Se mamma lavora, il figlio è felice

Questo è il titolo di un articolo pubblicato sulla stampa che da qualche giorno rimbalza tra i miei contatti facebook. L’articolo riporta brevemente i risultati di una ricerca della Columbia University School of Social Work che, in sintesi, libera dai sensi di colpa le mamme che tornano a lavorare nel corso del primo anno di vita del bambino, dimostrando che non c’è differenza tra i loro figli e quelli delle mamme casalinghe, sul piano dello sviluppo cognitivo e del successo, ad esempio, in campo scolastico, misurato entro i primi 7 anni di vita. Ottimo. Ci voleva.

A differenza dei miei contatti su facebook però, questa ricerca, buona per carità, non mi entusiasma più di tanto, in quanto mi sembra poco risolutiva e al limite mi fa arrabbiare per certi aspetti. Mi rendo conto che queste riflessioni potrebbero generare un po’ discussione, e anzi me lo auguro, e quindi cercherò di essere il più chiara possibile.

Purtroppo non ho trovato la pubblicazione originale della ricerca, e quindi posso basare queste riflessioni solo su quello che è stato riportato dai giornali (non solo italiani), il che è soggetto a grandissime limitazioni. Lo studio si vanta di prendere in considerazione più fattori per poter confrontare le due situazioni, rispetto alle ricerche svolte in precedenza. In pratica partendo dal presupposso, a mio parere giustissimo, che non è possibile confrontare la mamma lavoratrice con quella non lavoratrice a parità di condizioni, perché le condizioni al contorno necessariamente cambiano.
Lo studio evidenzia che l’elemento che sembra pesare di più è la maggiore disponibilità economica raggiunta anche grazie al lavoro della madre che compenserebbe la diminuizione del tempo trascorso insieme, fornendo ad esempio scuole di qualità superiore e attività extrascolastiche migliori. Lo studio è stato svolto negli USA dove la scuola, si sa, costa moltissimi soldi, e c’è una grande disparità in termini di qualità e prospettive a seconda della scuola che si frequenta. In questo caso quindi è chiaro che uno stipendio in più in famiglia fa una bella differenza per il futuro dei figli. Quindi mi chiedo, lo stesso ragionamento vale in Italia o in un altro paese in cui la scuola è “gratuita”?
Un altro aspetto che sembra compensare la diminuizione di tempo trascorso insieme è la perenne diatriba tra qualità e quantità. Apparentemente se il poco tempo che la madre trascorre con il figlio è di qualità, nel senso che la madre anche se lavoratrice si occupa attivamente del piccolo, è in grado di garantire l’attaccamento emotivo di cui ha bisogno. Una differenza importante è tra i figli di madri che lavorano part-time e quelle che lavorano full-time, chiaramente a vantaggio del part-time. Sembra quasi che il part-time dia quell’aiutino economico alla famiglia, e quel grado di soddisfazione personale alla madre sufficienti a garantire uno sviluppo sano nel bambino, senza togliere troppo tempo ed energie, come invece farebbe un lavoro full-time.

La ricerca purtroppo non è in grado di mettere in relazione il grado di soddisfazione personale della mamma con la crescita del bambino. Eppure questa per me è una delle domande più interessanti. Io so di essere più felice lavorando e che dedicarmi solo ai figli potrebbe condurmi rapidamente alla pazzia. Però un lavoro noioso non mi renderebbe più felice. Se una mamma si trova a fare un lavoro che non le piace, non è che poi torna a casa stressata e quindi la qualità del tempo trascorso con i figli non è così buona? Certo c’è sempre il discorso dello stipendio in più, che aiuta soprattutto in una situazione di crisi economica globale. Senza contare tutte quelle che non hanno veramente scelta. Che devono lavorare, anche se vorrebbero stare con i figli. Mi sarei sicuramente entusiasmata di più per questo studio della Columbia se fosse riuscito a misurare il fatto che una madre felice e soddisfatta della propria vita è una madre migliore, sia nel caso in cui lavora sia nel caso in cui scelga di stare a casa con i figli, purché sia una scelta consapevole. Sfortunatamente lo studio non è riuscito a dare indicazioni chiare a questo proposito.

