Sul tema del mese: parliamo di noi?

“Mamma, sei contenta che insegni quest’anno?”. Certo che lo sono boy-one, insegnare mi piace, ma sono nervosa, sono 7 anni che non vado in un’aula. Il Mister puntualizza: “Diciamo che mamma avrebbe preferito non avere anche questo da fare, che ci sono tante altre cose che comunque deve fare lo stesso”. Mi affretto a contro-puntualizzare “Ma insegnare mi piace, eh? Davvero!”.

Ci tengo molto a comunicare ai boys che il lavoro, in generale, è qualcosa che si può ascrivere alla categoria “cose che ci piacciono”, e che non è per forza “quello che mamma e papà devono fare per portare a casa i soldini che così possiamo comprare le cose”, mi sta molto stretta questa definizione: che il lavoro sia una cosa bella di suo, e che la società che si fonda sul lavoro non sia solo una bella frase, o una dichiarazione di diritti/doveri, ma una filosofia di vita da abbracciare, è qualcosa che spero i boys riescano ad assimilare, secondo me l’unico vero antidoto contro la volgarità dei quiz a premio, dei soldi facili, della raccomandazione, del denaro che porta potere. Love what you do, eccetera, e finiamola qui, non ritiriamo fuori il discorso della buonanima, con buona pace della meletta che ho qui davanti.

Ma sto divagando, non era di questo che volevo parlare.

Mi volevo soffermare sulla mia fretta di puntualizzare: non ci sono misteri che, per quanto insegnare mi piaccia, l’incarico didattico quest’anno mi è caduto fra capo e collo inaspettato e indesiderato (almeno fino a quando non sono rientrata in aula: parlare con i ragazzi era, ho scoperto poi, una cosa che mi mancava). Dovevo dirlo? Dovevo rispondere che, no mamma, porca miseria, proprio non mi va, stavolta sono delusa?

Leggo poi lo scorso post di Silvietta, e il suo cruccio che “crepe personali” inficino quello che vogliamo insegnare ai bimbi, che il nostro comportamento la racconti più lunga di quanto ci piacerebbe, e la mia saggia (ahem) risposta che no, stai mostrando l’immagine di una mamma che si autoanalizza e si cambia, tutto bene così. Ma davvero?

Ci risiamo insomma, il solito dilemma cornuto: come si fa a raccontare di noi stessi a bimbi, senza mentire sulle nostre debolezze, ma anche senza assecondarle? Come si fa a dire che i dubbi ce li abbiamo anche noi? Che la zia Sigismonda davvero non la possiamo sopportare? Che a volte ci piacerebbe tornare indietro e prendere un’altra strada? Che il partner, certe volte, certe volte, si potrebbe defenestrare senza pensarci due volte? Che abbiamo paura e siamo anche stanchi? Come si fa a insegnare tutte le sfumature, e al contempo mantenersi coerenti? Che si sa, la coerenza innanzitutto. O no?

O NOOOO?

Ricapitoliamo:

Scenario uno: la mamma che vorrei (visto che sono io a parlare, ma si applica ai papà paro paro, anzi di più) è una mamma che si sa auto-analizzare, che sa parlare delle questioni importanti, e soprattutto ti prende per mano e ti guida per le asperità dei sentieri della vita, ti insegna come gestire la rabbia, le frustrazioni, ti aiuta ad esorcizzare le paure, a vivere il dolore, se verrà, ad essere pacato nei giudizi, a riflettere sulle differenze, a evidenziare le contraddizioni. Un maestro Jedi insomma. Figo!

Scenario due: la mamma che vorrei (vedi sopra per i papà) è una mamma fedele a se stessa, una che non ti mente, non ti dice che va tutto bene se non è vero, e soprattutto ti aiuta a pettinare, col proprio esempio, le intricate corde dell’essere umano, ti fa capire che anche le mamme possono essere deboli, tristi, arrabbiate, spaventate, e danno sfogo alle emozioni, perché è normale provarle queste emozioni, e quindi anche tu ti sentirai meno solo e meno preso alla sprovvista, potrai riconoscere in te stesso ciò che hai visto in lei. Un allenatore emozionale insomma. Figo pure questo!

Mmmm.

