La sfida del decluttering alimentare

decluttering ciboSe la famiglia serve per garantire la sopravvivenza dei suoi membri (giacché in una società complessa come quella in cui viviamo non è possibile sostenere che la famiglia è un’istituzione che garantisce la peraltro dannosa riproduzione della specie), il primo bisogno che soddisfa è il nutrimento. Tra le persone che fanno parte della famiglia non c’è necessariamente chi ha nutrito attraverso l’utero, e non c’è necessariamente qualcuno che ha allattato al seno, ma probabilmente c’è qualcuno che procura cibo e protezione, e in quelle famiglie dove ognuno provvede per sé, allora la famiglia è un’ assicurazione sulla vita, una società di mutuo soccorso.
Nelle famiglie occidentali, mediamente nessuno muore di fame.
Ma alcuni genitori osservano fin troppo letteralmente il ruolo naturale di “nutritori”. A volte vedo persone rovesciare sui propri figli le proprie personalissime paranoie alimentari, perché quando si parla di cibo, non si parla tanto di bisogno quanto di cultura, percezione di sé, ruoli familiari etcetera.
Anche io naturalmente ho le mie ansie alimentari. Fortunatamente me ne rendo conto e la cosa non pare avere serie conseguenze sulla salute fisica e mentale delle mie bambine.
Vi racconto la mia personalissima paranoia, premettendo che la chiamo così non perché io la consideri infondata, bensì perché mi arrovello e mi arrovello e non ne esco, non trovo la soluzione. Io chiamo paranoia un problema che non sai risolvere e con cui non sai convivere serenamente.
L’abbondanza, la bulimia di oggetti, parole, rumori, cibo mi turba, mi stordisce. E mi turba lo spreco, il consumismo, il mondo che vede avanzare su binari paralleli problemi collegati alla malnutrizione e problemi collegati alla nutrizione sconsiderata.

Quando parliamo di cibo, io a volte lo sento come l’emblema dell’ingiustizia. Ci sono periodi (forse attorno all’ovulazione) in cui ho molto a cuore questo tema e ogni scusa è buona per intraprendere discussioni con chiunque. Se mi ergo con troppo vigore a favore della sobrietà alimentare, quasi sempre mi fanno pat pat sulla spalla, e appena mi giro mi compatiscono come anoressica (l’anoressia è una malattia con sintomi precisi, sia psicologici che fisici, come la scomparsa delle mestruazioni, e non una maniera come un’altra per definire una persona magra e pure strana). Fortunatamente, per la maggior parte del tempo sono una persona socialmente accettabile, con amici che soprassiedono sulle mie derive radicali.

Ma torniamo a famiglia, nutrimento e paranoie. Dicevo, a volte vedo mamme e nonne (mi dicono anche babbi), che quando nutrono i figli sembrano voler imporre loro i danni del “troppo” per la paura che subiscano i ben peggiori (?) danni del troppo poco. Ma accanto al troppo e al troppo poco esiste anche il giusto, ovvero: mangio quando il mio corpo ne ha bisogno (sempre se le ansie altrui non si frappongono tra il naturale bisogno di nutrirsi e l’effettivo gesto di procurarsi il cibo). Fortunatamente i bambini spesso sanno cos’è bene per loro.
Oltretutto, la cultura del possesso e del godimento a oltranza di noi figli degli anni ottanta mostra la corda. Semplicemente, tra molti di noi e il troppo, si sta ponendo un ostacolo fisico, un’impossibilità materiale, che ci sta riportando non al poco o addirittura al troppo poco, ma al giusto. Noi famiglie s-composte e in generale, le famiglie mono-stipendio forse stanno ripensando il proprio stile di vita. La bistecca tutti i giorni forse non ce la possiamo più permettere, ma la buona notizia è che la bistecca tutti i giorni non ci serve. L’ottima notizia è addirittura che la bistecca tutti i giorni ci fa male.

Possiamo continuare a consumare pasti con gli amici, lasciando che il cibo rimanga un fantastico accessorio della convivialità, ma esistono un sacco di altre attività che possiamo intraprendere quando ci annoiamo, diverse dal mangiare, spesso gratuite e persino salutari.
Non è la quantità di cibo a misurare il nostro affetto e non è praticando un salutare decluttering alimentare che verremo meno al nostro ruolo di nutritori.

Se non sprechiamo preziose energie nell’iper-soddisfazione di bisogni di base, possiamo concentrarci su sfide più avvincenti come quella di provare a essere felici.

Ora qualcuno lo dica a mia madre.

– di Valentina Santandrea aka pollywantsacraker

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9 thoughts on “La sfida del decluttering alimentare”

  1. @sfolli: sì, la faccia schifata e l’espressione “ma quanto sei maaaagra” non lo prendo esattamente come un complimento.

    @lia: ma sai cosa, io a un certo punto ho abolito lo zucchero dalla mia cucina, e piano piano hanno cominciato a farmi un po’ schifo biscotti, merendine industriali e il sapore dolce in generale (i dolci fatti in casa invece mi piacciono ancora)…credo che lo zucchero sia una porcheria chimica che droga molto il gusto…

    @close: eh, sai, difficile dire agli altri che cosa devono fare :). La mia opinione è che comunque il non forzare i bambini a mangiare si dovrebbe conciliare con il non sprecare il cibo.

