Tutti giù per terra!

Come per molte altre cose, mi rendo conto adesso guardandomi indietro, io ho avuto un’infanzia a due velocità, per quanto riguarda la vita all’aria aperta. Per 11 mesi all’anno, da cittadina, casa in appartamento, io ero la tipica bimba casalinga: si va a giocare a casa degli amichetti, o si invitano amichetti a casa, si va dai nonni, a casa, si va qualche volta al parco la domenica mattina. O si resta, a casa, a fare interminabili giochi da tavolo, a guardare la TV, oppure a leggere (e leggere leggere leggere). Nel restante mese dell’anno, nel paese natale di mio padre per le vacanze di Agosto, vivevo praticamente sempre in strada, rabberciavo una colazione volante e partivo con i miei cugini e cugine alla volta della villa comunale, dove passavo la mattinata fino all’ora di pranzo, quando mi infilavo a casaccio o a casa di nonna o a casa di uno degli altri cugini per mangiare (qualcuno avvisava i miei ad un certo punto) e riuscivo, in piazza, o daccapo in villa, o partivo verso casa di qualche amico di amici per un Risiko, fino all’ora di cena, dove mi ritiravo esausta in sede familiare. Quel mese era un mese esilarante, non soltanto per il divertimento, ma anche per quella sensazione di onnipotenza: quella bambina, che in città era molto molto timorosa, usciva sempre con la manina, e se anzi non si usciva per una sera anche meglio, sempre un po’ nervosa all’idea di andare a casa di altri, anche se li conosceva benissimo, veniva sedata con droghe pesanti e il suo corpo era posseduto da questa specie di selvaggia. La selvaggia ad un certo punto ha preso il sopravvento totale e ha spedito la pupetta timidina dove meritava di essere, partendo senza guardarsi indietro (e intendo davvero senza guardarsi indietro). Ma questa è un’altra storia.

Tutto ciò per dire (l’ho presa alla lontana) che ho letto con molto interesse che il National Trust (che sarebbe l’associazione che si occupa della conservazione del patrimonio artistico e culturale UK) ha pubblicato di recente un rapporto, “Natural Childhood”, che evidenzia come la nazione, specialmente nella sua componente più giovane, mostra i sintomi di un fenomeno detto “Sindrome di Deficit di Natura”. La “natura” diventa un concetto astratto, qualcosa da guardare, da “consumare”, da indossare e mangiare, e sostanzialmente ignorare. Esiste una componente in questo fenomeno che potremmo riassumere in “signora mia, sono i tempi moderni”, che dice che statisticamente i bambini britannici passano in media due ore e mezza al giorno davanti alla televisione, cosa che aumenta con l’età (e il subentrare di internet nelle vite), per cui la fascia 11-15 anni passa davanti ad uno schermo circa metà del tempo da svegli.

Ma non è soltanto questo, e sarebbe riduttivo pensarlo, maledire i tempi moderni e internet, comunicando al mondo la nostra disapprovazione più totale… via twitter. Anche perché, il rapporto ci tiene a sottolineare, i benefici che invece internet ha apportato sono talmente tanti che sarebbe ingiusto e deleterio bollarlo come causa di tutti i mali. Il problema invece che il rapporto vuole enfatizzare è che, nelle parole di Richard Louv (un’altra lettura interessante, e tradotta in italiano), questa è una generazione di bambini cresciuti in un regime di arresti domiciliari. Certo, con buone intenzioni, con un fine principalmente protettivo, ma una generazione di cuccioli allevati in cattività, in buona sostanza.

E insomma, visto che dalla mia esperienza i bambini britannici vivono molto molto “fuori”, rispetto magari a certi coetanei italiani, per dire la classe quinta della scuola primaria dei miei figli ha appena concluso la consueta settimana di “residenza” a Plas Caerdeon, un centro in Galles gestito dalla Hope University di Liverpool che accoglie le scolaresche per una settimana di “outdoor”, con gite in canoa, arrampicate con funi nelle foreste, nottate in tenda e via discorrendo, e in effetti tutta la nazione ha un po’, come direbbe mia madre, “la casa che gli puzza”, non appena arriva la domenica o un giorno di vacanza si buttano tutti fuori, fra prati, parchi, musei o gite al fiume,  insomma, leggo con molto interesse i dati di questo rapporto, come questi:

