Pay-gap for dummies

Il divario salariale tra uomini e donne è un problema non solo italiano, ma mondiale. È frutto di una discriminazione indiretta, dunque difficile da comprendere e valutare. Cerchiamo di spiegarla in modo semplice attraverso un uomo ed una donna fittizi: Clara e Enrico.

Foto di Armando G Alonso utilizzata con licenza Flickr CC

Entrambi si laureano e – stando alle statistiche – Clara ottiene un punteggio di un paio di punti superiore a Enrico. Mettiamo che sono fortunati (anzi, fortunatissimi), trovano impiego e, dopo vari contratti a termine, finalmente un contratto a tempo indeterminato. L’azienda (un modello esemplare) non fa discriminazioni di alcun tipo: Clara ed Enrico svolgono mansioni simili a pari stipendio.

Si conoscono e si sposano. Sono una coppia paritaria e i due stipendi li fanno vivere abbastanza bene. Con qualche aiuto familiare sono anche riusciti ad acquistare casa e il mutuo è sostenibile. Decidono di avere figli. Vediamo come ora tutto cambia.

Clara, per motivi economici, ritarda quanto più può l’ingresso in maternità, così da poter stare a casa un po’ più a lungo dopo. Alla nascita della bambina, lei ed Enrico discutono sul dopo. Non godono del supporto di nonni: il nido e l’eventuale babysitter si prenderebbero gran parte di uno stipendio. Cosa fare? Sono una coppia paritaria e discutono se è il caso che uno dei due lasci il lavoro. Clara per prima esclude che possa essere Enrico. Se infatti lei restasse incinta nuovamente, sarebbe costretta a stare in maternità a stipendio pieno un tempo inferiore a quello richiesto dall’allattamento ed economicamente per loro la situazione sarebbe insostenibile.

Decidono di continuare a lavorare entrambi, perché Clara teme che se lasciasse il lavoro difficilmente lo ritroverebbe dopo, soprattutto se decidesse di avere più di un figlio. E poi ci tiene alla carriera perché sa di valere e ritiene fondamentale l’indipendenza economica.

Al suo rientro dalla maternità però la situazione è cambiata. Enrico è stato promosso e ora porta a casa il 20% più di lei. Inoltre le mansioni di Clara sembrano essersi ridotte. La bambina ogni tanto si ammala. Chi starà a casa? Dopo la promozione Enrico viaggia e ha maggiori responsabilità, dunque Clara – per aiutare il marito e per amore della bambina – sceglie lei di farlo lei.

Di lì ad un paio d’anni Enrico viene nuovamente promosso e guadagna ora circa il 40% più di Clara: lui non manca mai un giorno di lavoro e può fare qualsiasi orario senza stress. Clara d’altra parte è costretta a stare a casa per le malattie della bambina almeno 3-4 giorni al mese e non è in grado di fare alcuno straordinario perché deve rientrare entro una certa ora. È stanca, stressata perché il lavoro è noioso e si sente in disparte, non è quello per cui ha studiato; non ha tempo per la bambina e – poiché Enrico ha maggiori responsabilità e orari più lunghi – la cura della casa è tutta sulle sue spalle. Andare nuovamente in maternità le pare una boccata di ossigeno.

Questa volta entra in maternità un po’ prima e ci resta il più a lungo che può e si chiede se ha senso per lei tornare a lavorare. Enrico è ormai prossimo alla dirigenza e se lei restasse a casa, potrebbe dargli ancora più tempo e spazio per l’avanzamento. Inoltre, il costo dei nido e della babysitter per i due bambini sarebbe superiore al suo stipendio che in pochi è salito pochissimo mentre quello di Enrico è quasi raddoppiato.

Clara però ci tiene al lavoro e rientra. Enrico da un lato è contento, ma dall’altro ha ormai cominciato a vedere le cose nella prospettiva che l’unico impiego che conta veramente è il suo, così quando Clara, stanca o intenzionata ad avanzare nuovamente nel lavoro gli chiede aiuto, lui si lamenta non solo perché i suo impiego è ora più importante, ma perché non ha mai neanche un briciolo di tempo libero.

Clara è frustrata sia sul lavoro che a casa, è indignata con Enrico che un tempo la supportava e ora storce il naso; è sempre nervosa. Non ce la fa. La vita è una lunga linea grigia di aspettative senza alcun ritorno o soddisfazione se non quello dei figli con i quali però riesce ad avere troppo poco tempo. Il matrimonio entra in crisi.
Enrico si sente trascurato: Clara non fa altro che lamentarsi, per cui sta a casa raramente e diventa assente per la moglie e per i figli.

