Decalogo per un dialogo tra genitori e insegnanti

insegnante-2Mi domando da circa cinque anni (quelli in cui il Piccolo Jedi ha frequentato la scuola elementare) quando sia successo che genitori e insegnanti si siano schierati su due fronti e abbiano iniziato a combattersi. Di sicuro ero disattenta, distratta, presa da altre questioni, lontana dal mondo scolastico perché non più allieva e non ancora genitore, ma ho perso il momento della dichiarazione di guerra.
Quindi in realtà non so bene cosa sia accaduto: chi ha scatenato le prime scintille, chi ha provocato, chi ha risposto al fuoco.
So soltanto che mi sono ritrovata da genitore in una scuola che mi è del tutto sconosciuta ed estranea, diversa da quella che ho frequentato, popolata di insegnanti molto diversi da quelli che ho avuto io. Vabbè, mi direte, son passati circa vent’anni, volevi trovarla uguale? No, d’accordo, ma non volevo trovarla così smarrita e attonita.

Poi mi pongo un’altra domanda: ma gli alunni, in questa guerra, dove stanno? Sono loro i colpi di mortaio? Sono nelle trincee con i genitori? Sono nei centri di comando a spostare pedine? O forse sono sul campo di battaglia, calpestati dai combattenti?
Perché gli alunni sono i nostri figli e io vorrei sempre sapere dove stanno, ma soprattutto come stanno, cosa pensano e che idee hanno.

Allora, ditemi voi che ne sapete di più, perché magari c’eravate: quando si è interrotto il dialogo tra scuola e famiglia, per diventare due voci sorde che si urlano contro?
Quando è accaduto che sia diventato un rapporto di scarico di colpe e frustrazioni, sulla pelle dei ragazzi?

Leggo un articolo su D di Repubblica a firma Veronica Mazza, che consiste in un’intervista alla psicoterapeuta e sessuologa (ma per caso erano finiti gli esperti in tema col pezzo??!! Qualcuno che abbia a che fare con la scuola, no?) Nicoletta Suppa.

Questo articolo pretende di essere è un vademecum per interagire con gli insegnanti dei nostri figli. In particolare è diretto alle MAMME e orientato a suggerire cosa NON dire allA maestrA (ma sì, diamo per scontato che sia un “lavoro per donne”! Anzi, consideriamolo alla stregua di un buon part-time da “gestione familiare”! Questo aiuterà molto il reciproco rispetto e la reciproca considerazione tra interlocutori. Soprattutto diamo per scontato che il rapporto casa-scuola è una questione da donne, anche questo farà sentire tutti molto partecipi e coinvolti).
Mi permetto di estrapolarne qualche brano e di trarne qualche interpretazione che, premetto, sarà polemica (così sgombriamo il campo da eventuali fraintendimenti).

È il tuo alter ego quando il tuo bambino va a scuola, che lo sostiene e lo aiuta nel suo percorso formativo. Il rapporto che instauri con lA maestrA di tuo figlio influirà moltissimo nella sua educazione, ecco perché è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia.
Dunque lA maestrA è il mio alter ego di MAMMA. Benissimo: lA maestrA è dunque una sostituta, una persona che riproduce il mio ruolo (ma un po’ peggio, perché non sono io) e svolge un compito equivalente? Eh no. Non ci sto. Io non voglio alter ego: io voglio insegnanti. Voglio professionalità, capacità, conoscenza e competenza. Io voglio che l’insegnante dei miei figli (neutro, né maschile, né femminile) abbia un ruolo completamente diverso dal mio. Solo così possiamo rispettarci: perché abbiamo sfere distinte. Solo così dialoghiamo e non ci sovrapponiamo: ognuno con il suo ambito, la sua sfera, il suo mondo. Non voglio che tu sia genitore e tu non devi volermi insegnante.
Rispettiamoci, mi basta.