  • in una sola generazione, dagli anni 70 ad oggi, il “raggio” intorno a casa in cui i bambini si spostano liberamente senza accompagnamento si è ridotto del 90%.
  • Nel 1971, 80% dei bambini di 7 o 8 anni andavano a scuola a piedi, spesso da soli o con amici. Venti anni dopo, questa percentuale è diventata il 10%, e praticamente tutti accompagnati dai genitori.
  • Fra i bambini di 10 anni, due su tre non sono mai andati in un negozio o al parco da soli, e in un sondaggio commissionato dalla Children Society, quasi metà degli adulti intervistati si interrogava se la prima uscita da soli dovesse essere verso i quattordici anni. Per dire, i decenni di una generazione fa avevano molta più autonomia dei teenager di adesso.
  • Se poi ci allarghiamo alla esplorazione della natura, argomento centrale del rapporto, si vede che meno di un quarto dei bambini usa il parchetto locale (contro la metà dei loro genitori da piccoli).
  • Meno di un bambino su dieci gioca regolarmente in una zona di natura aperta (non un parco), contro la metà dei loro genitori.
  • In un sondaggio del 2008, un bambino su tre non riusciva a riconoscere una gazza (e non è un uccello a casaccio, perché i giardini sono pieni di gazze, anche quelli delle case, nel mio back garden ce ne sono un paio di regolari) e non sapevano distinguere un’ape da una vespa. In compenso, nove bambini su dieci riconoscevano un Dalek.

Il problema ovviamente non è soltanto ludico o cognitivo: l’obesità infantile è un problema in continuo aumento, così come la carenza di vitamina D, la miopia, l’asma. Nonché la capacità di eseguire semplici esercizi. E vogliamo anche metterci problemi di natura comportamentale ed emozionale? I bambini inglesi che prendono regolarmente antidepressivi sono un numero esorbitante, per una nazione che non prescrive l’antibiotico se non alla soglia del ricovero. Meno i bambini giocano all’aperto, meno imparano ad affrontare i rischi e le sfide, niente può sostituire la libertà e l’indipendenza di pensiero che il provare a fare cose nuove all’aperto può donare, dice una psicologa infantile nel report. Imparare a rischiare è uno skill importantissimo, senza rischi non avremmo niente, non avremmo arte, scienza, musica, niente di niente.

Insomma, i benefici del giocare all’aria aperta, l’esplorare, il conoscere la natura, sono incommensurabili. Anzi, l’affermazione è ancora più forte: i danni che la mancanza di questo comporta sono incommensurabili. Ma cosa è che impedisce che i bimbi siano pronti ad acchiapparli questi benefici? Il rapporto si conclude con un pensiero cupo. L’infanzia dei nostri figli sta venendo di fatto minata dalla crescente avversione di noi adulti al rischio, e dal nostro contaminare con questa paura tutti gli aspetti della loro vita. Certo tutte queste barriere che mettiamo davanti ai nostri figli partono dalle migliori intenzioni, e sono proprio queste buone intenzioni che bisogna imparare ad affrontare e capire. Non è facile convincere una nazione di genitori, di legislatori, di politici, di giornalisti, di educatori, che quello che stiamo facendo ai nostri ragazzi è così sbagliato. E non è facile tenere a bada famosi “genitori elicottero” (helicopter parents), pronti ad intervenire come i marines per salvare i nostri figli, proteggerli da ogni male, incoraggiarli, accompagnarli, facilitare loro il compito (ecco un quiz/gioco per voi: siete anche voi un helicopter parent?)