Allo stremo Clara, chiede il part-time perché quei ritmi sono insostenibili. Ora Enrico guadagna il 200% più di lei e poiché non si sente più apprezzato dalla moglie, nonostante il suo duro lavoro e l’ottimo stipendio, si trova un’amante.

Quando Clara ed Enrico divorziano la sproporzione tra i due stipendi è immensa, una che né l’assegno di mantenimento o eventuali compensazioni sul TFR (Trattamento di Fine Rapporto) potranno colmare: perché? Perché nei 25 anni successivi al divorzio Enrico continuerà a guadagnare stipendi dirigenziali e a pagare elevati contributi. Clara tornerà ad un certo punto a lavorare a tempo pieno ma non otterrà mai la dirigenza, né le promozioni auspicate, inoltre a causa del suo basso stipendio e del periodo di part-time, il suo fondo pensionistico sarà irrisorio.

Quando Clara ed Enrico andranno in pensione, l’uno potrà ancora permettersi la barca a vela. Clara invece non ce la farà nemmeno a pagare un affitto.

Chiaro che a questo esempio vi sono infinite eccezioni (infatti nella media la disproporzione è di molto inferiore a quella indicata, in quanto la statistica valuta tutte le donne, incluse quelle che non hanno figli, che ne hanno uno solo o che per vari motivi guadagnano più degli uomini), ma diciamo che là dove la coppia decide di avere più di un figlio e lei non sia magari una libera professionista, oppure un luminare del suo campo, oppure ancora che gli stipendi di entrambi non siano fin dall’inizio molto elevati (tali da permettere loro babysitter ad orario illimitato e donna delle pulizie fissa – garanzia di orari estesi per entrambi i coniugi), credo che quest’esempio rifletta bene la media di una coppia di dipendenti uguali al punto di partenza.
Inutile dire che se invece di essere fortunati, Clara ed Enrico fossero appartenuti all’immensa schiera di precari molto probabilmente non avrebbero avuto figli, oppure Clara avrebbe perso il lavoro alla prima gravidanza per poi ritrovarsi anziana a vivere con una pensione sociale. Comunque sia, Enrico se la sarebbe economicamente cavata meglio.

Se qualcuno parla di scelte delle donne come causa della disparità non tiene conto di alcuni fattori importanti. Le scelte sono sempre determinate dalle condizioni esistenti. Nel caso di Clara abbiamo visto come la discriminazione subentri nel momento in cui deve rientrare dalla maternità dopo non solo aver perso il così detto ‘autobus’ della promozione, ma anche a causa dei costi per il nido. Sono fattori oggettivi che non sceglie ma che invece determinano l’evolversi di situazioni successive. Da un punto di vista economico, la donna al rientro dalla maternità è spesso costretta a dare priorità al lavoro dell’uomo perché a quel punto è già diventato più alto del suo.
È la cecità su questo aspetto fondamentale che impedisce le società ad intervenire per eliminare il divario.

Le cause sono le seguenti: il precariato aiuta l’industria ma danneggia principalmente le donne, che finiscono per avere una maternità non retribuita e perdere il posto di lavoro; il costo degli asili nido ha un peso effettivo sulle scelte delle donne e non quelle degli uomini; l’esclusione da ruoli di responsabilità al rientro della maternità ne ha invece uno addirittura determinante, soprattutto se avviene in concomitanza di promozioni delle controparti maschili.
All’interno delle famiglie influiscono le individualità, ma il rapporto paritario tra coniugi spesso è messo in crisi nel momento in cui si crea un forte dislivello economico tra le parti e il peso della cura dei figli e della casa ricade automaticamente sulla donna, la quale si trova inevitabilmente a destreggiare troppe cose sentendo di farle tutte male.
È una società che non discrimina direttamente ma in modo subliminale, creando un messaggio sottinteso che se la donna vuole avere parità economica non deve fare figli, mentre se decide di farlo, deve accettare che il suo luogo principale è la casa.

– post di Alessandra Libutti

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2 thoughts on “Pay-gap for dummies”

  1. Grazie, perché in questo articolo si spiega passo passo cosa accade da un certo momento in poi e perché si passa dalla parità alla disparità completa.
    Non so se ci siano soluzioni praticabili, ma tenere presente che l’indipendenza economica è fondamentale può essere un importante punto di partenza. Se vi si rinuncia si perde la libertà di scelta.

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