Destinazione Estero: una famiglia con la valigia

Oggi parte un’altra nuova rubrica: genitoribloggano. L’abbiamo affidata a Chiaradinome, autrice di quello che lei chiama “il bloghettino” (un blog personale molto curato e piacevole), autentica talent scout di blogger. Chiara naviga di blog in blog, fermandosi a leggere con attenzione ogni volta che trova qualcosa di interessante. Essendo persona acuta e dotata di grande spirito (sarà un po’ spirited, o amplificata anche lei?), riesce a trovare delle vere e proprie chicche sul web.
Noi l’abbiamo arruolata e sguinzagliata in missione alla ricerca di blog di genitori e dintorni, che arricchiscano il nostro patrimonio di confronti e condivisioni. Ogni mese ci presenterà un nuovo blog e le nostre letture si moltiplicheranno.
Si parte da “Destinazione estero”.

Mi sono imbattuta nel blog Destinazione Estero chissà per quali vie e ne sono rimasta folgorata. Orgogliosa della mia scoperta, mi accorgo poi di essere arrivata quasi ultima perché Raffaella racconta qui le sue avventure da expat già dal 2008 e ha moltissimi affezionati lettori.
In breve questa è la sua storia. La famiglia Destinazione è composta da papà e mamma, entrambi insegnanti, e dalle due figlie, dette le Shukorine (pron. sciukorine, cioè zuccherine). Nel 2008 traslocano tutti in Eritrea, ad Asmara, per seguire il capofamiglia che ha ottenuto il trasferimento all’estero. Il container con tutta la loro casa arriva dopo due mesi…
Dopo tre anni, il tempo di ambientarsi, innamorarsi dell’Africa, stringere relazioni, nuovo trasferimento!
Da qualche mese la famiglia vive a Istanbul: il papà insegna, la mamma si iscrive al corso di turco e svolge un dottorato di ricerca presso un’università locale, le bimbe frequentano la scuola italiana.
Raffaella racconta tutto ciò con una freschezza e una serenità che stupiscono chi, come me (anzi no, come mio marito) fatica a immaginare di cambiare città, figuriamoci continente! Eppure vi verrà una voglia di partire…

Perché hai cominciato a scrivere il blog e com’è cambiato nel corso degli anni?
Ero stata fra i primi in Italia ad aprire un weblog e, nel periodo in cui insegnavo in provincia di Bergamo, a usarlo come strumento didattico. Così, quando nel 2008 mio marito fu chiamato dal Ministero degli Affari Esteri per un posto alla scuola media di Asmara, in Eritrea, non ebbi dubbi: il blog era lo strumento più adatto per poter tenere un diario della nostra nuova avventura africana e nel contempo mantenere i rapporti con gli amici e i parenti in Italia. Per i primi tre anni l’accesso al weblog è stato riservato a pochi conoscenti, soltanto da alcuni mesi è pubblico. Ciò è andato a tutto vantaggio del blog grazie al confronto con le esperienze altrui, specialmente delle altre mamme expat.

Molti genitori sono preoccupati che un piccolo cambiamento di ambiente provochi turbamenti nei loro figli. Voi avete fatto due traslochi belli importanti, come hanno reagito le bambine? Come le avete preparate?
Devo fare una premessa. Io stessa da piccola avevo avuto l’esperienza di un trasferimento in Africa con i miei genitori. Avevo 11 anni e non era stato semplice per me, ma la ricordo ancora adesso come una delle più belle esperienze che abbia mai vissuto. Mi aveva regalato la possibilità di crescere non solo culturalmente ma anche interiormente. Per questo ho creduto che fosse importante per le mie figlie conoscere una nuova realtà e confrontarsi con essa, sentirsi cittadine del mondo e non semplicemente abitanti di un paese italiano.
Quando siamo partiti per Asmara erano molto piccole, Shukor grande (pron. Sciukor) aveva appena compiuto sette anni, Shukor piccola ne aveva cinque. Avevamo cercato di prepararle il più possibile a questo cambiamento, e sapevano che avrebbero trovato popoli, lingue, culture e ambienti diversi da quelli cui erano abituate. Ma dal dire al fare…
Giunti ad Asmara, in quella cittadina del Corno d’Africa a 2.400 metri d’altitudine, i primi tempi sono stati duri per tutta la famiglia: senza i nostri mobili, senza elettrodomestici, cibo, giocattoli e libri in attesa che arrivassero con il container dall’Italia. Shukor grande è stata subito catapultata nella scuola elementare statale Michelangelo Buonarroti che era italiana, sì, ma completamente frequentata da alunni eritrei. Lei, l’unica vera italiana in classe: la diversa. Chiarissima di pelle e per giunta con i capelli biondo platino, in mezzo a tutti quei bimbi caffelatte. Ma pian piano ha imparato a relazionarsi con loro e a cavarsela in una situazione di minoranza. Shukor piccola ha invece cominciato a frequentare il kindergarten all’International School di Asmara con una maestra australiana e bambini di varia provenienza: tedeschi, americani, inglesi, olandesi, belgi, colombiani, russi. Tra loro c’era anche chi stava imparando la quarta lingua solo a cinque anni d’età.
Intanto cominciavamo a conoscere il Paese che ci ospitava. Con il treno a vapore giungevamo fino a Nefasit: 50 chilometri andata e ritorno per un percorso mozzafiato su un binario dell’Ottocento realizzato dagli Italiani durante il periodo coloniale, ammirando montagne e precipizi, ponti di pietra e gallerie avvolte in nuvole di vapore. Poi giungevamo a Keren, una cittadina a 90 km da Asmara e a 1.300 metri d’altitudine, godendoci lo spettacolo di montagne punteggiate da piante grasse, sicomori e baobab; abitazioni di paglia e tufo, pastori, contadini, greggi di pecore e capre, cammelli e asini in quantità. Ci spingevamo quindi a Massawa e qualche tempo dopo fino a Dahret, una delle 209 isole Dahlak nel Mar Rosso, priva di vegetazione e di insediamenti umani. Senza resort attrezzati, divertimenti o strutture turistiche cui siamo abituati nelle nostre vacanze in luoghi esotici, ma solo sabbia, cielo e mare.
Quando dopo due mesi di attesa è arrivato il container con le masserizie dall’Italia e abbiamo potuto ricreare il nostro ambiente all’italiana, il gioco ormai era fatto. Le bimbe, grazie al clima primaverile di cui Asmara gode per dodici mesi all’anno, giocavano felici in giardino con le biciclette e il loro cane e trascorrevano pomeriggi in compagnia di amichette italiane, straniere e locali dedicandosi anche all’apprendimento dell’inglese con un insegnante che prediligeva un approccio molto ludico alla lingua. Così in men che non si dica hanno imparato questa lingua straniera importante per il loro futuro.