Metti per esempio la sicurezza stradale: un problema legittimo e sentito, e una vittoria delle istituzioni se stiamo ai numeri, il numero di bambini morti sulle strade in UK è passato da 700 nel 1976 a 81 nel 2009. Ma se questo è dovuto al fatto che i bambini non escono mai da soli, o non escono affatto, il rapporto si chiede, è davvero una conquista? Oppure, guardiamo le statistiche delle unità pronto soccorso, sembra che il posto più pericoloso dei bambini al giorno d’oggi sia la cameretta: i bambini portati al pronto soccorso per essere caduti dal letto sono tre volte di più di quelli caduti da un albero. E ce ne sarebbero tanti di numeri interessanti, ma i genitori continuano ad essere convinti che tutti i pericoli siano al di fuori delle mura domestiche, e che tenendo i bimbi a casa li manteniamo al sicuro. Il terrore degli sconosciuti è un altro fattore importante, e lo so che ci sono tante ma tante notizie che ci allarmano, ma fatto sta che questa generazione di bambini, quando viene loro concesso di allontanarsi da noi, è monitorata con la tecnologia più avanzata, incluso il GPS (e non è una esagerazione, era nelle news), o l’introduzione di webcam nei nidi per dare modo ai genitori da casa di avere sempre i loro bimbi sotto gli occhi – un programma in TV qualche anno fa che si chiamava qualcosa come “Bambini nella bambagia” forniva l’altra faccia della medaglia dei genitori GB di cui si parlava qualche giorno fa, ma con conseguenze altrettanto deleterie.

E insomma, certo tutto ciò è magari naturale e comprensibile, ma stiamo davvero considerando tutte le conseguenze delle nostre azioni? O smettiamo di pensare alle conseguenze nefaste della nostra natura-snaturata quando smettiamo di allattare, svezzare, far addormentare o spannolinare? Non è che magari (un mio tema ricorrente, lo so) queste sono in fondo cose che impattano poco, se viste in un’ottica a lungo termine? E altre che invece ci lasciano indifferenti impattano molto di più?

La conclusione di questo rapporto è nella tipica attitudine Britannica di “lanciare sfide”. La sfida questa volta si chiama “Le 50 cose da fare prima di 11 anni e tre quarti”. I bambini e le bambine che raccolgono la sfida possono registrarsi al web site, e scoprire una lista di attività, sotto varie categorie, da intraprendere. Guadagnano dei distintivi ogni volta che ne aggiungono alla lista, possono inviare testimonianze e prove fotografiche. Un esempio di cose da fare? Arrampicarsi su un albero. Rotolare da una collina. Accamparsi in tenda. Costruire un rifugio. Giocare nel fango. Seppellire qualcuno nella sabbia. Fare una gara di lumache. Guardare l’alba. Far volare un aquilone. Passare sotto una cascata. Prendere una farfalla. Mangiare una mela direttamente dall’albero. Piantare, crescere e mangiare qualcosa (frutta, verdura etc). Fare una caccia al tesoro sulla spiaggia. Fare a palle di neve… Insomma, si è capito che intendo. Certo questo rischia di diventare un’altra mission per i genitori elicottero invece, che in aggiunta ad accompagnare i figli da judo a violino, da nuoto a cinese, si annoteranno felici sull’agenda tutta un’altra serie di appuntamenti nelle foreste. Ma val la pena tentare.

E insomma, la bambina che viveva solo 1/12 della sua vita in libertà non può che approvare, e a questo punto direi che le tocca un altro esorcismo, per scacciare la mamma apprensiva da questo corpo, una volta di più. Nelle immortali parole del vate, Here comes the sun. And I say, it’s all right.

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I genitori e l’esigenza della delega educativa

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53 thoughts on “Tutti giù per terra!”

  1. @supermambanana ma che sei matta?!?!? Se mio marito scopre che c’è una qualche possibilità di rompersi una gamba, no, dico, ROMPERSI UNA GAMBA! andando sullo scivolo siamo finite!!! Se c’è una probabilità del 3% che il bambino si rompa una gamba col genitore che scende con lui, la probabilità che se la rompa da solo è almeno del 300%!!!

    Ci prestarono la vaschetta da bagnetto sagomata, quelle che il duemesenne non lo devi neanche sorreggere perchè la vasca lo sostiene (per fortuna poi dovuta restituire). “Eh ma la devi sorreggere lo stesso [IO la devo sorreggere, notate bene], potrebbe andarle acqua in faccia e potrebbe affogare”. Allo sguardo assolutamente attonito mio e di non mi ricordo chi altro presente, lui con lo sguardo ingenuo di quello che spiega una cosa ovvia a un deficiente replica semplicemente “può succedere. non puoi escludere la possibilità”. Le ho fatto il bagnetto mentre lui era al lavoro, da quella volta. Ancora adesso che TopaGigia ha tre anni e fa il bagno in una vasca dove a mala pena le entrano le gambe stese e l’acqua le arriva sotto il petto, pretende che ci sia sempre un adulto con lei. Scusate l’OT.

