Le dimissioni in bianco

A molte delle persone che mi leggono non dovrò spiegare di cosa sto parlando, dato che si stima che il 25% delle donne lavoratrici e comunque un buon numero di lavoratori in genere, le abbiano dovute firmare al momento dell’assunzione.
Le dimissioni in bianco sono, prima di tutto, una pratica illegale.
Si tratta di una lettera di dimissioni, senza data, fatta sottoscrivere dal datore di lavoro al momento dell’assunzione, in modo da poter mascherare il futuro licenziamento da dimissioni volontarie.
Perchè parlarne nel contesto della nuova questione femminile? Perchè, grazie alle parole del Ministro Fornero, sono diventate un tema d’attualità in questo periodo e poi perchè coinvolgono prevalentemente le lavoratrici donne, quando vengono “azionate” dal datore di lavoro, molto spesso, alla prima gravidanza. Si tratta dunque di un ricatto.
Generalmente sono le aziende medio-piccole che ricorrono a questo espediente, per ovviare in modo pratico ed economico alla futura necessità di licenziare, per risparmiare i problemi connessi alle sostituzioni per maternità e per eliminare le lavoratrici madri che, in una mentalità chiusa e limitata, sono solo fonte di problemi e continue assenze. Ovviamente non solo le donne sono soggette a questa pratica ricattatoria, molto spesso lo sono anche gli uomini: giovani, stranieri, impiegati soprattutto nelle mansioni gerarchicamente più basse. Sono infatti interessate a questo metodo illecito tutte le fasce di lavoratori più deboli e, quindi, le donne sono le più coinvolte. Soprattutto perchè tra le donne sembra riguardare con più facilità anche le giovani laureate.
Il Ministero del Lavoro ha stimato che addirittura il 25% delle lavoratrici di qualsiasi settore, sia stata costretta a firmare le proprie dimissioni al momento dell’assunzione. In molti settori è ormai vissuta come una pratica tanto consueta, da non suscitare più neanche sorpresa nella neoassunta, che, in quel modo, prende atto che il suo contratto è sostanzialmente a tempo determinato: se tutto va bene, il contratto terminerà con il suo matrimonio o con la sua prima gravidanza.

Le dimissioni in gravidanza, però, sono sottoposte ad alcune cautele, dato che vige anche un divieto di licenziamento. L’art.55 co.4 del D.Lgs. n.151/2001 prevede che “la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro”.
A questo si ovvia utilizzando le dimissioni sottoscritte senza data, subito dopo il matrimonio della lavoratrice (senza attendere che resti incinta), in modo da prevenire ogni questione. In molti casi, poi, chi è stato costretto a firmare dimissioni in bianco, sapendo che se si opponesse il lavoro diverrebbe impossibile, accetta anche di confermarle innanzi ai servizi ispettivi. La rassegnazione fino a oggi ha aiutato il proliferare di questa pratica.

Non sono rari i casi in cui, in un giudizio teso a far valere i vizi delle dimissioni così date, il lavoratore riesce a dimostrare che le sue dimissioni non erano genuine. Per esempio, se il lavoratore intuisce il clima prossimo al “finto licenziamento” può inviare una diffida al datore di lavoro a utilizzare le dimissioni firmate a suo tempo. Oppure si può anche provare con testimoni il vizio delle dimissioni (per esempio altri ex lavoratori che testimonino la consuetudine di quel datore di far firmare dimissioni all’assunzione). Però, di fronte alla prospettiva di una causa di lavoro, con spese, tempi e risultati incerti, magari anche in un momento di preoccupazione per la perdita del lavoro e quindi del reddito, spesso il lavoratore si rassegna e non reagisce.

Insomma, fino a oggi la tecnica subdola delle dimissioni senza data, ha funzionato benissimo ed è ancora ampiamente praticata.
E’ uno strumento disincentivante, che ingenera soggezione morale al datore di lavoro e limita gli strumenti di difesa per il lavoratore licenziato. Rivolto contro le lavoratrici donne aumenta il divario tra lavoro maschile e lavoro femminile, contribuisce ad incentivare la mentalità punitiva della maternità, discrimina.

Nel 2007, con la legge n. 188, che fu approvata a larghissima maggioranza, si era posto un freno a questa mostruosità. La dichiarazione di dimissioni volontarie era valida solo se si utilizzavano appositi moduli distribuiti esclusivamente dagli uffici provinciali del lavoro e dalle amministrazioni comunali, contrassegnati da codici alfanumerici e da una data di emissione. Il modulo poteva essere usato solo per 15 giorni dalla date di emissione. Un sistema semplice ed efficace, che sembrava funzionare. Nel giugno del 2008, la legge, per presunti problemi applicativi, è stata abrogata, riportando la nostra legislazione al precedente sistema senza tutele.