La relazione che si crea dovrebbe assomigliare ad un “passaggio” nell’affidamento del figlio, che in questo modo imparerebbe a vedere lA maestrA come il suo punto di riferimento nell’ambiente scolastico. Se da parte dei genitori c’è stima, anche il bimbo riconoscerà il suo ruolo autorevole.
Quindi io genitore ti passo la palla (il figlio) con un bel passaggio e te lo lascio in “affidamento”. Non mantengo il mio ruolo educativo sempre, in ogni momento della mia vita, non sia mai! Mi deresponsabilizzo con un buon assist per qualche ora della giornata.
E invece no. Io vivo da genitore anche mentre mio figlio non c’è e non ti delego nulla di ciò che spetta a me. Tu fai il tuo lavoro, fallo con coscienza, provaci, sbaglia, ripara all’errore, aggiusta il tiro. Fai il tuo lavoro con competenza, non sentirti affidati quei figli: sono semplicemente i TUOI allievi. Quando sono lì sono tutti tuoi, non te li ho affidati io: sono persone con le quali devi trovare la tua chiave di comunicazione. Io non esisto a scuola, ma tu devi esserci, totalmente, perché è il lavoro che hai scelto (e se non lo hai scelto, ma ti è capitato, non è un problema mio).

La base per dar vita a un dialogo costruttivo è non porsi su un piano superiore rispetto alla maestra. “A volte molte madri lo fanno consapevolmente, convinte di conoscere meglio di ogni altro il proprio figlio. Vero, ma andrebbe ricordato loro che ogni mamma conosce il proprio bambino appunto nel ruolo di figlio, non di alunno. Il rapporto quindi può essere differente. È importante porsi in modo paritario con l’insegnante, cooperando con lei nel processo educativo, provando – e riuscendo per quanto possibile – di mantenere ruoli diversi” afferma l’esperta. Inoltre, è fondamentale che il genitore rispetti le sue dinamiche d’insegnamento senza criticarla davanti al figlio. Se c’è qualcosa che non condivide, dovrebbe parlarne direttamente con lei. “Attenzione però a non confondere i due ruoli: se quello di madre, ad esempio, è impostato su una determinata modalità educativa, quello della maestra non dovrà necessariamente ricalcare lo stesso approccio. Anzi, per il bambino è più formativo confrontarsi con stili adulti tra loro diversi” dice Suppa.
Oh, quindi la psicologa e sessuologa (!!) sostiene esattamente il contrario di quando affermato in premessa: ruoli diversi. Mi sta molto bene, ma allora perché abbiamo parlato prima di alter ego e affidamento?

A questo punto arrivano le 10 regolette negative di comunicazione (che già dire cosa NON fare è molto meno costruttivo che spiegare cosa fare):

1. Sono in ansia quando lo lascio a scuola
Questo fa intendere che non hai fiducia in lei, che non le stai affidando il bambino fino in fondo. LA maestrA potrebbe interpretare una frase come questa in modo molto svilente.

No, lA maestrA da una frase come questa dovrebbe capire davvero tante cose! E’ una frase illuminante: se lo pensate, ditela tranquillamente, così l’insegnante avrà chiaro il quadro della situazione. Non siate timidi! Ditelo, ditelo, così non si farà fatica a leggere i comportamenti indotti dall’ansia nei figli.

2. Mio figlio non viene volentieri
È un’affermazione che sottintende una responsabilità dell’insegnante, perché sembra voler dire “è colpa tua”.

Veramente non condivido l’interpretazione della frase. “Mio figlio” è il soggetto, non leggo l’attribuzione eventuale di responsabilità all’insegnante. “Non viene volentieri” può essere un dato di fatto o una mia interpretazione. Perdiamoci qualche minuto in più tutti quanti a capire SE non va volentieri a scuola e, nel caso, PERCHE’.
Quanto è rilevante questo fastidio? Non stiamo magari sopravvalutando un atteggiamento normale (quello di non volersi ruzzolare fuori dalle coperte nelle mattine d’inverno) e forse anche sano di un bambino?

3. Non mi piace il suo metodo
Una dichiarazione di guerra. Una frase del genere svaluta lei e il suo ruolo, pone lA MADRE su un piedistallo da cui lA maestrA viene guardata dall’alto in basso
.