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  2. Per quanto riguarda lo stare all’aria aperta anche i miei (5 e 7 anni) si sporcano spesso e hanno già fatto un bel po’ delle cose della lista. Sono d’accordo con Barbara sul fatto che se li lasci fare tante cose, poi quando gli neghi qualcosa, lo accettano senza fare tanti problemi.
    Sull’indipendenza, invece, sono molto combattuta. A casa sono molto indipendenti, nel vestirsi, lavarsi e nelle piccole decisioni che possono prendere da soli. Lasciarli fuori o in casa da soli, invece, mi fa ancora paura.
    Starebbero tranquillamente soli in casa per mezz’ora/un’ora, ma il problema è mio: e se mi capita qualcosa mentre sono fuori e non riesco ad avvisare nessuno? No, non me la sento.
    Per quanto riguarda l’andare a scuola da soli, non ne capisco il senso, almeno adesso alle elementari. Credo che per un bambino che passa a scuola 8 ore lontano dai genitori, sia una bella cosa essere accompagnati e ripresi da una mamma o un papà con un dolce sorriso.

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  3. Forse non è il punto del tuo post, ma era sicuramente uno dei punti del libro, che si intitola “L’ultimo bambino nei boschi” (oltretutto io l’ho letto in Inglese, perché non sapevo fosse stato tradotto in Italiano) e non “L’ultimo bambino al parchetto” e parla di “Nature Deficit Disorder” e non “Open Air Deficit Disorder”. Quindi se riteniamo che pescare un pesce, raccogliere flora spontanea, accendere un fuoco o portare a casa qualche sasso sia utile per lo sviluppo psicofisico dei nostri figli e se sappiamo che queste sono attività regolamentate e spesso vietate in alcune aree, per alcune specie, in alcuni periodi o in assoluto su tutto il territorio nazionale e ci regoliamo in conseguenza, bene. Se in buona fede ma totale ignoranza pensiamo che così facendo anche un favore alla natura, beh…
    Comunque, ho spesso trattato questo argomento e quello dell’autonomia e dell’indipendenza e mi è difficile fare una sintesi. I miei figli (sei anni e mezzo e quasi quattro) vanno a scuola a piedi, ma non da soli; non ci andranno per un bel pezzo perché nel nostro paese non ci sono i marciapiedi, le viuzze sono strette e la maggior parte dei genitori accompagna i figli in macchina abbandonandola in mezzo alla strada, facendo lunghe retromarce e il pelo ai passanti. Per il medesimo motivo non vanno da soli a fare compere in paese. Dopo aver osservato e valutato il loro comportamento in strada li lascio percorrere da soli qualche decina di metri in tratti privi di incroci. Nel bosco la distanza di allunga, ma ammetto che la sicurezza stradale è un altro mio pallino. Infatti vanno da soli a comperarsi il gelato al mare o a fare esplorazioni con qualche amichetto più grande, assentandosi anche per delle buone mezz’ore.
    Li lascio a casa da soli, insieme, o solo la maggiore, per brevi periodi, giocano da soli in giardino o in casa (letti a castello, scale, balaustre)se in giardino ci sono io. Restano da soli al parco, teoricamente affidati a qualche mamma distratta più per non fare brutta figura che per reale necessità: mi fido più dei miei figli che delle madri altrui.
    Non sono attività “prive di rischio”, ma attività “a rischio calcolato”; in questi anni (e negli anni a venire) ho cercato di accompagnare i miei figli a costruirsi una percezione verosimile dei pericoli e a cercare una strategia per ridurre il rischio. Quando ossevo i comportamenti altrui vedo invece un concentrarsi su falsi pericoli (“non correre che sudi” che si estende a “ogni attività fisica è potenzialmente pericolosa”) ignorando quelli reali (uso del seggiolino e rispetto degli attraversamenti che si estende alla sicurezza stradale in generale) che istilla una sensazione di insicurezza diffusa, una mancanza di punti fermi e quindi una generale “irresponsabilità”.

