Siate gentili con me nei commenti, sto dicendo qui a cuore aperto cose che non ho detto da nessun altra parte. Evitatemi le ironie, qui siamo su terreno minato. Grazie. Eh, noi genitori quanto siamo fragili sui figli. E poi, siccome ho svuotato un sacco che negli ultimi due-tre anni si era molto riempito, è un post interminabile che per vostra comodità ho diviso in pratici paragrafetti.
Chi mi conosce e segue su Mammamsterdam o su Facebook sa che da diverso tempo stiamo lottando come famiglia contro fenomeni di bullismo nella scuola dei miei figli. In questo momento la fase acuta si è temporaneamente normalizzata, siamo consapevoli che non dobbiamo lasciar perdere tutto proprio ora e quindi potrebbero esserci degli sviluppi. È cominciato un nuovo anno scolastico, le classi sono state ridistribuite e mio figlio è finita in quella con molti bambini più piccoli e i più calmi e studiosi della sua vecchia classe. All’inizio ha protestato, ma adesso è contento. E anche questa soluzione a cui la scuola è stata costretta dai tagli, a nostro avviso è stata affrontata in questo modo anche nell’ottica di quello che abbiamo chiesto alla scuola a giugno. Di prendersi le proprie responsabilità. Adesso quindi è un buon momento, per me, per raccontarvi cosa abbiamo imparato da questa esperienza, sperando che magari possa essere utile anche ad altri.
1) I bambini non parlano
Un bambino che viene preso in giro, picchiato o diversamente maltrattato, spesso non ne parla. Hai voglia a dire che hai una comunicazione aperta in famiglia, che gli hai insegnato fin dalla culla a rivolgerti a mamma e papà, spesso basta una nostra reazione, anche in buona fede, anche inevitabile, anche che manco ce ne accorgiamo, per passargli il messaggio che è meglio se questa cosa non ce la dicono. Mi sto ancora chiedendo se dipende da noi, dipende dal fatto che i bambini cercano sempre di proteggerci, a volte da noi stessi, se dipende dalla violenza in sé. Il più piccolo dei miei figli ha aperto bocca solo dopo che per altri motivi e una mia generale sensazione “di pancia” (che non riuscivo a spiegare a nessuno, gli olandesi amano le discussioni ragionate, ma era urgente e sembrava volessi scavalcare e prevaricare) gli abbiamo cambiato scuola.
Dopo una settimana e tutto il tempo per sviluppare un amore improvviso e ricambiato per la nuova maestra, Orso le fa:
“Maestra, non capisco, sono qui da una settimana e nessuno ancora mi picchia o mi sfotte“.
Analyze this, se eri convinto di avere la comunicazione aperta in casa. Io ci sono rimasta di merda. Ma ha aperto nuove possibilità di discussione costruttiva a casa, a scuola e con il fratello. Che a quel punto ha aperto la bocca anche lui, terrificandoci ancora di più. Dove eravamo noi mentre succedeva tutto questo?
(Mi consolo dicendomi che quando una volta ho subito io un abuso sessuale, ed ero quasi adulta, avevo 20 anni in fondo, ai miei non l’ho mai detto. Ci ho messo un paio d’anni e una psicologa dell’AIED per chiamarla per nome questa cosa, me la sono portata dietro per anni in silenzio. E mi meraviglio dei miei figli? Mah, la psiche umana, che ci appuri sui meccanismi che si inventa per difendersi?)
2) Le maestre non vedono
Quanti bambini ha una maestra in classe? E il suo compito è tenerli d’occhio o portare avanti il programma? Una maestra è un essere umano come tutti noi e in quanto tale ha i propri limiti umani e divini. Il meglio che può fare è creare in classe un’atmosfera in cui chi fa cose al limite sa che se lo beccano ci sono conseguenze coerenti, e chi subisce sa che viene ascoltato. A voi sembra facile? A me sembra già difficilissimo in casa, con solo due bambini e senza interferenze esterne. La cosa fondamentale secondo me è l’ascolto. Tutti devono sapere chiaramente cosa si accetta e cosa no, ma che in ogni caso li si ascolta.
Esempio, molte scuole a chiacchiere combattono il bullismo. Compresa quella di provenienza che conosco benissimo da dentro e fuori da anni e in cui so che non funziona.
Cosa funziona invece?
Secondo giorno alla nuova scuola, una bambina rompe un lego che Orso stava costruendo. Orso la insulta: “Bambina cattiva“. In altri contesti sarebbe passato inosservato, ma qui gli insulti, anche se light, non sono ammessi.
La bambina va dalla maestra: “Orso mi ha dato della bambina cattiva“.
La maestra va subito da Orso: “Orso, qui non ci insultiamo, hai detto bambina cattiva a X? Non va bene, sappilo“.
E poi quello che secondo me fa la differenza in questa scuola, lo riprende e poi lo ascolta:
“Come mai le hai detto così, ti sei arrabbiato?”
