Come per molte altre cose, mi rendo conto adesso guardandomi indietro, io ho avuto un’infanzia a due velocità, per quanto riguarda la vita all’aria aperta. Per 11 mesi all’anno, da cittadina, casa in appartamento, io ero la tipica bimba casalinga: si va a giocare a casa degli amichetti, o si invitano amichetti a casa, si va dai nonni, a casa, si va qualche volta al parco la domenica mattina. O si resta, a casa, a fare interminabili giochi da tavolo, a guardare la TV, oppure a leggere (e leggere leggere leggere). Nel restante mese dell’anno, nel paese natale di mio padre per le vacanze di Agosto, vivevo praticamente sempre in strada, rabberciavo una colazione volante e partivo con i miei cugini e cugine alla volta della villa comunale, dove passavo la mattinata fino all’ora di pranzo, quando mi infilavo a casaccio o a casa di nonna o a casa di uno degli altri cugini per mangiare (qualcuno avvisava i miei ad un certo punto) e riuscivo, in piazza, o daccapo in villa, o partivo verso casa di qualche amico di amici per un Risiko, fino all’ora di cena, dove mi ritiravo esausta in sede familiare. Quel mese era un mese esilarante, non soltanto per il divertimento, ma anche per quella sensazione di onnipotenza: quella bambina, che in città era molto molto timorosa, usciva sempre con la manina, e se anzi non si usciva per una sera anche meglio, sempre un po’ nervosa all’idea di andare a casa di altri, anche se li conosceva benissimo, veniva sedata con droghe pesanti e il suo corpo era posseduto da questa specie di selvaggia. La selvaggia ad un certo punto ha preso il sopravvento totale e ha spedito la pupetta timidina dove meritava di essere, partendo senza guardarsi indietro (e intendo davvero senza guardarsi indietro). Ma questa è un’altra storia.
Tutto ciò per dire (l’ho presa alla lontana) che ho letto con molto interesse che il National Trust (che sarebbe l’associazione che si occupa della conservazione del patrimonio artistico e culturale UK) ha pubblicato di recente un rapporto, “Natural Childhood”, che evidenzia come la nazione, specialmente nella sua componente più giovane, mostra i sintomi di un fenomeno detto “Sindrome di Deficit di Natura”. La “natura” diventa un concetto astratto, qualcosa da guardare, da “consumare”, da indossare e mangiare, e sostanzialmente ignorare. Esiste una componente in questo fenomeno che potremmo riassumere in “signora mia, sono i tempi moderni”, che dice che statisticamente i bambini britannici passano in media due ore e mezza al giorno davanti alla televisione, cosa che aumenta con l’età (e il subentrare di internet nelle vite), per cui la fascia 11-15 anni passa davanti ad uno schermo circa metà del tempo da svegli.
Ma non è soltanto questo, e sarebbe riduttivo pensarlo, maledire i tempi moderni e internet, comunicando al mondo la nostra disapprovazione più totale… via twitter. Anche perché, il rapporto ci tiene a sottolineare, i benefici che invece internet ha apportato sono talmente tanti che sarebbe ingiusto e deleterio bollarlo come causa di tutti i mali. Il problema invece che il rapporto vuole enfatizzare è che, nelle parole di Richard Louv (un’altra lettura interessante, e tradotta in italiano), questa è una generazione di bambini cresciuti in un regime di arresti domiciliari. Certo, con buone intenzioni, con un fine principalmente protettivo, ma una generazione di cuccioli allevati in cattività, in buona sostanza.
E insomma, visto che dalla mia esperienza i bambini britannici vivono molto molto “fuori”, rispetto magari a certi coetanei italiani, per dire la classe quinta della scuola primaria dei miei figli ha appena concluso la consueta settimana di “residenza” a Plas Caerdeon, un centro in Galles gestito dalla Hope University di Liverpool che accoglie le scolaresche per una settimana di “outdoor”, con gite in canoa, arrampicate con funi nelle foreste, nottate in tenda e via discorrendo, e in effetti tutta la nazione ha un po’, come direbbe mia madre, “la casa che gli puzza”, non appena arriva la domenica o un giorno di vacanza si buttano tutti fuori, fra prati, parchi, musei o gite al fiume, insomma, leggo con molto interesse i dati di questo rapporto, come questi:
- in una sola generazione, dagli anni 70 ad oggi, il “raggio” intorno a casa in cui i bambini si spostano liberamente senza accompagnamento si è ridotto del 90%.
- Nel 1971, 80% dei bambini di 7 o 8 anni andavano a scuola a piedi, spesso da soli o con amici. Venti anni dopo, questa percentuale è diventata il 10%, e praticamente tutti accompagnati dai genitori.
