Il dowshifting e l’indipendenza delle donne

Qualche settimana fa ITmom ha scritto su facebook qualcosa del genere: “Se decido di stare a casa a curare i figli faccio la casalinga. Se la stessa cosa la fa la manager rampolla di buona famiglia fa downshifting.” Questa cosa me la sono appuntata mentalmente ripromettendomi di scriverci su, un po’ perché ci sto ragionando da un po’ sulla faccenda del downshifting in relazione al ruolo della donna nella società moderna, e un po’ perché ultimamente mi capita di incontrare donne-mamme (svedesi) felicemente separate. E che c’entra?

Un update su facebook normalmente non può che essere sintetico e come tale spesso non può cogliere le mille sfaccettature che una situazione normalmente presenta. Però non è del tutto falso dire che il vero downshifting è evidentemente una cosa da ricchi, perché lo dice la parola stessa: è intrinseca una serie di rinuncie per vivere una vita più semplice. Magari si può essere non proprio ricchi, ma comunque sufficientemente benestanti da poter rinunciare a qualcosa. Chi già vive al limite della sopravvivenza non si può permettere di lavorare (e spendere) di meno. Ma qui voglio riflettere su un aspetto del dowshifting che coinvolge le madri di famiglia (il downshifting non è in realtà una prerogativa delle donne né delle coppie, né tantomeno delle famiglie) e quindi vorrei parlare del downshifting motivato principalmente dalla voglia di stare a casa a prendersi cura dei figli.

Alla suddetta manager rampolla di buona famiglia il dowshifting gli fa un baffo perché magari ha le spalle coperte da eventuali eredità e quindi con il suo non lavorare, o lavorare poco non mette veramente a rischio il suo futuro. Chi veramente mette a rischio il suo futuro è chi già è al limite del sostenibile. Tra un estremo e l’altro ci sono tutte le vie di mezzo possibili. Premetto che non sono contraria al downshifting o in generale alla scelta di seguire uno stile di vita più semplice, e questo argomento lo abbiamo affrontato spesso su questo sito, temo però che questa filosofia stia mettendo in serio pericolo il futuro specialmente di alcune donne. Quindi lungi da me fare critiche a qualcuno, vorrei semplicemente condividere alcune riflessioni con voi.
Quando il dowshifting è una scelta condivisa nella famiglia ed entrambi si dedicano a lavorare da casa, o fanno un part-time, o sacrificano la propria professione in nome di una scelta di vita più sostenibile è una cosa. Quando in una famiglia si decide di procedere su questa strada e l’unica che di fatto fa dowshifting, ossia smette di lavorare per stare a casa con i figli, dedicarsi all’autoproduzione, e vivere una vita più semplice è la donna, mentre l’uomo continua a lavorare (perché almeno uno stipendio serve) avvengono due cose: la prima è che l’uomo continua a pagare i contributi per la sua pensione mentre la donna non lo fa o lo fa in misura inferiore se riesce a ritagliarsi lavoretti da casa, la seconda è che la donna perde la sua indipendenza economica.
Nel malaugurato caso in cui si arrivi ad una separazione o peggio alla prematura morte del coniuge la situazione si fa ben più complicata. In Italia grazie alle lotte femministe di qualche tempo or sono, il lavoro svolto a casa dalla donna è considerato un lavoro e come tale, per la salvaguardia della donna, in caso di separazione l’uomo ha spesso l’obbligo di continuare a mantenere la ex-moglie (oltre ai figli si intende). Questo dà luogo ad una infinità di questioni dentro e fuori dai tribunali, ma soprattutto ad una valanga di astio che ci si porta dietro l’uno nei confronti dell’altro a vita, anche quando la vita di ciascuno ha preso strade diverse. Ed eccomi di ritorno alle mie amiche svedesi felicemente separate.

