Sanremo, bellezza, e impegno sociale

Questo è un post che ha fatto un giro lunghissimo, connettendo tre “puntini” su cui sono inciampata in questi giorni.

Innanzitutto, anche i più distratti avranno notato che in questi giorni ricorreva Sanremo. Cosa che io snobbavo abbastanza, lo ammetto, mentre ero in Italia, e che ora, da expat, soprattutto in questi ultimi anni con i bimbi, si è intrufolato di diritto nella tradizione (aha! ci risiamo) della nostra famiglia. Poi gli ultimi anni della versione social su Facebook lo ha fatto diventare un appuntamento immancabile.

E insomma, lo abbiamo seguito anche noi, via streaming e in differita di un giorno, non in diretta (che non è possibile un programma che duri 7 ore a puntata!!!) così potevamo saltabeccare qui e lì. Lo abbiamo seguito, con i boys che un po’ ripassavano l’italiano, un po’ si appassionavano alla gara (la mononota rules!), un po’ facevano domande su quello che vedevano. Tante cose da raccontare, chi era tizio, chi era caio, un momento di travaso di storia dai nostri ricordi alla tavola non indifferente. E fra le cose da spiegare, questo annoso rovello sulle belle figliole. Certo, devo ammettere che quest’anno siamo andati alla grande su questo versante, due conduttori in regime pressoché paritario, una Litizzetto scatenata, OneBillionRising portato alla ribalta del Festival (nota: lo sappiamo tutti che Sanremo è Sanremo, e ci tocca perdonare anche Fazio che traduce billion con milione e non miliardo, o che dice che “si chiama flashmob”, ma quando mai, quello che avete fatto sul palco non è un flashmob per definizione, o che, non avendo evidentemente studiato la lezione, ha comunque voluto improvvisare “qualcosa” e non ha lasciato la parola a chi ne sapeva, per cui chi era al corrente ha colto il gancio, ma chi ignorava del tutto l’iniziativa e non aveva accesso al momento a giornali o internet avrà accantonato il balletto in 10 nanosecondi; ma sorvoliamo sennò Silvia dice che sono la solita expat snob).

Però.

La cosa che ci siamo trovati (ritrovati in effetti, che mica capita raramente) a spiegare ai bambini in particolare era la antichissima, immarcescibile, perenne gag che si perpetua immutata nei secoli dei secoli sugli schermi italiani, nel protocollo fisso di comunicazione fra conduttori e ospiti di generi opposti, protocollo che si declina in (1) flirting ironico fra conduttore e bellezze in visita o vallettate, conduttore che da intelligente e arguto un minuto prima, il minuto dopo si barbatrucca in un cascamorto ai limiti dell’idiozia; (2) finte ironiche litigate con la donna “intelligente ma bruttina” quando le bellezze arrivano sul palco (Sandra e Raimondo la facevano eoni fa ‘sta cosa, e andiamo!); e (3) complimenti ironici francamente imbarazzanti su cose come abiti, acconciature, tacchi (!) o come vengono scese le scale, o enfatici “ma braviiiiissiiiiima” (non hai bisogno di esser brava, se sei bella, ma se sei anche brava sei braviiiiiisssiiiiima) per banalità, tipo la prima lezione di percussionismo o la pronuncia corretta di un nome difficile (ma la grammatica dell’elogio mica la dobbiamo usare solo con i bambini eh?). E certo il conduttore è intelligente, e tu fai la difficile, e queste sono tutte sottili ironie. L’ho detto che sono ironie? E figurati.

Puntino numero uno.

Il secondo spunto è un post recente della sempre ottima Patrizia-Extramamma. Lo leggo e provo ad immedesimarmi con qualche difficoltà in una madre di due figlie, e parecchio più in là negli anni dei miei due boys. Osserva Extra, i social sono pieni di queste foto in stile modella di tante adolescenti, in pose costruite e complicate, coronate da millemila mi piace e commenti ad un tasso glicemico di cuoricini elevatissimo, di tesooooro sei belliiiissima da parte di amiche (molto più che di amici). Tutto questo laddove i coetanei si presentano al mondo 2.0 molto più frequentemente in versione goliardica. Non ho esperienze dirette, ma ho comunque un modesto campione nell’amiciziario facebook, fra figlie di amiche o parenti, e devo ammettere che è vero, i ragazzi spesso in gioco da caserma perenne fanno un contrasto stridente con le ragazze, serissime nel loro affettare la posa, non c’è niente di scherzoso nell’atteggiarsi, pochissima ironia, non pare qualcosa fatto per gioco, per riderci su, anzi. Ed è questo che colpisce di più, e almeno a me, un po’ rattrista.