- Fra i bambini di 10 anni, due su tre non sono mai andati in un negozio o al parco da soli, e in un sondaggio commissionato dalla Children Society, quasi metà degli adulti intervistati si interrogava se la prima uscita da soli dovesse essere verso i quattordici anni. Per dire, i decenni di una generazione fa avevano molta più autonomia dei teenager di adesso.
- Se poi ci allarghiamo alla esplorazione della natura, argomento centrale del rapporto, si vede che meno di un quarto dei bambini usa il parchetto locale (contro la metà dei loro genitori da piccoli).
- Meno di un bambino su dieci gioca regolarmente in una zona di natura aperta (non un parco), contro la metà dei loro genitori.
- In un sondaggio del 2008, un bambino su tre non riusciva a riconoscere una gazza (e non è un uccello a casaccio, perché i giardini sono pieni di gazze, anche quelli delle case, nel mio back garden ce ne sono un paio di regolari) e non sapevano distinguere un’ape da una vespa. In compenso, nove bambini su dieci riconoscevano un Dalek.
Il problema ovviamente non è soltanto ludico o cognitivo: l’obesità infantile è un problema in continuo aumento, così come la carenza di vitamina D, la miopia, l’asma. Nonché la capacità di eseguire semplici esercizi. E vogliamo anche metterci problemi di natura comportamentale ed emozionale? I bambini inglesi che prendono regolarmente antidepressivi sono un numero esorbitante, per una nazione che non prescrive l’antibiotico se non alla soglia del ricovero. Meno i bambini giocano all’aperto, meno imparano ad affrontare i rischi e le sfide, niente può sostituire la libertà e l’indipendenza di pensiero che il provare a fare cose nuove all’aperto può donare, dice una psicologa infantile nel report. Imparare a rischiare è uno skill importantissimo, senza rischi non avremmo niente, non avremmo arte, scienza, musica, niente di niente.
Insomma, i benefici del giocare all’aria aperta, l’esplorare, il conoscere la natura, sono incommensurabili. Anzi, l’affermazione è ancora più forte: i danni che la mancanza di questo comporta sono incommensurabili. Ma cosa è che impedisce che i bimbi siano pronti ad acchiapparli questi benefici? Il rapporto si conclude con un pensiero cupo. L’infanzia dei nostri figli sta venendo di fatto minata dalla crescente avversione di noi adulti al rischio, e dal nostro contaminare con questa paura tutti gli aspetti della loro vita. Certo tutte queste barriere che mettiamo davanti ai nostri figli partono dalle migliori intenzioni, e sono proprio queste buone intenzioni che bisogna imparare ad affrontare e capire. Non è facile convincere una nazione di genitori, di legislatori, di politici, di giornalisti, di educatori, che quello che stiamo facendo ai nostri ragazzi è così sbagliato. E non è facile tenere a bada famosi “genitori elicottero” (helicopter parents), pronti ad intervenire come i marines per salvare i nostri figli, proteggerli da ogni male, incoraggiarli, accompagnarli, facilitare loro il compito (ecco un quiz/gioco per voi: siete anche voi un helicopter parent?)
Metti per esempio la sicurezza stradale: un problema legittimo e sentito, e una vittoria delle istituzioni se stiamo ai numeri, il numero di bambini morti sulle strade in UK è passato da 700 nel 1976 a 81 nel 2009. Ma se questo è dovuto al fatto che i bambini non escono mai da soli, o non escono affatto, il rapporto si chiede, è davvero una conquista? Oppure, guardiamo le statistiche delle unità pronto soccorso, sembra che il posto più pericoloso dei bambini al giorno d’oggi sia la cameretta: i bambini portati al pronto soccorso per essere caduti dal letto sono tre volte di più di quelli caduti da un albero. E ce ne sarebbero tanti di numeri interessanti, ma i genitori continuano ad essere convinti che tutti i pericoli siano al di fuori delle mura domestiche, e che tenendo i bimbi a casa li manteniamo al sicuro. Il terrore degli sconosciuti è un altro fattore importante, e lo so che ci sono tante ma tante notizie che ci allarmano, ma fatto sta che questa generazione di bambini, quando viene loro concesso di allontanarsi da noi, è monitorata con la tecnologia più avanzata, incluso il GPS (e non è una esagerazione, era nelle news), o l’introduzione di webcam nei nidi per dare modo ai genitori da casa di avere sempre i loro bimbi sotto gli occhi – un programma in TV qualche anno fa che si chiamava qualcosa come “Bambini nella bambagia” forniva l’altra faccia della medaglia dei genitori GB di cui si parlava qualche giorno fa, ma con conseguenze altrettanto deleterie.
