Genere e interculturalità

Quando mammamsterdam ha detto che stava scrivendo un post per noi immaginavo che avrebbe avuto tanto da dire, e infatti eccolo qui, denso di riflessioni come sempre. Il frutto di una testa pensante che guarda l’evoluzione culturale di 4 generazioni a cavallo tra Italia e Olanda

Quando si è saputo dell’armistizio della prima guerra mondiale mio bisnonno ha cacciato le donne dalla sala e con gli altri uomini hanno ballato il saltarello per festeggiare la pace. Questo bisnonno di tanto in tanto picchiava la moglie per darle quella che chiamava ‘una rinfrescata’, però avendo 9 figlie femmine, le ha mandate tutte fuori a studiare e tre sono diventate maestre, le altre hanno fatto comunque delle scuole. Fuori casa perché in paese si arrivava solo alla seconda elementare. Bene perché così alcune sono state in grado di mantenere mariti e figli grazie al proprio lavoro.

Quando mia nonna vedova viaggiava con mezzi di fortuna per tornare al paese del marito e recuperare almeno un paio di chili di farina come pagamento dai fittavoli per far campare i figli, diceva sempre che all’arrivo l’aspettava il marito. Perché le vedove all’epoca, chiunque aveva il diritto di mettergli le mani addosso.

Quando mio padre insegnava alle medie di una zona rurale si incazzava sempre come una iena con quei genitori che il maschio, anche se asino, doveva studiare, mentre le femmine, anche se brave, andavano in fabbrica a 14 anni. Perché erano femmine. Però anche me e mio fratello ci allevava diversamente l’uno dall’altra, e la cosa non ha fatto molto bene a nessuno dei due.

Io facevo a botte con i maschi che alzavano la gonna alle femmine alle elementari. Ma fondamentalmente era perché mi piaceva fare a botte. Mio fratello veniva pestato da tutti a scuola.Perché era un bambino buono e timido. È diventato un omone, tatuato e pierciato, con un vocione e anche se non fa a botte ha sempre l’aria di poterti tritare se non stai attento a come parli.

Poi, con la testa che ho e le incazzature che mi prendevo sulle storie di cui sopra, e il fatto che a 7 anni mio padre mi chiamasse la femminista perché lo dicevo che non era giusta la divisione dei ruoli in casa, che dire. Lo sapevo che in quell’ambiente non sarei mai stata felice, e me ne sono andata.

Cominciamo da qui: quando eravamo bambine noi madri più o meno attempate di oggi, in Italia c’erano le lotte femministe, abbiamo finalmente avuto una legge sul divorzio e una sull’aborto che di fatto liberavano le donne da tutta una serie di situazioni a volte impossibili. Quantomeno davano loro degli strumenti legali di emancipazione in più dal ruolo subalterno in famiglia.

Io credo che le nostre madri qualcosa ci abbiano fatto con quello spirito del tempo, qualche idea, chi più chi meno, l’abbiano assorbita. E noi? Stiamo tirando su i nostri figli da femministi? E i nostri compagni? E le nostre compagne? Siamo per la parità a chiacchiere, però a casa nostra poi siamo noi donne che cuciniamo ed è lui che afferra il trapano? (Da noi è così). Io credo che la domanda vada posta in prospettiva più ampia.

In questi giorni qui su Genitori Crescono si è parlato parecchio di differenza di genere, abbiamo sentito il caso estremo di Malin e Vide e tutte le opinioni in proposito. Giusto quello che dicono in molti, come si fa a prescindere dalla biologia? Se hai un pisello hai un pisello, c’è poco da adeguarsi.

E allora non ci facciamo illusioni, perché per quanto crediamo di essere equilibrate, per quanto crediamo di essere femministe, noi e il nostro ambiente bombardiamo talmente tanto i nostri bambini di messaggi in una direzione o nell’altra, che persino se facessimo tutti con coerenza e convinzione come la madre di Vide in un ambiente in cui tutti fanno lo stesso, state pure certi che non si scappa. Perché noi siamo cresciute con certi stimoli, magari annacquati rispetto alle nostre madri e le nostre nonne e le nostre bisnonne, ma sempre lì siamo.

Guardatevi i rating sull’Italia, per esempio questo o questo.