No, peggio, una frase del genere pone lA MADRE (il padre è momentaneamente assente, scusate, torna subito, forse) in un posto che non è suo. MaestrI, ad una frase del genere, vi prego, salutate il genitore e dite di ripassare quando avrà imparato a farsi i fatti suoi.
Però, però, però… siate onesti! Non fate illazioni sul metodo educativo di casa! Non scaricate responsabilità, non delegate il compito educativo vostro. Accomiatatevi senza cerimonie dal genitore ignorante e invadente, ma solo se siete in buona fede. Non accettate critiche su un aspetto squisitamente professionale, solo se siete i primi a non farne sulle dinamiche familiari e personali. Non proponete un metodo per fare il genitore. Non insegnate a noi genitori, non è il vostro compito.
La trasparenza sta anche nello spiegare il vostro metodo, magari all’inizio dell’anno. Comunicateci come intendete procedere, senza chiedere permessi, è il vostro lavoro, non il nostro. Però l’informazione è dovuta. Poi, a quel punto, mettete paletti.
Aneddoto: ieri al colloquio scolastico alla maestra (però noi abbiamo anche un maestro, eh!) è stato chiesto entro che mese intendesse iniziare “i Romani” (perché si ragiona a capitoli del libro, mi raccomando). Dicembre è troppo presto maestra, i bambini si stancano! “i Romani” vanno fatti a gennaio! La maestra ha spiegato un po’ di metodo sul parallelismo geografia-storia e poi… SI E’ GIUSTIFICATA??? No, no, no… qualcosa non mi torna! Perché? “I Romani” sono affar tuo e dei tuoi allievi, nessuno deve permettersi di interferire.

4. Penso ci sia disparità di trattamento tra mio figlio e gli altri alunni
È una frase con una sfumatura paranoica, da evitare perché fa sentire la maestra controllata. […] Questo è l’atteggiamento più sbagliato, da evitare assolutamente se si desidera che il proprio figlio si senta in sintonia con il gruppo-classe.

Giusto, giustissimo, ineccepibile. Ma… se fosse vero?
Perché voi, cari insegnanti, siete umani e i ragazzi non potete vederli tutti uguali. Perché non lo sono. Alcuni vi sono più congeniali, più simili, più vicini. Altri vi sono ostici, non li capite, magari vi infastidiscono anche.
Certo, la vostra professionalità fa la differenza, ma il lato umano resta. Siate onesti anche in questo caso. Se ricevete una critica del genere, non vi chiudete a riccio: la frase è sgradevole, ma provate a riflettere. Può essere vero? E se fosse vero, la disparità che applicate potrebbe anche essere corretta: l’uguaglianza sta nel trattare diversamente chi ha punti di partenza diversi. Deponete un attimo le armi, non vi sentite accusati e maltrattati: se siete in buona fede, difendete la vostra disparità di trattamento. Se sentite di aver mancato in qualcosa, perché siete uomini (e donne) e avete reazioni umane, mettetevi in gioco.

5. I compiti per casa assegnati sono troppi
È un giudizio critico, che detto così chiude il discorso senza lasciare possibilità di controbbattere, e che costringe lA maestrA a mettersi sulla difensiva
.

Direi soltanto: vedi punto 3
Ok, genitore, decidi tu quanti ne deve fare, poi deciderò io insegnante come reagire. Però, insegnante, chiariamoci prima: i compiti sono un obbligo, un dovere, una proposta? Una volta chiarito questo, ognuno si assuma le sue responsabilità. E se le assuma per primo il vero soggetto interessato: lo studente. Genitori, i compiti sono un affare dei nostri figli! Insegnanti, i compiti sono un affare dei vostri alunni! E’ un rapporto a due: scuola-studente. Il genitore qui è davvero di troppo: se non volete che sia coinvolto, non coinvolgetelo nella responsabilità di compiti non fatti. A qualunque età, ragionatene con i bambini. E così avremo tutti insegnato in concreto il concetto di responsabilità

6. Quel voto non mi sembra sia giusto!
Questa affermazione implica un desiderio implicito di sostituirsi alla maestra nella valutazione scolastica del bambino.

Che dire? Sempre come al punto 5 sui compiti? Il voto è espressione della professionalità dell’insegnante: che sia professionalmente modulato. E a quel punto che sia insindacabile.

7. Non ha finito il tema perché il pomeriggio ha lezioni di basket
Frasi simili danno a intendere che si dà più importanza all’attività sportiva che alla scuola.

