Un bambino vivace come gli altri

Descrivere il Vikingo come bambino vivace è un eufemismo. Parlare di lui come un bambino capriccioso sarebbe semplicemente sbagliato. Dire che è un bambino difficile inizia a rendere l’idea, ma io preferisco dire che è un bambino ad alto bisogno, o un bambino impegnativo. Ma come sapete l’appellativo che lo descrive al meglio è quello di bambino amplificato, appellativo che è la causa principe che ha portato me e Silvia a fondare insieme questo sito. .

Mi capita spesso di incontrare persone che mi chiedono se il definire un bambino come amplificato, non contribuisca a mettergli un’etichetta e a perdere di vista l’individuo speciale che è in lui.
Questa settimana, in risposta al post pubblicato con la lettera di Marzia, sul mio profilo su facebook, Francesca mi ha scritto: “sarò sincera ma mi mette i brividi pensare di associare a tanti bambini (diversi tra loro) un’etichetta che li accomuna e suona come una malattia. che un test possa decidere se un bambino è “amplificato” o meno e di conseguenza se tu sia un genitore di bambino amplificato o meno mi mette altrettanto i brividi. non è ipermedicalizzazione (senza il medico)?
Rossana ha aggiunto: “non c’è il rischio di rendere “patologici” (passami il termine) problemi difficili ma comunque normali che si affrontano durante la crescita dei proprio figli?

Lo scambio è continuato per qualche commento, ma ho capito di non riuscire ad esprimere il concetto con le limitazioni di facebook, e quindi mi sono decisa a scrivere questo post per poter spiegare meglio il mio punto di vista sulla questione.

Prima di tutto vorrei chiarire che le stesse domande me le pongo anche io in continuazione. Però è un po’ come chiedersi se nasce prima l’uovo o la gallina. Io so per certo che mio figlio ha manifestato queste caratteristiche del temperamento dal primo giorno di vita. La sua necessità di movimento continuo, i suoi cambi di umore repentini con l’altalena emotiva che li accompagna, la sua paralizzante paura delle novità, la sua introversione che lo porta al limite del mutismo, la sua sensibilità ai rumori e alla luci che lo rende fragilissimo. No, non è un bambino diverso dagli altri bambini. E’ un bambino che ha le stesse paure, le stesse gioie, gli stessi passi dello sviluppo, solo che li manifesta in modo diverso, in modo amplificato appunto.

Francesca in un altro commento mi ha scritto: non so, conosco un sacco di cinni che per certi periodi sono stati molto pesi (la frollina stessa ha avuto fasi pesissime, con grandi attacchi di pavor nocturnus) ma con questo non ho mai pensato che fosse parte di una certa tipologia. Mi ricordo che mio padre da piccola mi diceva che ero insicura e così sono cresciuta insicura. Insomma, ho delle perplessità, perché se una cosa la vivi come assoluta, allora lo diventa. Capisco bene che ci possano essere genitori disperati, ma contestualizzerei un po’: si può essere disperati per periodi e avere figli angioletti per altri. Non vorrei che questo tipo di definizione (e quoto in pieno rossana quando parla di “patologico”) diventi un modo per ascrivere fenomeni tipici dell’infanzia e della crescita con cose fuori dal comune, amplificando (passami il gioco di parole) situazioni che invece sono solo la storia particolare di quella persona unica e particolare che è il bambino.

Il punto è proprio questo: gli altri bambini attraversano delle fasi difficili ma poi ne escono. Magari hanno un periodo oppositivo in cui tutto è no, ma poi tornano collaborativi. Queste sono fasi normali e anzi fisiologiche della crescita. Ogni bambino è unico e particolare, eppure tutti i bambini sono uguali nel senso che attraversano le diverse fasi della crescita più o meno negli stessi momenti. Per fare un esempio noto a tutti: il periodo dei terrible two, o dei meravigliosi due anni, come l’ho chiamato io. Ci passano tutti i bambini, e tutti i genitori sono ugualmente stupiti da questa fase oppositiva dei loro bimbi che improvvisamente pretendono di fare tutto da soli, che si rifiutano di collaborare, che testano le loro capacità e la loro pazienza. Eppure i duenni non sono tutti uguali tra loro, ognuno attraversa questa fase a modo suo, pur potendo riconoscere gli atteggiamenti comuni a tutti. Ecco, lo stesso vale per i bambini amplificati, ognuno con le sue peculiarità che li distingue e rende unici nel loro essere “uguali”. Solo che la fase dei terrible two per i bambini amplificati nasce dal momento in cui sono nati, e continua molto più a lungo che i primi 2 o 3 anni di vita.