Controindicazioni:

Scenario uno: uno dei miei timori ad aderire in toto a questo scenario è proprio dipingere mio malgrado un’immagine asettica di me, un essere supereroe, quella che ha sempre le risposte giuste, sempre pacata, sempre controllata. Temo che i boys (magari da grandi) non si sentano a loro agio nel mostrare il lato peggiore di sé, quasi autocensurandosi. In uno dei libri che più ho amato, “Se nessuno parla di cose notevoli” (If nobody speaks of remarkable things, di Jon McGregor, purtroppo non credo lo abbiano tradotto in Italiano, chiedo scusa vi dovete fidare sulla parola) c’è un passaggio in cui la protagonista, scoprendosi incinta, decide di andare a parlare con sua madre, con cui ha un rapporto di distanza, che mi ha dato un attimo di magone. La protagonista pensa a tutte le cose di cui avrebbe voluto parlare, tutti i problemi scemi, le paturnie, ma non lo fa, non sente dall’altra parte una situazione favorevole all’ascolto. Anche io mi sono smazzata da sola molti problemi, inclusi quelli niente affatto indolori ma che sentivo come problemi frivoli, rispetto alle Grandi Questioni Della Vita, il che mi ha decisamente resa più tosta, ma cavolo che faticaccia. Ecco, a me piacerebbe trasmettere il senso delle Grandi Questioni Della Vita, di cui abbiamo parlato in lungo e in largo in questo mese, ma al contempo anche trasmettere la tranquillità di poter parlare delle frivolezze, delle debolezze, delle paure, degli sbagli, di poter dire che oh a me di questo, sarà che è importante, etico, eccetera, ma non mi frega proprio niente. E magari discuterne.

Scenario due: il timore maggiore ad aderire in toto allo scenario due (anche questo sperimentato sulla mia pelle, il che avrebbe dovuto in effetti farmi sospettare che fare i genitori porta a grandi contraddizioni, ma si sa il senno di poi è una grossa fregatura) è che se il genitore che mette a nudo le proprie emozioni trova, per congiuntura astrale, o per grande colpo di sfiga, di fronte un figlio che si pone problemi forse più grandi di lui, il figlio possa sentirsi come in dovere di “proteggere” il genitore da ulteriori colpi emozionali, e quindi sorvolerà su certe sue questioni proprie, che si smazzerà da solo (cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, come noterete. E infatti per me la solfa era sempre la stessa). Ecco, a me piacerebbe trasmettere il messaggio che mamma può essere triste, stanca, preoccupata, non è una magistra Jedi (grazie a Silvia per le note sulla terminologia italiana di Star Wars), ma al contempo anche trasmettere che non ti devi spaventare delle emozioni, né quelle tue né quelle degli altri, sono normali, sono parte della vita, e insegnano molto su se stessi e sugli altri, parliamone, svisceriamole insieme, usufruiamone.

Insomma, un casino.

Insomma, non si può avere la torta e mangiarla pure (la versione inglese della botte piena etc, che mi rifiuto di usare).

E te pareva.

E voi, ci riuscite a parlare “di voi stessi” con i pupi? In che termini? Fino a che punto? Son tutta orecchi. Ma non ve ne venite con il giusto che sta nel mezzo, lo so da me, quello che non so è in che punto sta il mezzo, fornire coordinate please!

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18 thoughts on “Sul tema del mese: parliamo di noi?”

  1. MA PER FINIRE CON UNA NOTA POSITIVA 😀
    il mister, come dicevo sopra, nella sua irrazionale saggezza da matematico, mi dice che io non mi posso basare sulla mia storia, perche’ la mia storia e’ mia, mentre i boys sono persone diverse da me, quindi avranno per forza reazioni diverse a situazioni analoghe.

    E devo dire che in questo ci credo molto, ora.

    E baso la mia consapevolezza (e posso dire lo stesso di voi tutte, se devo basarmi su cio’ che leggo qui) proprio sui puri numeri: la quantita’ di scambi, di parole, di dialoghi che si svolgono con i boys superano di molte lunghezze quello che succedeva in casa mia. L’epifania c’e’ stata proprio non molte sere fa a cena. Io e il Mister avevamo discusso forse un po’ animatamente prima: succede quando ti conosci da ragazzini e stai insieme da venti anni suonati. Boy-one, a cena dice che si era preoccupato che potessimo divorziare (ha sentito di recente due storie di parenti e amici che si sono separati, e ha avuto modo di parlare con i loro bambini).