“Si, perché ha rotto il lego che avevo costruito“.
“Ah, ma questo non me l’ aveva detto. X, è vero questo che dice Orso? Come è successo?”
“Ma io non l’ho fatto apposta, mi serviva quel pezzo, pensavo lui avesse finito, mi dispiace“.
“Orso, X quindi non l’ha fatto apposta, è stato un equivoco e le dispiace, sei ancora arrabbiato?”
“No“.
“Allora datevi la mano e fate pace e la prossima volta state attenti“.
[quote]Cioè, ma cosa ci vuole? Ci vuola la consapevolezza, la volontà e la prontezza di non far cadere neanche una pagliuzza per terra. Una fatica, ma una fatica che devi fare solo la prima volta. Veramente, giuro. Funziona. Ma ci devono credere tutti, tutta la scuola. Direzione, insegnanti, bambini, genitori, bidelli e altri che circolano in quella scuola.
3) Le scuole non si muovono se non costrette
Negli anni mi sono persuasa di una cosa: le scuole possono avere protocolli, mission, quello che vi pare, alla fine la fortuna scolastica di tuo figlio la fa l’insegnante che gli capita. Siamo stati tutti a scuola, immagino che molti possano concordare con me su questo punto. Ma per il genitore la differenza fondamentale la fa la direzione. Perché può sostenere gli insegnanti e creare circoli virtuosi o può tagliargli le gambe e creare casini.
La nostra scuola di provenienza, quella in cui figlio 1 è voluto rimanere a tutti i costi per affetto nei confronti della sua classe, ha tante ottime maestre. Una ad una fanno del loro meglio. Ma mi manca una visione d’insieme, mi manca un messaggio unitario e condiviso su alcuni aspetti fondamentali. E la sicurezza è uno di questi. L’apprendimento, lo sviluppo cognitivo sono cose bellissime, ma il minimo che posso pretendere dalla nostra scuola è che mio figlio ci vada volentieri e ne riesca vivo e senza lividi. Se impara qualcosa, meglio.
Cosa che non succedeva a noi e non succedeva ad altri.
4) Blaming the victim
Questa espressione si usava molto in casi di stupro per definire il fenomeno per cui invece di trovare e condannare lo stupratore si fa prima a dare la colpa alla vittima. Frasi tipo: eh, ma aveva la minigonna, eh, ma andava in giro sola di notte, eh, ma ha fatto l’ autostop.
Come dicevo sopra, a un certo punto sembrava che anche nella nostra prima scuola il messaggio che passava era: “Ti ha menato? Eh, che vogliamo farci, lo sappiamo che quello è un bambino difficile. Pure tu, però, porta pazienza (e non stare sempre a rompere e lamentarti)“.
È una reazione umana ai messaggi scomodi, perché ognuno si sente impotente di fronte alle ingiustizie e alle violenze, e forse minimizzare, ecco, ci illudiamo che sia un meccanismo di difesa.
“Eh, è perché è un bambino troppo sensibile (o permaloso, o solitario, o difficile, o testone, metteteci quello che vi pare)”. Io a quel punto potrei sparare.
“Eccheccà, sensibile è sensibile, ma le botte le prende sul serio. Mi dite cosa state facendo con quel bambino difficile che mena a tutti?”
Non lo faccio perché per mia disgrazia mi hanno insegnato ad essere gentile ed educata. Poi parlando, mesi dopo, del fatto che forse con quel bambino che menava qualcuno ci aveva fatto un discorsetto serio, visto che si era molto ridimensionato, una madre che non c’ entrava niente mi risponde, come se fosse ovvio ‘Oppure gli hanno cambiato medicinali”. Eeeh? Mi state dicendo che tutta la scuola sa che quel bambino ha l’ ADHD, viene straseguito e nessuno si è degnato di dirmelo? Non che avrebbe cambiato le botte, ma io la madre la stavo per denunciare e forse invece ci avrei preso un caffè.
“Eh, ma per la privacy non possiamo dire niente, in fondo neanche a voi farebe piacere se parlassimo di vostro figlio con degli estranei.”. Forse. Ma c’ è modo e modo di non dire e questo era il segreto di Pulcinella.
5) Ma qualcuno agli aggressori ci pensa?
Alcuni dei bambini difficili della scuola li conosco benissimo e li ho visti crescere perché per diverso tempo ho fatto la volontaria durante la sorveglianza a ricreazione e quanti ne ho separati e cazziati.
Io lo so di cosa mi stanno implorando questi bambini. Guardami, vedimi, ascoltami, dammi un paletto, dimmi dove è il limite e quando me l’hai detto continuerò a superarlo altre trenta volte e tutte e trenta mi devi fermare. O io continuo.