Puntino numero due.

bellezza_donne_oggettoL’anello di congiunzione, il terzo puntino fra i due si rivela una notizia recente, non so se pervenuta anche in Italia, su uno studio condotto da una psicologa dell’Università di Kent, in UK, che studia le motivazioni che spingono all’azione sociale, e alle eventuali differenze di genere in questo ambito. E, sulle specifiche questioni di genere, si occupa di fenomeni come il “sessismo benevolo”.  Ora, questa cosa del sessismo benevolo sembra sollevare molto dibattito fra gli addetti ai lavori, e fra il pubblico in generale. Fra chi dice che non esiste, o che comunque non è dannoso, e chi invece sostiene che è una questione sociale profonda che mina dalle fondamenta il percorso verso la parità. Il sessismo benevolo si può sostanzialmente allineare alla “cavalleria”, la “galanteria”, a quell’attitudine per cui le donne sono idealizzate, messe su un piedistallo, considerate moralmente superiori agli uomini, creature da ammirare, rispettare (!) ma in buona sostanza anche da “aiutare”, proteggere, soccorrere, custodire. Il sessista benevolo non alzerà mai un dito contro una donna, che non si picchia neanche con un fiore, le aprirà solerte lo sportello della macchina, le offrirà il braccio per attraversare, si offrirà di portare pesi per lei, la complimenterà per la sua bellezza, la sua intelligenza, la sua arte, la sua arguzia… insomma, avete afferrato l’idea. Così come avrete percepito che il problema è che il sessista benevolo, pur giurando di desiderare ardentemente la parità, probabilmente non voterebbe una donna come amministratore delegato, ecco.

Ci sono due punti di vista per analizzare gli effetti di questo, o altri comportamenti sessisti: quelli verso l’esterno, sulla società civile, e quelli verso l’interno, sulle donne stesse, e sono questi ultimi che a me interessano di più, così per inclinazione personale. Per esempio, molti esperimenti hanno evidenziato che in un ambiente di lavoro in cui serpeggia il sessismo benevolo, le donne sono portate a sentirsi meno sicure di sé, e ad adeguarsi a stereotipi di genere, a distrarsi, e, in ultimo, a peggiorare la loro performance. La classica profezia che si avvera da sola, non male per un fenomeno “innocuo”!

Lo studio di cui parlavo prima, in particolare, esaminava le conseguenze sociali della “auto-oggettivizzazione”. Si parla, attenzione, non della società o dei media che rappresentano la donna come oggetto, ma di un’attitudine in cui la visione oggettivante si rivolge verso se stesse, con le donne che si guardano e si giudicano dalla prospettiva di occhi altrui. E lo voglio sottolineare, non si parla di donne che in effetti si rendono oggetto, è molto importante questo, prima che pensiamo subito a degli stereotipi magari visti sui media. Ora, è stato evidenziato in altri studi passati come l’auto-oggettivazione comprometta il rapporto con sé stessi e il partner, ma in questo studio qui si va oltre, e si prova a capire se l’auto-oggettivazione comprometta finanche la propria partecipazione e impegno sociale.

In un articolo scientifico dal titolo, nella migliore tradizione inglese dei giochi di parole, “Objects do not object” (gli oggetti non obiettano) gli autori presentano esperimenti che suggeriscono che donne che descrivono sé stesse con tratti “oggettivanti”, cioè tratti legati all’osservabile (sono alta, sono in forma, sono attraente, sono grassa, sono tonica, ho il seno grande piccolo medio etc) rispetto a tratti legati al non osservabile (sono in salute, sono forte, sono energetica, sono malinconica),  sono meno inclini all’attivismo sociale di genere. In particolare, l’auto-oggettivazione si accompagna ad una predilezione per il mantenimento dello status-quo, in termini di ruoli e relazioni stereotipati di genere, e una minor propensione a criticarlo, e quindi ad attivarsi per cambiarlo. Lo studio suggerisce inoltre che la auto-oggettivizzazione può essere indotta, cioè frequentare un ambiente in cui ci sono ammiccamenti, commenti sessuali espliciti, doppi sensi, apprezzamenti in strada (uhm, mi ricorda qualcosa tutto ciò) o continua esposizione a immagini in cui la donna è oggettivata, crea i presupposti per l’auto-oggettivizzazione, per il guardare sé stesse con la lente dell’osservabile.