Ma c’è un’altro aspetto che mi sta a cuore, e che non ho letto da nessuna parte. Il coinvolgimento dei papà. Quanto pesa il fatto che la mamma lavora sul grado di coinvolgimento dei papà nella vita famigliare? E quanto contribuisce in modo positivo il coinvolgimento dei papà sulla crescita dei figli? Molti studi mostrano che i bambini il cui padre è presente crescono meglio, e hanno più possibilità di avere una vita felice rispetto ai figli di padri assenti. E se la smettessimo di parlare delle mamme e di quanto poco tempo passano con i figli, e iniziassimo a misurare anche il tempo che i padri passano con i figli? E se entrambi i genitori lavorassero un po’ meno e trascorressero più tempo con i figli? Ecco, cari ricercatori della Columbia, la prossima volta mi piacerebbe che inseriste anche i padri nel vostro studio, perché credo che sia arrivato il momento di capire che i figli hanno due genitori e non solo una mamma.

Per approfondire (in inglese)
Economix Blog New York Times
U.S. study finds first-year maternal employment has no ill effects on child’s development
The guardian

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48 thoughts on “Se mamma lavora, il figlio è felice”

  1. Avendo un marito sociologo, diffido alquanto della sociologia ;)!
    A ricerche di questo tipo si può far dire praticamente quello che si vuole (ad esempio, in America le donne non usufruiscono di lunghi periodi di maternità pagata come succede invece in molti paesi europei, qualcuno può avere interesse a dimostrare che va tutto bene così… salvo poi spiegarci che AI RICCHI va bene così).
    Un altro elemento che mi permetto di evidenziare è che la presenza dei genitori cambia radicalmente il proprio ruolo nel corso degli anni: se nel primo anno di vita si può pagare qualcuno che dia cure di qualità al bambino, non sempre è così semplice pagare in seguito chi darà loro una visione del mondo, la possibilità di avere fiducia, confidenza, supporto continuo. Se penso a mia figlia di 16 anni, devo dire che sono più contenta di essere a casa quando arriva lei da scuola, che non quando arrivano i piccoli. Quanti adolescenti pranzano soli, passano il pomeriggio da soli o in attività che i genitori ignorano?
    A prescindere da tutto questo, e premettendo che sono una madre che lavora per forza e non per scelta, rimango dell’opinione che il progressivo assentarsi dei genitori dalla vita dei figli abbia effetti devastanti sul piano individuale e sociale.
    La gratificazione personale ha certamente un effetto sull’umore delle persone, ma ad essere onesti dovremmo chiedere anche ai nostri figli qual è la loro gratificazione personale, non credete? Bisognerebbe almeno equilibrare i desideri dei genitori con i bisogni dei bambini e in alcuni casi questo si può fare con il part-time.
    Riterrei anche importante far sì che le madri possano permettersi di non lavorare fuori casa, invece di fare di tutto per spingerle ad impegnarsi su troppi fronti, covando poi sensi di colpa. Poi, come sempre, viva le scelte personali, che sono appunto scelte se di più strade mi posso permettere di percorrere quella che voglio, non l’unica che devo.
    Siamo però onesti: se ci dicessero che alle mamme che scelgono di non lavorare lo stato passa 800 euro al mese, secondo voi sarebbero poche a licenziarsi spontaneamente? E i loro figli, ne soffrirebbero?
    Personalmente io non ho una visione dei ruoli maschile e femminile come è stata espressa da altri: la mia idea di parità significa una pari dignità sostanziale, non una divisione col bilancino di ogni singola incombenza. Dirò di più, non mi scandalizza, anzi riterrei che abbia a che fare con qualcosa di profondamente biologico oltre che culturale, il fatto che le donne abbiano in generale una maggiore propensione alla cura, mentre gli uomini una maggiore propensione alle attività esterne. Sia detto all’ingrosso e con la dovuta coscienza di ogni variante personale.
    Per riassumere, io da una società che mi obbliga a lavorare per poi spiegarmi che i miei figli sono felici anche senza di me (o con me, ma a piccole dosi di tempo residuale), francamente mi sento presa in giro.
    La mia impressione è di essere stritolata in un meccanismo economico inumano, e dover anche ringraziare per tutti i “diritti” che ho.