Il dramma di questi bambini è che li fanno continuare. Per stanchezza, quieto vivere, la vita che ti insegue, ignoranza, altro da fare, nessuno che si sente responsabile. E loro continuano. Non ci credono più che qualcuno faccia qualcosa. Sanno che la scuola, i genitori, la società hanno deciso di ignorarli e abbandonarli a se stessi e non ci investono più. È un gran brutto messaggio da far passare quando hai 10, 11 o 12 anni.[quote1]
Non voglio fare la madre eroina, ma da piccola io a scuola facevo a botte. I miei amici-nemici erano così. So come sono diventati da grandi. Chi è morto per overdose, chi si è salvato in corner, chi si è sposato ed è un padre felice, ma i capelli bianchi di sua madre li so tutti.
Per questo, durante la sorveglianza, B., quello che non ascoltava nessuno, non si reggeva e alla fine lo hanno mandato in una scuola speciale, la volta che ha scavalcato il cancello per andare a giocare a calcio con i grandi nella piazzetta riservata solo a quelli di sesta, settima e ottava, io ho scavalcato appresso a lui e l’ho afferrato in corner.
“Se lo fai una sola altra volta vengo a togliere il pallone ai grandi e poi glielo puoi spiegare tu che non possono giocare più per merito tuo“.
Non l’ ha fatto più, mi evitava, ma l’ha piantata.
Ho smesso perché non avevo l’ energia e il tempo di fare la sorveglianza. Ma perché i miei figli mi chiedevano tanto di sorvegliare? L’ho scoperto troppo tardi. Li menavano. Anche i figli delle madri che sorvegliavano e che quando si lamentavano non li prendevano sul serio per coprire i loro di figli. E anche questa è una mancanza della direzione che ha sempre rifiutato di applicare gli ottimi piani alternativi proposti da genitori che lo fanno di mestiere.
6) In fondo sei solo un genitore
Diciamoci la verità, i genitori per la scuola sono un male necessario, si impicciano, pretendono di conoscere meglio di te che lo fai per lavoro come funziona il loro figlio, hanno pretese assurde. Vengo da una famiglia di insegnanti, sono la quinta generazione, ho fatto Magistero. Io so come parlano gli insegnanti dopo i consigli e durante, di certi genitori.[quote2]
“Insomma, Orso da un anno non fa più nulla in classe, non riusciamo a motivarlo in alcun modo, la terapeuta dice che non è nulla, la maestra vuole farlo testare per vedere se ci sono disturbi, noi non sappiamo che fare“, al primo appuntamento con la direttrice della nuova scuola non ho resistito e mi sono sfogata.
“Avete mai pensato di testarlo per vedere se per caso è troppo intelligente?“.
“Questo è quello che io ho sempre pensato, ma vede, vengo da una famiglia di insegnanti e so bene cosa succede quando una madre va in direzione a strillare che il figlio è troppo intelligente“. (Succede, per chi non lo sappia, che ti ridono dietro e smettono di prenderti sul serio ammesso che l’abbiano mai fatto. E tuo figlio da quel momento viene visto come un fardello con la madre rompicoglioni).
“Anche con mio figlio ci abbiamo messo un sacco a capire che il problema era quello”. Azzo, ma ci è passata anche lei? Già amo questa donna.
“Allora lo volete?”
“Voglio provarci molto volentieri“.
Mica come direttrice, mi ha capita. Come madre. Perché le madri di figli perfetti sono convinte di essere loro le strafighe, quelle che hanno scoperto il metodo educativo perfetto. Ti deve arrivare un figlio challenging perché tu ti renda conto che tuo figlio ha tanto da insegnarti su te stessa e sul mondo e sull’interazione tra i tre (tu, il figlio e il mondo).
7) E allora tocca costringerle
“È successa una cosa grave“. Arrivo a scuola 10 minuti dopo.
Lo hanno pestato, in due più grandi, lo hanno preso a sberle, buttato a terra, preso a calci, buttato via il telefono con cui cercava di chiamarmi, trattenuto mentre cercava di andare a farsi aiutare a scuola. Alla fine una maestra del doposcuola, una ragazzina quasi, che aveva visto tutto dalla finestra è andata sulla porta a urlargli di smetterla.
“Mi sento tremendamente in colpa, ho visto succedere tutto e sono andata in panico, non sapevo cosa fare, volevo correre da loro ma avevo 15 piccoli e sapevo che se uscivo sarebbero scappati tutti in strada”.
“Hai fatto la cosa migliore e io ti voglio ringraziare per tutto.”
Neanche lì la scuola li sospende, o si ricorda che da mesi sto denunciando alla maestra le botte che quel ragazzino dà a Ennio. I bulli sono vigliacchi, ma non sono scemi. Mica ti picchiano davanti alla maestra. Mica ti picchiano quando qualcuno li vede. E poi ti prendono in giro e minacciano di ricominciare se lo dici. Ecco perché i bambini non parlano.
“Forse è meglio se lo vieni a prendere non appena finisce la scuola e non lo lasci giocare fuori”.
