto a quando lo fa una donna, passando il messaggio che il maschio sta misurando la sua propria autorevolezza e la capacità di fare il capo, per la femmina è invece insubordinazione e basta) e mi chiedo se nello studio della matematica non entri anche questo, vale a dire:
chiedo ai matematici, la matematica è una forma mentis per cui l’intuizione non imbrigliata dalla disciplina riesce meglio ? Penso agli allievi che risolvono teoremi di geometria irrisolti da secoli a volte proprio perché non hanno le basi. Oppure è uno studio in cui invece la disciplina, l’autocontrollo, l’applicazione sono più importanti?
Cioè la mia domanda riguarda la possibilità che uno stile educativo più libero o più opprimente abbia poi anche un esito sull’essere più o meno brillanti in matematica. Parlo dei grandi numeri ovviamente.
@Alessandra si, io sono convinta che ci siano tecniche di insegnamento più adatte ai maschi e altre più adatte alle femmine. Anche se la storia che i cervelli maschili e femminili sono diversi a me ancora non ha convinto pienamente, penso che maschi e femmine abbiano almeno tempi di maturazione intellettuale diversi, in più fasi della crescita. Questo secondo me ha degli effetti che possono essere frustranti nei maschi prima, quando le femmine sono già più mature, e tarpante nelle femmine dopo, quando pensano di essere “arrivate” e invece le cose si fanno più facili solo perchè la componente più lenta della classe deve raggiungere gli obiettivi di programma. Le età a cui sto pensando sono terza-quarta elementare e quarto-quinto anno delle superiori. Alle medie, da quanto ho potuto vedere coi miei occhi, le femmine fanno un grosso salto fra la fine della seconda e l’inizio della terza, mentre la maggior parte dei maschi lo fa qualche mese dopo, ma è un divario minore che si risolve in un tempo più breve. Parlo esclusivamente di matematica e di quella piccola parte di fisica che si fa alle medie, comunque, le altre materie non so.
Scusate i refusi… Vado a nanna, va!
Quanti commenti interessanti!
Mi chiedo se qualcuna di voi abbia avuto modo e tempo di vedere la conferenza di Sheryl Sanberg segnalata nell’articolo, e cosa ne pensa( ho il forte dubbio di averla vista una prima ovlta proprio qui su genitoricrescono, però ci stava proprio a cecio in questo tema!)
Scusate se resti sul mio e rispondo solo a Serena che dice:
“Un’altra considerazione che voglio fare è che un discorso serio sulle differenze biologiche – ammesso che esistano sul serio e ammesso che giochino un ruolo importante – dovrebbe stimolare un discorso sui metodi di insegnamento utilizzati in basi ai metodi di apprendimento preferiti dagli studenti […] e quindi che alla fine l’utilizzo di tecniche di insegnamento miste sarebbe una mossa vincente per tirare fuori il meglio da tutti gli studenti, femmine e maschi, capre o simil genietti, e via dicendo”
Non capisco molto bene cosa intendi con “tecniche d’insegnamento miste”, ma leggendoti mi è tornato alla mente un dubbio che va e viene: pur essendo la maggioranza degli insegnanti donne, i metodi d’insegnamento che utilizzano di che genere sono? o meglio, hanno una connotazione di genere? I ricercatori in didattica (i NOMI) sono quasi tutti uomini… Esisterà un metodo d’insegnamento più adatto alle ragazze e un metodo d’insegnamento più adatto ai ragazzi?