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  2. Scusa, Mario, ma io di donne che hanno avuto rimpianti lavorativi per aver dedicato piu’ tempo ai figli ne conosco eccome. Di generazioni precedenti alla mia e della mia.
    Io sono una che non sa stare a casa, ho perso il lavoro mentre ero incinta e mi sono barcamenata con lavoretti vari tutto lo scorso anno. Quando ho potuto lavorare, sono rinata. Certo, tornata dal lavoro mi sono dedicata totalmente a mia figlia tutti i giorni (con conseguenze che vi lascio immaginare sul resto delle cose che avrei avuto da fare, ma mia figlia aveva bisogno di me e io di lei, quindi il resto e’ andato a farsi friggere), ma il lavoro mi manca, e tanto.
    Dalla mia personale e quindi ovviamente non completa esperienza, ho imparato anche che chi si dedica alla cura della famiglia e della casa sul lungo termine perde il rispetto delle persone che ha intorno, e finisce per lavorare il triplo degli altri senza averne i dovuti riconoscimenti (non lavori quindi di notte per il piccolo ti alzi tu, tanto per fare un esempio). Quindi la cosa mi terrorizza. Sono anche preoccupata di dare a mia figlia (non perche’ sia femmina, se avessi un maschio mi preoccuperei forse anche di piu’) un modello di donna che sta a casa e che si prende esclusivamente cura degli altri, non ha aspirazioni personali e non e’ economicamente indipendente.
    Vorrei anche riflettere un minuto (scusate il tono che puo’ sembrare acido, ma questo della parita’ per me e’ un punto molto dolente) su cosa significhi stare con i propri figli (qualche ora al giorno, tutto il giorno o in qualunque altro modo): io penso che per i bambini sia un DIRITTO avere DUE genitori, nel senso di avere due persone delle quali si possono fidare, che si sappiano prendere cura di loro e che li crescano, fisicamente ed emozionalmente. Chiunque abbia avuto piu’ figli, senza fare esempi piu’ tragici, sapra’ dire quanto sia stato importante per i primogeniti avere il papa’ in casa mentre la mamma era in ospedale, un papa’ presente ed efficiente che mantenesse il piu’ possibile la normalita della vita in quei giorni. Per i genitori, ENTRAMBI i genitori, io vedo il DOVERE di crescere i propri figli (per crescere intendo sapersene occupare integralmente), dovere assunto con le proprie scelte nel momento che si e’ deciso di mettere su una famiglia, un dovere verso la famiglia stessa. Ma i genitori devono anche avere il DIRITTO di stare con i propri figli, diritto che devono pretendere dalla vita lavorativa.
    A GP do’ due consigli non richiesti (quindi hai tutto il diritto di mandarmi a quel paese): cerca di spingere tua moglie a lasciarti partecipare ai doveri domestici, da quello che scrivi mi sembra che alla fine vivrebbe meglio con quei retaggi che sembrano starle piuttosto stretti. E poi quando ti trattano da mammo, di’ pure che tu stai con i tuoi figli perche’ pensi che cosi’ cresceranno piu’ equilibrati, e perche’ se poi non ci stai che li hai fatti a fare? Complimenti, comunque, sia per la dedizione che hai verso la tua famiglia che soprattutto per quanto ti preoccupi della felicita’ di tua moglie. Se tutti gli uomini ragionassero come te saremmo gia’ un bel pezzo avanti…

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    • @Barbara hai ragione sulle generazioni passate: molte donne si sono trovate schiacciate nel loro ruolo, e hanno finito per dedicarsi solo ai figli non per scelta ma per obbligazione. E in queste condizioni è chiaro che il risentimento diventa pesante da digerire. Per me la cosa più importare è il diritto di scelta, sempre nei limiti dettati purtroppo dalle condizioni economiche.
      @D. sulla differenza dei ruoli tra i genitori, se dettati dalla biologia o dalla cultura ci si stanno sbattendo parecchi scienziati, ma alcuni studi puntano il dito verso la cultura, soprattutto confrontando quello che succede in situazioni in cui la cultura è diversa. Io però, non parlo mai di divisione dei compiti, quanto piuttosto di condivisione dei compiti, in cui ognuno da il contributo che può.
      Una quindicenne che torna a casa, e trova una madre che risponde in modo distaccato o scocciato, magari anche con risentimento perché “io ho rinunciato alla mia carriera per te e guarda come mi tratti!”, non ne avrebbe certo un gran vantaggio. Invece ci sono molte quindicenni con mamme lavoratrici che non per questo sono cresciute peggio. Il punto secondo me non è se si lavora o meno, è quanto si è presenti nella vita dei figli, e non solo fisicamente.
      @ Alchemilla forse è proprio per questo che il part-time sembra la soluzione migliore. Se non c’è tempo, non c’è qualità che tenga.

