Io sono profondamente convinta nel fatto che molti dei discorsi che riguardano la divisione di genere siano una faccenda principalmente culturale. Lo sono forse perché ho ancora memoria delle piccole ferite che molti commenti hanno lasciato sulla mia anima. Commenti apparentemente innocui, che però mi hanno fatto dubitare di me stessa. Sono una femmina. Eppure no. Mi piaceva giocare con i soldatini, il fucile, le ferrovie, le macchine radiocomandate. Sceglievo Big Jim su Barbie, Sandokan sulla bella Marianna, e amavo travestirmi da cowboy.
A detta di tutti ero un maschiaccio.
Non lo dicevano certo con cattiveria, no. Veniva anzi detto con leggerezza ed un sorriso bonario sulle labbra.
Un maschiaccio.
Mi ricordo la sensazione di non sapere se esserne contenta oppure no. Era una cosa che faceva sentire i miei genitori orgogliosi di me? Oppure era una cosa sbagliata, che però i miei genitori erano disposti ad accettare lo stesso?
C’era qualcosa di sbagliato in me? Avrei dovuto giocare con le bambole invece?
Mi ricordo quando mia sorella disse che voleva fare ginnastica artistica insieme alle sue amichette. Mi ricordo di aver pensato che mi sarebbe piaciuto provare a fare quelle ruote, le ribaltate, imparare a volteggiare il nastro disegnando in aria quelle forme inafferrabili. Mi ricordo di aver sentito mia madre dire ad un’altra mamma: “no, Serena, no. A lei non interessano queste cose” e così non l’ho mai chiesto. Perché io ero un maschiaccio, e i maschiacci non possono certo amare la ginnastica artistica.
Un giorno, avrò avuto 6 o 7 anni, mi trovavo a giocare al parco con un gruppo di bambini. I maschi volevano giocare a pallone. Le femmine volevano giocare a mondo. Io volevo giocare a pallone. Mi ricordo che uno dei bambini mi disse che non potevo giocare con loro perché ero femmina. Lo disse con disprezzo e superiorità, o almeno così mi è parso. Ho deciso di mettere subito in chiaro un paio di cose. Qualche minuto più tardi siamo stati separati da alcuni adulti presenti, perché i calci e i pugni che ci stavamo scambiando non erano propriamente uno scherzo tra seienni. Da quel giorno ho potuto giocare a pallone con loro, forse perché avevo dimostrato di saper menare le mani come i maschi, e quindi avrei potuto anche dare calci ad un pallone.
Il mio essere un maschiaccio mi ha insegnato a giocare seguendo le “regole dei maschi”. Rispondendo ad un attacco con un controattacco. Imparando ad essere aggressiva se necessario. Esercitandomi a trattenere le lacrime anche se dentro di me stava scoppiando l’inferno.
Ho vissuto la mia infanzia incastrata in un ruolo di mezzo.
Un maschiaccio.
Certo non è sempre stata così. Ci sono stati dei momenti in cui la mia femminilità ha preso il sopravvento, e soprattuto in adolescenza le cose sono cambiate gradualmente, anche se non non sono mai stata di quelle che giravano con lo specchietto in borsa, o che si scambiavano il lucidalabbra (un must degli anni 80! Gli anni del Tempo delle mele per capirsi).
Al liceo ho intrapreso la mia personalissima battaglia ideologica con la mia professoressa di ginnastica. Li si che venivamo fisicamente divisi tra maschi e femmine! Le femmine facevano ginnastica al ritmo di musica, si impegnavano in esercizi di atletica, e si arrampicavano sul quadro svedese, a volte veniva loro concesso di giocare a pallavolo. I maschi invece giocavano a calcio, pallavolo o pallacanestro. Io naturalemente volevo giocare con i maschi.
Fortunatamente crescendo ho capito di non essere un maschiaccio. Ho accettato di essere semplicemente una persona che ama fare alcune delle cose che normalmente sono dominio degli uomini, e altre che sono normalmente dominio delle donne.
So che posso piangere se ne ho voglia (e lo faccio), e so che maschi e femmine si comportano così seguendo degli schemi appresi, e non innati. Eppure quell’imprinting me lo porterò sempre dentro perché ha contribuito a fare di me la persona che sono.