La genetica ha la sua responsabilità in questo, e non a caso gli stessi tratti del temperamento del Vikingo sono molto evidenti nel padre, nel nonno paterno e nella nonna materna.
Però è giusto chiedersi se mettergli il bollino dell’amplificato in realtà non contribuisca a considerarlo diverso, magari anche malato. Naturalmente è un rischio che si corre, e bisogna stare in guardia.
L’etichetta di amplificato a me è servita per trovare i confini e riuscire a definire una situazione che mi sembrava fuori dal mondo. Mi è servita proprio per capire che non c’è nulla di sbagliato in lui, e di accettarlo per quello che è: un bambino introverso, emotivamente fragile, altamente energetico, che ha un bisogno costante di aiuto per riuscire a crescere in equilibrio con se stesso. E la stessa etichetta mi ha aiutata a capire che non c’è nulla di sbagliato in me come genitore e come persona. Non sono io a renderlo così, non sono io a fargli venire le crisi isteriche perché non riesce a disegnare un pellicano. Non sono io a spingere l’altalena delle sue emozioni. Il sapere che ci sono altri genitori che stanno vivendo le mie stesse insicurezze, che si stanno ponendo le mie stesse domande, che stanno vivendo a tratti lo stesso sconforto, mi fa sentire un po’ più forte.

Detto ciò però è importante non fermarsi all’etichetta, e superare questa sensazione di impotenza, proprio partendo dall’accettazione del suo modo di essere. Il passo successivo, sul quale sto lavorando ogni giorno come genitore, è quello di riuscire a trovare il modo per aiutarlo ad esempio a trasformare la sua testardaggine distruttiva in tenacia che gli permetta di arrivare a raggiungere i suoi obiettivi.
Incanalare la sua energia invece di dissiparla a forza di salti in ogni direzione, sbattendo addosso a chiunque si trovi a passare di li, senza una direzione precisa, seguendo il vento che soffia in quel momento. E usarla invece per fare un grande salto e superare tutti gli ostacoli, e arrivare dove vuole lui, anche fin sulla luna.

Ieri sono andata a prendere i miei piccoli all’asilo alle 16. Sono disoccupata da poco più di una settimana e sono felice di potermi prendere cura di loro dopo l’asilo, compito a cui si è dedicato il padre negli ultimi 6 mesi. Avevo tutte le intenzioni di godermi un paio di ore di gioco gioioso con i miei due tesori. Il Vikingo era in giardino a giocare con L’AmichettoSuo (quello che gli insegna tutto di Star Wars, dissennatori e mummie che ti uccidono nella notte). Pollicino mi vede e trotterella felice verso di me, con il sorriso sulle labbra, e mi avvolge con il suo tenero abbraccio. Il Vikingo grugnisce un “sto giocando con L’AmichettoMio.” Non mi scompongo, sono anni che si va avanti così, e so che questo è un momento di transizione per lui, il passaggio da una attività ad un’altra, da un luogo ad un altro, e che ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi all’idea. Gli dico che può continuare a giocare mentre entro dentro a prendere delle cose e parlare con l’insegnante, ma che poi dobbiamo andare. Quando arriva il momento lui saluta il suo amico e mi segue tranquillo fino fuori dal cancello. Mentre varchiamo la soglia del cancello mi racconta allegramente che si è divertito a giocare con L’AmichettoSuo (cosa molto rara, perché lui normalmente non racconta nulla!). Gli rispondo “e si tesoro, ho visto che ti stavi divertendo con lui”. Tempo un nanosecondo e lui inizia a singhiozzare, IO, balbetta, NON VOGLIO, piange, ANDARE, singhiozza, VIA. Va in apnea emotiva, non respira ed è tutto rosso, io lo abbraccio, cerco di tranquillizzarlo, lui riprende a respirare, ma continua a sighiozzare, è stravolto. Io cerco di mostrare empatia. Gli dico che capisco che si stava proprio divertendo e che deve essere veramente frustrante per lui lasciare l’asilo mentre si diverte così tanto a giocare con il suo amichetto. Lui continua a sighiozzare, poi si arrabbia con me, urla “PERCHE’ DEVI VENIRE COSI’ PRESTO???”, mi da’ un pugno sulla spalla. Io gli fermo la mano e gli dico con fermezza che non si picchia. Che capisco che è arrabbiato ma non può picchiare. Poi continuo con l’empatia. Sono trascorsi pochi minuti e 100 metri dal cancello, ed è passato da allegria, a tristezza, e infine rabbia. Gli dico: “pensa al tuo amico L. che va via alle 3! Chissà se anche lui si arrabbia così tanto con la sua mamma che lo va a prendere così presto? perché tu almeno puoi rimanere a giocare li fino alle 4, che è un’ora in più di lui!” Lui smette di piangere, mi guarda in silenzio, sorride e dice “eh già” e mi inizia a raccontare di quello che ha fatto o detto L. come se nulla fosse.
Passata la crisi continuiamoa camminare. Duecento metri dopo passiamo accanto al parchetto con i giochi normalmente popolato di bambini. Solo che non c’è nessuno a giocare, perché è già buio e fa freddo e sono già tornati a casa. E allora si rimette a singhiozzare e a piangere perché …sono andata a prenderlo troppo tardi!!!! Vi risparmio il resto, ma nel tragitto a piedi fino a casa l’altalena emotiva ha compreso 4 crisi di pari intensità, e si tratta di 600 metri di strada.
Alla fine anche Pollicino ha iniziato a dare i numeri, perché quando il fratello urla in quel modo lui giustamente alla quarta crisi si agita un pochino, che povera stellina ha solo 18 mesi, ed è stanco anche lui dopo una intera giornata di lavoro al nido, ed anche il suo capace buffer emotivo ha bisogno di ricaricarsi.
Vi dico la verità che arrivati a casa avevo già dimenticato la mia voglia di giocare gioiosamente con i miei figli.