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  3. Io invece per emancipazione intendo che chiunque deve trovare il suo equilibrio. Se una persona lavora e vuole più tempo da trascorrere con i figli ha diritto al part time. Se qualcun altro vuole fare carriera, ma avere anche dei figli, se riesce a trovare un suo equilibrio lo faccia!!
    A me il lavoro che faccio piace molto, ho lavorato fino all’ottavo mese e sono tornata al lavoro quando bimba ha compiuto 5 mesi. Questo tra le occhiataccie delle altre mamme (alcune con lavori che odiano) poichè non mi sono presa l’aspettativa. Non mi sono curata di loro, ma in accordo con il mio compagno (che ha avuto la possibilità di modificare il suo orario lavorativo) abbiamo accudito la piccola al 50% trovando un equilibrio (molto instabile, sull’orlo dei minuti!!) ma che ha retto fino all’entrata al nido della bimba (qui li prendono al compimento dell’anno, quindi per motivi anagrafici abbiamo stretto i denti per 15 mesi). Tutto questo senza l’aiuto di nonni!!! E’ stata dura sia con la prima figlia che (sopratutto) con la seconda ma ne è valsa la pena. Nostre figlie hanno come figure di riferimento entrambi (siamo interscambiabili). Io continuo a lavorare, cosa che mi gratifica molto (ma non sono in carriera!!), e insieme al mio compagno cresciamo le nostre bambine…senza sensi di colpa!

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  4. Sono convinto (e mi auguro) che la situazione come quella del mio comune di 30.000 abitanti (provincia di Milano, in gran parte famiglie con bimbi in età scolare) che ha a disposizione (solo quest’anno dopo molteplici proteste da parte delle famiglie) 1 sola classe di modulo sia anomala. TRa l’altro confermata solo a fine luglio.

    I ruoli uomo donna son oggi ben diversi e “viziati” da influenze sottili come si può vedere dalle testimonianze.

    Se proprio devo dire la mia credo che la vera emancipazione per la donna oggi sia rinunciare alla prorpia carriera per stare con i figli. Certo… idem per i papà.

    Non conosco nessuno che da vecchio si è lamentato di avere speso troppo tempo per i figli, semmai il contrario.

    Certo le esigenze economiche sono un’altra cosa, ma mi capita spesso di vedere molti che si lamentano dei 3 euro chiesti alla scuola materna per il cd di foto scolastico e poi sfoggiano un bell’iphone nuovo di zecca. Eh certo… come li mandi gli sms altrimenti?

    Certo rinunciare alla carriera vuole dire sacrificio ma gli investimenti della vita non sono solo economici, sono anche nel benessere dei nostri figli.

    Preciso che sono uno del 17% dei papà italiani che ha usufruito di un periodo di paternità facoltativo. E lo ammetto… a casa è proprio dura!

    Ueh… sereni… eh?

    Ciao,
    M.

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  5. Ma che bello che è questo nettttwooooooooooooooooooork ! A leggere il commento di GP mi si è allargato il cuore.

    Vorrei rispondere a Mario invece: trovo interessante il suo commento sulla fatica / impossibilità di far uscire il proprio figlio alle 13, ma in che maniera si verifica? La mia esperienza di ex-alunna di scuola sperimentale a tempo pieno era che la suddetta scuola veniva guardata con grande sospetto e i genitori che ci mandavano i figli considerati cattivi genitori. E invece io, delle attività integrative pomeridiane ho un ricordo meraviglioso.

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    • @CloseTheDoor grazie per la tua testimonianza. E’ proprio vero che poi ognuno le cose le vive in modo diverso, e che è impossibile generalizzare certi discorsi, proprio perché ci sono moltissimi aspetti che entrano in gioco nella formazione di un individuo.
      @Mario

      Non conosco nessuno che da vecchio si è lamentato di avere speso troppo tempo per i figli, semmai il contrario.

      parole sante 🙂
      @Giovanna ottimo esempio di un equilibrio famigliare raggiunto. E non parlo della divisione al 50%, che lascia il tempo che trova, ma proprio della condivisione dell’educazione e cura dei figli. E chi l’ha detto che i padri non sono in grado?

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  6. oh, io non avrei problemi e lasciar fare le faccende di casa al mio compagno, se si offrisse di farle, in modo da potermi dedicare a mio figlio quando rientro dopo 10 e passa ore fuori casa, stremata nel corpo e, soprattutto, nella mente… il problema è che lui non solo non si propone, ma si rifiuta dicendo che “sono cose da donne”…
    mi piacerebbe anche fare un part-time, e che magari potesse farlo anche lui, ma poi chi ce li da i soldi per campare?
    eh, bella la teoria, ma la pratica poi è cosa diversa.

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    • Se non ho capito male, però, il risultato dello studio (e non vi dico quanto io sia scettica sugli studi sociologici!) sta nell’affermare che i figli sono UGUALMENTE felici se la mamma lavora o meno, ovviamente basando questa felicità su parametri diversi nei due casi (che poi mi spiegate chi ha individuato e quando i parametri della felicità!).
      La verità, dunque, è piuttosto semplice: i figli sono “felici”, o quanto meno sereni, quando anche i genitori sono in equilibrio con sè stessi. Che questo avvenga lavorando o meno, fa parte della storia di ognuno e non c’è studio sociologico che possa dar consigli.