Io vivo nei Paesi Bassi dal 1994. Quello che riferiscono molte donne latine che stanno qui, che il maschio olandese manco ti guarda il culo o ti fa i complimenti, l’ho sempre considerato un grosso vantaggio (poi guardano, mica vero che non lo facciano. Ma sanno farlo con discrezione o rischiano che qualcuno gli dia una borsettata in testa). Ogni tanto mi ricapita un maschio ruspante italiano che ti guarda ostentatamente le gambe, ed è sempre un piccolo shock culturale, voglio dire, si nota subito.

E parlando di shock culturali, ci sono due cose da dire: secondo Geert Hofstede, un po’ il padre degli studi sull’interculturalità, uno degli assi differenziali che possono caratterizzare una società sono quello maschile-femminile. Sono femminili caratteristiche tipo la modestia (understatment), la cura, le emozioni, la tenerezza, la collaborazione. Le socialdemocrazie, in fondo, nascono in comunità con questo tipo di valori. Nelle società mascoline predominano l’assertività, la dominanza, il potere e la corsa alle prestazioni (ve la dico com’è e all’acqua di rose per chiarire il contesto, non apriamo una discussione su questo, semmai leggetevi Hofstede).

Insomma, non è che gli uomini olandesi siano tutti femministi e froci e le donne italiane tutte delle matrone asservite al maschio e ai figli. Però ci sono una serie di valori condivisi che variano a seconda del paese e senza stare a vedere le inclinazioni dei singoli (uomini teneri e stronze manager esistono in entrambi) diciamo che la società approva o disapprova certi modelli e certi comportamenti. E c’è chi si adegua, chi passa per asociale e chi se ne va in cerca di un ambiente più congeniale altrove.

In Italia abbiamo il presidente del consiglio che abbiamo, in Olanda il ministro delle Finanze (uomo) non si è ricandidato per poter seguire i figli che vedeva troppo poco. La segretaria del mio partito preferito è stata nominata che aveva da poco avuto due gemelli (e con il partito in questione che aveva perso posizioni), uno dei quali pure laborioso da seguire, come certi neonati che ti fanno venire i capelli bianchi dalla preoccupazione anche se poi stanno benissimo. Suo marito ha ridotto il lavoro e si è messo a lavorare da casa. Lei ha risollevato il partito, ma andava in parlamento con le occhiaie fino ai gomiti.

Io mi sono innamorata di mio marito per questo suo enorme senso materno. Alla nostra casa dello studente aiutava tutti gli imbranati, si faceva fare le diagnosi al telefono dalla madre medico per il tarantino in attacco di favismo (“Fai vedere la lingua? No, mà, non mi sembra particolarmente sporca, un po’ grigiastra si”). Poi è nato Ennio, lui è stato licenziato ed è stato a casa 18 mesi, poi ha trovato un lavoro e si è lanciato nel recupero del tempo perduto e io mi sono ritrovata incinta, con un bambino di un anno e mezzo, il lavoro, la ditta, la casa scomoda e senza macchina e me la sono dovuta vedere da sola.

In quegli anni ho considerato seriamente il divorzio, tanto sola per sola, avrei avuto più potere decisionale, non avrei dovuto stirargli le camice e un weekend su due l’avrei avuto per me. Ma siccome l’ho sposato anche per altri ottimi e validi motivi, me lo sono tenuta. Io però di fare il genitore predominante non l’ho mai scelto, e forse neanche lui quello di fare il genitore che paga il mutuo e torna tardi la sera.

I miei figli da piccolissimi avevano soprattutto amichette, la tenda in camera rosa, i vestitini allegri e giocavano con la cucinetta. A quattro anni a scuola è iniziato un pelo di stigmatizzazione su vestiti, colori, decori.

Però il concetto di bagno dei maschi e bagno delle femmine l’hanno imparato in Italia da mia nipote e ci ho messo anni per portarmeli dietro in bagno nei luoghi pubblici (li trascino). Però dopo che sono stati 10 giorni in colonia in Italia si insultavano dandosi della femminuccia (e ho dovuto incazzarmi parecchio su questo). Però il complesso dei capelli lunghi (poi, lunghi per modo di dire, alle orecchie) che gli piacevano tanto a Orso gliel’hanno fatto venire in Italia (“Ma sei un maschio o sei una femmina” a cui avrei voluto rispondere “Ma ti fai i cazzi tuoi o non te li fai? Si chiama Orso, mica Orsa, ci senti o non ci senti?”). Lui il secondo giorno ha chiesto di taglierglieli per poi pentirsi amaramente rientrato in patria.