No, frasi simili riportano al punto 5. Chi sono i due interlocutori sulla questione compiti? I ragazzi hanno tante risorse: se amano lo sport impareranno a fare sacrifici per praticarlo. E questo sarà parte del ruolo educativo anche dello sport.
Se poi nostro figlio deciderà di non finire un tema per l’allenamento di basket… Bè! Stiamo a guardare, sperando che l’insegnante lo rilevi ed agisca di conseguenza.

8. Il bimbo si annoia in classe
Una frase simile sminuisce il lavoro dell’insegnante, perché l’accusa di non essere capace di insegnare nel modo corretto
.

Anche in questo caso, è verissimo che l’intervento del genitore è sovrabbondante. Ma voi insegnanti, la percepite la noia degli alunni? E quando la percepite, lasciate correre e continuate per la vostra strada, consueta, già battuta, già programmata, oppure reagite cambiando qualcosa in voi? Vi adeguate alla classe? Ne sapete leggere gli umori? Vi interessano davvero questi umori o avete perso la voglia di sentire vivi gli studenti? La loro noia non vi fa paura? Non è il male peggiore? Non sentite che qualcuno lo state già perdendo?

9. Dovrebbe cambiare posto a mio figlio perché non va d’accordo con il compagno di banco
Non intromettersi mai nelle dinamiche della classe, a meno che non si sospettino cose gravi. […] Si potrebbe in questo caso consigliare al bambino stesso di parlarne con la maestra. Se il piccolo frequenta le elementari vale lo stesso discorso, in termini più semplici. Oppure si potrebbe informala che questo disagio esiste, senza suggerirle come risolvere la situazione,

Fermi tutti! Cosa intendo? Per caso che il bambino in età da scuola primaria è da considerarsi troppo piccolo per parlare con i suoi maestri? Che solo “in termini più semplici” gli si può suggerire di parlare con gli insegnanti?
Ma se non alla primaria, quando dovrebbe nascere questo dialogo? E poi i termini! Le parole sono importanti! “Si potrebbe consigliare al bambino stesso“: supponiamo che sia una situazione adatta alla scuola media e lo chiamiamo “bambino”? E vogliamo essere presi sul serio?
Se il piccolo frequenta le elementari“: il bambino alle scuole elementari è “piccolo”, cucciolo indifeso e inerme, privo di autodeterminazione, rimpallato dalla MAMMA allA maestrA alter ego – affidataria!
Ma cosa stiamo insegnando ai nostri figli e vostri allievi? Che lavoro stiamo facendo? Li stiamo escludendo dalla loro vita per iperprotezione? Insegnanti, genitori, vi prego: ditemi che non ci state! Ditemi che dalla prima elementare avete suggerito ai vostri figli di parlare con i maestri, di avere fiducia, di esprimere le loro difficoltà. Ditemi, vi prego, che avete riconosciuto un ruolo attivo nella loro educazione. Ditemi che avete pensato la scuola come un rapporto a tre dal primo giorno e che vi siete resi conto che noi genitori siamo comunque la terza parte non protagonista.

10. Il prossimo anno cambieremo scuola
Questo è un annuncio di guerra, da evitare perché va a incrinare il rapporto con la maestra, creando un’atmosfera tesa e controproducente per il bambino. Anche se si sta valutando questa opzione, non è il caso di esprimerlo platealmente
.
Da quando cambiare scuola è un dramma o una dichiarazione di guerra? Voi insegnanti la percepite così? Si tratta di una scelta, potete condividerla o meno, ma non rientra nelle vostre competenze. La vostra professionalità vi permette di essere neutri: fino a che l’alunno sta qui, è affar mio. Fino all’ultimo giorno in cui sarà in questa classe.
Perché non sfrondiamo i nostri rapporti dalla personalizzazione? Dall’emotività? Dalla rivendicazione? No, non ci dovrebbe essere alcun annuncio di guerra… Eppure… da qualche parte la guerra è stata dichiarata.

Questo articolo NON è stato scritto da chi è nella scuola. Questo articolo è stato solo un pretesto per chiedere a voi insegnanti e a noi genitori: cosa invece dovremmo davvero dirci, per deporre le armi?