Pensavo di avere ormai le idee chiare sulla mia personalità, credevo di poter avere il rispetto dei maschi perché avevo dimostrato di essere una con gli attributi giusti, e di poter essere femmina, perché, beh, si perché sono femmina, no?!
Finché mi sono trasferita in Svezia. Un giorno abbiamo organizzato una partita di calcio tra studenti, maschi e femmine, naturalmente mischiati. Ho iniziato a correre in campo come tante volte durante gli anni della mia infanzia e adolescenza, cercando di marcare gli avversari. Poi improvvisamente qualcuno mi ha passato la palla. Sono rimasta bloccata in campo come una cretina.
Mi avevano passato la palla. Dopo tanti anni passati a giocare a palla in cortile con i maschi, nessuno mi aveva mai realmente passato la palla. Come a dire “si, vabbè carina, visto che insisti e che noi siamo gente di mentalità aperta, puoi giocare con noi, ma la palla no, quella al limite, se ci riesci, te la conquisti da sola.” Solo che io non me ne ero mai resa conto. Solo in quel momento ho capito il significato profondo di questo gesto semplice. Non stavo giocando a calcio con i maschi, stavo giocando a calcio insieme ai miei compagni di squadra. Ero una di loro. Ne più ne meno. Ne maschio ne femmina. Ero una della squadra. Epperò io con quella palla che mi avevano passata non sapevo cosa farci, non ci ero abituata, quando mi è stata data la possibilità, non sapevo come giocare la mia partita.
E’ per questo che per rompere gli schemi di genere non basta concedere alle femmine di giocare con le pistole e ai maschi di giocare con le bambole. Bisogna andare oltre. Bisogna educare entrambi i sessi a giocare in squadra, per prendere quella palla e portarla fino in fondo, sfruttando ognuno le sue potenzialità. E la vittoria più grande non sarà quella di fare goal insieme, ma di essere certi che tutti i giocatori si stiano ugualmente divertendo.
Mi sono accorta che un mio commento precedente non è passato: volevo dirti anche io, Serena, è un post magnifico, toccante, che rende molto chiaro quanto sottili siano i messaggi che mandiamo e riceviamo quotidianamente – e che per quello che mi riguarda rende conto di un’aporia che riscontro spesso, cioè tra la percezione di vivere in una società misogina e la difficoltà di rendere in che cosa consiste questo, quotidianamente, quando le barriere principali e più odiose (l’impossibilità di fare alcuni mestieri, per esempio) sono state abbattute.
Che poi negli USA il calcio é sport “da femmine”.
Il mio prof, americano trasferito in Svizzera, un giorno disse a sua figlia “ma perché non giochi a calcio?” e lei rispose inorriditissima “ma é un gioco da maschi!”.
I negozi di giochi in Svizzera sono ancora piú segregati per sessi che in Italia, se é possibile.
Mai avuto fasi rosa, per fortuna, lo detesto anche adesso. Le mie bambole di solito finivano bendate, ingessate e col termometro in bocca, che volevo fare il dottore (non mi é riuscito, causa voto basso alla maturitá, sono biologa).
Ho iscritto mia figlia di 5 anni a minibasket, quest’anno. Alle lezioni di prova si era divertita. Da una mamma,di un maschio, mi sono sentita dire che le faccio fare sempre cose da maschi…(!)
Bah! 2010?(L’anno scorso, peraltro , faceva danza..)
Siamo noi adulti i primi a ghettizzare i sessi e poi ci soprendiamo se alle feste ci si divide in androceo e gineceo, che tristezza!
Questo post è davvero bello, l’immagine del compagno di squadra che passa la palla è davvero toccante.
Anch’io ero un “maschiaccio”, non dal lato sportivo in quanto pippa a 360°, ma facevo a botte, non mi piacevano le gonne (no ma ve li ricordate i kilt con lo spillone, de che stiamo a parlà??), avevo sempre la risposta pronta e sono sempre stata molto razionale, se vogliamo abbondare nello stereotipo uomo-pensante vs donna-isterica.
Devo dire però che credo di aver vissuto questa cosa nel complesso in modo sereno.
