Diventare mamma e perdere il lavoro

Abbiamo ricevuto questa testimonianza da parte di una mamma, che chiameremo Anna, perché ci ha chiesto di non palesare la sua identità. Anna si è trovata a perdere il lavoro in seguito alla sua maternità. La sua storia sembra una come tante, una storia vera, che coinvolge persone la cui vita è cambiata per colpa di una mentalità retrograda. Anna ha perso il lavoro, ma ha trovato molto altro. Ha capito quali sono le cose importanti, ha rivisto i suoi valori. A pensarci bene, in questa lotta tra datori di lavoro e lavoratori, chi è che perde veramente?


Sono stata grafica pubblicitaria ed editoriale per 11 anni, prima che arrivasse la maternità. Purtroppo questo è un settore in mano a contratti co.co.co, co.co.pro, partite IVA e via dicendo, insomma le assunzioni sono proprio difficili da trovare. Ero una “dipendente mascherata” ossia una freelance a Partita IVA con soli doveri e nessun diritto trattata come una dipendente, insomma… Emettevo fattura ogni mese con lo stesso importo per dodici mensilità. Tutto questo è durato per nove anni presso un editore.
Dopodiché l’editore ha deciso di “esternalizzare” il reparto grafico ossia scorporare l’ufficio grafico facendolo diventare un¹azienda a parte con il capufficio come titolare. Finché eravamo sotto l’editore anche le assenze per malattia venivano comunque pagate, invece con questa esternalizzazione, molte cose sono cambiate.

Nonappena sono rimasta incinta, il capo, che sembrava molto umano quando si lavorava sotto un’azienda più grande si è trasformato in un orco. Scenate di fronte ai colleghi, alternate ad attenzioni e riguardi. Promesse di impiegarmi come risorsa esterna una volta diventata madre, con incarichi ben precisi: in particolare avrei dovuto tenere direttamente i contatti con il cliente più grosso (l’editore) per svolgere alcuni lavori. Questo era almeno quello che aveva raccontato a me. Invece al cliente chiedeva di non passarmi direttamente i lavori. Una volta restata a casa, qualche lavoro mi è stato passato, ma erano tutti incarichi già iniziati quando lavoravo in ufficio, di nuovo non arrivava nulla. Morale della favola: più sentito nessuno. E il bello è che avevo anche sostenuto una cospicua spesa per l’acquisto di una postazione… Quindi nel 2009 ho incassato si e no 1/3 dei compensi previsti dal contratto annuale firmato (ogni scusa era buona per non pagarmi il mese o trovare delle scuse). Questo dopo 9 anni di lavoro a stretto contatto con queste persone… Non ho proprio parole.
Poi le piccinerie gratuite: mentre alcuni colleghi raccoglievano i soldi per il regalo a mio figlio, lui non partecipò adducendo come scusa che in fin dei conti ero un¹ex-collega (il mio contratto era ancora valido e non l’ha rescisso mai fino alla sua scadenza nel febbraio scorso). Credo mi rivolgerò a un avvocato, anche se ci sto pensando… Di questa faccenda non vorrei proprio parlarne più e lasciarmela definitivamente alle spalle.
Tengo molto al mio lavoro, a quello che ho imparato, ma i rapporti umani sono deludenti e dettati solo dall’interesse personale. A causa di questi rapporti umani ho momentaneamente accantonato la mia professione dopo anni di sacrifici. Non vi era alcun motivo diverso perché con il mio contratto il datore di lavoro non aveva alcun obbligo, se non la propria coscienza, che a questo punto non credo possieda.
Credo che mi dedicherò a essere madre a tempo pieno per un po’, almeno fino a quando non avrò di nuovo il pelo sullo stomaco di sopportare certe schifezze.
Se rinuncerei alla maternità per il lavoro? MAI. MAI dopo quello che ho visto e provato sulla mia pelle. Tutti i soldi del mondo, tutti i lavori migliori del mondo non valgono un figlio. Perché la fine che fai quando diventi “inutile” è sempre la stessa: sei fuori.
E per diventare inutile non bisogna certo arrivare alla maternità: basta un’assenza prolungata per malattia… Che già non conti più come prima. Fra lavoro e famiglia preferisco la famiglia… Certo io ho potuto fare questa scelta, forse altri non possono. Però anche a chi crede di non potere dico che la felicità è importante e lo è anche la salute mentale. Non si può sempre e solo eseguire ordini con il sorriso sulle labbra, nessun diritto e non avere niente per sé.
Credo che per essere felici si debba rischiare. E rinunciare a volte a quello che si è costruito. Non tornerei indietro, MAI. Anzi cercherò di mettere a frutto per me quello che ho imparato. E se avessi saputo, avrei cambiato datore di lavoro MOLTO PRIMA.

Questa è la prima di una serie di testimonianze che riguardano maternità/paternità e lavoro che raccogliamo per promuovere l’iniziativa il CerVello di mamma e papà. Se hai un’esperienza molto positiva o molto negativa da condividere con noi, non esitare a contattarci, inviando una email con il tuo racconto a cervello @ genitoricrescono.com (togli gli spazi). Le testimonianze più significative saranno pubblicate in questo spazio. Grazie!

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3 thoughts on “Diventare mamma e perdere il lavoro”

  1. Ho letto il messaggio di Anna e mi sono emozionata, non per ciò che le è successo, visto che sta accadendo anche a me, ma per la sua forza di carattere e dignità che ha dimostrato. Brava Anna non dobbiamo dimenticare che siamo persone umane e che prima di tutto viene la vita. I figli sono dei bellissimi doni che ti sosdisfano di più di uno squallido lavoro! Sii forte perchè siamo in tante! Baci e auguri

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  2. Ciao vi racconto una situazione in cui ancora oggi penso come può, essere accaduta, sono un dipendente a tempo indeterminato in un’azienda di supermercati del sud, all’inizio promesse di crescita e infatti sono cresciuto avendo delle ottime qualifiche e benefit dopo 4 anni tutto è crollato sono stato demansionato e portato a fare il lavoro di tutti, va bene pur di mantenere il posto di lavoro, ma oggi oltre tutto un trasferimento fuori regione, insomma una vera persecuzione, io non voglio lasciare il lavoro perchè loro vogliono questo quindi andrò avanti spero di facerla lo faccio per la mia famiglia

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  3. A me è successa una cosa molto simile. Ho perso il lavoro un mese dopo aver partorito (il giorno in cui è nata mia figlia il mio direttore mi mandò un bel mazzo di rose e un biglietto di auguri, alla faccia dell’ipocrisia!). Anche io sono una professionista in un campo molto difficile e precario, il giornalismo. Non so quando rientrerò nel mondo del lavoro, finora l’ho schivato e schifato: in quell’azienda avevo investito e puntato, mollando il mio lavoro precedente (un contratto a tempo indeterminato) che ormai mi stava stretto. In un altro paese rischiare, buttarsi, puntare sulla propria professionalità, avanzare, mostrare flessbiilità e capacità di adattamento sono tutti elementi positivi. In Italia sei solo una povera scema. Ora mi dedico a mia figlia e penso di farne un altro, perché mai e poi mai rimanderei la maternità sine die.

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