L’articolo di D è stato linkato anche sulla pagina Facebook della Maestra Larissa, molto seguita e piena di spunti interessanti. I commenti al link sono interessantissimi, ma ce n’è uno che mi riempie di speranza:
Sinceramente non condivido, l’insegnante riveste un ruolo professionale, mentre i genitori hanno un ruolo di educatori naturali..alcune frasi, anche se non condivisibili sono comprensibili. Perchè un genitore non dovrebbe avere il diritto di manifestare la propria ansia. Se l’insegnante è un professionista riuscirà a trovare il modo di placarla, e così per altre questioni. Lasciano nelle nostre mani la cosa più preziosa che hanno al mondo, sta a noi essere in grado di rassicurarli qualunque sia il loro dubbio..con modalità pedagogiche che abbiamo acquisito o da forgiare strada facendo.
Ecco la corretta divisione dei ruoli. Ecco la valorizzazione della professionalità dell’insegnante. Non un decalogo per genitori che tentano di mascherare le loro ansie, né un decalogo per insegnanti nell’affrontare il nemico genitore. Semplicemente il valore della professionalità, dell’esperienza, della capacità di comprendere. Davanti a questo, il genitore DEVE rispetto. Con questo atteggiamento si può PRETENDERE rispetto.

(nota: i refusi presenti nei brani dell’articolo di D sono stati lasciati inalterati… così… per sfizio!)

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31 thoughts on “Decalogo per un dialogo tra genitori e insegnanti”

  1. I dati oggettivi dicono che la scuola italiana è pessima, ne siamo consapevoli? Abbiamo la maggior spesa pro alunno ca 7000 euro ed i peggiori risultati. Abbiamo altresi una situazione tra le più critiche tra i giovani tra need e disoccupati? La scuola italiana è perfetta? E’ sempre e solo colpa delle mamme? E se ognuno cercasse di migliorare dove può? Sono madre di due bambini dislessici e fortunatamente per loro non ho mai seguito le esternazioni errate delle maestre che mi hanno letteralmente sfinita.
    PS frequentano una eccellente scuola privata che costa meno della statale sono sereni come lo sono genitori e insegnanti.

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  2. Buon Giorno mío figlio ha cambiado scuola Per un cambio di casa ,a febraio habbiamo cambiato scuola. Dopo il primo mese 3,4 genitora han no iniziato a lamentarsi Suárez com me a la entrata a scuola davanti a mío figlio gridando e in maniera non correta diverse volte, anche una maestra di acordó con i genitori mi ha detto di portare al bambino al neuropsiquiatra perche disturba a clase . No ha suceso niente non esistono danni mío figli o no ha falto ni ente di male a nesun bambino Margari ,sembra ce mi vogliono mandar vía di questa scuola ,aiutatemi sonó Spagnola y debo imperare cosa fare como si posono fermare questi genitori e posono mandar vía a mío figli o?Io non pensó ce mío figli o deba andaré di un psicólogo o neuropsiquiatra grazie

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  3. Ecco… poi succedono delle cose che ti fanno capire perché gli insegnanti ce l’abbiano così tanto con noi genitori!

    L’altro giorno la mamma di un compagno di mio figlio ha fatto irruzione in classe (mi chiedo dove fossero le bidelle in quel momento) iniziando a sbraitare contro la maestra di italiano.
    Sì avete capito bene: in classe davanti ai bambini e quindi anche a suo figlio!!

    E ha pure dovuto essere scortata a casa all’uscita da scuola (dove l’aspettavano entrambi i genitori del bambino questa volta!!)

    Ecco se poi volete leggere i dettagli ne ho scritto sul mio blog… sono davvero sconcertata…

    http://murasakinonikki.blogspot.it/2013/12/un-sano-dialogo-tra-genitori-e.html

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  4. Ciao, ho letto anche io l’articolo, scrivendone sul mio blog che parla della scuola (media, nel mio caso) vista da dentro e da dietro la cattedra. Il mio contributo era scherzoso e relativo al punto di vista degli insegnanti e alle frasi tormentone che ci sentiamo dire, ma dato che sono d’accordo su alcune cose dette dalla giornalista e dette da te nei tuoi commenti, e in disaccordo su altre, voglio prendermi un po’ di tempo per scriverne ancora più seriamente.