    A parte la rassicurazione del caso sull’episodio specifico, a me la cosa che tranquillamente lui abbia tirato fuori a cena l’argomento, senza giri di parole, senza aspettare e rimuginare per chissa’ quanto, mi ha lasciata a bocca aperta (se fosse successo a me, penso che io ci avrei pensato un… 6 mesi, e poi avrei deciso di non dire niente, per dire). E mi ha molto molto tranquillizzata. E anche suo fratello, boy-two, e il suo atteggiamento da drama queen quando subisce, a detta sua, un torto mi fa ben sperare 😉

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  2. @Lanterna figurati 🙂
    Il post che hai linkato: wow, molto intenso. E’ vero il celodurismo e’ un po’ una piaga che mi appartiene anche molto, sia nei rapporti con gli altri, sia nel non giustificare mie debolezze, ma e’ un po’ un’arma a doppio taglio. La settimana scorsa Silvietta mi scriveva, in risposta ad una mia mail, che “mi fa effetto saperti fragile”, ecco, io sono molto MOLTO orgogliosa di smazzarmi da me i miei problemi, e in fondo l’anima pesante e’ una bella comodita’, ma significa anche che non chiedo mai aiuto, e non e’ una cosa bella. Visto che invece voglio insegnare ai boys a chiedere aiuto se serve, non mi pare di partire da una base solida.

    @close, lo sapevo che ti cavavo dal buco qui 😛 Per me invece non era affatto la paura di disubbidire, nel senso che i miei mi hanno sempre lasciata molto molto libera e hanno sempre detto che si fidavano delle mie decisioni, ma proprio di farli soffrire per le mie decisioni. Il che ha anche significato che ho dovuto decidere da sola molte volte, mentre avrei voluto gridare DITEMI VOI che devo fare qui!!!

    Per dire, @tutte, che si, i casini sono proprio tanti. Come diceva in un altro passaggio la protagonista del libro di cui sopra, che si accorge di come anche sua madre sia stata a sua volta messa in crisi dalla propria madre: “mi chiedo quanti modi abbia una madre per provocare tanta devastazione nella propria figlia, e i muscoli mi si irrigidiscono al pensiero”.

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  3. @LGO questo e’ il mio atteggiamento al momento, devo dire che i miei sono piu’ piccoli dei tuoi comunque, credo, quindi e’ solo questione di tempo forse. Ma vedo che riesco a parlare molto con loro, specie il grande, con i suoi quasi 8 anni e la sua inclinazione al dialogo da sempre, e penso che i discorsi piu’ profondi arriveranno naturalmente poco alla volta, infatti spero non dover mai fare il “botto” 🙂 spalancare loro davanti una porta che non sapevano esistesse

    @deborah, solidarieta’, io sono stata fortunata perche’ faccio esattamente quello che volevo, ma so anche che ho dovuto mettere 3000chilometri in mezzo per farlo, e che ho dato via altre cose, non tanto la pizza o il sole o la mozzarella, o l’aperitivo con le amiche, che comunque non ce l’avevo manco prima, ma proprio in termini di storia personale, e’ un po’ la storia di tutti gli expat credo – magari la racconto un po’ un’altra volta 🙂 credo pero’ che il tuo possa essere l’esempio piu’ nobile e “puro” in un certo senso, di come si puo’ far bene anche una cosa che non piace, e anche di sognare di arrivare ad altro, e magari provarci pure.

    @mammame, il tuo racconto (scusa se banalizzo) mi fa venire in mente quando i boys decisero di arrampicarsi sulla struttura piu’ alta del parco, e tu sei giu’ a naso in su e sai perfettamente che il grande ha solo 6 anni (aveva allora) ed e’ la prima volta, e il piccolo ne ha solo 4 e mezzo e non commentiamo neanche, ma quello si butta a capofitto dove va il fratello, e tu devi star li a controllare il senso di vomito che ti viene, e gridare da sotto siiii bravo, ce la fai, metti il piede liii, e’ facilissimo mamma, non ti succede nienteeee vai tranquillooo. Sglomp. Da dopo la prima volta pure io ero piu’ rilassata pero’. Questo per dire che a volte “recitare” fa bene, alla lunga riesci ad entrare nel ruolo, e ti cambi pure tu, sono cambiata molto piu’ nelle occasioni in cui ho “danzato con la musica che c’era” e poi mi ci son trovata, che non quelle in cui mi sono autoanalizzata fino allo sfinimento (e che noia poi!). La tua ultima frase poi e’ il mantra del Mister, e probabilmente dovrei assecondare il suo istinto da scienziato e ammettere l’ipotesi.

