Mamme, smettete di turbare Rolling Stone

Recentemente l’occhio mi è caduto su un articolo di Rolling Stone sull’ultima delle campagne McDonald’s in collaborazione con alcuni mummy blog italiani.
Il tono era “tagliente quanto basta”: niente di apolcalittico, è solo il tono della mia generazione, quello che dice “ho visto tutto e mi sono rassegnato”. Il contenuto pure non era niente di insolito: se la prendeva con le mamme, quelle sciagurate che invece che darsi da fare in cucina tra minestrone e ragù, non solo portano i figli nel tempio del junk food ma esaltano l’esperienza, armate di smartphone, e, addirittura sono pagate per farlo, quando avrebbero potuto starsene ritirate e strisciare la carta di credito del marito, il breadwinner.

A prima vista Rolling Stone non ha tutti i torti: voglio dire, chi mai, specie se ha un minimo di visibilità sui social, potrebbe sperare di esaltare il cibo spazzatura, nel 2018, senza ricevere critiche anche legittime? Aggiungiamo il calo di credibilità da parte del pubblico nei confronti degli influencer e la polemica certamente non sorprende, anzi, viene quasi il sospetto che fosse proprio lo scopo della campagna. Ormai conosciamo tutti la tecnica dei brand: scovano chi è influente (o dice di esserlo), e, fornendo quattrini proporzionati ai follower, ne fanno un portavoce, proprio come facevano un tempo con i testimonial, e anche, meno platealmente, con i giornalisti. Del resto, già nei primi programmi tv e radio, in particolare soap opera e sitcom destinate a un pubblico di casalinghe, la pubblicità non era chiaramente separata dal contesto, anzi, era il contesto, forse l’intero mezzo di intrattenimento, ad essere costruito attorno alla pubblicità. Non è affatto strano ritrovare dinamiche analoghe sui mass media di oggi. Se, come me, siete abituati a seguire gli youtuber più famosi, molti dei quali sono trentenni che, in diretta dalla cameretta di casa, propinano marchette e mercahndising a centinaia di migliaia di preadolescenti, la campagna McDonald’s, peraltro non certo la prima con le mamme blogger, sembra una ventata d’aria fresca.

Vorrei però proporvi una riflessione, che non è quella della “collega del marketing” ma quella della “mamma blogger” ormai storica. Ricordate le origini del mommy blogging, almeno una decina di anni fa, in Italia? La rete era uno spazio prezioso di condivisione e aggregazione, dove spogliarsi dal giudizio costante, dalle aspettative, dagli stereotipi che tutto il mondo impone alle persone, e ancora di più alle donne, e ancora di più alle mamme. Era uno spazio per uscire dalla frustrazione – protette da un nickname. Dove poter dire: sì, porto i miei figli a mangiare il junk food, davvero lo fai anche tu?

In breve si è passati un po’ allo stereotipo opposto: quello della mamma vagamente “sciagurata”, che vuole essere se stessa prima di tutto, e continua ad amare il rock e le sigarette, o i tacchi e il rossetto, o i party e i drink, a seconda. Il contro – stereotipo funzionava. Così sono arrivati i brand, desiderosi di acchiappare le nicchie online (cioè le minuscole audience di qualche migliaio di mamme che si riconoscevano ora nella mamma di gemelli, ora nella mamma espatriata, ora nella mamma party lover e così via), e tutto è tornato inevitabilmente, ineluttabilmente, inderogabilmente mainstream.

Sdoganati i drink e una sciaguratezza minima sindacale e comparsi i social, luoghi di comunicazione spesso superficiale e stereotipata, la maternità si è andata piano piano profilando come un potenziale status lavorativo, oltre che sociale e familiare. Un lavoro che, come tutti gli altri lavori, vive di numeri. E paradossalmente, per raggiungere i numeri, è necessario cercare un consenso diffuso, dire cose semplici e condivisibili (in tutti i sensi). Solo che quando usciamo dalla nicchia, i drink, i party e le parolacce, non sono così tanto ben visti. E neanche il junk food di Mc Donald’s.

Che ne sa Rolling Stone che il Mc Donald’s, in Italia è uno tra i pochi posti che una famiglia, specie se con bambini piccoli, può frequentare in libertà. E andare al Mc Donald’s non vuol dire negare una mela a merenda in favore delle patatine fritte. Rolling Stone è mainstream, il Mc Donald’s vorrebbe restarlo. E la Mamma, se vuole restare (o diventare) mainstream, deve tornare a essere prima di tutto Nutrice.

La prossima volta, per la campagna sul junk food, ingaggiamo le zie, o, why not, i papà, e nessuno avrà niente da ridire.

E magari Rolling Stone eviterà di filosofeggiare sul ruolo della madre, e tornerà a occuparsi di musica e di lifestyle, cosa che gli riesce decisamente bene.

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