Non so spiegarmi bene come, ma forse proprio la mia famiglia “tradizionale” con mamma casalinga, genitori del dopoguerra che non sono stati molto coinvolti dal ’68 e dal femminismo, mi ha sempre dato stimoli “ad personam” e non “ad femminam”, spingendomi a studiare, a pensare, a crescere, a viaggiare.
Non ricordo una sola volta in cui mi abbiano detto “non si fa perché sei una bambina”, invece moltissimi i “non si fa perché è pericoloso/stupido etc”.
Avendo rinforzato il mio ego in questo modo, quando inevitabilmente ho cozzato contro commenti sessisti o comportamenti stereotipati ho sempre reagito energicamente. Ora mi ritengo una persona equilibrata, femminile a suo modo anche se certo non vado in visibilio per le tende…spero di riuscire a trasmettere la stessa sicurezza a mia figlia, sperando anche che nel frattempo le cose siano migliorate rispetto agli anni ’80.
Certo sarà un lavoraccio
Io ho un vissuto opposto a quello di Serena. Durante l’nfanzia ero molto bimba e ho avuto la mia fase rosa, chiedevo perfino ai miei di acquistare la macchina rosa (quella vera intendo) o, al limite, arancione…. Crescendo sono cambiata molto e ho preso le distanze da certi atteggiamenti considerati, a ragione o a torto, prettamente femminili. Non so dire quanto la fase rosa sia stata influenzta dall’ambiente che mi circondava, però sono sicura che quello che è venuto dopo (il cambiamento) è stato frutto di ragionamenti che ho fatto miei e di cui sono contenta…sarà quella che qualche post fa veniva chiamata strutturazione della personalità?
Io non sono mai stata un maschiaccio. Non mi piaceva il calcio, non mi piacevano le armi -complice un padre che le partite non le guardava e non le guarda, anche se invece mio fratello ha attraversato un lungo periodo di calcio dipendenza: ci si ribella alla famiglia anche così ;-). Eppure, anche le bambole non mi interessavano, e ora mi addormento se si parla di tende però non so truccarmi e non so vestirmi da donna. L’essere femmina è stato un problema, grosso, solo quando ho dovuto scegliere se fare figli o continuare per la mia strada. E ora, se provo a chiedermi se per le mie figlie ci saranno gli stessi ostacoli, mi rispondo che probabilmente la situazione, qui in Italia, sarà ancora peggiore. Per fortuna, lontano da qui, vedo che ci sono paesi in cui le cose vanno meglio 🙂
Serena, sono molto d’accordo con questa visione. Tocchi dei punti fondamentali e l’immagine di quel disorientamento per non saper giocare quella palla liberamente consegnata alla tua fantasia, al tuo controllo, alla tua competenza, mi sembra un’immagine molto bella. Penso anch’io che il clima generale in cui si cresce costituisca un elemento di condizionamento molto forte. Lo è stato per noi bambine- maschiaccio e “cattive” e poco allineate e lo è per i nostri bambini che devono costruirsi in un contesto complicato i propri modi di distinguere e scegliere. Aggiungo anche che spessissimo si ha veramente la sensazione di dover costantemente ripartire da zero come se certi valori dovessero essere sempre riguadagnati sul campo e questa è una realtà di fatto innegabile per le donne perché evidentemente la società – e i singoli? – non li ha maturati compiutamente e in modo equilibrato. Il problema è che poi questo dato di fatto purtroppo ci fa assumere un atteggiamento sempre in difesa. Come una specie di “eccesso di legittima difesa” per cui per difendere qualcosa che di sicuro va difeso, finiamo per colpire anche chi in molti casi sta facendo un faticoso percorso insieme a noi alla ricerca di nuovi equilibri, di nuove complementarietà. Così sembra stranissimo che qualcuno ci passi la palla perché siamo sempre state abituate a cercare di scartare l’avversario. Questo nostro atteggiamento però, secondo me, è dannoso se indiscriminato e non perché non è politicamente corretto essere “bambine cattive” pensare, difendere e anche incazzarsi ma perché in tutto ciò ci rimettono tutti donne, uomini e nuove generazioni di bambini (cattivi e non..). Come conciliare le due cose (difesa di certi valori di pari opportunità eguaglianza di diritti ecc ma nello stesso tempo costruzione di un modello di complementarietà ) non so. E’un discorso che dura parla da 40 anni. Sicuramente secondo me una riflessione su di sé, su quello che vogliamo per noi, su quello che non vogliamo ripetere con i nostri figli è doverosa e partire dalla propria esperienza privata – come si capisce da questo post e dall’impostazione generale tua e di Silvia – è come sempre una grande risorsa. E un’altra cosa che hai scritto mi sembra veramente importante : giocare la partita divertendosi (senza cedere al ricatto della necessità di difendere sempre o di attaccare sempre) perché solo divertendosi (che significa sprigionare la propria creatività, la propria passione e le proprie capacità qualunque sia la direzione scelta) si possono tirare fuori le risorse migliori.