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  4. per tutte: che ricchezza di commenti, grazie per questi spaccati di vita e finestre su di voi, e’ un privilegio starvi ad ascoltare

    @Monica, anche i miei avevano la comunicazioni selettiva, in particolare di mia madre so pochissimo di come ha vissuto la sua maternita’, e quanto mi sarebbe servito saperlo, di mio padre ho saputo solo da quasi adulta che aveva attraversato un lunghissimo periodo di profonda depressione, mai totalmente passata, per me era solo quello che aveva sempre l’emicrania.

    @Silvietta, secondo me tu sei piu’ scenario-1 di quanto vorresti ammettere darling 😛

    @Marzia, ma che bravo il tuo bimbo con la metafora del cerino! Io invece con i boys ancora non riesco ad elaborare del tutto le difficolta’ che ho con parenti in italia, favorita dalla non quotidianita’ probabilmente. Un’altra cosa che ricordo molto vividamente di quando ero piccola era proprio quando dei personaggi o luoghi che per me erano idealizzati e amati venivano “smontati” dai miei, ci restavo cosi’ male, mi incutevano una certa sfiducia nel mondo, e nei miei giudizi sul mondo…

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  5. Che domandone poni Supermambanana.

    Allora, in questo momento credo di stare optando più o meno consapevolmente per l’opzione (1).

    Razionalmente apprezzo il fatto di aver sempre potuto esprimere le mie debolezze raccogliendo il sostegno di mia mamma, ma il fatto di avere una mamma (2), cioè avere una mamma che non si tiene, non si vuole tenere, o non si sa tenere, per me personalmente ha comportato che fin da piccolissima (0-3 anni) avevo molta, molta paura delle sue reazioni.
    Ed è qualcosa che mi è rimasto profondamente dentro, nella paura non tanto di osare, ma di sbagliare e disubbidire, che mi ha paralizzato su tantissime scelte, proprio scelte di vita.

    Quindi anche se sbrocco, come tutti, mi scatta subito un interruttore e la cosa non dura più di qualche secondo perché per me è prioritario che mia figlia non abbia paura di me.

    Certo non bisognerebbe che l’opzione (1) diventasse una sorta di maschera con cui il genitore si nasconde dal figlio, anche perché sappiamo tutti che i bambini sono delle spugne e captano la falsità su vari livelli.

    L’ideale sarebbe un’opzione (2) con una mamma bella “solida”, ma per fare questo non credo sia sufficiente l’autocontrollo, ci vuole un bel lavoro su di sè per stare meglio noi stesse.

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  6. Serena e Supermam, scusatemi l’equivoco. Ero proprio convinta, eh 🙂
    Ecco, questa cosa dei figli che si censurano per non far male alla mamma non l’avevo mai pensata. Forse perché, come ho spiegato anche qui (http://luccioleelanterne.blogspot.com/2011/02/una-donna-forte.html), nella mia famiglia le donne sono per definizione forti e resilienti. Quindi, sì, posso essere triste e avere i miei dubbi e avere i miei lati oscuri, ma sono debolezze momentanee e sicuramente non letali, chi ci ammazza a noi?
    Questa impostazione ha tutta una serie di conseguenze sul mio rapporto con Amelia (che non ha proprio l’aria della dura, diciamo, e va benissimo così, sono io che devo stimarla per come è).
    Ed è proprio per questo che ho cominciato un percorso di studio e consapevolezza, per dimostrare a me stessa che una donna può essere stimata e completa anche senza mostrare i muscoli.