Certo, il problema è nostro. Voi ve ne lavate le mani, e anzi, avete persino suggerito che forse è meglio che gli cambio scuola, sarebbe così comodo anche per noi non avere due figli a scuola in due quartieri diversi. E quando ho risposto se avete mai suggerito ai genitori dei bulli di cambiare scuola ai figli, mi avete detto che non devo prenderla così. A calci, vi prenderei.
Quel ragazzino lì è di una classe più grande, che è molto problematica e ogni tanto lo spediscono in quella di Ennio. Da mesi lo picchia e lo tormenta, da mesi lo faccio presente, da mesi mi dicono: ci stiamo lavorando. Bel lavoro. Colpa mia, dovevo cambiargli scuola quando c’era un posto a quella nuova di Orso. Quel posto non c’è più. Quando l’ ho saputo mi sono sentita in trappola.
“Io non voglio cambiare scuola. Voglio che se ne vada lui“.
La maestra viene pesantemente ripresa dalla direttrice, hai sbagliato a consigliare la denuncia e che il bambino resti o non resti non è decisione tua. Resta. La maestra non ne parla in classe (“non voglio creare irrequietezza“, no, ma così lui pensa che nessuno gli fa niente e mio figlio si sente abbandonato. Grazie tante, eh). Non vuole parlarne con noi genitori.
Ci parliamo noi e scopriamo che tutto un gruppo di ragazzini che all’inizio dell’anno menavano in gruppo, sono stati a loro volta menati e minacciati se non lo facevano. Poi la cosa è rientrata, conosciamo i genitori e sono persone come noi, sui figli ci lavorano.
La madre, che conosco, di uno dei due bulli cerca di convincerci a dichiarare che quello che ha menato è l’altro, non suo figlio. Ma non è vero.
Noi vogliamo sputtanare questa scuola del cavolo più preoccupata della propria immagine all’esterno che dei messaggi che passa. E far licenziare o trasferire la madre del bullo, che nell’ edificio contiguo ci lavora e sta sempre pronta a intervenire per coprire il figlio. E i bambini la considerano quasi una maestra, ha quindi l’ autorità per dirgli di parlare o tacere.
Aspettiamo, riflettiamo, ci consultiamo, scriviamo una lettera. Ma io voglio un mitra e maschio alfa anche. È terrorizzato dalle mie reazioni, teme che io mi incazzi con lui perché vuole fare con calma. Si, ma anche no. Dormiamo malissimo da mesi, siamo semplicemente distrutti, i bambini ovviamente risentono di tutto questo, meno male che Orso sta nell’altra scuola e ci sta benissimo.
La terapeuta ci riceve d’urgenza dopo cena, parla con Ennio che ribadisce di voler restare nella sua classe. Lui è sereno. Vede che ci diamo da fare per lui, che lo supportiamo, che gli spieghiamo che le cose dei grandi vanno troppo lentamente, ma che lui deve tornare a scuola. Ci torna.
A scuola lo minacciano gli danno dello spione, ma non lo picchiano. Hanno imparato che tutto quello che fanno fuori dall’orario scolastico non comporta sospensione. Cioè, potrebbe, ma la scuola deve avere il coraggio di farlo e la nostra non ce l’ha.
Informo presso la ASL il medico scolastico. Parlo con la polizia. La poliziotta di quartiere è in ferie, quando torna ci contatta. Continuiamo a scocciare la scuola che ci invita a un colloquio.
8) E, miracolo, qualcosa funziona
La mia vicina che non voleva mandare la figlia in gita perché non si fidava che non gliela picchiassero come sempre a scuola, improvvisamente mi dice che la scuola ha deciso di non ammettere certi ragazzini alla gita e che il tormentatore di sua figlia verrà controllato da una persona apposita 24 ore giorno e alla prima che fa lo rispediscono a casa.
“Ci mancherebbe che sia lei a dover essere punita non andando alla gita, sono i bulli che devono stare attenti a quello che fanno“. Questa scuola ci ha messo 5 anni a dare questa soddisfazione a una famiglia. Sono contenta che il nostro casino sia servito almeno a questo. Poi la nostra maestra, che li ha accompagnati alla gita, ha raccontato che la prima sera, proprio quei due, la ragazzina e lo scocciatore, stavano seduti pacifici a leggere lo stesso libro.
I minori possiamo denunciarli ma non sono perseguibili. Ma resta una annotazione nel dossier, anche senza denuncia.
Io mi chiedo e chiedo alla polizia se possiamo rovinare due stronzetti manco dodicenni che in fondo, per quanto voglia tritarli a mani nude, mi fanno pena. Sono ragazzini senza padre e con madri deboli (e ignoranti) che credono che negando l’ evidenza e rifiutando aiuto le cose smettano da sole. Mi fa pena anche la madre che conosco, da sola tira su due figli altamente energetici, uno forse anche ADHD (che scoprirò essere un eufemismo per indicare i bambini violenti. Ma violento non si può dire. In fondo mica gira con un coltello in tasca. Si, ci hanno detto anche questo).