Riflettevo con mio marito qualche giorno fa sul fatto che siamo circondati da gente separata ma che vive più o meno serenamente questa cosa. Premetto che si tratta di gente che appartiene ad una classe sociale mediamente agiata, insomma nessuno poverissimo e nessun ricchissimo, però tutti riescono a gestire la cosa in modo sorprendentemente civile (almeno per me). La donna che lascia l’uomo mediamente si compra un nuovo appartamento e se ne va di casa (NB. se lei lascia lui, lei si compra un appartamento e se ne va di casa!!!), i bimbi si alternano nelle visite ai genitori, quindi la nuova casa si sceglie sempre vicina alla casa di lui e alla scuola in modo da facilitare la quotidianeità. I bimbi piccoli cambiano casa ogni paio di giorni, quelli un po’ più grandi ogni settimana e gli adolescenti anche ogni due settimane in base alle loro preferenze. Ho chiesto alla mamma di due bimbi (2 e 5 anni) separata da un mese come la stanno vivendo i bambini e lei mi ha detto che si sono già abituati e che sono molto più tranquilli ora di prima quando erano costretti a vivere la tensione in famiglia. Il figlio grande le ha addirittura detto: “mamma sei molto più calma ora!” segno evidente che la separazione non è stata una scelta tanto folle. Ma quale è il fattore comune di tutte queste situazioni di mia conoscenza? Certamente la maturità con la quale vengono mediamente affrontate queste situazioni tra i due coniugi, ma io ho la netta sensazione che l’indipendenza economica della donna sia un fattore determinante. Queste sono donne indipendenti economicamente, che possono permettersi di comprarsi una casa da sole, anche se piccola, e riescono a mantenersi i figli senza ricevere un assegno dall’ex che di suo contribuisce al mantenimento dei figli per quella metà del tempo che sono a casa sua.

Insomma la mia domanda è: ma siamo sicuri che questo modo di fare downshifting non sia un’arma pericolosa contro lo status delle donne?

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105 thoughts on “Il dowshifting e l’indipendenza delle donne”

  1. @Close the Door:
    – pagarsi i contributi pensionistici almeno fino al minimo (mi pare che ora siano 20 anni. Registrandosi al sito Inps è possibile vedere tutta la propria situazione pensionistica dall’inizio dei tempi).
    – come diceva itmom in alternativa pensare di pagarsi una pensione “privata”.
    – se non si è sicure dell’andazzo del partner, accertarsi che venga cointestata metà della casa.
    – prendere un’auto che consumi meno
    – prendere un appartamento con un mutuo più basso (più piccolo, in una zona meno cara…)
    – risparmiare e ridurre i consumi. (*)

    (*) Non massacratemi, ma io sono una grande fan dell’argomento. Pensavo persino che mi piacerebbe insegnare a risparmiare, come fanno certi programmi della Caritas.
    Conosco persone che non vanno in ferie perchè non hanno soldi ma poi hanno due ipad, fanno spessissimo colazione al bar, fanno regali a battesimi, matrimoni etc da non meno di 300 euro (“perchè chi sa cosa penseranno altrimenti…”), hanno conti del cellulare enormi e mangiano carne almeno quattro volte alla settimana.

    Riciclarsi, ho visto esempi di donne che:
    – mettevano a frutto un’abilità: una che conosco sapeva un po’ cucire e fare orli, e si offre per lavoretti di piccola sartoria.
    – organizzano corsi di medicina alternativa, nati solo da una propria passione.
    – hanno imparato il Reiki e ora insegnano.
    – fanno le babysitter ad altri bambini.
    – si interessavano di tinture naturali dei tessuti e ora tengono conferenze.
    – insegnano lingue all’Università della Terza Età
    – fanno traduzioni
    – occasionalmente fanno pulizie (orrore! Già sento i commenti…)
    – occasionalmente stirano per altri (orrore di nuovo!)
    – si sono rivolte senza speranze all’agenzia di collocamento e contro tutte le previsioni, sorpresa! Hanno trovato un lavoro, una persino part-time. Ne conosco personalmente almeno due. Ed erano semplici impiegate, esperienza professionale molto più spendibile della mia per dire, informatica formata negli anni 80-90 e quindi ora un dinosauro.
    – fanno networking. Nel senso che rompono le balle a tutti i contatti che hanno, fino a scavare qualcosa di interessante.
    – formazione. Avete qualche minuto in più per respirare? Dedicatelo a studiare, magari 15 minuti al giorno. E osiamo: perchè non addirittura quella laurea che ci piaceva tanto, magari triennale? Sappiate che i fisioterapisti laureati vanno a ruba!