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  7. SUPERMambanana! Con questo post smuovi IL tema per me nell’ultimo periodo. Non è solo questione di dire o non dire di noi (e tra l’altro su questo punto concordo pure con tutti gli interventi che consigliano di calibrare ciò che è condivisibile realmente con un bambino) , quello che qualche volta arrivo a temere è il fatto che nel bene e nel male capisco di comunicare in continuazione ai miei figli quello che sono, anche MIO MALGRADO, attraverso “le parole” del mio modo di muovermi nello spazio, del mio linguaggio e dei miei pensieri, di quello che amo oppure no, del modo di relazionarmi a loro concretamente, della capacità di auto-regolarmi oppure no e “parlo” delle emozioni che accompagnano questi atteggiamenti persino a prescindere da me stessa. Paura. Allora, tutto bene finchè circola qualcosa di buono. Il problema è che certe volte quello che sono e che quindi quello che circola non piace nemmeno a me stessa. A parte l’altezza (!) personalmente del saggio Yoda non ho nulla purtroppo né il controllo né la pacatezza e allora cerco di razionalizzare come posso ma intanto i messaggi li ho già abbondantemente recapitati e così poi devo anche recuperare. Quindi ovviamente non ho scelta: non posso che propendere anch’io per lo scenario due: non nascondere e lavorarci su anche se cammino su terreni che mi mettono in difficoltà. Recentemente ho posto questo problema – anche se in forma più generica – all’educatrice di mia figlia (per esempio: come insegnare a gestire una questione che non sai gestire nemmeno tu senza inviare messaggi che confondano le idee?) mi ha risposto: semplifica, è sufficiente che tu lavori su di te, il resto viene di conseguenza. Ah, ecco. Appunto. Boh, forse è necessario mollare un po’ la presa, avere più fiducia che sapremo trovare insieme una soluzione nuova o che la tireranno fuori dal loro personalissimo cilindro, lasciando un po’ andare questa continua esigenza di controllo e di indirizzo su di loro e fidandoci. Comunque bello leggervi, tutte!

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  8. Per me il problema è molto concreto sul versante professionale, perchè davvero ogni mattina metto il piede fuori casa solo per lo stipendio fine mese, anzi , forse neppure per quello, ma per dare a mia figlia una sicurezza economica in più,(che poi è la stessa cosa) E l’ho pure scritto su genitori sbroccano, ho un lavoro che mi snatura e che odio profondamente, frutto degli errori di gioventù di una ragazza che non ha saputo osare. Tutti quegli anni di studio buttanti al vento..Ancora adesso mi sento infilata in un imbuto e credo che mia figlia lo percepisca.Percepisca questa mia “mancanza” di realizzazione professionale, che poi si tramuta, a volte, in una certa tristezza. Lei mi ha fatto spesso domande sul mio lavoro. E io ho risposto un po’ a tentoni, perchè mi sono posta gli stessi problemi di Supermamb. Non so se , per contro, le trasmetto la voglia di buttarsi nelle cose, di non aver paura delle proprie scelte e , soprattutto , di non aver paura di sbagliare , una paura che mi ha sempre paralizzato e di cui da poco mi sono liberata. Anche perchè, il resto della mia vita, non va male affatto (e tengo le dita incrociate!). Però è inutile che ce la raccontiamo. Sarei più felice facendo altro e so che un salto in questa direzione non potrebbe che far bene anche a lei.Avere una mamma più contenta non potrebbe che giovarle.Ragazze, quanto è difficile diventare dei genitori perfetti!Bisognerebbe essere degli
    adulti perfetti e chi lo è..scagli la prima pietra;)

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  9. Io in questo sono proprio carente 🙂
    Sarà che ci sono stati periodi in cui mia madre non si è controllata e ho visto *cose* (nonostante l’amassi, e l’ami ancora, ovviamente), sarà anche l’indole e l’inclinazione verso quella inutile complessità (definizione eccezionale), sarà che non sempre mi va da fustigarmi da sola e mettere a nudo i miei errori, fatto sta che lascio vedere poco: a tutti, bambini compresi.
    Il che non vuol dire che non mostro emozioni, ma inca**arsi perché hai avuto a che fare con un collega di lavoro idiota oppure per una inutile questione burocratica o robe così per me comporta un coivolgimento tutto sommato superficiale. Roba che passa in fretta, insomma. Potrei illudermi che questo sia sufficiente per allenare la prole alle altalene emotive e alla gestione dei sentimenti, ma mica so se è vero. Il dolore, quello vero, la depressione, quella vera, per me sono sentimenti troppo privati per condivderli.
    L’unica cosa buona che spero che i fanciulli imparino da me è a mettersi in gioco serenamente. Sarà la formazione, ma sono abbastanza aperta alle critiche e sono capace di ammettere quando sbaglio con tranquillità. C’è da dire che sbaglio di rado 😛