      Mario, ma qui lescuole elementari pubbliche offrono tutte la possibilità di uscire alle 13.30, scegliendo il c.d. “modulo”. Semmai, con la riforma Gelmini che taglia gli insegnanti, il vero problema sarà organizzare le classi di tempo pieno in numero sufficiente, non il contrario!
      Certo che, se in una scuola ci sono meno di 15 bambini (numero minimo per la formazione di una classe) iscritti in prima elementare che chiedono il modulo, non si potrà formare nessuna classe di modulo e ci sarà qualcuno “costretto” al tempo pieno oppure a cercare di essere preso in un’altra scuola. In effetti, però, oggi il vero problema della scuola italiana è la mancanza di un numero adeguato di classi di tempo pieno. Magari la vostra è una situazione.
      La “società”, che non è un’entità con coscienza e volontà proprie, ma siamo noi, non può “pensare ai bambini” facendoli uscire di scuola alle 13,30 se la stragrande maggioranza delle famiglie hanno problemi a tornare a casa in tempo per l’uscita delle 16.30. Non è affatto la società a dover badare ai figli ma sono, oltre alle famiglie, le scelte politiche.
      Le scelte politiche a favore o a sfavore delle famiglie indicano il grado di civiltà di un Paese. Il nostro, attualmente, è a livelli molto bassi, proprio perchè chi ha una famiglia e dei figli non è quasi mai libero di scegliere (a meno di non avere risorse economiche molto superiori alla media). Scegliere non dovrebbe mai essere un lusso, ma un diritto: la vera parità è parità di opportunità, che da un senso concreto alla parità di diritti che resta solo sulla carta.
      Ad una donna cui viene detto che lo svolgimento di compiti domestici è un affare “da donne” si sta ledendo un diritto.
      Part time accessibili per uomini e donne, diversa regolamentazione del congedo parentale, diversa organizzazione lavorativa anche nelle aziende con orari flessibili a parità di risultati, sarebbero le grandi rivoluzioni di cui ha bisogno la nostra epoca.

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  7. Oltre a scontare gli effetti di una cultura della famiglia che ormai probabilmente non ci appartiene più, scontiamo anche quelli di una cultura del lavoro che non funziona. Mio marito lavora a tempo pieno, fa il lavoro per cui si è formato ed è molto bravo. Proprio perché è bravo, spesso ottimizza i tempi e potrebbe tranquillamente tornare a casa, per stare coi figli, se vuole, oppure per contribuire alla gestione della casa (anche se non c’è dubbio che ilbucato lo stendo meglio io :-PP), per studiare, per leggere Topolino, fare sport, fare quello che vuole. E invece spesso resta intrappolato in una organizzazione del lavoro senza senso, dove conta di più “farsi vedere” piuttosto che produrre qualcosa. E mi pare che sia una situazione piuttosto diffusa.
    Una bella rivoluzione, insieme, ci vorrebbe…

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  8. 😀 Temo che, ovunque ti giri, tu possa trovare stormi di replicanti di tua moglie e delle sue paturnie! Come giustamente dici le cause sono profonde ed introiettate, anche mio marito rinuncia a scoprirle ed analizzarle… Se poi vogliamo fare un po’ di storia ed antropologia spicciola, come sarebbe che non ci vuole una specializzazione per stendere i panni? 😉 Generazioni di donne casalinghe hanno ben dovuto far crescere una sorta di orgoglio dovuto alla loro bravura-specializzazione nello svolgere attività domestiche! E vuoi che noi donne “moderne” non ne portiamo tracce? Pensa che qui fioriscono articoli su un ritorno dell’ideale della donna anni Cinquanta, quella che fa la torta perfetta, il muffin da primo premio, sa quale prodotto ci voglia per qualsiasi tipo di macchia e si fa anche trovare ben vestita quando torna il marito. Pensa che aspirazione impossibile per una donna svedese emancipata, lavoratrice e madre. Eppure vedo già sintomi preoccupanti tra le amiche… Mi fermo, altrimenti altro che OT!
    Comunque c’è speranza, al parco coi bimbi qui non verresti deriso, saresti uno dei tanti papà. Evviva i parchi giochi misti, sennò sai che noia!!

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  9. ….”E tanto per non scaricare solo le colpe sulle madri delle madri, ho anch’io le mie paturnie come tua moglie e spesso smonto la motivazione di mio marito a fare alcune corvé domestiche solo perché le farebbe in modo diverso da me…”

    Mi sembra di sentire mia moglie! Pazzesco! Quando le dico faccio io le lavatrici, stendo io la biancheria, lavo io i bagni, in maniera che lei possa giocare con i bimbi, lei mi contrasta esattamente come fai tu ;-)!