E quindi una società in cui questi comportamenti sono la norma, capirete bene, creerebbe i presupposti per un minor impegno sociale e una maggior attitudine conservatrice nelle donne stesse. Ora, con tutti i distinguo sugli esperimenti e quanto possano essere generalizzati, e con tutto che saranno anche risultati che magari noi sentivamo già veri, a me leggere questo lavoro ha fatto effetto, devo ammettere.

E insomma, tornando alle domande dei boys e a Sanremo. Io sono sempre stata molto molto imbarazzata da queste situazioni ammiccanti televisive. Da piccola, ricordo benissimo, mi sentivo a disagio a guardarle, mi turbava la figura da idiota del lui, il sorriso abbozzante della lei, l’atmosfera di stupidità che si tagliava a fette, mi vergognavo per loro, e ancora adesso non riesco proprio a sentirmi a mio agio quando vedo questi siparietti. E non si tratta di demonizzare la bellezza, come certe volte mi sento ribattere, in una polemica secondo me in modo un po’ troppo semplicistica.

Un conto è accogliere una bellissima donna su un palcoscenico con una parola (una!) galante, tipo “sei splendida stasera”, e poi parlare di altro. Un altro conto è impostare tutto lo scambio di parole su questo argomento, girare il coltello: e un po’ di understatement e che miseria! O fare un monologo sano sulla bellezza e quanto sia importante, con l’applauso ai non belli (Littizzetto, ma porca miseria, eh?).

Un conto è affiancarsi ad una conduttrice bravissima che capita sia anche avvenente, un altro conto è ostinarsi ad invitare bellissime donne sul palco senza uno straccio di copione, con l’assunzione che “basta che siano lì e si facciano vedere” e abbiamo sgamato la serata (e sulla presa in giro di questa situazione, segniamo un punto per la Littizzetto quando gioca a scambiare i ruoli, con Fazio che scende le scale come “uomo del festival”).

Un conto è commentare sui giornali a posteriori, magari giornali fashionisti, quindi in tema, quanto quel vestito o acconciatura fosse o meno azzeccata, un altro conto è parlare dell’acconciatura e del vestito in diretta, mentre l’evento accade, e parlare di questo, e di questo soltanto, e non di altro.

Anche se quindi accantoniamo la questione disagio, che potrebbe benissimo essere dettato dalla mia personalità e il mio modo di rapportarmi a questi temi, restiamo comunque col fatto che questi atteggiamenti, queste situazioni continuamente proposte, non solo hanno ripercussioni sull’opinione che le donne hanno di sé stesse, come le ragazzine del post di Extramamma, ma in ultimo contribuiscono ad allascare la maglia della attenzione delle donne (anche la mia?) ai temi di genere, e partecipazione sociale, e se questo è vero, beh allora mi sento autorizzata a sentirmi infastidita. Mi dico che far presente, sottolineare queste situazioni, non è demonizzare la manifestazione di bellezza, né tantomeno la galanteria, ma un’esortazione a prendere degli appunti mentali su quello che facciamo, quello che vediamo, il modo in cui vediamo parlare della bellezza: prendiamo nota di quanto ci influenza, di quanto influenza le nostre figlie, le nostre amiche, le figlie di loro. E, importantissimo per me, chiediamo cosa ne pensano i nostri bambini più piccoli, notiamo come reagiscono quando notano queste cose, cosa registrano, come le decodificano. E anche se giochiamo e se ironizziamo e flirtiamo e scherziamo, facciamoci domande, sempre: noi, come parliamo di noi stesse? E delle altre? E degli altri? Quante volte ci diciamo l’un l’altro/a quanto siamo fighi/e, o ci mipiacciamo sui social (con ironia, eh? s’intende) in percentuale rispetto a quante volte ci diciamo altre cose l’un l’altro/a? E come parlano della bellezza le nostre figlie, le nostre amiche, le nostre colleghe, e i nostri figli, i nostri partner, i nostri amici, i nostri colleghi? E soprattutto QUANTO ne parlano, è davvero sempre argomento di conversazione? Sempre?