E insomma, certo tutto ciò è magari naturale e comprensibile, ma stiamo davvero considerando tutte le conseguenze delle nostre azioni? O smettiamo di pensare alle conseguenze nefaste della nostra natura-snaturata quando smettiamo di allattare, svezzare, far addormentare o spannolinare? Non è che magari (un mio tema ricorrente, lo so) queste sono in fondo cose che impattano poco, se viste in un’ottica a lungo termine? E altre che invece ci lasciano indifferenti impattano molto di più?
La conclusione di questo rapporto è nella tipica attitudine Britannica di “lanciare sfide”. La sfida questa volta si chiama “Le 50 cose da fare prima di 11 anni e tre quarti”. I bambini e le bambine che raccolgono la sfida possono registrarsi al web site, e scoprire una lista di attività, sotto varie categorie, da intraprendere. Guadagnano dei distintivi ogni volta che ne aggiungono alla lista, possono inviare testimonianze e prove fotografiche. Un esempio di cose da fare? Arrampicarsi su un albero. Rotolare da una collina. Accamparsi in tenda. Costruire un rifugio. Giocare nel fango. Seppellire qualcuno nella sabbia. Fare una gara di lumache. Guardare l’alba. Far volare un aquilone. Passare sotto una cascata. Prendere una farfalla. Mangiare una mela direttamente dall’albero. Piantare, crescere e mangiare qualcosa (frutta, verdura etc). Fare una caccia al tesoro sulla spiaggia. Fare a palle di neve… Insomma, si è capito che intendo. Certo questo rischia di diventare un’altra mission per i genitori elicottero invece, che in aggiunta ad accompagnare i figli da judo a violino, da nuoto a cinese, si annoteranno felici sull’agenda tutta un’altra serie di appuntamenti nelle foreste. Ma val la pena tentare.
E insomma, la bambina che viveva solo 1/12 della sua vita in libertà non può che approvare, e a questo punto direi che le tocca un altro esorcismo, per scacciare la mamma apprensiva da questo corpo, una volta di più. Nelle immortali parole del vate, Here comes the sun. And I say, it’s all right.
Io sapevo che in alcuni paesi il microchip esiste già…
Ma ve lo ricordate il mio vicino di ombrellone dell’estate scorsa, col braccialetto per la figlia? https://genitoricrescono.com/bambini-in-fuga/
(Scusa m@w, ho visto solo ora che il tuo commento con i link era finito in moderazione e non l’avevamo sbloccato)
Io comunque con figlio 2 la fase in cui mi sognavo il chip sottocutaneo con gPS me la sognavo come cosa meravigliosa. adesso mi è passata (è passata anche a lui, a scuola nuova lo mando a volte in autobus da solo o lo faccio tornare da solo, tanto la fermata ce l’ ho davanti casa e davanti scuola.Mai un problema o un ritardo.)
Inventerranno il collare col micro-chip e per chi vuol spendere di più ti daranno anche una micro web cam da fissare in fronte!
@Serena,
questa macchina telecomandata mi sembra l-evoluzione di quella cosa orribile che e- il guinzaglio per bambini.
Alla faccia della liberta- e della fiducia!!!
Veramente terribile.
ma cosa s-inventeranno ancora?
@silvia concordo al 100%.
Un’altra cosa che ho notato fra me e mio marito è la differenza poi nel gestire l’incidente. L’incidente prevedibile, intendo. TopaGigia balla la tarantella sulla sedia quando siamo a tavola. Le diciamo di star ferma, poi che può cadere, guarda che ti fai male, poi non piangere se cadi, BUM, è caduta. Io a quel punto sbraito, la prendo in braccio e la abbraccio ma nel frattempo le faccio la ramanzina, lui oddio è caduta, ti sei fatta male, dimmi dove ti fa male. Succede anche a voi?
@Silvia concordo in toto, e poi il punto diventa anche ansiosi rispetto “a che cosa”, io non sono troppo ansiosa (quasi per niente direi, come mio marito) rispetto alla incolumita’ fisica, ma mi faccio molte paturnie rispetto a quella psicologica, per cui se il dilemma che mi si pone dinanzi e’ se prova ad arrampicarsi il suo ego ne guadagna, ma potrebbe rompersi una gamba, mentre se non prova ad arrampicarsi la sua gamba ne guadagna, ma potrebbe rompersi il suo ego, io voto per la opzione uno. Il che non e’ necessariamente la scelta giusta, ma e’ quella mia.
@Vittore, mi aggrego ai commenti di Barbara e Supermambanana: no no, non si tratta di papa- troppo ansiosi, io parlavo del mio caso specifico. Piu- spesso tra i miei conoscenti invece vedo mamme troppo ansiose.
Penso che siamo tutti un po- ansiosi, vorremmo evitare ai nostri figli che succeda qualcosa di brutto, che si facciano male.
Pero- ecco secondo me come in tutte le cose ci sta la giusta misura.
