Fra le tante idiosincrasie dell’avere due vite in sequenza, in due nazioni diverse, ci sta senz’altro, se il secondo paese è anglofono, quella musicale. Esiste un preciso spartiacque linguistico, una volta ambientati nella vita nuova ed entrati in nuove logiche, un Prima e un Dopo. Nel Prima, in fondo in fondo, al di là di velleità poliglotte, Prisencolinensinainciusol e Stayin’ Alive presentano lo stesso livello di comprensibilità. Nel Dopo, si inizia ad ascoltare meglio (da cui le varie epifanie quando ti capita di sentire un pezzo vecchio: aaaahhhh, era quello che diceva!).
Insomma, giorni fa stavo alla tastiera, cuffiette infilate, quando la magia della selezione random (coincidenza 1) mi tira fuori questa robetta qui. Per chi non volesse partire per la YouTube-tangente, la canzone (She’s Leaving Home) parla della fuga di casa di una ragazzina che, in un fulgido esempio di sintesi anglica, sfruttando la pronuncia identica di leaving (lasciare/partire) e living (vivere) – is leaving home after living alone for so many years – va via di casa dopo aver vissuto da sola per così tanti anni. Una frase che ti racconta un romanzo, la ragazzina è sola, anche se vive con i genitori: l’incomunicabilità, il gap generazionale. Ora, questa era una delle mie canzoni preferite del Prima, e anche in tempi non sospetti, inclusa nel primo LP che mi ero comprata con i miei soldini. Mi ero anche spinta (ma come facevamo senza Google? Boh) a studiarne le parole, riposizionando millanta volte la puntina sulla traccia del vinile (e so’ anziana, lo so!). Quindi l’altra mattina ero lì che mi apprestavo ad intonare il refrain: “sheeeee… is leaviiiiiiing…”. Solo che poi mi son bloccata. Perché le orecchie da Dopo hanno iniziato a registrare le parole, e in particolare il magnifico contrappunto (autoreferenziale, ma passatemi la coincidenza 2), in cui i sommi Beatles fanno parlare i genitori. I contrappunti, dunque, che non avevo mai calcolato granché, sono stati per una volta registrati a livello conscio, e son rimasta lì, le mani arcuate a mezz’aria sulla tastiera, gli occhi vacui sul documento sul video senza vederlo. Per quando eravamo arrivati al terzo contrappunto, mi son ritrovata a singhiozzare senza ritegno.
Sì, perché anche diventare genitori sono due vite in sequenza, in fondo, che le esperienze umane hanno questo di bello, che sono ecologiche, un po’ tutte riciclabili, sicché alle volte anche qui capita di sentire cose che appartengono a Prima, e te lo ricordi benissimo che cos’erano, quella eri tu, ma essere anche consapevoli di Dopo, che anche quella sei tu. Così, visto che una contraddizione in più non ce la facciamo mancare mai, provi due cose opposte allo stesso tempo. Sei lì che fai il tifo per la ragazza che se ne va perché basta, qui non sono io, qui sono claustrofobica, devo andare, devo farlo, ora: “one step outside, and she’s free” e la senti anche tu, perché te la ricordi benissimo, la sensazione inebriante di libertà dell’aver varcato la soglia. Ma allo stesso tempo ti colpisce come una mazzata la mamma che sulle scale dice “daddy, our baby is gone!”. Lennon/McCartney avevano venti anni o poco più quando hanno scritto il pezzo, e ovviamente si sente che prendevano le parti della ragazza. Ma, allo stesso tempo, perché uno mica diventa un Beatle per caso, mettono in bocca ai genitori, nei contrappunti, un crescendo di presa di coscienza, una proiezione nell’universo genitori mica da ridere. All’inizio aggressivo: come ha potuto farci questo, noi le abbiamo comprato tutto quello che si poteva! Poi, ridimensionato: abbiamo lottato talmente duro per andare avanti (e già qui il mio Dopo si cominciava ad identificare). Infine straziante: cosa abbiamo fatto di sbagliato? Non sapevamo fosse sbagliato. Su questo verso, i singhiozzi. E meno male che ero da sola.