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  4. lo scivolooooooooo 🙂 ma lo sai che tempo fa da noi ci fu una notizia sui giornali di uno studio US in cui venne fuori che un discreto numero di fratture alle game di bambini sotto i 4 anni era provocato dal fatto che IL GENITORE scendeva con loro sullo scivolo, per proteggerli (sigh!). Tanto che i ricercatori avevano preparato un poster informativo da esporre nelle sale d’attesa dei pediatri, e uno video che dimostrasse la dinamica della cosa, nella speranza di scoraggiare gli helicopter parent da questa cosa folle 🙂

    il video e’ qui per chi volesse mostrarlo a padri apprensivi (ehm) http://www.youtube.com/watch?v=6EzJL3qp-eI

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  5. @Fab, il papà di TopaGigia le ha messo la paura dello scivolo. Non ricordo esattamente quando, sarà stato fra l’anno e l’anno e mezzo, un sabato andiamo tutti al parco e io gli dico che c’è una novità che lei gli vuole far vedere. La lascio sullo scivolo e lui caccia un urlo di terrore che (oltre a scatenarmi un moto d’odio per la scarsa opinione di me come madre, evidentemente, e la totale mancanza di fiducia verso me e la figlia) blocca la bambina in cima allo scivolo. Pianti, urla, per un paio di settimane nulla, non ci voleva più andare. E io giù a rifare tutto il lavoro da capo. Stessa cosa col megascivolo dei giochi gonfiabili: lo faceva da sola da un paio di settimane poi è arrivato lui e apriti cielo. Ancora non ne siamo venuti fuori.
    Siccome tocca a me poi rimediare, e farmi un didietro così per ridarle fiducia in se stessa, ho deciso che sono bugie bianche. Lui lo sa che gli tengo nascoste le cose, magari non sa esattamente quali, ma siccome sa anche di essere un ansioso totalmente irrazionale, forse anche lui ne conviene che è meglio così.

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  6. @Supermambanana
    Grazie!!!

    @Barbara
    a volte penso che tu sia la mia sorella gemella mancata! leggendoti spesso mi sembra di vedere me stessa!
    Eh si, purtroppo sono mooooolte le cose che tocca fare di nascosto… eh ma uffa, sti mariti ansiosi!

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  7. Io le cose di nasconsto dal papà ansioso le faccio eccome! Solo che TopaGigia non si tiene il cecio in bocca e ci fa sgamare sempre. Abbiamo il rituale quando torniamo a casa che io salgo in ascensore con tutti i pacchi e pacchetti del caso e lei fa le scale da sola. Se non c’è il papà che non vuole, s’intende. Poi lui torna e lei subito “non ho fatto le scale da sola!” oppure “non te lo dico il segreto mio e di mamma!” e io mi becco la ramanzina… Comunque. A camminare da soli per strada ci si può arrivare per gradi: io con lei prima dei 18 mesi già uscendo di casa le dicevo “non mi ricordo dove sta la scuola/il parco, mi ci porti tu?” e lei mi camminava due passi avanti da sola tutta impettita e io zitta… Al parco mi siedo e le dico che la guardo da lontano. Da quando si trova solo in mezzo a bambini, senza di me che elicottero sopra, ha preso fiducia nei giochi più impegnativi (è abbastanza fifona, bisogna dire). Quando riesce arriva di corsa “mamma sono riuscita a fare questo e quello” e io “lo so, ho visto, ti guardavo” e lei riparte tranquilla che io ci sono ma la lascio fare. Al mare cercavo di mandarla da sola e prendersi il gelato, a prendere l’acqua col secchiello insomma a cominciare a far da sola. Stiamo proprio lavorando sull’autonomia, con alcune basi già messe e l’età giusta. E’ in casa che crolliamo: da sola in casa non ci gioca.