Tre anni ad Asmara, ora Istanbul. Com’è stato l’impatto con la grande città?
Da settembre siamo a Istanbul e probabilmente resteremo qui per i prossimi sei anni. Arrivati da Asmara, Istanbul ci è apparsa come una bellissima metropoli. Il mar di Marmara con le sue imbarcazioni, i grattacieli, il traffico cittadino, gli innumerevoli negozi e alberghi ci hanno fatto immergere in una nuova realtà che, se può sorprendere il viaggiatore italiano, ha un impatto indescrivibile su quello che viene dall’Eritrea. Le bambine sgranano gli occhi di fronte agli enormi centri commerciali, si entusiasmano guardando i giochi di luce che ogni sera vengono fatti sul ponte che collega la parte europea a quella asiatica della città, si impressionano per la quantità di cibo che viene venduto per le strade, nei negozi, nei mercati. Qui infatti non solo c’è abbondanza, ma addirittura il superfluo.

Come vivono la lontananza i vostri parenti e amici italiani? Se ti dicessero che domani potresti tornare in Italia, lo faresti?
La lontananza dai nonni e dai cuginetti è forse l’aspetto più negativo della nostra vita all’estero. Per questo torniamo in Italia almeno tre volte all’anno. Quando siamo lontani utilizziamo tutti i mezzi di comunicazione che la moderna tecnologia ci offre per tenerci in contatto con amici e parenti. I nonni stessi hanno imparato a usare Skype, la posta elettronica e a navigare su Internet per leggere il blog.
Se tornerei in Italia? Potrei tornare anche subito se volessi, ma vivere all’estero è stata una nostra scelta e spero che questa avventura continui ancora a lungo.

Una volta per tutte: Ìstanbul o Istànbul?
In Italia c’è sempre il dubbio, qui non ci si sbaglia: si pronuncia Istànbul.

Chiaradinome

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12 thoughts on “Destinazione Estero: una famiglia con la valigia”

  1. una storia bellissima, la definirei quasi appassionante, davvero! Io che mi chiedo (come il marito di Chiara) quale depressione potrebbe cogliermi spostandomi a 100 km da qui (e non è nemmeno del tutto remoto visto che mio marito lavora dalle tue parti, amica!). Mah, non so, da ggiovane ho anche viaggiato (erasmus, au pair…), ma oggi non so se ce la farei con figlie e tutto
    Grazie!! Seguirò anche io Raffaella!

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  2. Bella intervista
    io essendo espatriata da poco ero già approdata su questo BEL blog da cui avevo tratto preziosi consigli
    Brava Chiara
    Raffaella ovviamente continuerò a seguirti

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  3. A genitoricrescono: trovo bellissima questa rubrica, ma più in generale le varie collaborazioni che dipingono vari aspetti della genitorialità che convivono in noi o al nostro fianco. Biodiversità anche qui 😉

    A Chiara: questa intervista fa sognare…. Resto connessa per altri viaggi e sogni. Sei una forza!

    A destinazione estero: Sei una scoperta che vedrò di approfondire. A presto

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  4. Ragazze ci siamo, mi sono rimbambita. leggo destinazione estero e mi dico: massì, la conosco benissimo. Invece no, conosco il nome, con Raffaella ci incrociamo per il web ma il blog non lo conosco. Aiuto. Vabbè, adesso rimedio, ma mi preoccupa la cosa.

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  5. aaaahhh orgoglio expat 🙂 ero gia’ capitata da Raffaella, probabilmente proprio seguendo link expat qui e li’. Certo noi siamo estero ma senza valigie, almeno per ora non credo ci sposteremo, se si escludono piccole permanenze di poche settimane qui e li, ma le lunghe permanenze con inclusa scuola/nido sono state sempre in paesi anglofoni, per cui l’esperienza lingua diversa e’ stata nulla (al massimo un po’ di accento australiano..), e a volte penso sarebbe bello invece continuare a girare. Ma viaggiamo abbastanza, e sono contenta di notare che i boys si sentono sempre “a casa” ovunque, a proprio agio, non sembrano avere mai la sensazione di posto nuovo e alieno, io sono sempre stata convinta che nulla e’ “alieno” per un bambino se non glielo diciamo noi. A Istanbul siamo stati due anni fa, e ci e’ piaciuta tantissimo, il cibo per strada i boys famelici se lo ricordano ancora, non facevano che mangiare, e se mi entra una proposta di collaborazione messa su con l’Ozyegin (non mi far mettere gli accenti) ci torneremo presto, incrociamo le dita.

    PS: @chiaradinome, ma pensa, uno apre GC, cosi’ sovrappensiero, e guarda chi si ritrova! 😛

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