Tutto questo (coincidenza 3) succedeva mentre stavo da un po’ rimuginando sul contr.appunto di Silvietta-dal-lato-buono-della-forza e su quali fossero realmente le mie paure, come madre. Che cosa mi faceva male della canzone, davvero? Che comprendevo meglio quello che devono aver provato i miei quando hanno capito che il periodo-studio in UK non sarebbe finito? (Nota: io non sono scappata di casa, eh? Anzi! Ma credo ugualmente che per loro sia stata dura da accettare, e una totale rivelazione, il fatto che non avevo voglia di tornare indietro). Insomma, ero preda ancora una volta del dèmone aridaje, oppure mi faceva male il pensiero di poter essere un giorno io quella in piedi sulla scala che si accorge improvvisamente che i suoi figli sono soli anche se vivono con me?
Ed ecco allora la consapevolezza, la riaffermazione di una decisione presa ormai da tanto tempo: paura non avere!, e soprattutto, paura non mostrare!. La mia mamma è sempre stata una mamma dolcissima e affettuosa, ma anche iperansiosa, una mamma che ci voleva sempre accanto, non abbiamo mai dormito fuori casa da soli, per dire, neanche dai miei nonni. Quest’ansia mi è cresciuta dentro come una malattia, quest’ansia mi faceva stare male quando pensavo al fatto che lei potesse “preoccuparsi” per me, quest’ansia ha bloccato sul nascere tante, neanche iniziative, ma proprio pensieri in embrione, quest’ansia mi faceva sentire in colpa quando uscivo con gli amici. Mamma si preoccupa, pensavo quando da piccola mi sentivo male di notte, e cercavo da sola di trovare soluzioni autonome senza farla svegliare. Ora magari, col senno di poi, non era vero. Magari se avessimo parlato un po’ di più non mi sarei tanto angosciata. Magari a lei non sarebbe sembrata tanto sorprendente la mia partenza, e a me tanto colpevole, pur con il fatto che penso che partire sia stata la cosa migliore che abbia mai fatto, e quasi in trance, come se spinta da una forza superiore. Insomma, tant’è, non posso tornare indietro. Quello che posso fare è NON fare lo stesso come mamma, fare altri errori sicuramente, ma non questi. Regalare ai bimbi la leggerezza. La leggerezza di non pensare a noi, che noi stiamo bene e siamo contenti, con o senza di loro. E anche la leggerezza di poter partire, andar via, seguire i loro sogni senza zavorre: quando immagino i miei bimbi da grandi li vedo altrove, presi dai loro progetti, una telefonata ogni tanto, giusto per, oppure anche no, tanto anche io non vado molto daccordo col telefono. Mi pare di starci riuscendo, la loquacità di mio figlio grande, la sua assoluta mancanza di remore nel chiedermi le cose in modo diretto mi fa ben sperare.
….
Ah, dimenticavo, le altre coincidenze. A parte quella banale di essermi trasferita proprio a Liverpool (coincidenza 4), cercando il link alla canzone da includere nel post, Wikipedia mi conferma che She’s Leaving Home fa parte dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e mi rivela che l’album uscì il primo giugno 1967. Una settimana esatta esatta dopo il giorno in cui, come si dice, ho visto la luce (coincidenza 5).
(PS: questo post è dedicato a CloseTheDoor)
riconosco tutto.
Supermambanana
mi era sfuggito questo tuo post, non so come. Ho il groppo in gola,
grazie grazie grazie
e grazie
Close the Door
@Owl, grazie. Veniamo tutte da una societa’ in cui la paura e’ lo status quo (volenti o nolenti) e ogni azione, ogni novita’ e’ percepita come un azzardo, a volte anche le piu’ banali, quindi dobbiamo lottare su noi stessi innanzitutto, purtroppo. Tornando al discorso che facevo nel post precedente, sui consigli non richiesti, il vociare maggiore lo sento sempre quando decido di far qualcosa, e mai quando decido di stare ferma (sia in senso letterale che figurato), ed e’ sempre un atto di forza quello di dire, e no, non mi fregate, io non ci casco! 🙂
Stupendo.