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  10. Come ho dimostrato anche in questa sede non più tardi di oggi ????, ho la tendenza ad infervorarmi su molti fronti. Se una cosa non mi va allora cerco il modo di cambiarla e mi ci ostino. Spesso ho ragione ma talvolta .. Allora Ale mi guarda con “quella” faccia e ci facciamo una bella risata! Per molti anni ho cercato di mantenere uno scenario uno, per compensare gli scompensi del mio bambino. Non e’ che funzionasse sempre, anzi, pero’ mi sforzavo. Poi ho smesso, ho lasciato che lo scenario due si riempisse di me stessa, delle mie debolezze, della mia forza. E le cose sono andate molto meglio. Ale ha iniziato a prendere più consapevolezza delle sue emozioni confrontandole con le mie, tipo “Io mi accendo veloce come un cerino, eh mamma? Tu sei una pentola a pressione.. “. Cosi’ come non nascondo le difficolta’ nel rapporto mio con mia madre, lui sa che le voglio bene ma abbiamo idee diverse su tante cose e a volte ce lo diciamo in modo un po’ brusco. Non gli butto addosso il mio vissuto più pesante, non servirebbe, ma ha capito che tra me e lui le cose sono diverse. Insomma sono ben lontana dall’illuminazione Jedi ma adesso sto finalmente iniziando a godermi l’essere madre, faccio delle belle conversazioni con mio figlio, vedo le sue crisi mitigarsi in racconti fantasiosi che usa per parlare di se’. Con lui pare funzionare il confronto tra le emozioni, mie e sue, anche le peggiori. Ma ieri ho scoperto con gioia che sotto sotto crede ancora a Babbo Natale, quindi anche con le trasfusioni di fantasie e sogni me la sto cavando! Io proseguo con l’imperfetto scenario due..

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  11. …intanto grazie alla Super che come sempre sa rimuginare i problemi e rintracciare i noccioli della questione.

    …stasera pensavo che per i bimbi mamma e papà rappresentano gli assi cartesiani (x e y mai che ti sbagli) del loro mondo e che la loro posizione nel mondo, il rapporto tra i due assi viene dato da queste due linee. che possono essere persino semplicemente tratteggiate, ma per il nanetto / a rappresenteranno per lungo tempo il metro per misurare le cose.

    Il che può essere
    1) terrorizzante: cielo che responsabilità!
    2) rassicurante: non ne ha altri, oltre a noi! e quando veniamo messi in discussione è più che altro per trovare la giusta distanza a cui tracciare la propria linea e scoprire la giusta collocazione della nuova linea nel mondo.

    Questo dal nostro punto di vista. e dal suo? e dal nostro punto di vista di figli? è sicuramente vero tutto quello che super mette in evidenza della sua storia ma è solo per quella sua storia che è partita e si è costruita la vita che ora vive con gioia e spessore.

    Allora propendo, serenamente, per il tuo scenario due, con un’aggiunta: ti mostro come sono perché non c’è motivo per cui debba dirti che come sono / sto / mi comporto sia la perfezione. Ma questo non vuol dire che io non stia cercando di dare alla mia vita la forma migliore possibile. E soprattutto non vuol dire che io non abbia la forza di ascoltare te.

    Come se l’esempio (che fa la forza) potesse essere di una mamma che ammette di essere stanca, di voler piangere un pochino, ma che poi ha la forza e la serenità di alzarsi per giocare con i propri bimbi (esempio totalmente casuale ;D), confidando che a loro passi che si, ci sono momenti difficili in cui la linea della vita si è spostata da quanto si desiderava ma che si può faticare un po’ e riprendere in mano la situazione. e che questo faticare, come spesso accade, può portarci in posti ancora più belli!