Insomma, rendiamoci conto di cosa potrebbe costare, e vigiliamo: va bene non demonizzare, ma ci deve essere una soglia oltre la quale siamo autorizzati a svegliare le bambine (e i bambini)?

(foto credits Beggs)

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10 thoughts on “Sanremo, bellezza, e impegno sociale”

  1. A me sembra un discorso terribilmente serio, forse mi sento così coinvolta perché madre di figlie femmine in età da cuoricini su facebook. E quando vedo queste ragazzine così dannatamente serie mentre si mettono in posa scoprendo quello che possono penso che spetti a noi, che siamo così vicine, fare un passo indietro, scendere dai tacchi, toglierci il rossetto. Educare ad essere normali, si può?

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  2. Vorrei mettere in chiaro una cosa, che evidentemente non e’ stata ben focalizzata nel post, o se si, comunque la ridico, per chiarezza. La bellissima che arriva sul palco e’ non solo ben accetta, ma assolutamente indispensabile, per un programma di sogno come Sanremo. E’ come dire un matrimonio reale senza damigelle, una festa senza torta, un ballo senza orchestra, scherziamo. Io contesto pero’ questo voler sporcarsi le mani col sogno, non c’e’ bisogno di usare le modelle (o anche l’ottimo Castrogiovanni) per una micro-presentazione, proprio perche’ il tempo e’ ristretto, non la puoi intervistare propriamente, capirne la personalita’, puoi soltanto mostrarla. Farle fare il suo mestiere. E allora mostrala e basta, invitarla ad eseguire tre colpi di percussione, a che pro? Farle dire una parola che sicuramente sbagliera’ perche’ straniera e poi andare giu’ di patronising (braviiiissima) a che pro? Chi ci guadagna? Il sogno, no di certo, per il sogno basta, appunto, farla sfilare. Ti diro’ di piu’: nella prima “calata” della modella italiana, lei aveva iniziato con un aneddoto (sulla mamma, la nonna, non ricordo esattamente), ed e’ stata subito tranciata dal Fazio, del tipo vabe’ ora non vogliamo sapere tutti i dettagli che non c’e’ tempo, e poi son stati 5minuti buoni a parlare di altre cacchiate: allora ci stava il tempo o non ci stava? Non so, sono troppo rigida?

    Sulla cavalleria come codice di comportamento fra sessi, ovvio che questo e’ parte del contesto, e tutto sommato e’ una cosa “healthy”, del resto siamo comunque appartenenti alla specie animale, ma deve essere, appunto, una cosa healthy, cioe’ deve essere inframmezzata da altri discorsi. Se il discorso e’ monotematico (e per cortesia, ripeto, non mi state a dire che non c’e’ tempo!) allora io mi stufo, quantomeno.

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  3. Durante queste serate di live tweeting con le amiche di #mammeasanremo ho notato una cosa.

    Tutte molto contente del rapporto Fazio-Littizzetto, di quello che lei ha fatto sul palco, delle novità.
    Però, ad un certo punto è stato chiaro che le bellone ci volevano.
    Mi spiego meglio: ci volevano per il “sogno”.

    Tutte volevano vedere gli abiti da sogno e la ragazza bella da sogno. La Littizzetto per quanto brava non poteva soddisfare questa esigenza non detta.

    Quando finalmente c’è stata qualche valletta (Bar Rafaeli, Bianca Balti) tutte abbiamo apprezzato che la loro presenza fosse molto ridotta sia come tempistiche che come interventi, però in fondo in fondo abbiamo pensato che portassero un po’ di pepe nelle conversazioni e soprattutto nei gossip.

    Agli stereotipi siamo affezionate anche noi, specie se usati con parsimonia.

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  4. Mi piacerebbe dare una risposta altrettanto articolata come questo post che mi intriga, probabilmente scriverò un papiro di commento, ma vediamo.