Intervenire ma non troppo, cercare di spiegare PRIMA cosa si puo- fare e cos-e- pericoloso e POI osservare il comportamento dei nostri figli senza opprimerli. Vigilare con discrezione insomma.
Aggiungo anche che genitore iper-ansioso (purtroppo) non significa genitore piu- attento! Mio marito si distrae subito mentre e- con la piccola, a volte non la guarda proprio, lasciandola sola in attivita- ancora per lei ‘pericolose’.
@Vittore, giustissimo. Infatti spesso l’ansia eccessiva o irrazionale (o almeno oltre il razionale) per me rappresenta proprio un atteggiamento egocentrico. Per non dover fare i conti con la mia ansia, la applico a tutto e tutti, così evito proprio di pormi il problema, anche se per questo limito gli altri.
E cosa ha a che vedere questo con l’attenzione? L’attenzione è anche assunzione di responsabilità, finchè sono mie (quindi finchè i figli sono piccoli). Anche perchè solo così posso insegnare a far prendere ai figli, piano piano, sempre di più le loro responsabilità.
Se vieto tutto, non cresco un figlio sicuro o attento, ne cresco uno irresponsabile.
@serena, no comment.
… il problema è non identificare assenza di ansia (o ansia nel limite consentito) con “menefreghismo” o “ansia eccessiva (o irrazionale) con vera attenzione! Purtroppo a volte si cade in questi tranelli di valutazione.
A proposito di gioco all’aria aperta, oggi ho ricevuto uno degli ennesimi comunicati stampa che tentano di rifilarci per farsi pubblicità qui su questo sito, ovviamente aggratis! Vi riporto parte del comunicato perché interessante per questo post: […]con l’arrivo della “bella stagione” i bimbi hanno sempre più voglia di vivere all’aria aperta e godere del tepore e delle lunghe giornate primaverili ed estive.[…]selezione esclusiva…prodotti infanzia….Tra i prodotti proposti per i bambini si possono trovare: mini-auto elettriche che possono essere controllate a distanza dai genitori con un telecomando…. Alla faccia del gioco all’aria aperta! :-/
@Vittore assolutamente no, infatti qui si parlava di “due” papa’ ben precisi, la mia esperienza vede le mamme in prima fila in questo aspetto (a cominciare dalla mia) ma credo non sia una questione di genere quanto di carattere e di esigenza di “controllo”
@Vittore asslutamente no. Non colpevolizzo i padri in generale, conosco anche io coppie in cui è la mamma quella ansiosa. Discutevo solo delle mie strategie di sopravvivenza con un coniuge ansioso 🙂
La cosa brutta dell ansia irrazionale, come la chiamo io, è che è imprevedibile: si presenta per alcune cose e non per altre (vedi l esempio sopra del seggiolino in macchina, caso classico) e quando meno te lo aspetti. Anche, come nel mio caso, su cose che sono già superate da giorni e tu genitore ansioso lo sai che sono già superate perchè ti ho avvertito prima. Sono cose molto personali, che hanno radici chissà dove. Questo è uno dei casi in cui la genitorialità ci obbliga a lavorare su noi stessi per non creare danni a qualcun altro.
… ma siete così certe che siano ansiosi solo i papà?
Venerdì sera una coppia di amici è venuta a casa mia a cena e hanno lasciato i figli 13 e 15 enni a casa soli. La madre ogni 15 minuti si sincerava (o via sms o telefonando direttamente) dell’andamento della loro serata “libera”. Non vi dico ad un certo punto la reazione del padre!
Mi sento un medio-ansioso: a volte vedo più pericoli di quelli che effettivamente ci sono, in altre sono più spericolato dei miei figli, ma la misura dove sta?
Provo a mettere qualche link a miei vecchi post sull’argomento:
La recensione del libro di Louv:
http://momatwork2011.wordpress.com/2010/03/11/this-is-not-america/
La recensione di un altro libro (non tradotto in Italiano) sulla fruizione della natura assieme ai bambini:
http://momatwork2011.wordpress.com/2010/06/20/we-love-dirt/
Sulla competenza, l’autonomia e l’indipendenza:
http://momatwork2011.wordpress.com/2007/10/13/chi-ha-ragione/
http://momatwork2011.wordpress.com/2009/07/20/fidarsi-e-meglio/
http://momatwork2011.wordpress.com/2010/12/05/piccolo-manuale-di-comunicazione-ipocrita-principi-e-metodi/
http://momatwork2011.wordpress.com/2011/12/16/avere-o-prendere/
Ma quasi quasi mi metto sotto con un post che già da anni ha un titolo e aspetta solo di concretizzarsi…
barbara mi hai fatto ribaltare 😀 proporrei una terapia d’urto per questi papa’ (oppure l’obbligo ti star dietro i pupi per una settimana di fila da mane a sera, fatti ‘na vacanzina va’)