Silvia da avvocato mi rassicura: in certi casi la denuncia può essere la salvezza di un ragazzino, perché finalmente si è costretti a lavorarci e non è più una cosa su base volontaria. Anche la poliziotta ci parla di un incontro regolare tra scuole, polizia, ASL, servizi sociali e quant’ altro per discutere di casi difficili che vengono seguiti da un qualche ente. E ci dice che presenterà questa storia al prossimo incontro. Anche qui, io mica lo sapevo che esistesse questa prassi.
Gli stronzetti nel frattempo si sono ridimensionati. Sono gentili con Ennio. Incrocio quello che conosco a scuola, mi sentivo ridicola come adulto a ignorarlo nei giorni scorsi, andava al nido con i miei figli.
“Ciao J.“, faccio. Poi chiedo a Ennio: “Ti dispiace se lo saluto? In fondo non ti sta facendo niente e prima lo salutavo, forse è meglio creare una situazione normale“. “Ma si“, fa lui. Un mese dopo si lamenta che loro sono ridiventati amici ma che la maestra non vuole che giochino insieme. E ci credo. Forse è meglio se lo invito a giocare da noi, così si rinormalizza la situazione e intanto li tengo d’ occhio io. Prima o poi.
Però Ennio continua ad avere il mal di pancia. Non vuole andare a scuola al mattino. All’amica di famiglia agopunturista dice che adesso lo lasciano in pace e che per lui è quasi peggio, perché non sa quando ricominciano. A noi non l’ha detto. Non l’ ha detto perché ha paura che gli cambiamo scuola, lui invece vuole restare lì con i suoi amici. Mi sono decisa a promettergli che non lo faremo se lui non vuole.
E mio marito propone di cominciare a investire tutta l’ energia che metteremmo nel cercagli una nuova scuola, incazzarci, minacciare eccetera, nel migliorare la scuola in cui siamo. Già abbiamo visto che dopo le nostre proteste finalmente cercano di fare qualcosa. E il prossimo anno nella squadra di calcio ci sono con Ennio proprio quei ragazzini maltrattati-maltrattanti della sua classe. Incontrandoci con i genitori due volte alla settimana al campo, c’ è modo di mettersi d’ accordo con loro e fare gruppo per migliorare le cose, se si dovessero verificare episodi. Una di queste madri è preside e proprio nella sua scuola hanno appena lavorato un anno a un protocollo di prevenzione bullismo e sa un sacco di cose che potrebbero tornare utili anche a noi. Un genitore non lo ascoltano volentieri, ma quattro o cinque si.
9) Cosa abbiamo imparato
Quello che ho capito è che non sei mai preparato a situazioni del genere. Quello che ho imparato è fidati della pancia. Se vuoi togliere tuo figlio da scuola e ne hai trovato un’ altra che ti convince, fallo prima di doverlo poi fare per forza. Non mollare, scoccia la scuola, scrivi raccomandate, minaccia di scrivere a provveditorato e ispezione scolastica, informati se la ASL ha un medico scolastico e contattalo per informarlo, chiedi alla polizia. Forse avrei dovuto cercare prima un contatto con i genitori di questi bambini, in questo momento non ne ho voglia. Loro fanno gli gnorri, nessuno ha telefonato per offrire delle scuse. Ho detto alla polizia che siamo disposti, se ha un senso e se loro sono aperti alla discussione. La poliziotta di quartiere è stata meravigliosa.
La scuola finalmente, senza poter dire per via della privacy, ci ha fatto capire che da un bel po’ stanno lavorando sui ragazzini ma che non possono mandarli via, i servizi sociali si oppongono. Se me lo dicevano un anno fa era meglio. Avrei tolto Ennio da scuola insieme al fratello.
Le scuole fanno fatica ad implementare dei cambiamenti, specie se gli costa uno sforzo. La scuola non dà retta di suo ai genitori, e allora tocca costringerli. Per mio figlio l’ utilità è relativa, ma finalmente abbiamo messo il problema sul loro tavolo e ci stanno lavorando. Per quanto ci riguarda noi eravamo decisi a fare i genitori, consigliati anche dalla terapeuta. Noi prenderemo la decisione per nostro figlio, e gli cambieremo scuola a costo di prenderci la colpa della perdita di quotidianità con gli amichetti, le difficoltà di reinserirsi, dicevamo. Ne stiamo uscendo fuori solo adesso con figlio 2, non ci si annoia mai.
Poi però ci siamo resi conto che questa storiaccia a Ennio ha fatto molto bene, è cresciuto, ha imparato a mettersi meglio nei panni degli altri. E abbiamo capito che portarlo via sarebbe stato un errore. E c’ è un’ altra cosa: uno dei noti stronzetti della scuola da un anno è il miglior amico di mio figlio, ma è lo stesso che tormenta da anni la nostra vicina. Che ci ha chiesto una volta esplicitamente di non dirgli niente di lei, perché lui se ne servirebbe a scuola per darle il tormento. E io avevo qui un conflitto di lealtà. Finché il padre in confidenza mi ha raccontato che anche amichetto stronzo ha una forma di autismo, che ci stanno lavorando da anni (la madre è addirittura psicologa nel centro di sostegno per genitori, povera stella) e che hanno passato anche loro i guai prima che si capisse qual è il problema e come affrontarlo. E che nessuno lo invitava ai compleanno perché era troppo vivace e casinista.