    E soprattutto: cambiamo mentalità. Quoto totalmente il commento precedente di Deborah. Se non siamo pronte noi a cambiare, tutto ci sembrerà una violenza.

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    • Sono proprio contenta di questa bellissima discussione. Mi piace pensare a questo downshifting come una svolta positiva (io stessa ho cambiato carriera a causa/grazie ai figli) mi sembra però importante avere ben chiaro in testa quali sono le conseguenze di questa scelta a livello di indipendenza economica da un lato e di soddisfazione personale dall’altro. Apprezzo molto i consigli di Melanele su soluzioni alternative per pararsi almeno un po’, e sono pienamente d’accordo che la rat race sarebbe bello riuscire ad evitarla. Però però, mi accorgo spesso che non sempre è una scelta così meditata come sembra essere stata per alcune delle persone che partecipano a questa discussione, e che purtroppo è molte volte più una decisione di comodo o di ripiego che di stile di vita. Ben vengano tutte le soluzioni creative che permettono alla donna di stare a casa con i figli (epperò non mi stancherò mai di dire che anche i padri ci dovrebbero stare!) però mi chiedo ma è proprio vero che le alternative sono o un lavoro noioso che mi tiene fuori casa 10 ore al giorno, o stare a casa con i figli? Cioè ma combattere per ottenere delle condizioni di lavoro migliori? E ci trovassimo a scegliere tra un lavoro soddisfacente ben pagato con condizioni di lavoro umane, e stare a casa a fare autoproduzione e lavoretti per poter stare più vicini ai nostri figli, faremmo ugualmente tutte la seconda scelta?
      Conquistarsi un lavoro, anche fuori casa se lo vogliamo, ma che dia la flessibilità di gestirlo insieme al partner per potersi prendere ugualmente cura dei figli non dovrebbe essere fantascienza mi pare, non pensate?
      Sono comunque d’accordo con Melanele che se non siamo pronte a cambiare tutto ci sembrerà una violenza, ma a volte è una violenza e questo grande spirito di adattabilità può nuocerci più di quanto vogliamo. Sbaglio?

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  2. io mi stò pagando il fondo pensione ma riesco a metterci davvero poco ogni mese quindi non sarà una “vera” pensione solo un aiuto, magari ci comprerò le caramelle ai nipoti!

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  3. Scusate rispondo un pò a tutti gli ultimi commenti. Io non so quale sia la vostra situazione familiare, ma a casa mia uno stipendio non basta. Nè io nè mio marito saremmo disposti a rimanere a casa a fare i casalinghi perchè non siamo i tipi e ci ritagliamo comunque degli spazi di qualità con la bambina. Io ho praticamente dovuto fare una sorta di downshifting (anche se mi rendo conto, come dice Francesca, che il downshifting “vero” è un’altra cosa, una scelta di vita, ma ho già puntualizzato qualche commento fa che per la gran parte degli italiani questa scelta non è possibile perchè il mercato del lavoro non lo consente), passando da un lavoro molto impegnativo a tempo pieno a lavoretti rimediati. Ora sono a part time a 550 euro al mese (per tre mesi) con un lavoro di m***a e non ne sono affatto contenta. Certo, sono contenta di passare i pomeriggi con mia figlia, ma la famiglia non arriva alla fine del mese e io non sono felice. Sto ricominciando a mandare in giro il mio CV per lavori a tempo pieno che almeno siano vagamente del mio campo, perchè mi mancano la soddisfazione personale e l’indipendenza economica. Insomma spero di fare upshifting.
    Quello che sto dicendo è che il mondo è bello perchè è vario e non ci sono il Giusto e lo Sbagliato in assoluto: ognuno di noi è diverso e ogni famiglia ha esigenze e situazioni particolari diverse. E che il vero downshifting qui in Italia è veramente difficile da fare.