    Purtroppo – avendo una testa da uomo – non riesco a capirla (fare una lavatrice o stendere i panni non richiede nessuna particolare specializzazione), eppure quasi sempre la spunta lei; come maschio sono poi portato naturalmente a cercare delle soluzioni pratiche e immediatamente applicabili, non riuscendo a capire che forse quello che c’è dietro questi atteggiamenti è più profondo e radicato.

    Hai perfettamente ragione sul fatto del part time maschile, però torno a dire che tutte le volte che mi ritaglio pomeriggi dal lavoro (e da quando ho i figli sono stati molti, come sono stati moltissimi quelli di mia moglie) per stare con i miei bimbi, e magari mi sono trovato ad avere a che fare con altre mamme al parco o all’asilo o a ginnastica, queste stesse mamme mi hanno quasi “irriso” chiamandomi “mammo” o in altri casi mi hanno lanciato sguardi o hanno fatto affermazioni per mettere in discussione il fatto che ci fossi lì in quel momento io e non la mamma!

    Io non sono un mammo sono un papà – UOMO – e credo di essere perfettamete in grado di accudire i miei bimbi nello stesso modo in cui lo fa mia moglie – DONNA -.

    Eppure sembra che tutto questo venga percepito quasi come un qualcosa di innaturale.

    ….cha casotto…!!

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  10. Gp, altro che pasticciato! Sei stato chiarissimo, esauriente ed hai messo il dito al centro della piaga! 😉 Tanto per corroborare la tua ipotesi che le donne talvolta possano essere le peggiori nemiche di se stesse e del proprio genere, in questi giorni ho mia madre ospite a casa nostra. Lei ha cresciuto me e mia sorella a dosi massicce di femminismo, autodeterminazione, studio e lavoro prima di tutto ecc. Ieri sera sono andata in palestra – cerchiamo di farlo due volte a settimana sia io che mio marito – poco prima dell’ora della nanna dei nostri due figli, 3 e 5 anni. Ed eccola che mi insegue per casa domandandomi ansiosa se mio marito sa come fare, se sa quali pigiami devono mettere e altro ancora, mentre nella mia testa è così ovvio che queste routine siano “asessuate”, dato che sia io che mio marito le abbiamo sviluppate insieme sin dall’inizio. E tanto per non scaricare solo le colpe sulle madri delle madri, ho anch’io le mie paturnie come tua moglie e spesso smonto la motivazione di mio marito a fare alcune corvé domestiche solo perché le farebbe in modo diverso da me. E dire che vivo nella paritaria Svezia da 14 anni!
    Per tornare all’argomento lavoro, devo dire che anche qui si parla molto di spingere anche i padri al part-time, ma la realtà è ancora molto lontana dagli ideali. Sono praticamente sempre le donne a lavorare un po’ meno quando nascono i figli, nonostante anche i padri per legge abbiano diritto a richiedere al datore di lavoro un part-time fino al 75% finché i figli non abbiano compiuto otto anni. Io personalmente trovo che per me otto ore di lavoro al giorno siano troppe, sarei ben contenta con sei, e non solo per dedicarmi di più ai figli ma anche per coltivare interessi extra-lavorativi, magari insieme a loro.
    E per finire: questo mettere sempre la mamma al centro come caput mundi e capro espiatorio, a seconda dei casi, è talmente diffuso nella letteratura sull’infanzia che viene da piangere. Un solo esempio: “Da zero a tre anni” di Piero Angela. Io, che sono cresciuta a botte di Quark, ci sono rimasta così male che un uomo che ritenevo “illuminato” parlasse solo ed esclusivamente di madri e del loro ruolo nello sviluppo – delicatissimo – dei bambini.

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  11. >>Io so di essere più felice lavorando e che dedicarmi solo ai figli >>potrebbe condurmi rapidamente alla pazzia

    Ecco questo è il punto. Sono scelte per i genitori non per i figli.
    La società è orientata in questo senso. Ne è conferma le scuole elementari che non offrono (a meno di dure battaglie) la possibilità di fare uscire i figli alle 13. Parlo per esperienza.

    Una scuola elementare che obbliga i bimbi a rimanere fino alle 16.30 è fatta su misura per le famiglie (che lavorano) non per i bimbi.

    Quindi… società… pensa di più al bene dei bimbi e non ai sensi di colpa dei genitori.

    Per quanto riguarda i papà… spesso indicati come la metà “assente” della famiglia… guardate che le cose stanno cambiando più di quello che si usa dire… già da tempo.