Da quando lo so ci parlo diversamente, non lascio più spazio ai “forse”, è solo “si” oppure “no”. E anche lui si pone diversamente nei confronti degli altri e nostri. Alcune cose che attribuivo a manipolazione, tipo chiedermi 18 volte se Ennio poteva andare da lui anche quando avevo già risposto, adesso le capisco meglio. E apprezzo moltissimo che quando Ennio è stato picchiato da due suoi compagni di classe, che erano anche suoi amici, ha cercato di intervenire e lo hanno bloccato dicendo che le davano anche a lui se si impicciava. Il che mi conferma che anche i bulli bisogna prenderli a modo loro e la scuola non può ignorarlo.
Però vedete, siamo cresciuti tutti e quattro attraverso questa storia, Ne siamo usciti più uniti, più forti, più orgogliosi di come lavoriamo bene come team.
Anche se avrei preferito restare piccola e scema. Davvero, questo mito delle difficoltà che ti fortificherebbero, ne avrei fatto a meno nella vita (ma anche no). E adesso ricomincia un nuovo anno e siamo tutti ottimisti su quello che ci porterà. Ma anche allerta e più smaliziati su come intervenire per tempo.
– di Mammamsterdam –
Un’ altra cosa che mi sono scordata nell’ articolo. Dopo le botte, quel pomeriggio, i bambini mi hanno chiesto di restare a giocare un po’ ai giardinetti mentre io li guardavo dalla macchina e telefonavo a mio marito. Guardando come correva e si muoveva Ennio non mi ha dato l’ impressione di essere dolorante o impacciato nei movimenti, ma anche così ho chiamato immediatamente il nostro medico, ce l’ ho portato subito ed è risultato che aveva tre costole lesionate e dolenti e mi sono fata immediatamente fare un certificato medico. Abbiamo sventolato parecchio anche quello nella corrispondenza e le comunicazioni con tutti e lo avrei usato spudoratamente se avessimo deciso di denunciare. Fatelo anche voi, il certificato medico.
In seguito la mia vicina mi ha detto che certi giorni sua figlia torna proprio a casa con i lividi dei calci o delle botte e anche lì sarebbe utile farlo vedere al proprio medico (o pronto soccorso in casi più gravi) e farseli certificare, o almeno fotografarli. Così nessuno ti può dire che sei tu che esageri.
Vedo che la legge non scritta del blog, l’ empatia e i numerosi commenti quando si parla di sfighe, non è stata tradita neanche a questo giro, grazie a tutti. In ordine inverso che mi viene meglio direi:
– Pentapata, neanch’ io vorrei essere la madre del bullo, di questo in particolare so che c’è un uomo che non so se è il padre (il quale sta nel loro paese di origine a sistemare la casa che vogliono trasformare in B&B) che a volte incoraggi i ragazzini a farsi valere, detto dalla mia amica che abita nella stessa strada. Comunque che al bambino manchi il padre è la vox populi dei genitori della sua classe. Io che ne so?
– Marzia, la riconosco questa cosa, pure Orso da piccolo era appunto un orso e pare fosse un grosso problema, mentre a me viene da dire: ma se sta bene per conto suo che problema c’ è? Infatti da quando è diventato più sociale e cerca compagnia, gli menano. Vero è che il bambino solitario si attira spesso gli strali degli altri, che si sentono ignorati, a me succedeva anche così.
– Mi associo a Piperita nel ringraziare Barbara per il trucco delle domande dirette, hai ragione, sai che non mi era mai venuto in mente in modo così esplicito? Uno tende a fare le domande aperte per non limitarli, invece certe volte tocca fare domande chiuse e anche indirette. Non Ti menano, ma: ci sono bambini in classe che vengono maltrattati? O che maltrattano gli altri?
– Lorenza e Marcello, sul bullismo come forma di estremizzazione del gruppo o come ambiguità nel rapporto con lo stesso, quanta ragione avete pure voi, ci sarebbe da scriverci una ventina di post.
-0disse0: però frmor estando che sono d’ accordo con Silvia che ai giorni nostri ogni gesto, anche lo scappellotto, di un insegnante sul bambino va denunciato, senti, a che ci vuole in caso di vendette a palrare con la direzione minacciando ulteriori passi, se si scopre che c’ è stata rivalsa sui risultati del bambino? Secondo me le due cose vanno abbracciate, si denuncia l’ insegnante e si chiede direttamente un’ altra sistemazione per il bambino per prevenire eventuali ripicche.