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  4. @Melanele

    Ecco non sarebbe male condividere con altre donne alcuni modi per cautelarsi da eventuali rovesci economici se si lascia il lavoro per un certo periodo o per sempre:
    . chiedere al coniuge il pagamento di una polizza vita
    . investire il proprio TFR
    . …altro?

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  5. @deborah, che aggiungere al tuo ragionamento? a mio avviso hai detto tutto ciò che volevo dire. è solo il miraggio di una pensione da 500 euro al mese (non sto inventando la cifra a casaccio) che ci fa rinunciare a vivere il nostro presente?

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  6. La butto là. Ma voi non avete la sensazione che cercare di assicurarsi un futuro lavorando 8 ore al giorno, delegando cura dei figli, pagando tutti i contributi per la pensione (ah! ah! It mom hai ragione su tutti i fronti), non paghi più? Mi spiego meglio. A me pare che il sitema tradizionale non garantisca più nessuno.
    Abbiamo voluto tanto lavorare fuori casa per garantirci un’indipendenza economica e spesso ci siamo rese conto che le spese quotidiane sono talmente tante che il nostro stipendio serve a pagare il mutuo. Volevamo delegare la cura dei figli, però alla fine qualcuna di noi ha pensato che dava più soddisfazione crescerli, che lavorare per un boss a caso 8 ore al giorno, quando va bene.
    Allora, siccome siamo animali intelligenti, abbiamo cercato altre vie. Altre vie per rendere il presente più felice. E abbiamo cominciato a fare downshifting, complici e amiche le nuove tecnologie. Certo, il terreno è scivoloso, accidentato e il futuro spesso incerto. Però, se ci voltiamo ora a guardare coloro che spesso hanno sacrificato un presente sperando di garantirsi un futuro, vediamo forse esempi rassicuranti? Beh, io non credo. Forse , molte donne pensano, come me, che valga la pena di cavalcare questa nuova trasformazione della società, in cui tutto è più fluido, è più femminile, in un certo senso. Credo che, per certi aspetti, le donne stiano, anche con il downshifting, trasformando il lavoro, adattandolo alle loro esigenze, perchè lo schema che ci era stato proposto (8 ore x 5 giorni la settimana) era troppo rigido e non ci veniva affatto incontro. Chi lo sa, forse, anche con l’aiuto del web, questo downshifting servirà alla femminilizzazione del lavoro, una buona volta.

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  7. @daniela ma infatti, la scelta sarebbe l’ottimale, ma qui non parliamo solo di mamme ma di uomini e donne ingabbiati in un sistema lavorativo assurdo. tu ne sai qualcosa se lavori in un negozio, con orari che non si possono conciliare con nulla, tantomeno con le famiglie. ma li vedo i miei amici che fanno diverse professioni, tutti ingabbiati nel lavoro perenne, senza tempo libero. certo quando hai figli tutto peggiora, ma vorrei ribadire che questo sistema non penalizza solo le mamme.

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  8. Milano è una città più grande di qui, e spero che lì la situazione sia “più avanti” 🙂

    In ogni caso a me piacerebbe che ci fosse più part time. Non so, l’impressione è sempre che “se lavori, lavori”, come se si dovesse scegliere, vuoi lavorare? bene. Vuoi fare la madre? Allora fai la madre. Come se non si potesse fare a metà.

