Negli ultimi tempi il dibattito pubblico è stato centrato intorno alla cosiddetta “Teoria del gender”. In molti hanno scritto che l’ideologia gender non esiste, eppure non è così semplice. Facciamo chiarezza su cosa sono gli studi di genere e cosa è l’ideologia gender.
Nel dipartimento di Legge, Politica e Sociologia dell’Università del Sussex c’è chi studia cause ed effetti di crimini che coinvolgono genere e religione, e si interroga sul diverso modo stereotipato di raffigurare persone di genere diverso nei gialli televisivi. Nel Dipartimento di Sociologia, Politica e Studi Internazionali dell’Università di Bristol c’è chi studia l’uomo e la mascolinità nelle relazioni internazionali. Nel dipartimento di Medicina dell’Imperial College a Londra c’è chi si occupa di come cambiano l’uso e gli effetti di analgesici a seconda del genere del paziente. Nella divisione di Cardiologia della John Hopkins School of Medicine c’è chi raccoglie evidenza sul fatto che la manifestazione di problemi cardiovascolari nelle donne non è stata accuratamente studiata, nell’assunzione generale, errata, che nel corpo femminile e in quello maschile l’insorgenza di un arresto cardiaco abbia gli stessi sintomi. Nel dipartimento di Education dell’Università di Cambridge c’è chi si occupa di racconti femministi della Resistenza italiana. Nel dipartimento di Scienze del Management dell’Università di Utrecht c’è chi riflette sui parametri degli studi di ricerca qualitativi e quantitativi dal punto di vista del genere.
Potrei continuare per pagine e pagine, riportando ricerche e ricercatori presenti in tutto il globo.
Gli Studi di Genere
Cosa hanno in comune tutte queste persone? Lavorano tutte nel campo di ricerca multidisciplinare che è noto internazionalmente come “Studi di Genere“. Un campo che annovera corsi di laurea, Master e dottorati di ricerca nelle università più prestigiose, che esistono da molti anni, e che sono universalmente riconosciuti.
In un comunicato stampa che arriva (finalmente!) il 12 Marzo scorso dalla Associazione Italiana Psicologi, si ribadisce, visto che evidentemente se ne sente il bisogno, la portata scientifica degli studi di genere, come un’area molto seria, che raccoglie studiosi di psicologia, economia, giurisprudenza, medicina, letteratura, antropologia, filosofia, e molte altre discipline.
In sinergia spesso esplicita con gli studi analoghi che riguardano le classi sociali, le etnie, o le religioni, gli studi di genere ci permettono di capire meglio le relazioni culturali, sociali e politiche fra le varie parti della nostra società, e hanno contribuito in maniera fondamentale non solo alla riduzione di pregiudizi ma anche alla comprensione di tematiche importanti a tutto tondo, che riguardano tutti noi.
L’Associazione Italiana Psicologi ribadisce anche l’assurdità dello spauracchio della “cosiddetta ideologia del gender”. E il fatto che questa affermazione sia parsa importante, e necessaria, devo dire è interessante.
Allora la “ideologia gender” esiste o non esiste?
Tecnicamente, la gender ideology è in effetti un concetto esistente, ma non nel senso inteso di recente. E’, anzi, un fenomeno di studio. La ideologia di genere è intesa come quel complesso di credenze e attitudini per cui l’appartenenza ad un genere debba imporre i ruoli, i diritti, e le responsabilità di un individuo nella società. Allo stesso modo in cui l’ideologia razziale è quel complesso di attitudini e credenze per cui individui di etnie diverse debbano avere ruoli, diritti e responsabilità diverse nella società. In particolare, l’ideologia di genere viene definita come l’insieme di credenze che legittima la diseguaglianza fra i generi.
Fin dagli anni ’30 la sociologia si è interessata allo studio di questa ideologia, e alla misurazione del suo impatto in scale attitudinali, insieme allo studio di quali caratteristiche accomunano coloro che risultano promotori di tale ideologia. Con le scale attitudinali, si intende misurare quanto un dato individuo abbracci l’ideologia di genere, annotando quanto questi sia d’accordo con affermazioni del tipo “Se un bimbo è malato ed entrambi i genitori lavorano, è meglio che sia la madre a chiedere un giorno di permesso per prendersi cura del bambino“, oppure “Le relazioni extraconiugali sono più disdicevoli per le donne che per gli uomini“, oppure ancora “La responsabilità di sostenere economicamente la famiglia spetta all’uomo“.
Più un individuo si sente vicino a posizioni di questo tipo, più viene considerato abbracciare una ideologia di genere. Allo stesso modo in cui più un individuo si sente vicino a posizioni che oppongono il matrimonio fra etnie diverse, o che sostengono la superiorità della “razza bianca” in alcuni contesti, o l’inferiorità di culture non occidentali, più viene considerato abbracciare una ideologia razziale, legittimando la diseguaglianza fra le etnie.
Ironicamente, quindi, capirete che sono coloro che ostracizzano il matrimonio gay, e non quelli che lo auspicano, che, per definizione, perpetuano un’ideologia di genere.