Questo post è davvero commovente.
Mi sono ritrovata, anche io ho spesso fatto scelte maschili, mi sono ritrovata in contesti maschili volendo essere me stessa, ma riuscendoci con difficoltà..
Bellissimo questo post.
Speriamo di crescere una generazione migliore…
Che bell’articolo, alla fine mi sono anche commossa.
Maschi e femmine, fate quel che volete, qui i ruoli sono ancora diversi. E si, esistono ancora nelle riunioni di famiglia il gruppo umini (ma nel mio campione, niente cantina, sta sul divano 😉 ) E quello donne che ammira quadri, tinta muri e tende. Ecco, poi si, c’è anche l’alternativa bambini, ma ultimamente non mi basta più nemmeno quella!
@ Mauro
il tuo racconto fa il paio con la conversazione che ho letto sulla bacheca facebook di un’amica – ne parlavo nel post “ne maschio ne femmina”.
Ricevo via Facebook il seguente messaggio da un’amica:
“Dove iscrivereste un bambino di 5 anni ad un corso di ginnastica artistica?” E’ seguita una decina di commenti del tenore “Ma gli fai fare proprio ginnastica artisticaaa?” – la mia amica si è sentita in dovere di specificare che gli avrebbero insegnato le capriole e non a danzare con i nastri – finché è intervenuto il marito-padre dicendo che suo figlio è un vero maschio e gli piace stare in mezzo alle ragazze.
Ho sentito il bisogno di rimarcare pubblicamente che la sequenza di commenti era inappropriata e sessista, e i commenti si sono fermati, ma mi rimane il dubbio di aver fatto peggio.
@CloseTheDoor io credo che tu abbia fatto la cosa giusta. Non penso che certi discorsi possano essere lasciati incontestati, se non altro perché è mia convinzione che spesso si fanno senza pensare troppo. Se sei riuscita a far venire anche solo mezzo dubbio a qualcuno, allora ne sarà valsa la pena 🙂
Lanterna… ma rivedere la selezione delle tue amicizie, no? Scusami, ma chi è che parla di corredini e tende alle feste??? 😀
Penso che per certe donne sia più facile fare pace con la propria femminilità a 25-30 anni che non da piccole.
Io spesso mi sono definita (e talvolta mi definisco ancora) “un uomo gay nel corpo di una donna”: molto cerebrale, con schemi mentali molto simili a quelli maschili (nell’amore per la mia indipendenza, per esempio, o nella serenità con cui facevo sesso occasionale quando ero single), nessun interesse per la maggior parte dei discorsi “da donne”. Per dire, alle feste di solito io ero in cantina a bere e raccontare storie con gli uomini, mentre le altre stavano in casa a rimirare le tende o i corredi.
Sono tuttora così, ma ora ho anche un corpo. Femminile, capace di muoversi in modi che mi fanno sentire più bella e di condividere questa sapienza con altre donne. La danza ha fatto il miracolo: da quando ho cominciato a praticarla, sono completa.
Va da sé che, se qualcuno attacca a parlare di corredini e tende, dopo un minuto mi si può ancora sentire russare.