    Io lavoro in un negozio, orario lungo (motivo per cui ho chiesto due pomeriggi a casa!) che porta via tutto il giorno anche se lavori sempre solo 8 ore. E tutti all’inizio mi dicevano “guarda che brava, anche se ha una figlia è sempre qui”. Brava? Ma perché, fossi a casa con mia figlia lo sarei meno? Ecco, è così, o sei brava a fare la mamma o a lavorare, tutti e due non si può. Invece vorrei si cambiasse mentalità, vorrei ci fossero più part time per uomini e donne (anche di 6 ore, non necessariamente 4), più tempo libero per tutti, per godersi figli e vita. Perché in fondo il lavoro ci serve per avere una vita, non è il contrario, no?

    Invece il part time è utopia, se vuoi trovare un lavoro devi avere disponibilità a 360° (turni, non turni, orari lunghi, trasferte, week end, o sei pronto a tutto o lascia stare) e in compenso le strutture sono rigide (asilo dalle 8 alle 16, finito. Nido solo in settimana, e costa caro. La scuola poi men che meno, mia figlia non ha nemmeno la mensa, cosa che ci costringe alla pausa pranzo da capelli dritti perché ha un’ora e mezza di tempo, ma mezz’ora la perdi in viaggio, poi metti ancora su il pranzo, e meno male che sei a casa sennò si mangia il panino da sola sul marciapiede… ecco).

    Insomma, un po’ più di possibilità. Ma siamo in un periodo dove avere il lavoro è un lusso, quindi…

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  9. @daniela, no qui a milano la famiglia classica è moglie e marito che lavorano entrambi, e figli affidati ai nonni o a tate. la vita qui è molto più cara che altrove.

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  10. diciamo che le spese fisse non le sostengo io…. 😉

    sicuramente sono d’accordo con melanele.

    comunque quello che sostengo perché mi piacciono molto queste discussioni, è che non bisogna per forza rincorrere un modello virtuoso di figura femminile a tutti i costi perché è giusto così. il modello di mamma e donna deve coincidere con le proprie capacità emotive e psicologiche. Anche io sono una che da sempre è per l’emancipazione e la parità dei sessi, ci mancherebbe, ma se andassi a lavorare tutti i giorni fino a sera chi si occuperebbe dei miei figli? chi li seguirebbe nei compiti? e qui qualcuno obietterà che bisogna imparare a delegare, ma siccome l’educazione dei figli è troppo importante, preferisco sbagliarla da sola che affidarla ad altri.

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  11. @Itmom, a occhio veloce ho 3 famiglie esattamente uguali a come le ho descritte. Ci sono lavori che non permettono tempo (ho parenti padri che escono di casa alle 8 del mattino e tornano 12 ore dopo), ci sono uomini che semplicemente non hanno voglia. Ma di famiglie così ne conosco più di una. Certo che conosco anche famiglie all’opposto, ma quasi sempre la moglie/madre lavora.

    Poi ho precisato subito che ogni famiglia è a sé, ogni scelta ha i suoi perché, l’importante è che l’equilibrio sia adatto per quella famiglia, non c’è un modello che va bene, anche se sarebbe il caso di considerare l’equilibrio più a largo raggio (io sto bene a casa, lui riesce a lavorare e fare il papà, ma se ci separassimo?). In ogni caso, qui vicino a me, la famiglia “lei sta a casa appena diventa mamma, lui lavora, lei fa la mamma lui porta a casa lo stipendio, lei magari dopo qualche anno riprende con qualche lavoretto senza ridurre l’impegno a casa, lui non sa fare una lavatrice” anche se fa inorridire, non è per niente raro.

