Figlio mio, ti odio anch’io (ovvero, l’invidia dell’expat)

Figli figli figli, figli amorosi gigli. Chi dà consiglio al core mio angustiato?

Perché un pochetto vi odio pure, miei adorati.

Vi odio perché state vivendo il sogno mio: perché io sono partita per vivere una vita diversa, ma la vita diversa la state vivendo davvero solo voi, che siete nati qui, da titolari, io sono comunque un residente di risulta, un avatar dal passato incongruente col presente.

Vi odio per tutte le bellissime opportunità che la vostra scuola vi offre, e io sbavo a leggere i foglietti illustrativi, opportunità che voi accettate come fait accompli, e penso ma chissà cosa sarebbe la mia vita se le avessi avute anche io.

Foto di JP R utilizzata con licenza Flickr CC
Vi odio per questo idioma che vi esce naturale e bellissimo, vi odio perché se tento di avere una discussione alla pari con voi ormai suono ridicola, mi inceppo, inciampo, la lingua si arrotola. Quella che era concepita come la sentenza definitiva, la saggia chiosa genitoriale alla conversazione, parte roboante ma esce patetica e sfiatata. E no, vale anche per l’italiano. Io non ho più nessuna lingua nativa, voi ne avete due.

Vi odio perché quando dite che volete andare a vivere in Italia da grandi, e fate progetti, sembrate proprio come quando io facevo progetti per venire a vivere qui, ad eccezione del fatto che sembrate anche infinitamente più competenti, perché l’Italia la vivrete come una seconda casa davvero, senza ostacoli o paturnie, in scioltezza.

Vi odio perché comunque sia voi non sembrerete fuori posto, come i narcisi che stanno spuntando nei prati, ai bordi delle strade, ora a San Patrizio, che non ti rendevi conto fossero lì sotto fino a qualche settimana fa, quando riposavi lo sguardo sul verde sconfinato, e ora invece si sono appropriati del loro spazio e ti sbattono in faccia la loro sicumera gialla.

Vi odio anche perché la mia vita qui come la sognavo prevedeva di contratto questa perenne sensazione di vacanza, e di friccicore di avventura, e me lo ricordo che lo era così, infatti, anni fa, prima di voi, mentre ora le giornate devono riempirsi di questioni che mi ricatapultano indietro alla vita prima di partire, mio malgrado, e per tirare fuori i miei occhiali rosa e risentirmi in vacanza devo ricordarmi di uscire da sola. O andare in ufficio, certo. Sia ringraziato il cielo per l’ufficio.

Vi odio perché è passato tutto troppo presto, venti anni di expat sono niente, mi sento ancora all’inizio del sogno della vita nuova, delle cose meravigliose che posso fare, delle attività che posso iniziare, ma voi adolescenti mi ricordate che vuol dire davvero essere “all’inizio” di qualcosa, e io mi ritiro nella consapevolezza che ai venti devo aggiungere per forza tutte quelle altre decine lì.

Vi odio, o forse meglio, vi invidio, ma dicono sia normale. Le magnifiche sorti e progressive. I miei genitori invidiavano la me laureata? I miei nonni invidiavano i figli alfabetizzati? Ah, l’eterno conflitto generazionale.

E dire che io mi credevo talmente tanto cool e moderna e alternativa da esserne immune.

E invece niente, mi avete fregato di nuovo. Vi odio.

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2 thoughts on “Figlio mio, ti odio anch’io (ovvero, l’invidia dell’expat)”

  1. Io sono una figlia invidiata per motivi piuttosto simili. Mia madre si sente fuori posto nel paese in cui vive, per motivi linguistici, per problemi razziali, perche’ non si piace e perche’ non ha realizzato la vita dei suoi sogni e non e’ stata soddisfatta della sua relazione sentimentale. Ha grandi complessi e quando siamo da sole, un piccolo casuale tentativo di sminuirmi c’e’ sempre.

    Io ho una relazione felice. Vivo in una metropoli come lei avrebbe voluto. Ho il naso come piacerebbe a lei che non riesce a vedersi bella, i capelli che avrebbe voluto. Ho continuato a studiare, persino la materia a cui lei ha rinunciato per avere figli.

    Ho sofferto terribilmente per l’invidia ricevuta dalla persona che avrebbe dovuto essere felice per me e continuo a soffrire in silenzio. L’ho perdonata miliardi di volte. Ma ora lei e’ anziana, e con gli ulteriori problemi sopravvenuti non e’ cambiata. Di lei il ricordo piu’ vivido sara’ l’invidia, che forse ha creduto di nascondere bene.

    Scrivo perche’ e’ una riflessione importante. Un figlio non chiede di nascere, chiede solo di essere amato da chi ha scelto di metterlo al mondo. L’invidia non e’ innocente e non e’ uno scherzo. L’invidia e’ una forma di rifiuto verso di se’ e verso gli altri, per quanto sembri piccola o invisibile. E’ una forma di speranza che un figlio possa brillare, ma non in modo accecante. E’ cio’ che posiziona una madre nella massa di passanti che, ogni tanto, non hanno potuto farea meno di remare contro in seguito ad ogni sicura remata a favore.

    E piu’ passa il tempo e giunge la vecchiaia, e piu’ quell’innocente sentimento diventa incontrollabile.

    Basterebbe guardarsi con gli occhi di un figlio per capire che si e’ piu’ speciali, belle, importanti di quanto si possa credere di essere. Ma l’invidia impedisce anche questo, perche’ mettersi nei panni e’ mettersi faccia a faccia con i propri rimpianti verso un mondo competitivo e difficile.

    La vita che si sarebbe voluto vivere e’ diversa dalla vita con il figlio. Gia’. Lo so bene. Il figlio non e’ stato in grado di rendere felice a sufficienza, e quindi non ha il diritto di esserlo, a sua volta, troppo.

    E’ un meccanismo malato e spero che chi ha scritto questa pagina possa osservare i suoi figli nelle loro fragilita’ di fronte al mondo. Spero che possa vedere il loro amore. Spero che possa vedere i loro sorrisi e le loro paure. L’enorme elefante di rimpianti, desideri, si posiziona davanti a cio’ che i figli sono, e cosi i figli diventano solo cio’ che rappresentano involontariamente.

    Auguro il meglio a questa madre, e spero che il mio commento sia molto piu’ di ispirazione rispetto a chi vuole normalizzare questo sentimento. Ho pianto tra me e me per tutta la vita ed ho dovuto nascondere i miei successi a chi mi ha messa al mondo, e non esiste solitudine piu’ grande di questa. I danni sono irreparabili ed io ho persino paura di diventare troppo “speciale”, c’e’ una voce in me che mi rema contro e mi ha reso la vita difficile. Bisogna fare moltissima attenzione.

    Buona fortuna.

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  2. Prova a vederla da un’altra angolazione, secondo me dovresti essere contenta di questa invidia. Io invece mi rammarico per i miei figli, perché mi sembra che avranno molte meno opportunità rispetto alle generazioni passate. Avranno (hanno) scuole in condizioni peggiori, servizi sanitari ridotti al lumicino e, sì, oggi ci sono tanti interessi da coltivare, ma qui da noi sono tutti a pagamento e quindi riservati a chi può. Poi mi chiedo se riusciranno a trovare un lavoro, se avranno una pensione, se cresceranno con un minimo di valori in una società che elogia il vacuo e, quindi, ben venga l’invidia verso i figli, se c’è!

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