    Una cosa sola proprio devo dire subito (e ripeto che per tutto il resto voglio rileggere con più calma): se le madri vengono a scuola cariche d’ansia e diffidenti, ci creano un problema. Ci danno la sensazione che quel che diciamo, quel che ci siamo sforzati di osservare, capire, trasmettere all’alunno e alla sua famiglia, verrà distorto da sentimenti e angosce che con la scuola in sè poco hanno a che vedere. Certo il ragazzo cresce a scuola e a casa e il suo benessere sta a cuore anche a noi. Ma non potete pretendere che gli insegnanti rassicurino anche i genitori su cose che vengono da lontano, come le loro insicurezze o i loro dubbi PERSONALI. Quello sul serio non è il nostro lavoro, e non sapete QUANTO vorremmo che ogni plesso scolastico avesse uno psicologo in grado di rispondere a esigenze di questo tipo: dei genitori, degli alunni e degli insegnanti.

    Inoltre: non è la stessa cosa se mamma (o papà)viene a dire “Giorgetto è molto nervoso, non mi obbedisce, ha iniziato a mentirmi, sono preoccupata che stia male, da quando ci siamo separati noi genitori è così chiuso” oppure “Robertina è stressata dal troppo lavoro scolastico e ha paura delle interrogazioni, mi perseguita con richieste di essere interrogata sulla lezione e finisce i compiti tardissimo, non potete alleggerire un po’ la cosa? L’altro giorno aveva studiato benissimo e ha portato a casa solo sei e mezzo, come mai?”

    La mamma o il papà di Giorgetto ci stanno facendo un piacere, la mamma o il papà di Robertina no. Io ho osservato Giorgetto in classe e vedo che rende meno a scuola, ma non posso sapere se è un suo cambiamento personale, un suo problema in famiglia, una questione di salute che lo agita. Se un genitore cortesemente mi illumina su questo aspetto, io capirò se devo scrollare Giorgetto dalla distrazione e dalla pigrizia o se invece devo rassicurarlo, motivarlo e aspettare che gli passi il brutto momento. Invece la mamma e il papà di Robertina non hanno osservato la scuola e non sanno se Robertina è davvero stressata dai compiti, se è ansiosa quando la interrogo o se fa l’interpretazione melodrammatica a casa, se è la sola che fa fatica a star dietro ai compiti o no, se è vero che aveva studiato benissimo e se sei e mezzo per quel che io voglio adesso dalla classe è poco, tanto, giusto o no. Loro dovrebbero venire da me a farsi illuminare su come si comporta in classe Robertina, non decidere autonomamente che a scuola ci sono cose da cambiare, così come io non posso tirare a indovinare su quel che sta succedendo a casa.

    Ne riparleremo… vi scrivo quando ho aggiunto qualche riflessione “di là da me”. Ciao a tutti

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  5. A proposito di comunicazione, e a proposito del post di Serena su quelli in Svezia, ieri sono stata ai colloqui con le maestre ed ha partecipato anche mia figlia. La sua presenza ha senza dubbio reso la chiaccherata molto più proficua. Qualche volta, succede anche in Itala 😉

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  6. ma ho capito, Peter Pan, Elicotteri, quante categorie ci vuoi ce li mettiamo, però il punto è che i bambini e le loro famiglie sono quello di cui la scuola si occupa per definizione, come luogo in cui si aiutano a crescere a tutto tondo i cittadini del domani (con le loro interazioni con la società, e quindi la famiglia come prima cosa) – come una sanità senza pazienti non avrebbe ragione di essere, io sarei portata a pensare che la gestione e accudimento dei genitori whatever faccia parte del gioco, perché non ha molto senso dire a me interessano i bambini se poi non interessano anche i genitori dei bambini medesimi, non si può prescindere da questa cosa, il mito dell’insegnante che riesce a riscattare l’infanzia tribolata facendo dimenticare la famiglia è un topos molto potente, ma io spererei che la professionalità di cui tanto si sta parlando faccia capolino proprio su questi casi “difficili”, proprio come si affaccia quando si incontra un bimbo con difficoltà di apprendimento e ci si attiva per farlo progredire al meglio. Dire che un genitore rende impossibile il vostro lavoro è come amputare parte del lavoro medesimo, ripeto, la scotomizzazione della figura del genitore in un contesto dove si lavora sui bambini mi pare oltremodo assurda.