A scuola in Olanda nessuno gli fa commenti sui capelli più o meno lunghi. A scuola ci provano spesso a mettersi nei banchi i maschi e le femmine tra di loro, ma le maestre li mischiano e li fanno lavorare insieme per vedere se certe scelte dipendono dalla pressione del gruppo o dalle preferenze individuali. E nella pausa li vedi anche giocare moltissimo insieme, a calcio le squadre sono miste, e così quelli che infilano perline. Certe cose sono sempre no go per i maschi, ma nessuno degli amici li stigmatizza troppo.

Però quando Orso ha voluto fare balletto si è informato se fosse anche da maschi (e si, che il problema sia sentito lo vedo dal fatto che un paio di scuole di danza hanno anche una classe di soli maschi, ma magari è una questione tecnica come in certi cori di ragazzini). E quando l’ho portato a fare attività creative all’inizio si è chiesto: ma perché ci sono solo femmine? Ma la volta dopo c’erano anche un sacco di maschi.

Io non penso che esistano culture dove l’esser donna di per sé sia una situazione privilegiata rispetto all’essere uomo, vedo invece che ovunque, dove più dove meno, esistono delle stigmatizzazioni al femminile, se non a livello collettivo comunque a livello individuale. Vedo anche che per superarle ci vogliono grossi sforzi collettivi e imposizioni dall’alto. Per dire che se da noi le donne possono guidare la macchina, uscire di casa anche se non accompagnate da un uomo parente, lavorare, votare, e scegliere con chi sposarsi, non sono cose arrivate per grazia divina, ma il frutto di lotte anche feroci. Non ce le hanno regalate gli uomini certe cose e neanche le donne, ci sono stati certi uomini e certe donne per cui questi obiettivi erano sacrosanti e hanno dedicato la propria vita e il proprio lavoro a questo.

E che certe conquiste che diamo per scontate non lo siano affatto, è solo questione di tempo. Vedi i ciclici e violenti attacchi a una legge come la 194, che in fondo sancisce l’autodeterminazione delle donne in materia del proprio corpo e della propria sessualità, e ti rendi conto di quanto l’idea che una donna decida da sé sia scomoda, per certi gruppi di pressione.

Vedi come le violenze e le aggressioni in casa siano quasi sempre e solo a danno delle donne. Vedi come tutta una serie di comportamenti siano limitativi della nostra libertà di movimento e imposti culturalmente.

Cosa consideriamo come abbigliamento formale elegante? Per lei il tailleur con la gonna stretta, per lui il doppiopetto e le scarpe allacciate. Lei così combinata non può correre dietro a un tram o sfuggire a un aggressore, lui invece volendo ci salta pure lo steccato come fa il tipo dell’olio cuore. La gonna stretta, i tacchi alti, le camicette con le manichine immobilizzanti (presenti le giacchine avvitate? Ci sieme mai andate in bicicletta? Non arrivi al manubrio), sono bellissime ma scomode. Il nostro ideale di bellezza ed eleganza è basato su una donna che meno si muove meglio è.

Allora, ricordiamoci che maschi o femmine, noi i nostri figli li tiriamo su in questo contesto. Che dobbiamo non solo trasmettergli certi valori di uguaglianza, se ci crediamo, ovvio, ma anche insegnargli che non si deve mai mollare la presa. Che se una pubblicità è sessista noi quell’oggetto non lo compriamo, per quanto ci possa piacere. Che tutto questo costa tempo, sforzo e fatica. Come Serena che si mette a guidare anche se non ne ha tutta questa gran voglia.

Si comincia dalle cose piccole per arrivare a quelle grandi, nel bene e nel male. E nessuno ha mai detto che sia un processo rapido e indolore. Però sul lungo termine, e torno agli esempi dell’inizio, qualche miglioramente si vede. Basta non mollare.

State ancora chiedendovi se siete obiettivi nell’educazione dei figli? Io è da un sacco che non ci spero più. Però ci provo.