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  12. Ma no, dai, ITmom, tu NON sei a carico del marito! Tu lavori un sacco! Cioè: pure lavorare da casa è un lavoro, mica solo andare in ufficio.
    Magari ci fossero donne come te che riescono ad essere madri e anche professioniste…

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  13. @daniela scusa ho avuto un moto di orrore alla descrizione della famiglia tipo che hai fatto. se io avessi un marito così sarei fuggita a gambe levate, il marito sul divano magari a guardare la partita tutto il weekend no….

    ci sono anche altri modi di viverla, ti racconto il mio. io ho sempre lavorato, sia durante l’università che appena preso in mano la laurea. sempre lavori molto entusiasmanti per me. poi mi sono messa in proprio, nell’era della net economy, bellissimo! entrambi abbiamo lavorato anni (sabati e domeniche compresi e pochissime vacanze) guadagnando e mettendo da parte. a 31 anni il primo figlio e ho continuato a lavorare, e 35 il secondo. a 37 ho mollato il lavoro, ma nel frattempo avevo avuto soddisfazioni professionali ed economiche, con le mie forze senza dipendere da nessuno. quindi la scelta mia di dedicarmi ai figli è partita da me, per necessità perché non avevo nonni vicini né intenzione di affidare i figli ad estranei. con la nascita del secondo figlio anche mio marito ha modificato il suo modo di lavorare, dopo quasi 20 anni di professione lavora meno, e si occupa regolarmente dei figli, durante la giornata o vado io o va lui a scuola etc. certo prevalentemente il pomeriggio li seguo io, ma molto spesso c’è anche lui. risultato: ci dedichiamo entrambi ai figli con molto entusiasmo. ci sono periodi più pesanti e periodi più tranquilli, io se faccio delle collaborazioni le faccio da casa, lavorando online sarebbe stupido andare in ufficio. per cui quando penso che sono a carico del marito, penso anche che per ora è una scelta ponderata, e senza frustrazione, per ora.

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  14. Oltre al divorzio, il problema è che comunque invece di dividersi la genitorialità, si paga in modi diversi. La mamma sta a casa, e rinuncia all’indipendenza economica. Il padre lavora, deve mantenere tutti, e rinuncia a godersi la famiglia per molto tempo. Sempre premesso che ogni famiglia è a sé (e che magari c’è chi può stare a casa e godersi la vita), io qui vedo spesso famiglie così, lei casalinga, lui che torna sabato e domenica, stanco e dedito al divano. E dagli anche torto, non è facile passare 5 giorni full immersion al lavoro, arrivare il sabato, volersi riposare, dover riadattare tutto a casa e figli (che diciamolo, bellissime cose ma per niente rilassanti) e scegliere tra il fare il padre o il ricaricare le batterie, tempo due giorni, quasi che ti abituavi, e si esce di nuovo a casa, ciao a tutti ci si vede al prossimo week end…

    Ecco, se lavoro è anche per questo. Perché voglio un’indipendenza mia, perché se facessi la mamma full time impazzirei (ebbene si, non fa per me, impazzisco già la domenica, per questo capisco un po’ i padri del week end, anche se poi hai voluto i figli e quindi saluti il divano e vai), ma anche perché ho avuto una mamma full time e un padre trasparente e… e no grazie, ecco. Che l’ho perso presto e non sapevo quasi chi era.

    Insomma, ho sempre pensato che meglio avere un po’ meno la mamma se vuol dire avere un po’ di più il papà. E così è stato, quindi due contratti quasi full time (32 ore io, 40 lui, ma lui lavora su turni e alla fine ha più tempo per me, motivo per cui ho chiesto due pomeriggi io sennò finiva che le bimbe le vedevo solo nel week end e facevo la mamma da divano 😀 ), tutti di corsa, ma mamma e papà si alternano, oggi pomeriggio sono con lui, domani con me, giovedì con lui, venerdì con me, sabato papi o nonna, domenica mamma e se va bene anche papà… Ci siamo, facciamo tutti e due un po’ di tutto, un po’ lavoriamo un po’ facciamo i genitori.

    Se va bene, avremo fatto a metà. Se va male, io mi mantengo, lui si mantiene, e un minimo di indipendenza c’è.