– Destinazioneestero, appunto: “ho parlato di bullismo con gli insegnanti che mi hanno accusata di usare parole grosse, perché nessun bambino picchia nella loro classe” siamo noi madri le solite esaltate, vuoi che non lo sappia? Per questo ho imparto nel frattempo a rivolgermi per iscritto alla direzione chiedendo chiarimenti. Si perde un po’ di tempo, ma funziona, oh, come funziona. Specie se aggiungi che in mancanza di una risposta soddisfacente da parte della scuola entro giorni X su come pensano di garantire benessere e sicurezza del bambino in classe, ti vedrai costretta a intraprendere i passi necessari anche in provveditorato. Vedi come corrono.
– Nina hai ragione, sembra una contraddizione, ma nel nostro caso erano momenti e situazioni diversi. Io ho avuto per moltissimo tempo la sensazione che dovevo portarli via da quella scuola, all’ inizio anche solo per avvicinarci al quartiere dove eravamo andati ad abitare e poi genericamente di pancia. Mi sono fatta convincere con argomenti ‘logici’ a rimandare, Orso l’ ho spostato per questioni diverse dal bullismo, che è emerso solo dopo, e a un certo punto non era più possibile trovare un posto in una scuola che non ci comportasse un ulteriore sbattimento logistico. E a quel punto era chiaro che Ennio non voleva, e nel frattempo c’ è stato l’assalto e la situazione si è complicata enormemente.
ecco… bel problema. l’ho letto tutto d’un fiato e sinceramente mi sono un po’ spaventata, sia a vedermi nei panni della mamma della vittima – che non ti parla, che non te lo dice quando tu credevi che di te si fidasse e che potesse dirti tutto, che subisce una violenza ma vuole comunque restare lì -, sia a vedermi nella mamma del bullo.
mi sono spaventata e basta, non ho altre soluzioni o idee da proporre perchè non ho vissuto episodi di bullismo, a parte qualche presa in giro alle medie ma facevo finta di niente ed è passata presto, e mio figlio ha due anni e quindi ancora questi problemi non ce li ha.
concordo comunque sul fatto che la scuola è fondamentale, sia per vedere quello che i genitori non possono vedere o sapere altrimenti, sia per far passare il messaggio chiaro, univoco e diretto a tutti, di quali comportamenti sono giusti e quali sbagliati.
il problema poi è cosa fare se la scuola non svolge questo compito o se non lo svolge abbastanza in fretta o se il messaggio, per quanto chiaro, non arriva perchè il bullo non ha gli strumenti – o ha un sacco di altri problemi – per recepirlo…
mi gira in testa questo post.
pensavo e la mamma del bullo? voglio dire trascurando chi rifiuta la sola idea del figlio “cattivo”, anche questi genitori che lo sanno e magari ci lavorano devono essere in un inferno…
Leggendo mi è venuta la pelle d’oca, perchè io queste cose non le ho mai vissute in prima persona e anche io vorrei “restare piccola e scema”. Mio figlio sta per andare in prima e terrò le antenne dritte perchè lui non mi racconta quasi mai niente della sua giornata. Come ha detto Barbara poco fa, dovrò chiedere direttamente per capire se ci sono problemi del genere.
Grazie per la tua condivisione.
Ho letto tutto con un gran peso sul cuore, perchè mio figlio non lo picchiano ma è fuori, spesso isolato dal gruppo e additato per quello. La scuola e la maestra sembrano fare del loro meglio ma, alla fine di ogni discorso, chi deve imparare ad integrarsi è lui. Non è previsto un “diversamente sociale”. E poi “le cose non vanno così male, migliorano” … forse, io sento che potrebbero andare molto meglio, soprattutto sento che il grosso lavoro lo stiamo sempre facendo noi. Da soli.
“Ti deve arrivare un figlio challenging perché tu ti renda conto che tuo figlio ha tanto da insegnarti su te stessa e sul mondo e sull’interazione tra i tre (tu, il figlio e il mondo).”
Grazie per queste parole perfette.
Uff..letto tutto d’un fiato, grazie di questa testimonianza.
Grazie Mammamsterdam, un’esperienza tremenda e illuminante. TopaGigia nel suo piccolo, a un anno e mezzo, è stata presa di mira dalla bulla di una settimana più grande (tutto è relativo 🙂 ). Lei dava segni di insofferenza, ma noi non capivamo. Finchè al compleanno di uan compagna, spunta quest’arpia e TopaGigia si rifugia fra le mie gambe. L’altra si avvicina, io dico “non saluti E.?” ed E. le pianta un cazzotto in testa. Di botto capisco tutto e mi incazzo come una iena. Torno a casa pronta a mettere una bomba sotto l’asilo (avevamo chiesto alle educatrici se andasse tutto bene e loro si si come no tutto benissimo). Dopo qualche mese anche TopaGigia ha cambiato scuola.