Oggi mentre andavo in giro in bici con mio figlio nel seggiolino rimuginavo proprio sulla paura. Sull’ansia che spero di non passargli.
Pensavo a come sarebbe bello se come genitore riuscissi a dargli i mezzi per “difendersi e andare” da solo.
Penso che se riuscirò in questo sarà la mia più grande vittoria.
@Silvietta, grazie a te, sei tu che mi fai pensare alle cose (e mo’ che abbiamo finito la sviolinata stiamo a posto 😛 ) Per la paura: aspetta che ti salga in cima al frame da arrampicata altiiiiiiissimo, o che si lanci a 4 anni e mezzo (il mio secondo) in bicicletta senza rotelle a tutta velocita’, imparando peraltro in un nanosecondo ad andarci, e vedi come i capelli bianchi si moltiplicano! Ma sempre col sorriso sulle labbra, eh? 😉
@Silvia, wow, grazie
@LGO: ecco, e lo sapevo che ci voleva la matematica qua 😛 grazie grazie grazie
@Claudia LOL come diceva qualcuno molto piu’ saggio di me, non importa cio’ che fai, fra 30 anni l’analista gli dira’ che e’ tutta colpa tua 🙂
“Regalare ai bimbi la leggerezza. La leggerezza di non pensare a noi, che noi stiamo bene e siamo contenti, con o senza di loro.”
😀 non posso fare a meno di pensare che fra 30 anni gli ex bimbi potrebbero rinfacciarti di essertene fregata (o aver fatto finta di) quando sono andati via di casa e di averli perciò traumatizzati a vita. 😉 Comunque ti capisco, anch’io faccio così per molte cose, cioè faccio l’esatto contrario di quello che faceva mia mamma, sperando di evitare a mia figlia i miei traumi infantili… e magari procurandone altri uguali e contrari.
Riflessione a parte, sul Prima e sul Dopo. Ma questa fase imbarazzante della vita in cui una scoppia a piangere senza preavviso per un verso di una canzone, finisce mai? Perché io PRIMA non ero così! Ci sono diventata DOPO. (Ho avuto un’esperienza simile alla tua col tedesco, visto che vivo in Germania. Scoppiare a piangere per un’aria di Bach trita e ritrita è veramente inquietante 🙁 ).
Allora, auguri 🙂
stupendo questo post
è incredibile come, dopo esserti impegnata a scrivere in maniera pseudo comprensibile un tuo pensiero, puoi scopire come poteva essere espresso meglio e in maniera più poetica, nonché d’autore!
… per me il fatto di non mostrare la paura che magari ho è una sfida che sento tanto iniziare adesso. Finché era piccolissima – come il pulcino ora, per intenderci – avevo ben chiara la necessità di trasmettere fiducia. perché se mamma si spaventa per la febbre o per una botta chissà davvero che sta succedendo … e così mettevo la maschera, istillavo fiducia nella voce e tutto andava bene.
adesso invece sento che sta arrivando il difficile. perchè con l’indipendenza (anche se piccola), dei due anni arriva anche il vasto mondo che vorrei potesse percorrere con serenità anche se ovviamente non in maniera incosciente. però devo trovare l’equilibrio, ancora, tra proteggerla dai pericoli (reali) individuare quelli che reali non sono ma diventano tali nella mia mente per le mie insicurezze e lasciarla andare serenamente.
si, sono anch’io a metà del contrappunto, ad ascoltare tutte le voci e a fare il tifo, perché entrambe suonino serene.
grazie, Super. grazie di rendere così chiare le cose difficili grazie alle tue parole