Prova a leggere anche:

Previous

Scegliere il sesso

Un maschiaccio

Next

12 thoughts on “Genere e interculturalità”

  1. eeehhhh, Toni, Toni… abbiamo un paio di papà / nonni sui quali costruire un altro mese dedicato al ruolo paterno, o meglio al ruolo maschile nella crescita. Ti teniamo d’occhio, non ci sfuggirai!

    Reply
  2. dimenticavo di ricordare a mamikazen che anche Tetide tirava su Achille come una femminuccia coi canolòti, il ricamo, la danza, ma quando Ulisse cercò di portarlo con sè alla guerra, bastò che gli mostrasse la spada e lo scudo: il maschio si risvegliò immediatamente
    hai presente quel fattore xx-xy?

    Reply
  3. Ehi! Ecco il post del maschio latino! Per la verità un po’ trasgressivo, da buon sessantottino che le bandiere rosse non le ha mai considerate anemometri che aiutassero a capire da che parte tirasse il vento, ma solo un aiuto a sognare un mondo migliore. Ora che faccio il nonno-baby-sitter ho cominciato prima con la nipotina e sgridavo mia figlia se le prendeva vestitini rosa e mi sentivo in colpa se le dicevo che era bella invece che forte. Na volta l’ho sognata a 15 anni coi tacchi a spillo e poi ho fatto una testa così ai suoi genitori. Adesso sono col maschietto e con lui ho perso ogni capacità di resistenza: è il bambino più bello del mondo e basta, così come la sua sorellina, tanto per non fare differenze.
    Per la verità mi guardano con un po’ di sospetto, a vedere un nonno che cambia pannolini, lava culetti, prepara pappe canta ninne nanne, ma io gli dico che non sanno godersi la vita. Quando la mia nipotina mi ha detto che sono il suo nonnino preferito io mi sono letteralmente squagliato. La tenerezza che ti sanno regalare i bambini è qualcosa di straordinario, “che provar non può chi no la pruova”. Quel vecchietto rifatto, truccato, pitturato, coi capelli finti che crede di avere il diritto di divertirsi portandosi a letto le ragazzine deve avere qualche rotella fuori posto, insieme all’impianto idraulico da 20.000 euro. E non sa cosa si perde.

    Reply
  4. Sono cresciuta con una nonna lavoratrice, figlia di lavoratrice (mia nonna faceva la stiratrice in una lavanderia, la bisnonna era “a servizio” a fare le pulizie) che riguardavano il lavoro al femminile come una cosa da poveri, che appena puoi ti trovi un marito e smetti di lavorare, non come una cosa positiva.
    Tutte due i mariti li avevano sí trovati ma pure persi, una vedova 2 volte di fila, l’altra abbandonata con 2 bimbi in collo dal nonno mandirllico.
    Mia madre, che aveva cominciato a lavorare prestissimo come commessa (e le piaceva un sacco) dopo il matrimonio dovette smettere di lavorare perché “non stava bene che la moglie del direttore (di ristorante) lavorasse”. Poi peró a 50 anni si ritrovó a fare la donna delle pulizie per via di rovesci economici e sfighe varie. Poi ricominció a fare il suo lavoro originario, la commessa, e ha smesso solo perché altrimenti avrebbe perso la finestra per la pensione.
    Il ritornello, con la nonna, era “ma cosa studi a fare, tanto a vent’anni ti sposi e smetti di lavorare“, quando mi vendeva fare le ore piccole sui libri, oppure “quando ti sposerai e avrai una casa tua farai come ti pare”, come fosse impossibile per me andare via di casa per i cavoli miei. Da piccola giurai che non mi sarei mai sposata, rispondevo sempre alla nonna “io non mi sposo, voglio fare la maestra/il dottore”.
    Credo che l’allergia mi sia rimasta, sono 10 anni che convivo* ma l’idea del sí istituzionalizzato con timbri, pizzi e confetti mi fa accapponare la pelle.
    Da brava secchiona quando me ne sono finalmente andata di casa é stato verso l’Olanda, con una borsa di studio, rigorosamente da single.
    Peró parlando di estero mi é capitato, in Svizzera, di andare, in preda a crisi depressiva da supervisor stronzo e tesi di dottorato che non decollava, da una psicologa femmina, e di sentirmi dire che “non avevo l’aria da scienziata ma da casalinga” e che “i miei problemi si sarebbero risolti sposandomi e facendo un paio di bambini”.
    Come? Prego?
    Certo che essere a mezza Europa di distanza dall’appena incontrato moroso, che era in Olanda, non mi aiutava a essere piú serena, ma mi sono chiesta se avrebbe dato lo stesso consiglio a un maschietto con gli stessi problemi esistenziali.