    Ciao,
    M.

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    • @Mario chi l’ha detto che se la mamma decide di lavorare è una scelta per i genitori e non per i figli? E se il papà decide di lavorare invece di stare a casa per chi è la scelta? Io preferisco fare delle scelte che siano buone per tutta la famiglia, e questo dovrebbe comprendere tutti i singoli membri della stessa, inclusi i padri. Sono d’accordo con te sul fatto che le cose stanno cambiando, anche se molto lentamente, e io tendo a diventare impaziente 😉
      @MammaInScania e no, dai, mi rovini un mito. Quark forever 😉
      @LGO sulla cultura del lavoro italiana ci sarebbe da scrivere fiumi. Il presenzialismo purtroppo continua ad avere la meglio sulla capacità produttiva reale.
      @Silvia

      Part time accessibili per uomini e donne, diversa regolamentazione del congedo parentale, diversa organizzazione lavorativa anche nelle aziende con orari flessibili a parità di risultati, sarebbero le grandi rivoluzioni di cui ha bisogno la nostra epoca.

      non credo ci sia altro da aggiungere!

      Reply
  12. Io sono un papà di due bambini di 3 e 6 anni. Lavoro a tempo pieno e mia moglie lavora a tempo pieno. Mi è piaciuto molto il commento di Serena, ma devo dire che mi era piaciuto anche l’articolo apparso su “La Stampa”. Voglio fare una riflessione sul grado di soddisfazione che si può trovare in ambito lavorativo sia per l’uomo che pe la donna.
    Il lavoro a tempo pieno assorbe la maggior parte del tempo di una persona – ovviamente; quindi, a mio parere, è auspicabile che questo tempo venga dedicato ad un lavoro che verosimilemte ti possa soddisfare. Succede però che se si volesse prendere in considerazione la possibilità di un part time, il più delle volte finisce che andrai a fare un lavoro noioso e che non ti soddisfa per niente, con il risultato che avrai si più tempo da dedicare ai figli, ma sarai sicuramente meno felice. Credo che la soluzione ideale, ammesso che questa esista, sia lavorare entrambi un po meno pur cercando di mantenere una lavoro che piace (ammesso di questi tempi che sia possibile).
    Ad ogni modo le cose sono anche più complicate di così; ad esempio io noto che – nel caso di mia moglie – si generano anche tutta una serie di “sensi di colpa latenti”; mi spiego meglio. Mia moglie fa un lavoro che l’appassiona, ma allo stesso tempo, soffre di sensi di colpa generati dal fatto che forse dovrebbe stare di più con i figli. Questi sensi di colpa vengono scatenati dalla madre – che non ha mai lavorato – e dalle madri degli altri bambini che frequentiamo le quali o non lavorano o fanno un lavoro a part time non così soddisfacente. La cosa che noto è che esiste una disparità incredibile tra me e lei. Ovvero la madre, le madri citate, puntano solo a lei. E’ lei che dovrebbe stare di più con i bambini e rinunciare al lavoro che le piace, di me non si parla mai, nessuno mi punta il dito contro. In fin dei conti lavoriamo tutti e due 8 ore al giorno, tutti e due portiamo a casa lo stipendio, ma solo lei viene tormentata sulla gestione dei figli. A volte sono allibito e ammetto incapace di reagire a questi “attacchi”, che paradossalmente, vengono portati sempre da donne!!!
    Ho notato inoltre che i miei figli, non soffrono – apparentemente – del fatto che entrambi lavoriamo, ma piuttosto potrebbero soffrire dal fatto che a volte mia moglie ha le paturnie sopra descritte e quindi il tempo che passa con loro qualche voltà è un tempo in parte rovinato dalle paturnie stesse.
    Aggiungo ancora che oltre a lavorare otto ore come il sottoscritto – mia moglie si sente in dovere di assolvere anche tutte le mansioni e le cose che in casa bisogna fare quotidianamente; lavatrici, riordinare ecc.. In tutti i modi io cerco di portarle via questa fetta di cose da fare, ma ho come l’impressione che l’educazione che lei ha ricevuto dalla madre casalinga le imponga un obbligo morale di assolverle lei in prima persona.
    Vi chiedo scusa perchè credo di aver pasticciato un po’ quello che ho scritto, e forse sono anche andato fuori tema, però ci tenevo a condividere questi pensieri con voi.
    Saluti, Gp

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  13. Ah, penso di aver trovato il testo originale del lavoro:

    http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/mono.2010.75.issue-2/issuetoc

    ““First-Year Maternal Employment and Child Development in the First 7 Years,” July 2010, volume 75 edition of the Monographs of the Society for Research in Child Development JEANNE BROOKS-GUNN, WEN-JUI HAN, JANE WALDFOGEL”

    é un link alla monografia. In questa pagina c’é una lista di link ad ogni capitolo dello studio. Io riesco a leggerli, ma non so se é perché ho l’accesso internet alla libreria universitaria. Eventualmente posso scaricarteli come pdf e mandarteli via mail.
    Ciao.