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  8. @ supermambanana
    (@Fab, i serpenti dietro gli alberi? La leptospirosi nei laghetti? ma dove vivi scusa? prrrrrrr)

    Fa ridere lo so!!! ma a me viene da piangere!!!!
    viviamo in citta-, ma siccome si sentono alla radio ogni tanto notizie di casi di bimbi in ospedale per questo o per quello… il papi si fa prendere dal panico… o dall-ansia…

    Il mio problema e- cercare di limitare i danni (e come si fa?) di questo (inaspettato) atteggiamento iper in tutto (genitore elicottero a dir poco).
    Per dire, a me piacerebbe fare i picnic nel parco all-aria aperta, nel bosco, indifferente dove (lo fanno tutti qui voglio dire!), e invece mi sento sempre dire ‘NOOOOO pericolosissimo per questo e quello’. Tutte scemenze insomma che mi fanno proprio ridere e arrabbiare allo stesso tempo, soprattutto perche- dette da uno che ste cose le ha fatte eccome!
    Insomma non riesco a capire questo atteggiamento da dove venga, se dal senso di responsablita-, la paura che succeda qualcosa, bu.
    Ma insomma dico io, sti figli un po- di ginocchia sbucciate le dovranno pur vedere! la botta nel fondoschiena andando in pattini se la prenderanno pure! la zecca da togliere con la pinzetta anche (io ne ho prese un-infinita- e sono ancora viva!). Non sembrano delle tragedie, e invece… giammai!
    uffa, beh scusate anche un po- lo sfogo…

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  9. @Wonderland: come darti torto, Porpy è davvero ancora troppo piccola per le città in cui vivete, ma fossi in te rivaluterei un sano mese di vacanza con la nonna ad OhNo!. In Abruzzo ci sono cresciuta e quando ci porto i bambini è davvero un’ altra vita. Orso a 3 anni quando ha visto che non mi fidavo a leggermi un giornale in pace mentre lui faceva i castelli di sabbia mi ha detto: senti mamma, mi metto i braccioli, così anche se arriva un’ onda non affogo. Ha funzionato.

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  10. Mah, questo mito della natura…. che qui è fredda, umida e ventosa la maggior parte del tempo, quindi quando di questi tre punti ne sono assenti almeno due, ci provo a buttarli fuori di casa. La mia frase è: andiamo a far prendere un po’ d’ aria alle pulci (cosa che diceva mia madre al cane quando stava per portarlo fuori).

    Sulla sicurezza, scusate ma per quello che leggo qui io sono una pessima madre o i presenti farebbero bene a trovarsene uno bravo.

    Non è merito mio, ma avendo proprio l’ orrore della madre: non correre che sudi, trasmessomi dai miei, io quando ero incinta ho deciso che a costo di farmi venire l’ ulcera col cavolo che mettevo i paletti inutili. Ovviamente certe volte esagero dal lato opposto, ma siamo ancora qui vivi per raccontarvelo.

    Quando E. aveva pochi mesi, visto che ogni volta che chiudevo gli occhi avevo incubi di passeggini che mi sfuggivano di mano e cadevano nel canale (e tuffati e slega un neonato dal passeggino quando sei sott’ acqua, ho sempre avuto sogni molto pratici), mi sono messa in mano a una coach che mi ha fatto fare respirazione consapevole e mi ha aiutato moltissimo. Quando ho avuto altri momenti no, sono andata da una psicologa che mi ha fatto tanto bene. Quando i momenti no li hanno avuti i figli, ci siamo fatti consigliare da lei una terapeuta per bambini. In realtà io penso da anni che farebbe bene pure al maschio alfa risolversi alcune cose e infatti lunedi prossimo si vede con un esperto del suo lavoro. Non so se questa premessa mi priva di credibilità.

    So solo che quando E a 4 anni ha iniziato ad andare a scuola e O che ne ha due di meno faticava a svegliarsi per tempo e stress e urla e ritardi e la maestra che me li faceva pesare tutti (ritardi e stress, infatti ho dovuto cambiare scuola), ho iniziato a lasciar O a dormire lasciandogli sulle scale fuori dalla porta della camera o sul tavolino in cameretta un bicchiere di latte e il suo panino, con calma portavo E a scuola e al ritorno o ancora dormiva o stava beato e seduto a fare colazione. L’ ho imparato da un’ amica che lo faceva con il figlio neonato per non rovinargli il pisolino quando andava alle 15 a ritirare il grande la prima volta che me l’ ha detto ho iperventilato per mezz’ ora.