    Reply
  5. Evviva la Ba, come sempre. Anche io figlia di mamma che si è impegnata per avere i diritti e non trovo giusto che appena appena c’è un filino di crisi chi ci governa ne approfitta per infilare lì – zac – che facciamo qualche passo indietro, la solidità della famiglia, il ruolo della donna nell’economia domestica… e poi l’evergreen, non andate in giro con la gonna corta perché poi vi stuprano… e i miei figli sanno che possono fare quello che vogliono perché sono esseri umani liberi, finchè non danneggiano o non fanno violenza al prossimo. Uno va a danza e vuole farsi crescere i capelli, l’altro adora giocare con pentoline, padelle e corone da principessa (e la commessa del negozio, strillando: no, amore, non puoi averli, questi sono da femmina!… non sa che ha rischiato la vita…) anche se è pisellocentrico già a tre anni. Io ho metto i calzoni quando mi pare, la gonna quando ho voglia, alcune volte anche lo smalto prugna a pallini rosa e le antennine da extraterrestre.
    L’educazione sentimentale è fondamentale, come ha detto Emy, aiutare i propri figli a sentire, riconoscere, accettare e rispettare le proprie emozioni e quelle di chi sta loro vicino, che sia maschio, femmina, misto, gatto, cane, presidente della Repubblica, cameriera slava del ristorante preferito o camionista stanco all’autogrill.

    Reply
  6. Mammamsterdam vuoi diventare mia amica?
    🙂
    Scherzi a parte, che bella lucidità, intelligenza, sensibilità.
    Ti leggerei anche se fossi uomo. Anzi, gli uomini ci/ti/vi leggono? Sarebbe bello sentire cosa ne pensano, dall’Italia dall’Olanda o dalla Francia (fate vobis a seconda del paese in cui vivete).
    Qui dove abito io (Francia) ho come l’idea che la donna non stia meglio che in Italia, anzi. Vedo ohimé esempi di finto-evoluzionismo: l’84% delle donne-madri sono occupate. Fanno le madri+mogli+manager. E hanno quasi tutte 3 figli (spesso a mitraglietta, con 1 anno di differenza tra loro). Ma sono anche quelle che portano i figli a scuola, che tengono la casa (sporca e disordinata ma se ne “occupano” loro), che fanno la spesa e che portano i bimbi dal pediatra. Vedo un sovraccarico che non mi aspettavo di trovare, paese nordico ed evoluto che pareva.
    Se la donna deve essere una donna che fa la donna + fa l’uomo, ragazze non ci siamo. Quelle che hanno lottato per la nostra – recente – evoluzione si dovrebbero incazzare forte. Siamo evolute, ci hanno lasciato spazio ma ce lo hanno riempito di brutto, e ancora le donne sono ingabbiate in ritmi/modi/tempi che secondo me non sono la VERA libertà.
    Vedi il tuo racconto: 1 bimbo piccolo, incinta, dovevi fare la manager maschile e la mamma femminile: oplà cambio cappello e ho un nuovo ruolo. Uno in più.
    Dove sta il giusto?
    Un abbraccio a tutte, ragazze

    Reply
  7. @Barbara: Grazie per il post, anche io come Silvia mi ci incanto sempre….
    @Silvia: anche io mi arrabatto sempre per dare alle bimbe dei modelli diversi, ma poi vuoi una cosa vuoi l’altra, vuoi che lui è dipendente-ma-non-può-prendere-mai-permessi, vuoi che io sono libera professionista, alla fine le incombenze toccano spesso e volentieri a me, soprattutto portare e prendere le bimbe e cucinare, che sono le cose che loro vedono di più. Poi la sera dopo cena spesso io recupero lavorando e lui magari stira, o stiro io e lui fa la cucina, ma a quel punto le bimbe sono già a letto, e l’esempio l’hanno avuto già…

    Reply
  8. Io sono nata e cresciuta in una famiglia in cui non si sentiva proprio sbilanciamento tra maschi e femmine.
    Però è importante e bello che siamo diversi, non è una diversità in quello che si fa , ma “come ” lo si fa…mio papà lavava i piatti in modo diverso da mia mamma, nè peggio nè meglio…solo diverso, e questa è una cosa bella.
    Io faccio da mangiare in modo diverso da mio marito, lui è più bravo a preparare alcuni piatti , e io altri.
    Non esiste che io debba fare alcune cose solo perchè sono donna, perchè come ho imparato io può imparare anche lui, ed è bene che tutte le persone siano in grado di gestirsi la casa e la vita…però lui venendo da altri schemi, ha più bisogno di tempo per capire.
    Se io stiro, lavo e faccio da mangiare è perchè ho effettivamente più tempo, non perchè sono i miei compiti.