@Lanterna beh, sfido chiunque a rimanere sveglio se sente parlare di corredini e tende. Comunque a me già che alla feste ci si divida in uomini da un lato e donne dall’altro mi viene un nervoso! 😉
Anch’io, come te, sono sempre stata un maschiaccio: giocavo sempre coi i maschi con macchinine, a fare gare in bici, a fare i pirati e mi sono sempre sentita bene. I miei mi hanno sempre “assecondato”, una volta mi regalarono anche un fortino con tanto di soldatini ed io ne fui felicissima. I miei vicini di casa erano perlo più maschi e non mi hanno mai guardata a distanza perché ero di sesso diverso, anzi abbiamo sempre giocato insieme. A scuola, durante l’ora di ginnastica, si facevano sempre squadre miste, che fosse pallavolo o baseball. Ancora oggi preferisco la compagnia maschile per il semplice fatto che mi diverto di più coi maschi che con le femmine, mi ci trovo più a mio agio, non metto gonne ma pantaloni perché mi sento più comoda. Sono felice di aver avuto un maschio perché mi sento più a mio agio con le macchinine che con le Winxs. Hai proprio ragione, bisognerebbe proprio andare oltre, guardarsi l’un l’altro come persone e non come maschi o femmine, seguendo ognuno le proprie inclinazioni e la propria natura.
Eccellente post, come del resto i precedenti, forse da conoscente di vecchia data mi sto gradualmente trasformando in tuo fan. ;-D
Far giocare maschi e femmine insieme è necessario per una sana “competizione” anche nella crescita. Ti ricordi quante volte negli scouts quando giocavamo le partite miste la competizione tra maschi e femmine era alta, spesso c’erano marcature miste, ci passavamo la palla perchè le ragazze erano parte della squadra e avevano la stessa voglia di giocare e vincere dei ragazzi.
Mia figlia vuole giocare a pallone con i maschi, ovviamente la palle non gliela passano neanche se si fa verde. Dopo alcune volte che lei gioca a pallone, altri genitori ci chiedono del perchè io e mia moglie facciamo giocare mia figlia con i maschi con il rischio che diventi lo zimbello femminile della scuola.
Rimasi basito. I miei tentativi di ribattere erano vani, mi sembrava di essere un pesce, muovevo la bocca e non riuscivo ad emettere suoni, probabilmente il mio cervello (non sono un genio, non lo sono mai stato e mai lo sarò mai) si rifiutava di rispondere ad una domanda priva, secondo me, di ogni significato logico. Andai via scuotendo la testa, chiedendomi in che mondo viviamo.
La tua tesi che le divisioni hanno ragioni culturali viene confermata anche nel 2010.
Grazie, Serena, post stupendo, e l’ultima riflessione mi rimarrà dentro.
Io forse ero più “maschiaccio” di te, nel senso che a) lo sono rimasta anche in adolescenza (e anche dopo, e ancora adesso) e b) io ero fiera di esserlo, ma fiera fino in fondo.
Io a tre anni rubai gli attrezzi di mio padre e piantai chiodi nel tavolo (per fortuna quello suo da lavoro e non quello da pranzo…) e credo che non ringrazierò mai abbastanza i miei per aver reagito regalandomi una tavola di compensato e una manciata di chiodi tutti per me. Io a pallone coi maschi ci ho sempre giocato, perchè a scuola mia si giocava tutti insieme, ma noi femmine se non ci passavano la palla gliela facevamo pagare. Sul campo. Certo, alle superiori con le classi di ginnastica separate ho sofferto, e poi crescendo ho sofferto ancora, ma sono felice di aver potuto, nella realtà in cui sono cresciua, sviluppare quelle che erano delle mie passioni senza pressioni perchè fossi femmina.
@Barbara anche io ho passato delle fasi in cui ero orgogliosa, ma altre in cui ero confusa. Credo che ogni volta che si cerchi di categorizzare, mettere etichette, anche magari inventandone di apposite, si corre il rischio di limitare tutto l’altro possibile. Come genitori dobbiamo proprio impegnarci perché questo non avvenga.
@Mauro il tuo racconto mi intristisce, e mi scoraggia in parte dopo tutti racconti fatti finora da tanti genitori anche di femmine, che si impegnano per riuscire a dare un’educazione libera da stereotipi. Finché non ci si scontra con il mondo li fuori.
@Lizzina il fortino! Era il mio preferito! Meraviglioso 🙂