    ecco e ora che ho fatto sto sproloquio nel prossimo contrappunto che scrivo? 😉

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  12. Da tempo anche io mi sto interrogando su questo tema. Io che ho avuto genitori che mi hanno raccontato poco o niente di loro, tanto che da piccola ero convinta che loro prima di me neppure esistessero, e che loro non avessero mai problemi, non provassero mai emozioni negative, non avessero mai dubbi o paure. Spesso, crescendo, mi sono chiesta perchè? Mi volevano preservare da tutto, sono cresciuta in una campana di vetro… Non voglio fare lo stesso sbaglio con mia figlia, alla quale invece parlo spesso (e anche lei me lo chiede) di me/noi quando lei non c’era, e parlo spesso di quando ero bambina, delle mie paure, uguali alle sue, e di come facevo per superarle. Questo le piace e le dà forza. Lei sa che non sono infallibile e che non so rispondere a tutto ciò che mi chiede. Sa però che ci provo e che per lei ci sono sempre. Certe sere mi sono ritrovata a spiegarle la mia stanchezza, è anche capitato che mi vedesse piangere, le ho spiegato che a volte capita anche ai grandi di essere tristi o di aver paura. Ma poi penso: non dovrei essere io, mamma, a consolarla e a infonderle sicurezza? Che danni provoca il farmi (eventualmente) consolare da lei? Come è successo a Supermambanana, e se diventasse una bambina inutilmente complessa che non vuole far male alla propria mamma, e se ne stesse zitta molto (troppo) tempo?

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  13. @Lanterna, anche io VOGLIO che loro sappiano che io posso fallire etc. E voglio che vedano le mie emozioni. Ma la trappola della contraddizione da scenario due l’ho vissuta sulla mia pelle, ero una bambina inutilmente complessa che non voleva far male alla propria mamma, e se ne stava zitta molto (troppo) tempo. Spero che questo non succeda ai boys, ecco.

    @Silvia (e @Serena), verissimo, ma qui volevo fare un distinguo, fra la verita’ sulle loro domande, ne abbiamo parlato tanto in questo mese, e il mettere a nudo certe emozioni che magari noi per primi non riusciamo a gestire (ancora).

    Approfitto per una errata corrige al testo (non ho fatto bene le mie ricerche, accidenti): il libro di cui parlavo e’ stato tradotto invece, per chi fosse interessato (io credo che “notevoli” sia piu’ appropriato di “meravigliose” qui, per lo spirito del libro, ma tant’e’, ubi maior eccetera): http://www.anobii.com/books/Se_nessuno_parla_di_cose_meravigliose/9788854501430/012af51c51ca507d64/

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  14. Recentemente sono stata ad una conferenza tenuta da una pedagogista che ci ha fatto riflettere su questo: la nostra generazione è ossessionata dal dire ai bambini la verità. A volte, però, queste risposte, sono troppo per loro. A volte i bambini hanno solo bisogno che la loro domanda venga accolta. Il bambino ha il diritto di fare la domanda e l’adulto ha la responsabilità di dare una risposta che il bambino possa capire. A volte si può anche rispondere “non lo so” perchè a volte, di fronte ad alcune cose della vita, anche noi adulti non sappiamo.
    Ha fatto poi un esempio concreto: il bambino non può capire i miei problemi sul lavoro ma può capire, ad esempio, che in quella particolare giornata la mamma (o il papà) è particolarmente stanco.
    Lancio qua lo spunto di riflessione, sperando di non uscire fuori tema…

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  15. Scusa, Serena, ma non capisco bene il tuo dilemma. Noi non siamo né scenario uno né scenario due, siamo persone che cercano di fare del loro meglio ma non sempre non ci riescono. Siamo persone che hanno i loro gusti e che spesso devono passarci sopra per vari motivi (a me non è che faccia impazzire pulire il bagno, e lo dico apertamente così come quando una persona non mi piace ma sono costretta a frequentarla, magari per lavoro ma mai per ipocrisia). Ci sono situazioni in cui è più difficile spiegare, e si affronteranno di volta in volta. Io VOGLIO che i miei figli mi vedano come persona fallibile, che assistano alle discussioni con mio marito (senza che venga chiesto loro di prendere posizione, ovvio), che vedano anche che a volte esagero ma poi chiedo scusa. Ovvio che questo non mi esenta dal migliorarmi, ma almeno non dà un’immagine falsa di me e non chiede a loro di “falsarsi”.

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    • @Lanterna il post lo ha scritto supermambanana non io 🙂

      @Silvia -improvvisamente in quattro molto interessante questa riflessione. Io mi chiedo spesso quanto devo spiegare e se sia giusto spiegare così tanto, e non è facile capire quale è il giusto livello. Immagino l’unica sia andare per tentativi e rilasciare le informazioni a ondate in base alle domande che loro stessi ci pongono.

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