Genere o gender. Quanto importa un nome?
Se lo chiedeva Shakespeare, qualche anno fa. Secondo me tanto.
Nonostante l’accezione internazionalmente condivisa di ideologia di genere, e di studi di genere, l’uso del termine gender in Italia è molto speciale. Ad esempio, per quanto, come è naturale (perché è nel loro diritto pieno, in una democrazia) associazioni di vario stampo abbiano manifestato opposizione al matrimonio omosessuale anche in UK, con argomenti molto simili a quelli usati in Italia, non ho mai sentito usare il termine “ideologia del gender” nel modo in cui è usato in Italia. Ovviamente, perché non esiste, in questa accezione.
E’ interessante notare che viene sempre usato il termine inglese: gender. Questo nonostante in italiano possediamo il termine genere e lo usiamo con competenza fin da piccoli: per chi ha una certa età come me è difficile dimenticare la cantilena “analisi grammaticale, nome comune di cosa, genere femminile, numero plurale”. Sembra come se l’uso di gender al posto di genere voglia rendere il concetto appositamente alieno, straniero e quindi pericoloso, che entra a scombussolare lo stato naturale delle cose. E rende “ideologia del gender” quasi un concetto credibile, mentre “ideologia del genere” avrebbe avuto lo stesso impatto di “ideologia del numero” o “ideologia dell’aggettivo”. Ideologia delle stagioni e dei mesi. Ideologia dei colori. Risibile, vero?
Sinceramente, fra tutte le degenerazioni di questo dibattito nazionale, la distorsione di un termine che denota un campo della ricerca è quello che più stupisce, e francamente addolora, perché vede sminuire il lavoro serio e preparato di talmente tanti studiosi che pare un insulto alla razza umana tutta.
Se vogliamo davvero avere un dibattito nazionale su questioni sociali che coinvolgono i generi, allora dobbiamo consentirci reciproca onestà intellettuale, e questa non può prescindere da un uso corretto del linguaggio, e un rispetto per le nostre stesse conquiste del pensiero.
Io ero venuta qui per fare un peana a Supermambanana, perché più semplice e chiaro di così non lo capisce giusto chi non lo vuole capire. Ma nel frattempo ho letto pure il commento di Closethedoor e il peana lo faccio anche a lei, perché è esattamente la stessa, identica cosa che sembrava a me. Certi gruppi ideologici che hanno sempre esercitato pressioni indebite in uno stato laico come quello italiano dovrebbe essere e non riesce, a mio avviso si iniziano a incattivire quando si accorgono che il folklore non basta più, che grandi fasce di maggioranza silenziosa in fondo è d’ accordo con tutte le protezioni che la legge offre a chi viene discriminato. E che lo stato intraprende delle misure, comincia a prendere sul serio il problema. In fondo dal codice Rocco siamo passati all’ antistalking.
Giorni fa tra conoscenti si parlava di paesi che non vorremmo di visitare: e citavo tutta una serie di stati arabi in cui le donne hanno molto meno diritti degli uomini, in cui per legge le decisioni sulla loro vita le deve prendere il marito o il tutore legale maschio e non loro, in cui in tribunale la parola di una donna vale meno di quella di un uomo. Alcuni miei amici molto più radicali estendevano la cosa a tutti gli stati islamici, o a certi paesi latino-americani pericolosi. Qui era il mio spartiacque. un paese in cui per legge certe cose sono proibite o accettate mi sta bene. Un paese ad alto tasso di criminalità in cui quegli atti criminali sono forse impuniti per mancanza di mezzi o volontà, ma che a norma di legge restano atti criminali da contrastare e punire mi sta bene. Un paese in cui la legge dice a me o chiunque altro che siamo cittadini a metà perché donne, omosessuali, stranieri o altro non va più bene. E mi sto chiedendo quindi in che direzione vuole andare l’ Italia.
E ringrazio quindi per questo tema del mese perché mi/ci permetterà di capire quale direzione riteniamo noi accettabile per noi e per il futuro dei nostri figli.
I miei due centesimi : gli studi di genere sono stati finora ”tollerati” in quanto parte della galassia delle pari opportunità, e il fatto che il Ministero delle Pari Opportunità, dopo la vicenda di Iosefa Idem, sia stato trasformato in Dipartimento – cioè incluso in un altro ministero – dà la misura di quanto il sessismo e la discriminazione di genere sia considerata una cosa seria in Italia.
La svolta, con il carosello di interventi a cui assistiamo oggi, a mio avviso c’è stata a partire dal 2009. Cioè a partire da quando Anna Paola Concia ha proposto di modificare la Legge Mancino introducendo l’omofobia a fianco del razzismo come aggravante di un’aggressione. Da questo momento si sono susseguiti gli interventi che hanno denunciato il propagarsi della “ideologia del gender”, da giornalisti blogger ecc. E quindi tutti i progetti di intervento pianificati dal Ministero/Dipartimento Pari Opportunità nella scuola sono finiti nel calderone dell’ideologia del gender. Mi ricorda il clima che aveva preparato il caso Boffo qualche anno fa.