    Il concetto di “sessismo benevolo” credo di averlo conosciuto in filigrana in un viaggio in America del Nord, quando ho scoperto con sgomento che le donne nordamericane si offendono se gli uomini aprono loro la porta di un ufficio, oppure se si offrono di tirare giù una valigia al posto loro, oppure di spalare la neve davanti al vialetto. La risposta standard che ricevono è “Perché credi che non sia capace?” con la variante meno politically correct “Guarda che non sono mica handicappata”.

    Sono sempre stati degli uomini a parlarmi di questo (americani, canadesi), per dirmi della loro fatica di rapportarsi con le donne che si rapportavano così.

    Ragionando rigorosamente fra europee, io per prima ma anche molte interlocutrici ci dicevamo che questi sono i guasti del femminismo, che si perde la vecchia “cavalleria” maschile che è il lato bello del rapporto uomo-donna. Il risultato negativo di questo atteggiamento è una maggiore difficoltà nei rapporti.

    (Parentesi: non è tutto oro quel che luccica nemmeno in Italia, perché quando ho dopo un incidente mi sono trovata a viaggiare in treno con il collarino e un signor mal di schiena, gli unici ad offrirsi per portarmi la valigia sono sempre stati immigrati stranieri. Quindi non è che nemmeno da noi ci sia tutta questa cavalleria come ci piacerebbe.)

    Il fatto è che la fatica di cui mi hanno parlato quegli uomini è indicativa: la cavalleria è utile come savoir-faire, funziona da olio che fa girare meglio gli ingranaggi dell’interazione sociale, come dire buongiorno e buonasera. Un uomo “sa” come ci si comporta con una donna, la donna “sa” come si deve comportare con un uomo. Quando togli questo olio si fa più fatica a comunicare perché manca il codice comune. Il che non significa che l’olio deve rimanere per forza lo stesso, puoi anche usare l’olio di colza anziché l’olio d’oliva, però devi sapere che cosa devi fare in una determinata situazione.

    Gli stacchetti di Sanremo in cui il presentatore gigioneggia con l’invitata non mi hanno mai dato particolarmente fastidio, nel senso che trovo liberatorio poter scherzare sul rapporto fra i sessi. Concordo però che a suon di dai, l’ironia diventa un modo per presentare scherzando qualcosa che in realtà è molto molto serio.

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  5. Sono pienamente d’accordo e sottoscrivo ogni parola e considerazione di questo bellissimo articolo.
    Mi sono chiesta le stesse cose, anche se le mie figlie sono piccole ancora, hanno due anni e mezzo una e sette mesi l’altra, ma io mi sto preparando.
    Il festival di quest’anno mi avrebbe certo messa meno in imbarazzo rispetto alle scorse edizioni. Un passo è stato fatto, ma c’è ancora molta strada da fare per arrivare a capire che la bellezza non è un valore, e soprattutto non è un dovere e una discriminante, e naturalmente solo per le donne.
    Mi è molto piaciuto il siparietto dell’inversione dei ruoli, alla fine del quale Fazio ha detto una cosa come “ma io sono così scemo?”.

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  6. La mia idea è quella della semplicità. E’ solo Sanremo. Poteva essere fatto meglio? Certo. Era meglio degli anni precedenti? Certo, soprattutto nei confronti delle donne.
    ‘Femminilizzare’ tutto (come lo dico? non è il termine giusto, ma facciamo finta) mi sembra eccessivo.

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  7. Barbara, e’ vero, e’ stato gradevole, ma la mia considerazione sui bambini e’ soltanto incidentale, io penso che non siano i bambini ad esserne influenzati, se dobbiamo credere almeno in parte a quello studio che menzionavo

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  8. Sai, io sono abbastanza d’accordo, per quanto ribadisco che secondo me questo Festival è stato animato da buone intenzioni ed è stato un gradevolissimo Festival e un gradevolissimo passatempo.
    Ma per me. Il Festival – a mio parere – non è una trasmissione da bambini (ma da mamme, ndr). Quasi nulla della TV pubblica è fatto per i bambini, tanto che io a mia figlia faccio vedere solo SKY, e solo quello che dico io. E se lo guardo io che sono adulta, ritengo di saper discriminare ironia, pregiudizio, una certa consuetudine culturale che piano piano deve essere cambiata, e anche il valore che, nonostante i problemi, si può manifestare.

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