Questa non era una giornata particolarmente difficile, ma solo una giornata come le altre, ne più ne meno, e vi ho raccontato solo 600 metri di strada. Non vi ho parlato della frustrazione di non riuscire a scrivere la lettera S, dell’acqua del bagno troppo calda, della cena che non gradiva, della ginnastica acrobatica nel salotto di casa per usare un po’ di energia fisica rimasta, del cocomero che non gli compriamo mai (ma è novembre!!!) e tutto il resto che è successo lo stesso giorno.
Un bambino non amplificato probabilmente si sarebbe dispiaciuto di andare via dall’asilo ma forse lo avrebbe espresso con un’intensità minore, e forse poi si sarebbe anche dispiaciuto di non poter giocare con gli amichetti al parco giochi. Magari una delle due volte si sarebbe anche messo a piangere se era particolarmente stanco. Ma la sua giornata non sarebbe oscillata pericolosamente tra momenti di gioia irrefrenabile e rabbia, o frustrazione. Vi confesso di essere molto provata e stanca di questa altalena emotiva, ma sopratutto non voglio che lui la subisca, perché è paralizzante. Penso che sia molto bello che lui riesca a provare sentimenti così forti, che riesca a vivere emozioni con tutto il suo corpo, e non voglio togliergli o negargli questo suo modo di essere. Vorrei solo aiutarlo a trovare il suo ritmo, per riuscire a cavalcare i suoi sentimenti, a farsi guidare dalle sue emozioni, invece di essere perennemente sopraffatto da esse. Credo proprio che questa sarà la nostra sfida più grande.

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78 thoughts on “Un bambino vivace come gli altri”

  1. Mi rendo conto che sono passati diversi anni da questo post, ma sento comunque di commentare.

    Ho un bambino di due anni meraviglioso, sensibile e per certi versi sorprendente. Ne abbiamo passate parecchie (incluso un ricovero in una mother and baby unit in Inghilterra, dove viviamo) e ho deciso che non credo di poter avere un altro figlio. Mi sento spesso colpevole perché lo privo di un fratellino o una sorellina, e mi sono sentita colpevole e inadeguata più o meno per tutta la sua vita.

    Quando ho trovato libri e risorse sugli “spirited children” e il vostro sito dove altri genitori esprimono dubbi e pene simili alle mie ho cominciato a sentirmi un po’ meno un fallimento. È vero che è possibile patologizzare un bambino con le etichette, ma io non ho intenzione di passare le mie giornate a spiegargli come è amplificato. Però una volta che ho cominciato a leggere “Raising your spirited child” e “The happiest toddler on the block” (che non è principalmente per bambini amplificati, ma li cita spesso) mi sono sentita meno sola e ho cominciato a fidarmi di me stessa quando ai gruppi con gli altri bebè che a malapena si muovevano il mio già gattonava come una saetta a sei mesi già si tirava su e camminava appoggiandosi ai mobili.