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  7. @supermambanana Non tutti i genitori, solo quelli “Peter Pan” che rendono impossibile il nostro lavoro, rovinano i propri figli e danneggiano pesantemente anche gli altri bambini.

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  8. Sono un’insegnante di scuola superiore, e la mamma di una bimba di quattro anni. Vi assicuro che spesso il rapporto con i genitori è faticoso. Normalmente io mi sforzo di dimostrar ai genitori di conoscere i miei ragazzi, e questo tendenzialmente mi consente di poter dire loro tutto, cose anche spiacevoli, perché capendo che ho osservato, riconosciuto e riflettuto si fidano di me. Credo che la difficoltà maggiore sia quella di trovarsi spesso a parlare di realtà diverse e i genitori non riconoscono i figli nelle descrizioni degli insegnanti. I genitori però sottovalutano molto la componente del gruppo, che invece diventa fondamentale per un docente. Vi assicuro che per chi di noi fa con impegno il proprio lavoro non sentire la fiducia dei genitori è un vero dispiacere. Del resto anche io mi sono trovata una scuola dell’infanzia vecchia di decenni, e anche io da genitore ho le mie perplessità su alcuni metodi educativi, penso però di avere fiducia nella maestra che come formazione e scelte di vita è comunque molto lontana da me.

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  9. Hai ragione Serena, e rileggendomi mi rendo conto di quanta rabbia io abbia ancora dentro
    Forse quando hai delle aspettative molto alte nei confronti di una istituzione come la scuola, e di persone come gli insegnanti, quando cadi, cadi da molto piu’ in alto, e le cicatrici che ti procuri sono molto piu’ profonde.
    Io ho avuto la fortuna di avere incontrato insegnanti nella mia vita che hanno fatto davvero la differenza. In buona parte uomini, oltretutto, dal maestro elementare al prof di Gerco e Latino al liceo. Giusto per spezzare una lancia a favore della categoria “insegnanti maschi”:)
    Ho nella mia famiglia persone che hanno fatto dell’insegnamento una missione, svolta con un impegno ed una serieta’ enorme, sempre nell’ interesse dei ragazzi e che ancora oggi sono cercati con enorme affetto dai loro “ragazzi” e dalle famiglie

    Forse mi attendevo troppo. Forse ho davvero incontrato il peggio, ed il confronto con altre classi magari anche nella medesima scuola mi ha esacerbato piu’ del dovuto

    Ma credete, mi sono fatta male. Tanto.

    Io sto riacquistando fiducia nella scuola grazie alla mia bimba piu’ piccola. Davvero, quando parlo con queste insegnanti mi verrebbe istintivo abbracciarle e ringraziarle.
    Con una per fortuna abbiamo confidenza, perché altrimenti mi avrebbe presa per pazza

    Credo che aiuterebbe partire dal presupposto che
    1) l’insegnante – a parte alcune fortunatamente rare eccezioni – é qualcuno che sa COSA insegnare e soprattutto COME insegnarlo,
    2) il genitore – anche li’, quelli con un minimo di sale in zucca – non aspira a fare le veci dell’insegnante perche’ normalmente ha abbastanza da fare di suo per voler fare anche quello degli altri
    3) la critica che ti viene dall’ insegnante non e’ necessariamente un puntare il dito nei confronti delle tue capacota’ genitoriali, cosi’ come le richieste di chiarimento da parte dei genitori non sono sempre tentativi di insegnarti iltuo mestiere
    4) informazione e trasparenza con le famiglie non significa necessariamente trasformarsi in un bersaglio mobile. A volte serve a fissare obiettivi comuni in cui ciascuno ha i suoi compiti. Definirli insieme e’ meglio

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  10. scusami Donatella, ma dire che il dramma della scuola sono i genitori equivale a dire che il dramma della sanità sono i pazienti, o il dramma della Microsoft sono gli utenti… non so, ecco…

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    • No scusami, se mi intrometto hai fatto un’equivalenza non corretta cioè avresti dovuto equivalere il dramma della scuola sono gli alunni varrebbe a dire che il dramma della sanità sono i pazienti o il dramma della Micro…..ecc ma non è questo che ha detto….non esiste in effetti quest’equivalenza

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