Solo un consiglio mi sento di dare a tutti, ma proprio tutti. E’ verissimo, i bambini non parlano, o perchè non sanno cosa dire e come dirlo o perchè hanno paura o perchè si vergognano. CHIEDETE VOI. Direttamente: come va a scuola? ci sono bambini violenti? gruppi che picchiano gli altri? Qualcuno prende sempre in giro qualcun altro? e la vittima come la prende? a te è mai successo? Sono cose brutte che non dovrebbero succedere, ma se succedono i genitori devono saperlo per poter fare qualcosa. Se succedesse a te stai sicura che farei qualcosa, ma devi dirmelo, altrimenti non posso aiutarti.
Nascondono, ma specie se piccoli difficilmente mentono in modo così diretto. Anche perchè se effettivamente gli succede qualcosa, a queste domande pensano che noi lo abbiamo scoperto indipendentemente.
Leggendo il post non nascondo che mi ha preso il magone, a volte penso a come sta crescendo mia figlia e se saprà inserirsi nei gruppi (scolastici o extra) che si troverà a incontrare…questo memore della mia adolescenza, dove mi sentivo sempre out.
Il bullismo è forse una estremizzazione del concetto di appartenenza a un gruppo, ma mi chiedo se ci sia una costante nella scelta delle vittime, perché mi sembra che i bulli se la prendono sempre con gli stessi, non con tutta la classe.
Ricordo che alle medie nella mia classe c’erano dei ragazzi problematici e io volendo potevo essere un buon bersaglio (brava a scuola e pure cicciotta). Eppure non so come ma con molti di loro ero amica, forse con la mia ingenuità sono riuscita a farmeli amici ascoltandoli, oppure ho avuto fortuna.
Mi chiedo come fare per insegnare a mia figlia a non essere prevaricata senza spingerla all’aggressività.
Bello e tremendo. Come sempre nelle righe e tra le righe tantissima roba.Grazie.
in classe di First c’è un bambino problematico é seguito dalla maestra di sostegno e sono tre anni che và al centro dove dovrebbero insegnargli come comportarsi. Qual’è il problema? E’ che a quanto pare non ci riescono! E il bambino in questione a turno mena tutti i venti compagni della classe (tra cui mio figlio ovviamente) avevo deciso di cambiargli scuola visto che quest’anno andrà in prima elementare, ma First non ha voluto lui vuole stare con la sua classe e io non sò che fare 🙁
dopo aver letto il tuo racconto ancora di più! Mi sono fatta promettere da First che se le cose non vanno bene me lo deve dire così lo cambio scuola, ma ho paura che me lo nasconda perché lui la scuola non la vuole cambiare. Alla mamma del bambino non posso dire niente, perché lei fà tutto il possibile, e quando ha fatto male a Second (gli ha dato una pietra sul naso)é venuta a casa piangendo e scusandosi. Intanto io non ci dormo la notte mi torna in mente che tutti dicono vabbè non é successo niente (siamo dovuti correre al pronto soccorso e ci voleva un punto)e io penso se poi succede qualcosa io con chi me la prendo? Per il momento ho intenzione di chiedere alla maestra di non metterli seduti vicino, spero che basti.
sono d’accordo con te, Silvia, anche se il timore è che poi l’insegnante reagirà in modo subdolo falsificando i giudizi sullo studente e diventerà una “lotta” perpetua per tutto l’anno scolastico o addirittura l’intero ciclo di studi…
Odisseo, gli insegnanti non possono picchiare i bambini o i ragazzi, neanche con “scappellotti innocenti”. Si interviene prima parlando con i dirigenti e, se non si è ascoltati, denunciando i fatti all’Ufficio scolastico provinciale e alla procura (mediante carabinieri o polizia).
Prima mal di pancia continui, e chiamate dalla scuola: “vienila a prendere,tua figlia non sta bene”. Poi, dopo qualche mese, un disegno: lei raffigurata che piange e delle bambine da un lato del foglio. Ho capito tutto, ho parlato di bullismo con gli insegnanti che mi hanno accusata di usare parole grosse, perché nessun bambino picchia nella loro classe. Bullismo non significa soltanto picchiare, io che sono insegnante lo so, però ora da mamma mi chiedo quante volte sono riuscita a vederlo nelle mie classi, qualcuna sì, ma ho il dubbio atroce che altre volte mi sia sfuggito. Il bullismo è subdolo. Con la figlia si va avanti per un altro anno, poi la decisione del cambio di classe. La migliore che abbia mai preso.
Ho il magone.
Vorrei dire che non solo le botte ma anche le parole sono schiaffi e calci e pugni, e fanno malissimo e si incuneano per sempre nelle pieghe della personalita’ di chi le riceve. Le prese in giro ripetute sono coltelli affilati sulle lingue biforcute di altri bambini che, per me, di innocente sinceramente hanno poco.
E’ vero che i bambini non parlano, credo che non siano in grado di farlo perche’ non riescono a discernere tra il giusto e il normale… Se la mia normalita’ e’ che mi prendono in giro, di certo c’e’ qualcosa che non va in me, quindi sono io sbagliato e devo cambiare.