Quando i figli se ne vanno

«Leggi qua» ho scritto a mia figlia in chat mentre si trovava a scuola trasmettendole questo articolo che il feed di facebook continuava a propormi. «Vai all’estero!» ho aggiunto. «Scontato» ha risposto lei, laconica.
Davvero era così scontato? Ho dovuto pensarci su.

foto di Andrew Malone utilizzata con licenza CC
foto di Andrew Malone utilizzata con licenza CC
Quando ero ragazzina andavano di moda delle serie tv con un identico plot: una nave naufragava e una famiglia di sopravvissuti si ritrovava a vivere in un’isola deserta dove perpetrava le regole e i comportamenti della vita cittadina: abiti appropriati, istruzione scolastica, pasti a ore fisse, capanne in ordine, rasature impeccabili. Nella famiglia Robinson c’erano sempre diversi figli, di cui almeno un paio adolescenti, e questa cosa mi riempiva di angoscia. Di chi sarebbero diventati amici quei ragazzi, di chi avrebbero mai potuto innamorarsi, come avrebbero fatto a diventare adulti se venivano costretti da uno sceneggiatore crudele a rimanere per sempre nelle grinfie di mamma e papà?
Deve essere per via di quell’antica sensazione di claustrofobia se non ce la faccio proprio a considerare una jattura la probabilità che i miei figli vadano lontani da me, all’estero, per studio o per lavoro.

«Io lo so già, che molto probabilmente Silvia ed Elena non torneranno più, non saranno messe nella condizione di tornare (…) So che continueranno ad amare l’Italia, anzi sempre di più, ma sempre più da lontano. Come un sogno, un rifugio, una villeggiatura. Come la terra dei padri. Come da sempre per i nostri migranti in cerca di fortuna.» Scrive con un certo pathos l’autore dell’articolo.
Non voglio parlare delle conseguenze che ricadranno su un Paese che costringe la meglio gioventù a sfruttare altrove le sue competenze e talenti, né fare confronti con nazioni in cui il bene comune e il vivere civile sono valori condivisi che fanno sentire tutti protetti. Vorrei invece parlare degli aspetti emotivi della cosa. Un figlio cresce e se va. Dove va? Dipende. A meno che non si tratti di uno dei componenti della famiglia Robinson, va dove ha la possibilità di stare meglio.

Quando mia sorella spedì le ultime valigie per cominciare la sua vita in Nuova Zelanda – cioè nell’altra pagina dell’atlante geografico – mia madre si mise a letto ululando di dolore. «Era come se l’avessi persa» confessò poi. Allora non la capii, ma adesso che sono madre… no, non la capisco nemmeno adesso. Anzi: è soprattutto adesso che non capisco. Adesso che i voli low cost ci portano ovunque, che le messaggerie ci tengono collegati 24 ore su 24, adesso che skype permette di mostrare dove siamo e cosa facciamo in presa diretta, la lontananza dovrebbe fare meno paura. Ora che con i programma di scambio europei i ragazzi hanno conosciuto una parte di mondo, adesso che possono viaggiare liberamente in area Schengen senza cambiare valuta, ha ancora senso affermare che «vanno a vivere all’estero» quando l’estero è l’Europa?

Se ripercorro le tappe delle migrazioni delle ultime tre generazioni che hanno portato alla formazione della mia famiglia – dalla Curlandia all’Italia; dalle valli dei Cimbri all’Umbria – non c’è una sola persona che sia rimasta al suo posto. Davvero ci eravamo illusi che per noi e i nostri figli sarebbe stato diverso?
«Parli bene tu che sei abituata alla lontananza» mi sgridano le amiche alludendo al fatto che mio marito vive e lavora in India, cioè a novemila chilometri da noi, un allenamento alla lontananza che mi avrebbe reso insensibile alle partenze. «Per che cosa ci diamo tanto da fare se poi i nostri ragazzi devono lasciare tutto e partire? Per cosa lavoriamo, risparmiamo, costruiamo, se tra le nostre vite e le loro ci sono chilometri di distanza, Paesi e abitudini che non conosciamo? Cosa lasciamo loro in eredità?»
Giusto. Cosa lasciamo loro, se loro vanno altrove? Secondo me, il senso della possibilità.

Prova a leggere anche:

Previous

La donazione degli organi

Eredità: la quota disponibile del patrimonio

Next

2 thoughts on “Quando i figli se ne vanno”

  1. Bè sicuramente è più capibile tua madre che verosimilmente avrà rivisto tuo sorella davvero molto poco, che un genitore adesso per tutte le cose che hai scritto e che ci permettono di stare in contatto.
    Sono d’accordo con te…poi vedremo quando e se capiterà cosa penserò…sarò comunque un dolore credo vederli partire, ma non per questo cercherò di fermarli.
    Però ecco il marito lontano questo mi scoccia, infatti ho mollato tutto e lo seguo dappertutto con e senza figli!

    Reply

Leave a Comment