    Posso dire con certezza che il mio sentirmi adeguata (“ma ho fatto qualcosa io per renderlo così diverso e irruente?”) era basato parecchio sul fatto che non ho mai incontrato nessuno con un bambino simile. E ovviamente c’erano altri motivi, come la mancanza di un aiuto al di fuori di mio marito, che anche lui era mezzo morto di stanchezza dopo mesi di sonno interrotto ogni 45 minuti. Io mi sentivo dire, quando dicevo che ero stanca “ma è il tuo primo figlio?”, “eh, sì, dormiamo poco tutti con i bimbi piccoli” e così via. E dunque no: secondo me l’etichetta mi ha aiutata. Ho trovato strategie che altrimenti non avrei trovato quando chiedevo consiglio ad altri genitori e mi davano strategie che non avrebbero funzionato mai con il mio bimbo ultra deciso e tenace. Hai voglia a lasciarlo piangere un po’, lui se lo lasciassi andrebbe avanti per ore. No, a me servivano proprio tattiche specifiche per il suo modo di pensare e quando le ho trovate, la vita è diventata più vivibile. Ne vale sempre quattro di bambini e sono spesso stressata, ma almeno mi posso dire che se ce la metto tutta lo aiuterò ad attualizzare il suo potenziale.

    E dunque grazie del sito. Trovare una comunità anche fra i miei compatrioti che capisce mi fa sentire ancora meno sola e mi da più motivazione di impegnarmi, di tentare di essere più paziente e , ahimè, di perdonarmi quando non riesco ad esserlo. È tutto un percorso. Alle volte sono atterrita dalla paura di non amarlo incondizionatamente, e di invidiare le altre mamme. Alle volte, sempre più spesso man mano che cresce, lo guardo quando si concentra così caparbiamente o dimostra un’empatia e una tenerezza al di là dei suoi anni e comincio a capire perché in un libro che ho letto una madre dice che noi siamo fortunati.

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    • Carissima T, grazie per il tuo commento. Confesso di essermi commossa al pensiero questo vecchio post possa ancora aiutare qualche genitore a sentirsi meno solo. Tieni duro, perché ora che sono dall’altro lato della barricata osservo mio figlio ormai quattordicenne, e sono orgogliosa di tutto il percorso fatto insieme. Ti mando un grandissimo abbraccio :-*

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  2. Ciao Serena. Come va adesso? Quanti anni ha il Vikingo? Io ho un figlio di tre anni che ccorrisponde alla descrizione e sono un po’ preoccupata. Grazie per il blog

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    • Ciao Laura, il Vikingo adesso ha 10 anni ed è un magnifico pre-adolescente. Si cresce, loro bimbi e noi genitori con loro, piano piano, un passo alla volta. Concentrati sul momento, affronta ogni passo con molta pazienza, e ripetiti come un mantra: è una fase. In bocca al lupo!

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  3. ciao, potresti spiegarmi come “gli stessi sintomi si manifestano anche nel papà e nella nonna”? Cioè, come si presentano le persone adulte “amplificate”? Che comportamenti hanno? grazie

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    • ciao, spesso gli adulti che erano bambini amplificati hanno un alto livello di energia, si impegnano in mille attività, sembrano non stancarsi mai. Ovviamente, si spera, abbiamo smesso da un pezzo con sbalzi di umore repentini o crisi di pianto improvvise 😉

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  4. Sei grande… complimenti sinceri. Giovedì stavo cercando di spiegare alla comportamentalista di mia figlia (sette anni) come vive e le dicevo che esaspera e accentua tutto. Quando ho letto il termine “amplificato” ho pensato subito che la ritraeva in pieno… lei non ha esplosioni di rabbia, ma ogni cosa che le accade o la rende euforica o depressa, ogni suo movimento o è da bradipo o è così veloce che non lo controlla ed inciampa o butta a terra qualcosa.
    Non è un etichetta è la spiegazione in una parola del modo di essere, di sentire e di agire di alcuni bambini. Grazie è stato utile leggerti.

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