    Dici bene che si parte dall’educazione, bisogna anche non trascurare l’aspetto emotivo, molto spesso ai maschi, più che alle femmine viene impedito di poter viversi i propri sentimenti: devi avere coraggio (non puoi avere paura)”non piangere dai che sei un ometto” …come un ometto? no sono un bambino ed ho tutto il diritto di piangere tutte le lacrime che mi servono.

    Però anche nell’aspetto pratico non ho mai fatto distinzioni, solo assecondato. Pronta anche a rimettere le cose a livello di persone se qualcuno cominciava a stupirsi o sottolineare.
    Non mi è successo spesso per fortuna.

    Reply
  9. Io quando Mammamsterdam racconta storie di famiglia, mi incanto. Sarà che mi risuona nella mente il suo meraviglioso “Statale 17”, sarà che ci rivedi tutte le famiglie italiane tanto diverse, ma un po’ tutte uguali…
    Poi in questo post (post? articolo? saggio breve? racconto?) mi ci ritrovo proprio. Perchè io ho sempre la sensazione di provarci, tutto li. Perchè poi nella testa di tuo figlio entrano delle idee che non sai da dove le ha prese, che sembra quasi che si respirino nell’aria. E tu sei li a smentire, a spiegare, a chiarire, insomma a provarci. Ma poi, il padre è rientrato dopo le otto e a fare i compiti con lui c’ero io, andando a studio molto più tardi di quello che avrei dovuto. E la cena l’ho sempre preparata io, ma del resto, che vuoi, ora va così. Perchè ci sono anche contingenze, momenti che uno dei due non si può tirare insietro, che con questi chiari di luna non è proprio il caso di girare le spalle al lavoro. Però poi pensi che lui con queste immagini ci sta crescendo. E speri che basti quel provarci, che basti spiegare e crederci.
    E poi magari se qualcuno scrive quelle cose che ogni tanto pensi, magari ti senti anche un po’ meno sola e preoccupata.

    Reply
  10. mi sa che a me nessuno mi ha mai gridato “a bbbbbonaaaaa” (sono di Roma) dietro comunque. Beh, o sono brutta o i miei bicipiti da pallavolista intimidiscono….

    Reply
  11. Scherzi? E io che mi sfogo con tutte le figlie femmine delle amiche a compragli trine e rosa e puttanate varie.

    Io mica dico che non mi piacciono i vestiti o i tailleur avvitati(che quanto mi stanno bene, signora mia).

    Però ‘sti maschi in val padana, un bel completino in lino carta da zucchero o lino grezzo, glielo ha mai proposto nessuno?

    È culturalmnte determinato, mica altro, anche se una volta ho visto la foto di un poliziotto nel Pacifico con la camicia bianca inamidata e il sarong.

    Poi a me piacerebbero anche tutti quegli stilisti giapponesi tanto minimal-chic che ti vestono a forma di sacco, nessuno mi ha mai gridato ‘ah bonaaa” con addosso uno di quelli.

    Reply
  12. Grazie, bellissimo post. Solo su una cosa (molto marginale) mi sento di dissentire in parte: il concetto di eleganza. Ho sempre pensato che fosse uno dei vantaggi sociali di essere femmina, l’avere la libertà che abbiamo nel vestire in occasioni eleganti. A noi sono concesse gonne e maniche corte e una libertà di gusto molto maggiore che agli uomini. Ma vi è mai capitato un matrimonio a metà luglio in val padana? a me si. Uomini tutti in giacca scura e cravatta o farfallino. Ragazzi come sudavano…. Però sul movimento hai ragione, anche se ultimamente nei negozi eleganti (specialmente d’inverno) impazzano i completi a pantalone.

    Reply

Leave a Comment