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  2. Grande, soprattutto il commento sulle magre, massima solidarieta’ (eccheppalle, ma perche’ dire a una che e’ troppo magra e’ politically correct mentre non lo e’ dire che e’ troppo grassa? pure noi magre ci restiamo male eeehhh…)
    Vabbe sono andata offtopic ooops

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  3. L’articolo è ben scritto, la testimonianza sincera e l’argomento ci riguarda sicuramente tutti! Avere un buon rapporto col cibo al giorno d’oggi non è affatto scontato, anzi penso sia difficilissimo, per il tempo che si ha a disposizione per cucinare e per fare una spesa sensata, per la fantasia nel preparare che, per quanto mi riguarda, dopo i ritmi frenetici di una giornata-tipo, viene completamente schiacciata dalla stanchezza, per le costanti insoddisfazioni che pare colpiscano le mie figlie di fronte a (quasi) ogni menù (lo so bene, é colpa mia e di come le ho abituate!). Sento molto forte l’esigenza di rivedere i metodi adottati sino ad ora, sento il bisogno di diminuire l’abbondanza che non è affatto necessaria ma che porta allo spreco (cosa davvero ingiusta ed indecorosa, quanto mai al giorno d’oggi!). Vorrei ridimensionarmi anch’io che, dopo 3 parti e qualche frustrazione, mi ritrovo ad essere soddisfatta solo se mangio dei dolci (non mi faccio vedere dalle bambine, però!). Un passo alla volta, piano piano, quando smetto di allattare (mio grande alibi;-))voglio davvero affrontare la questione, con coraggio e determinazione…

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  4. Grazie per questo post, condivido al 100%!
    Anch’io ho una simile paranoia con il cibo, ma a me fanno pat pat non perché sono “anoressica” ma al contrario perché sono tendenzialmente sovrappeso. La causa non è né il metabolismo né le ossa grosse (tipiche scuse :-)) ma principalmente un’errata educazione alimentare per cui i miei genitori non mi hanno insegnato che va messo un freno alla quantità di cibo che si può mangiare.
    D’altra parte loro sono della generazione della guerra in cui effettivamente la quantità, tipologia e qualità del cibo era diversa, e poi anche senza svolgere attività sportiva senza dubbio ci si muoveva di più, si camminava etc. Quindi loro proprio non capiscono il concetto di mangiare troppo.
    Vorrei cercare di insegnare ai miei figli ad avere un rapporto sano con il cibo, spiegando che mangiare troppo fa ingrassare ed essere grassi fa male alla salute. Per me questo è molto importante visto che uno dei miei figli ha tendenze al sovrappeso e, anche se senza assilli, va controllato.
    Purtroppo però non è facile, complice le abitudini sbagliate e la suocera che usa il cibo come collante psicologico…

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  5. Però adesso devi anche spiegare come lo fai, il decluttering alimentare 😉 Io sono stata molto tranquilla fino ad ora, ma adesso che iniziano le prime golosità verso i dolci stiamo cambiando registro.
    Premessa: da quando abbiamo iniziato lo svezzamento, la Stellina ha sempre espresso molto chiaramente il suo “no” quando non aveva più fame, no che ho imparato a rispettare (fra l’altro ho capito perché diciamo di no con la testa, è un modo per schivare il cucchiaino!).
    Poi man mano che è cresciuta ho cercato di fregarmene se mangiava “a rate” (una volta solo la pasta, una volta solo il formaggio, una volta solo i peperoni ecc.), avendo dalla mia le educatrici del nido che mi riferivano che a pranzo era una buona forchetta.
    Su questo punto mia mamma è stata solidale perché lei è stata la classica figlia della cultura del dopoguerra in cui se un bambino era inappetente andava ingozzato a forza: per paura che morisse, i miei nonni hanno preferito vederla grassa fin da bambina.
    Quindi, dicevo, finora la mia filosofia è stata di lasciarla mangiare più o meno quello che vuole e quanto vuole, senza mettere limiti nemmeno ai dolci perché vedo che a un certo punto si ferma da sola e la sera specialmente mangia come un uccellino. Però adesso iniziamo il pranzo e capita che l’unica cosa che vuole sia il “seseses” (=dessert), e quindi stiamo rivalutando appunto, l’orrida frase “Finisci quello che hai nel piatto”.

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  6. @gae: no, non è scontato essere consapevoli, no.

    @dasmi: quando dici l’avanzo nel piatto, mi fai pensare che sia io che un collega pranziamo con porzioni da puffo perché recuperiamo gli avanzi dei figli della sera prima 🙂

    @francesca: cerchiamo un volontario che convinca le nostre madri.

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  7. Se trovi un volontario che parla a tua madre poi digli di fare il giro anche dalla mia.
    Io non sono molto credibile, fisicamente, quando sostengo queste stesse argomentazioni, eppure ci credo. A casa non si butta nulla, neppure le cose scadute (se non camminano da sole, chiaramente).
    Eppure ci scappa di accumulare, ci scappa questa forma di bulimia (non quella clinica).
    Come sempre credo che la consapevolezza sia il primo passo, per nulla scontato oltretutto.

    Ma tua madre conosce il significato di decluttering? 😉

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  8. Condivido al 100%. È esattamente quello che pensiamo io e mia moglie, nati negli ’80 e con 2 figli. La differenza tra noi e i 4 nonni sta tutta nella quantità di cibo che finisce nella pattumiera. Quando qualcosa rimane nel piatto non imponiamo “devi finire tutto”, ma conserviamo l’avanzo o lo mangiamo noi e ripensiamo quantità e redistribuzioni, partendo sempre dal presupposto che i bimbi si regolano benissimo sulle quantità e se hanno lasciato qualcosa è proprio perché sono sazi e non per capriccio.

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