C’è stato un tempo nel quale ero padrone di decidere cosa fare, quando e dove farlo. Sono stati gli anni del mio “vivere da solo”. Tutto piacere e poco dovere. Anche lavorare era divertente – si trattava di far passare velocemente le ore impegnate per far arrivare prima quelle libere.
Poi sono arrivati gli anni della vita in due, del costruire tra mille difficoltà un qualcosa che fosse maggiore della somma delle parti. Tutto quello che fa parte del progetto – parola passata da Heidegger al gergo calcistico con una facilità inquietante – è diventato un dovere, “la cosa da fare” oggi e poi domani e poi tutti i giorni. Ma in due tutto è dovere e tutto è piacere; e ancora non è troppo opprimente che il tempo sia scandito, più che dalla tua volontà, da chi la impiega per un profitto di cui ti arriva una minima parte. Parte necessaria però al tuo progetto.
E’ in questi anni che si accumulano facilmente schemi, stereotipi e luoghi comuni sul “dovere”. Si abbandona la giovinezza, si diventa adulti, adesso ci sono le cose da fare, eh, signora mia. E via così.
Quando nasce il primo figlio, anche il papà subisce una nuova tempesta di doveri, e sa che il tempo dedicato al piacere diminuirà. E poi, già i doveri vengono prima dei piaceri, come dice l’antico adagio, in più bisogna fare gerarchie pure tra i doveri: spendere meno, ché c’è un bambino da mantenere; dare una mano in casa, alla compagna; occuparsi del bambino – è un dovere perché tu non sei uno di quei vecchi papà che ci pensa solo dopo, quando è cresciuto, no? Vuoi partecipare, condividere anche da neonato il tuo figliolo, ed eccoti lì.
E il tempo del piacere? Finito, esaurito, svanito, relegato all’occasione, al segreto, al non detto, al fuggevole. Non è più il tempo di divertirsi, ci sono le cose da fare, c’è il tuo dovere.
Per come la vedo io, questa divisione in due categorie del tempo è sbagliata. Non esiste alcun tempo del dovere né alcun tempo del piacere – né esiste una contrapposizione tra i due.
Esistono le relazioni tra gli esseri viventi, e tra gli esseri viventi e le cose. E tra loro queste relazioni sono importanti a seconda di quanto tempo passiamo a curare queste relazioni. Ma esse non sono tra loro contrapposte, sono nostre scelte e nostre responsabilità. E’ troppo facile e banale mettere i doveri – che in genere vengono da “fuori”, da qualcun altro, ci sono “imposti” – ai piaceri che invece sentiamo come spontanei, sinceri, liberatori. Le cose brutte vengono da fuori, quelle belle da dentro, sono io contro il mondo – la facile psicologia dell’eroe. Mi pare davvero troppo semplice.
Ci sono periodi della vita nei quali la relazione importante è una sola, quella con me stesso e le mie cose. Intorno a questa – né sopra né sotto, né prima né poi – si allacciano tutte le altre relazioni. Il tempo è tutto mio.
Ci sono poi periodi nei quali decido che la relazione più importante è quella con un* altr*, e con le sue cose. E tutte le relazioni di entrambi subiscono un assestamento, si ridistribuiscono e riconfigurano secondo un assetto nuovo: ci sarà più tempo per una, meno per un’altra, a una darò quanto dà il/la mi* compagn*, a un’altra relazione meno o più dell’altr* – fino a un equilibrio soddisfacente e non frustrante per entrambi. I tempi si mescolano e si combinano in piani diversi che non sono ordinati per gerarchie di doveri e piaceri, ma per partecipazione, frequenza, intensità. Con qualcuno, con qualcosa, saremo meno frequenti ma più intensi; qualcos’altro, qualcun altro, frequenteremo più spesso ma forse meno profondamente. Il tempo è da condividere.
E arriva un figlio. Un nuovo essere che intesse nuove relazioni con gli esseri viventi già esistenti, e con le cose e i luoghi già esistenti. E quelle combinazioni, quelle relazioni che sussistevano prima vanno riconfigurate, rivissute, ripensate – in qualche caso riattivate, ricordare e ricercate, chissà – perché la nuove presenza esige nuove relazioni; ma non le esige col peso imperscrutabile del “dovere”, né con la spensierata leggerezza del “piacere”: le esige con la naturalezza di cui ha diritto in quanto esistente, ed esistente non per sua scelta. Adesso il tempo è da donare.
A queste relazioni, a questi cambiamenti, ci si può anche opporre, ci si può anche negare, perché no? Si può fare, assumendosene la responsabilità. Ma la dicotomia tra tempo del piacere e tempo del dovere dà sempre l’impressione che si possa essere “rivoluzionari” venendo meno al dovere imposto, al caso imperscrutabile, alla volontà altrui. Preferisco invece la scelta consapevole e l’assunzione di responsabilità che mi vengono dalle relazioni che ho intorno, che scelgo di godere o di sopportare, ma che sono sempre anche le mie. Preferisco poter condividere e donare il mio tempo non contro qualcosa o quacuno ma per qualcosa o qualcuno.
Il tempo è l’unica ricchezza di cui disponiamo, e sta a noi darla a chi o a cosa vogliamo. Viviamo in società che tendono continuamente a organizzare ilnostro tempo, ma per nostra fortuna possono farlo solo quantitativamente. Per la maggior parte del tempo della mia veglia io sono lontano dai miei figli, ma se della giornata ricordo, prima di dormire, solo le poche ore – a volte i pochi minuti! – che ho passato con loro è perché ho scelto di mettere più di me stesso in quella relazione e non nell’altra. Non è stato un dovere né un piacere – sono stato io insieme a loro.
TEMPO – RITMO – CADENZA – INTENSITÁ ( cit.)
Grazie, bellissima riflessione,
lucida ed intensa!
Verissimo. Alla mia vita di prima non saprei neppure più tornare. Mi sembrerebbe, per come sono io ora e non in senso assoluto, insensata. Perchè è anche vero che il tempo ci cambia ed è proprio inutile inseguire vecchi schemi che non sono più della nostra taglia. C’è anche il tempo per me e basta, ma questo tempo si intreccia poi con una serie di altre relazioni, (con mia figlia, mio marito, e gli amici e la scuola..) che lo rendono senz’altro più ricco. Unico neo rimane il mio lavoro, così arido che proprio non riesco a incastrare in questa mia fortunata vita. Quello rimane un tempo senza senso, per me, purtroppo! E infatti viene, anche quello, dalla mia vita di prima. Ma senza farne un dramma, ho chiesto il part-time 😉
Condivido in pieno il tuo approccio… a me non piace il continuo richiamo a trovare del tempo per sè, che i figli apparentemente negano (proprio ieri sul blog del Corriere della Sera è apparso un articolo in merito)ai poveri genitori. Il tempo con i figli, in famiglia, è tempo per me. Mi diverte, mi stanca, mi fa pensare, mi stressa e mi rilassa: mi fa vivere. Punto e Basta.
Che poi in certi momenti mi piaccia – o abbia voglia – isolarmi ci sta (credo), ma ciò avveniva anche prima.
Il piacere di costruirsi una vita con moglie e figli, di vedersi protagonisti dove il piacere di – responsabilmente – accogliere il dovere come destino per sè, non è mera cifra mentale.
Con tante cadute e sbandate, ma con continue e rinnovate ripartenze.