L’8 marzo di quest anno, il Ministro Fornero ha pronunciato queste parole: “Il nostro compito è fare leggi efficaci per contrastare l’uso di una pratica vergognosa. Metteremo queste norme nella riforma. Si tratta di aspettare un paio di settimane per trovare il veicolo normativo. E’ un tema all’attenzione del governo. Non credo che sia opportuno ripristinare la legge che è stata abrogata a causa di problemi di applicazione. Vogliamo contrastare in modo efficace un procedimento vergognoso. È mia intenzione intervenire contro la pratica delle dimissioni in bianco, un fenomeno che colpisce gran parte delle lavoratrici, frutto anche del preconcetto antifemminista ancora presente nel mondo del lavoro. Esistono diversi progetti di legge su cui tutte le forze politiche presenti in Parlamento sono d’accordo. Questo può e deve cambiare, molto si può fare per conciliare famiglia e lavoro, soprattutto se crediamo che la crescita di lungo periodo non può prescindere da un maggior coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro
Esattamente due settimane dopo, il testo del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro prevede un’area definita “Equità di genere“, nel quale sono previste “norme di contrasto alla pratica delle cosiddette ‘dimissioni in bianco’, con modalità semplificate e senza oneri per il datore di lavoro e il lavoratore e il rafforzamento (con l’estensione sino a tre anni di età del bambino) del regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri“.
Sicuramente il ddl sul mercato del lavoro ha affrontato altri temi, anche molto controversi, e comunque sarà necessario attendere l’efficacia delle riforme sul campo. Intanto, però, un ministro donna ha parlato chiaramente di questo atto di malcostume, fino a oggi noto e tollerato, indicandolo come una delle tante forme di discriminazione da combattere.

(Mi perdonate per la foto, con cui associo la firma nel matrimonio con quella delle dimissioni? 😉 )

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12 thoughts on “Le dimissioni in bianco”

  1. Il modo di contrastare le dimissioni in bianco esiste.Faye come segue:al momento di firmare la lettera leggetela bene ,pronti per riprodurla lo stesso giorno.Nell’apporre la firma dimenticate una lettera in mezzo al nome o al cognome,ma scrivete in piccolo in maniera che non si noti.
    Lo stesso giorno ricompilate tale lettera e speditela con r/c al sindacato,spiegando bene cosa sia successo ed il dettaglio della firma.Aggiungete quindi che se tali dimissioni dovessero essere prodotte contro di voi la loro validita’ e nulla ,perche’ estorte al momento della firma del contratto.Il tutto e’ provato cosi’ in maniera inequivocabile

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  2. @Angela, sì, d’accordo, ma non è un problema di diritto. Non è difficile dimostrare che le dimissioni non erano genuine: è difficile tenersi il posto e continuare a lavorare se contesti le dimissioni.
    Una nuova normativa ben congegnata non sarà sicuramente superflua, a mio avviso.

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  3. Cara Silvia e se la raccomandata fosse inviata a se stessi per avere un elemento a favore della propria difesa? e se ci fosse il modo di denunciare anonimamente a qualche ente questo tipo di situazione? Non conoscevo questa pratica delle dimissioni in bianco, per fortuna non mi è mai capitato nulla del genere, però di mobbing ho sentito molto parlare da mie amiche ed è una cosa diffisissima. Ultimamente mi pare anche che si cominci a dire da parte degli uomini “uffa, ma voi avete la fissa che gli uomini siano provilegiati!!”
    Comunque in generale trovo che se ci fosse reale volontà da parte dello Stato di limitare certe situazioni si potrebbe fare molto anche senza nuove leggi. Penso a tutti i falsi contratti di consulenza degli studi di architettura/legali: ma come fa a essere credibile che non ci sia un rapporto di lavoro per definito quando la fattura del lavoratore è sempre a un unico destinatario, sempre per lo stesso importo e per – che strano! _ dodici mesi l’anno?!!???? ci sono delle lobby che non sono facili da smantellare

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  4. @Silvia, infatti. Infatti sia il punto 1) che il punto 2). Mi chiedo in quattro anni di abrogazione della legge (e anche prima, viste le “difficoltà di applicazione della legge”) quanta gente si sia vista rimandare a casa con le dimissioni firmate all’assunzione.
    @ellegio, in questi casi il lavoratore è sempre la parte più debole. Ha certamente più da perdere del datore di lavoro, che in genere ha già di suo un avvocato di fiducia e comunque ha solo da guadagnare.