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  14. Bellissimo articolo, grazie di averlo scritto.
    Le domande che tu ti poni sul ruolo delle mamme lavoratrici me le sono fatte spesso anch’io quando mi capita di leggere sui giornali di questo o quello studio come quello di cui sopra. Sembra che, quando si parla di benessere dei bambini, che l’attenzione si concentri sempre e solo su quello che le mamme fanno o non fanno per loro, mentre, ad esempio, la questione della soddisfazione personale e dell’autostima che una mamma puó avere a causa di un’attività stimolante, dell’indipendenza economica, ecc, contino poco o niente in quello che é il clima familiare.
    Stesso discorso sulla partecipazione dei padri e sulla valutazione di quanto incida il tempo che loro passano coi propri figli: non viene mai altrettanto considerato e non capisco il perché, visto che rappresentano il 50% dei genitori. Come se la responsabilitá dell’educazione emotiva ricadesse esclusivamente sulle mamme, e se quest’ultime sgarrano in qualcosa, dovessero essere le sole a portarne la responsabilitá.
    Mi ricorda un po’, parlando di questioni piú gravi, di quando succede che un genitore sopprima la propria famiglia: se é una madre a farlo, allora si leggono sui giornali montagne di articoli su ma com’é, e perché, ma come puó una madre, ma non é possibile/accettabile e in che mondo senza responsabilitá viviamo eccetera. Quando lo fanno i padri: gli stessi psicologi, sociologi, esperti opinionisti si defilano e quasi nessuno ritiene necessario analizzare la faccenda e trovare una soluzione.

    Io sono un po’ stufa di questo addossare responsabilitá soltanto alle madri, senza neppure guardare a loro come persone in prima istanza.

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  15. Ecco, l’ultima soluzione proposta mi piace: sia mamme che papà lavorare entrambi ma un po’ meno.
    E invece col cavolo: sia io che lui dobbiamo lavorare fulltime per arrivare a stento a fine mese… col risultato che siamo stanchi, stressati, incavolati col mondo che fa schifo e con nostro figlio ci stiamo troppo poco tempo, e lui non è affatto felice, e adesso che ha 3 anni passati lo dice chiaramente, quindi non è che me l’invento io.
    Mi sa che questa ricerca e, soprattutto, quel che di questa ricerca riportano i giornali, lascia il tempo che trova.

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    • Grazie a tutti per aver alimentato la discussione. Sono appena riuscita a collegarmi e mi ha fatto molto piacere leggere tutti questi commenti, perché questo è un tema che mi sta molto a cuore. E sono felicissima che tra i commentatori ci siano dei papà!
      Leggendo i vostri commenti però mi rendo conto che forse almeno su un punto non sono stata chiara. Nonostante La Stampa abbia richiamato alla felicità dei figli, in realtà da quello che ho capito, nello studio non si parla di felicità, ma di sviluppo cognitivo ed emotivo. Questo dipende dal fatto che gli studi precedenti sostenevano che i figli di mamme lavoratrici restano indietro proprio nello sviluppo, riuscendo ad ottenere punteggi inferiori in test rispetto ai coetanei figli di mamme casalinghe. Questo studio invece contesta questi risultati, mostrando che non è assolutamente vero. Ora capite che questo è un bel successo.
      Questa precisazione mi auguro risponda anche a qualcuno dei commenti che partono dall’esperienza personale.

      @Claudia-cipi ahimè il problema economico è al di sopra di qualsiasi discussione.
      @Gp sono d’accordo con te che le donne sono le peggiori nemiche delle donne in queste occasioni. Le rivoluzioni culturali che richiedono dei cambiamenti di paradigmi radicati, sono molto lente, e richiedono l’aiuto di tutti. Per questo io sono una accanita sostenitrice del “potere ai papà!”, come ho avuto modo di scrivere più volte in questo blog, perché così la lotta non è più solo da parte delle madri per una maternità migliore, ma è una lotta della famiglia, perché i figli abbiamo dei genitori migliori.
      @Morgaine le Fée come sai sono d’accordissimo. io non ho accesso ai pdf. Credo dipenda proprio dal fatto che tu sei in una biblioteca universitaria e io no. Se potessi mandarmeli sarei estremamente grata!

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