    È vero, se succede qualcosa sei finita. Ma pure la volta che erano in casa con mio marito e sono saliti di nascosto sul tetto e lui se ne è accorto perché, con la finestra aperta, improvvisamente li ha sentiti parlare troppo da vicino. Voglio dire, la disgrazia può succedere pure quei due minuti che sei al bagno a combattere con una botta di stitichezza, no? (Sul tetto non ci sono mai più saliti quando hanno capito che rischiavano di ritrovarsi orfani, l’ infarto è una brutta bestia).

    Insomma, belli, buoni e cari gli obiettivi che propongono, ma non ricordo se ci ho visto nella lista: salire sul tetto (ripido) senza trovarti 5 giorni dopo al funerale di tua madre. Infatti oggi andavo in giro e tutto il tempo me ne veniva in mente una alternativa da fare per chi vive in città.

    Perché io sono cresciuta al mare e stavo sempre in giro tra spiaggia, campagna e case in costruzione. E quando stavo al paese di mia nonna con Silvia ce ne andavamo per montagne e grotte. Però le vacanze migliori le ho fatte in città dall’ altra nonna a Cracovia e anche lì, uscivi la mattina e rientravi a ora di cena quando mio nonno ci chiamava dal balcone. Quando ci organizzavamo la mattina si andava in piscina all’ aperto da soli, 30 ragazzini del vicinato (12 anni) a piedi fino all’ altro rione con un asciugamano, i panini e due lire per comprarci la pepsi e pagarci l’ ingresso, i grandi guardavano i piccoli e si rientrava tutti insieme.

    Insomma, non mi mitizzate la natura oltre il necessario, la cosa fondamentale secondo me è che i bambini acquisiscano autonomia a seconda dell’ età e del carattere. Figlio 1 è sempre stato molto autonomo e responsabile a 3 anni lo mandavo da solo al giardinetto dietro casa, costeggiato, è vero, solo da una pista ciclabile a cui comunque toccava insegnargli a stare attento e guardare senza attraversare alla cieca. Mettevo lo sgabello di cucina fuori dalla porta così quando voleva rientrare arrivava al campanello. Ma davanti casa avevo il canale (e infatti a 4 anni, figlio 2, per 5 minuti che gli ho permesso di giocare solo mentre salivo a posare la spesa ha pensato bene di entrare in un barcone talmente basso rispetto alla banchina che manco sappiamo come abbia, abbiamo avuto gli incubi per mesi, manco lo vedevo dalla strada e per fortuna i vicini mi hanno detto di avercelo visto e lui rispondeva, ma io non lo vedevo e sono arrivata alla sua altezza dalla sponda sbagliata e sono rimasta lì ad aspettare che mio marito lo raggiungesse dal lato giusto dicendomiL se casca almeno mi tuffo e lo raggiungo, sono due metri). Poi il piccolo scappava ovunque per un periodo, ogni tanto spariva e vai di stress. Con le amiche che mi vedevano fare i piani di battaglia per cercarlo e dicevano: non so come fai a restare così lucida, e io sapevo che la lucidità mi serviva tutta ma che aveva un’ autonomia di 15 minuti).

    Boh, mi è rivenuto il pippone. Facciamo così, il resto prima o poi ci scrivo un post. Comunque Silvia ti do santa Ragione, io non so se a Roma mi fiderei come posso fare qui ad Amsterdam.

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  11. Io già da parecchio ho provato a lasciarlo da solo in casa: intorno ai 5/6 anni per pochi minuti, ora magari anche per… una ventina di minuti? E lo so che è poco, ma di più non ce la faccio, che vi posso fare!!
    Per l’accompagnamento a scuola io vorrei provare, vista la breve distanza, ma l’apprensivo papà teme per l’attraversamento della strada. Secondo me è piuttosto prudente… Vediamo se per l’anno prossimo la spunto.
    Però non potrebbe tornare a casa da solo, a meno che non lo autorizzassi ufficialmente per iscritto, con dichiarazione alla scuola (perchè all’uscita gli insegnanti devono “consegnarli”) e, se non ricordo male, è possibile solo in quinta elementare.
    In fondo la prima media non è poi così lontana e lì non ci sono santi: va e torna da solo.

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  12. (@Fab, i serpenti dietro gli alberi? La leptospirosi nei laghetti? ma dove vivi scusa? 😛 prrrrrrr)

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