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  5. Diciamo che ho evitato di precisarlo, ma dalle date della promulgazione della precedente legge e poi della sua abrogazione era facile intuirlo. Sì, sotto il governo Prodi fu emanata e sotto il governo Berlusconi subito abrogata: è un dato di fatto evidente.
    L’area “equità di genere” contiene altri provvedimenti e cercherò di parlarne mano, mano che diventeranno definitivi ed entreranno in vigore.
    Attualmente quello che si può fare, nel caso in cui il datore di lavoro presenti il famigerato foglietto di dimissioni senza data, da firmare insieme al contratto di lavoro è:
    1) rifiutare il lavoro e dirgli che è un disonesto e non ci piegheremo a questo lurido ricatto? No, ok… passo alla soluzione successiva!
    2) Inviare, subito dopo l’assunzione e la fine del periodo di prova una raccomandata con la quale si diffida il datore dall’utilizzare quelle dimissioni in bianco. In questo modo il datore dovrebbe rispondere: ma quali dimissioni??? E allora non potrà più usarle. Oppure se le aziona subito, la prova dell’annullabilità delle stesse è bella che costituita.
    Sì, però… realisticamente: una volta inviata questa raccomandata di diffida… immaginate il mobbing conseguente?
    Ecco perchè contro queste pratiche la rassegnazione può più del diritto.

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  6. Si, hai ragione, ma secondo me la rete da questo punto di vista è un pò un trabocchetto. In genere preferisco dare opinioni sui punti particolari (come in questo caso, e tu sei stata più rapida e più efficace di me) che sui governi in generale…
    Ci sono già state, anche su questo sito, situazioni in cui si perdeva di vista l’argomento specifico e ci si buttava in grandi discussioni del tutto inutili sulla presunta appartenenza politica dei partecipanti. Non mi piace, e spero sempre che non risucceda.

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  7. Eh, prego, il problema è che secondo me l’antipolitica sta facendo parecchi danni: la soluzione dei nostri problemi sarebbe proprio fare attività politica.
    Dopo anni di veline e cortigiane messe a ministra, la Fornero mi piace per questo motivo. Non so valutare bene quanto fatto sull’art. 18 (anche perché è intervenuto Monti quando pareva che la CGIL fosse pronta a dire sì al modello tedesco, per cui…), ma Gesummio finalmente una che dice che non è vero che le donne fanno meno figli perché pensano solo alla carriera, anzi! E’ perché sanno che perderebbero il posto di lavoro e non tutte hanno un marito a cui poter affidare tutta la responsabilità della sopravvivenza economica. Finalmente una che azzarda un congedo obbligatorio di paternità in via sperimentale, voglio vedere adesso le aziende tremare perché alcuni dipendenti potrebbero avere la faccia tosta di assentarsi BEN TRE GIORNI lavorativi perché hanno avuto un figlio.

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  8. “Nel 2007, con la legge n. 188, che fu approvata a larghissima maggioranza, si era posto un freno a questa mostruosità. La dichiarazione di dimissioni volontarie era valida solo se si utilizzavano appositi moduli distribuiti esclusivamente dagli uffici provinciali del lavoro e dalle amministrazioni comunali, contrassegnati da codici alfanumerici e da una data di emissione. Il modulo poteva essere usato solo per 15 giorni dalla date di emissione. Un sistema semplice ed efficace, che sembrava funzionare. Nel giugno del 2008, la legge, per presunti problemi applicativi, è stata abrogata, riportando la nostra legislazione al precedente sistema senza tutele.”

    Ecco, diciamo anche CHI ha promulgato la Legge 188 e chi l’ha abrogata: si capiscono parecchie cose. http://it.wikipedia.org/wiki/Presidenti_del_Consiglio_dei_ministri_della_Repubblica_Italiana

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  9. Beh, la foto è anche ironica, quindi più che perdonarla la apprezzo molto.
    Scusa la domanda pratica Silvia, ma in concreto cosa si può fare? Voglio dire, vado a un colloquio di lavoro, mi chiedono il mio strato civile, dico che sono sposata e senza figli, ho 32 anni (magari! Ho detto 32 perchè si presume che sia ancora fertile e abbia una certa fretta di procreare) e mi presentano le dimissioni in bianco da firmare. Che faccio? Qualunque cosa dica il lavoro non me lo danno. Li denuncio? e come lo provo?
    Mi fa molto piacere che il ministro Fornero si stia rimboccando le maniche sulla faccenda (ma voglio anche sperare che l’area Equità di genere non si limiti a questo aspetto), ma nel frattempo e nella pratica? Le firmo e spero che la legge mi tuteli domani?

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