A parziale integrazione a ciò che scrive Morgaine, riporto la mia esperienza di quasi un anno di dottorato in astrofisica negli USA, in un grande e ricco laboratorio che fa ricerca praticamente in tutto in una realtà allucinante (Los Alamos, New Mexico) pre-11 settembre con enormi programmi per studenti, sia di dottorato che undergraduate (studenti universitari, che lì finiscono a circa 21 anni) che di high school (under 18). Il mio capo preferiva studentesse a studenti, diceva che la scienza ha bisogno di più donne. Se doveva scegliere, il maschio vinceva sulla femmina solo se appartenente a qualche minoranza (tra l’altro, questa era una politica esplicita di tutto il laboratorio: per scartare un appartenente a una minoranza c’era bisogno di documentazione dettagliata) o paese scientificamente “indietro” (sudamericani, soprattutto). Insomma si costruiva. La mia sensazione fu che almeno sotto l’età del metter su famiglia maschi e femmine fossero trattati esattamente alla pari, e le femmine venivano più apertamente incoraggiate a seguire la carriera scientifica puntando sulla responsabilità individuale di colmare un gap, cosa molto americana. Va anche detto che i diritti lavorativi dei genitori in quello stato sono praticamente nulli sia per le madri che per i padri, quindi assumere una donna non è svantaggioso da questo punto di vista, vecchia scusa di casa nostra. Le donne vengono, o meglio venivano, parliamo di 10 anni fa, trattate come una vera e propria minoranza, anzi la maggior minoranza (più numerose e meno rappresentate) dell’ambiente. Il che può far rabbrividire, ma almeno se ne prendeva atto e si agiva di conseguenza.
Ma anche il mercato e la politica del lavoro negli USA sono profondamente diversi dai nostri, quindi non so se un vero confronto possa avere senso. L’anno scorso da disoccupata ho mandato il mio CV alla più grossa ditta privata italiana che si occupa di spazio, mi hanno risposto che sono sovraqualificata. Ecco, almeno questo negli USA non succederebbe.
Non so se possa servire, ma ho notato delle coincidenze con l’interessante articolo in questione. Mia figlia,7 anni, primogenita, è mancina, ha una grande passione per le arti figurative e le espressioni artistiche in generale e per i …numeri. Sono materie in cui si sente anche molto a suo agio. Ora è piccola, naturalmente, poi si vedrà. Diciamo che, se ciò che è scritto è vero, se avessi partorito un maschio, a quest’ora sarei la mamma di un genio 😉
Non per spammare, ma ho dimenticato di citare una conversazione avuta, quando ero dottoranda, con due dottorande giapponesi in visita da noi: dicevano che in Giappone, se sei dottoranda, e ottieni un buon risultato, questo viene giudicato dal capo come ‘fortuna’.
Se sei dottorando, quindi maschio, lo stesso buon risultato é trattato come ‘bravura’.
Anche il mio supervisor (franco-tedesco) sosteneva che gli uomini sono scienziati piú validi, e credo prendesse dottorande per decorazione, piú che altro.
Anvedi che martellamento in controcorrente che le ragazze ricevono, perfino in questi ambienti cosí ‘illuminati’.
La discussione su cuochi e sarti e piú in generale, che l’eccellenza e la professionalitá vedono gli uomini protagonisti, mentre il quotidiano negli stessi ambiti vede le donne in maggioranza, mi ha fatto venire in mente diversi punti:
-1. che sia il testosterone che rende gli uomini piú combattivi e carrieristi?
-2. che sia il carico familiare a tarpare le ali alle donne? proprio questa settimana al telegiornale svedese raccontavano di come, tra gli accademici, le differenze di stipendio tra uomini e donne a paritá di mansione arrivano al 40%, mica niente, e siamo in Svezia. Questa differenza comincia dopo l’arrivo dei bambini ed é dovuta al maggior congedo e al maggior part-time preso dalle donne.
-3. avete mai fatto caso ai cartoni animati e ai libri per bambini? Adesso che ho figli mi salta all’occhio di come i protagonisti siano in maggioranza maschi, e i maschi fanno le cose piú interessanti, avventurose, fiche. La femmina tranne pochissime eccezioni (Dora, Merida, l’Apemaja, Pippicalzelunghe), é di contorno ed é lí per spianare la strada a- /compiacere il protagonista di turno, oppure come decorazione (penso a Puffetta, ad esempio).
Facendo un esempio, se penso ad un pure ottimo film della Pixar come UP! chi sono i protagonisti? Il vecchietto (mica sua moglie!), il ragazzino scout, l’esploratore cattivo, il cane/i cani. Tutti maschi.
Secondo me, per quanta educazione paritaria noi diamo, queste cose si stampano nella testa dei nostri figli.
Comunque, quando ho fatto chimica io, le due teste piú inarrivabili agli esami di matematica erano due ragazze.