    Ma anche qui, il fattore economico conta. I nostri stipendi sono quel che sono, se smettessi di lavorare lui dovrebbe fare straordinari, molti, e non è periodo. E se ci separassimo, col suo stipendio che non basta in una casa sola (e non lo dico per dire, più di metà va per il mutuo, col nido ne va un altro quarto, resta poco!) come si vivrebbe in due? Insomma, economicamente o si torna da mammà o non ci si separa!

    E qui i soldi fanno la differenza si. Io non voglio rinunciare al lavoro, ma vorrei un part time, eppure non posso permettermelo, non senza farlo pagare a lui. Quindi non è più solo una questione di volere, ma anche di poterlo fare.

    Insomma, decrescita si se è felice, se i sacrifici si accettano col sorriso, noi rinunciamo alle ferie ogni anno, ma so che così abbiamo più tempo ogni settimana per noi 4 e mi sta bene. Però dovrebbero esserci anche più possibilità. Insomma, con i costi di nido, doposcuola, ecc… ho contato che capitasse mai il terzo figlio stare a casa mi costa meno! E non sarebbe più una scelta. Allo stesso modo c’è chi non può scegliere di non adare a lavorare (e magari di fare il secondo o terzo figlio). Senza pretendere di navigare nell’oro lavorando poco, se ci fossero nidi ovunque (e non è scontato, qui non ci sono nemmeno asili comunali in ogni paese, e parlo di paesi con 80 bambini iscritti al primo anno di asilo che hanno solo il privato come scelta, i nidi comunali sono un lusso, e i costi sono comunque alti!), orari flessibili per le strutture, se diventasse normale anche per gli uomini ridurre l’orario di lavoro, già qualcosa migliorerebbe.

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  15. Avrei tante cose da dire, ma ho discusso fin troppo spesso su questi argomenti.

    Vorrei però sottolineare tre cose che mi stanno a cuore:
    – il coniuge che rinuncia ad un lavoro fuori casa non è “totalmente dipendente” dall’altro in quanto fornisce servizi all'”azienda famiglia” di qualità superiore rispetto a prima in quanto ci può dedicare più tempo. Spesso poi si porta ad avere un risparmio, in termini di aiuto per le pulizie, babysitter, ripetizioni per i figli, spese per vestiario e trasferimenti. E quindi il coniuge che sceglie di stare a casa ha diritto a spendere una quota equa del reddito familiare in quanto contribuisce a tale reddito e alla qualità di vita della famiglia. Per cui non avrei problemi a chiedere i soldi a mio marito per il parrucchiere, per dire.

    – se forzatamente o no ci si ritrova a non avere pià uno stipendio fisso, ci si può ingegnare e organizzare delle piattaforme di salvataggio. Se si riescono ad ottenere dei “lavoretti” o anche un piccolo lavoro indipendente si possono pagare ad esempio i contributi pensionistici (come sto facendo io, ad esempio). Chiedere al coniuge il pagamento di una polizza vita è sacrosanto. Si può decidere di investire il proprio TFR (nel benaugurato caso che se ne abbia uno) in modo da avere qualche risparmio. E poi le cose cambiano con gli anni: se ci si licenzia non è detto che si rimarrà casalinghe tutta la vita, magari è solo un periodo momentaneo, si possono aprire nuove strade che prima nemmeno si consideravano. E la coppia dovrebbe essere anche un contratto di mutuo soccorso, che soccorre appunto il partner che in un certo momento può essere più debole economicamente, senza mugugnamenti o sensi di colpa.

    – infine la decrescita (downshifting) dovrebbe essere possibilmente “felice” (vedi Maurizio Pallante). Nel senso che è uno stimolo a vedere le cose da un altro punto di vista: le biblioteche sono luoghi bellissimi se ci piace leggere, i nostri armadi e quelli delle amiche nascondono tesori meravigliosi che ci possiamo scambiare, i compleanni e feste comandate sono momenti ideali per consegnare a parenti ed amici la lista degli sfizi che ci piacerebbero.

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