Pediatra di base per tutti i bambini? Anche per i bambini “clandestini”, o meglio, figli di immigrati non regolari? La Regione Lombardia ha negato questo diritto. E’ bene far chiarezza sulle norme italiane (prevalenti rispetto a quelle regionali) e sul diritto alla salute e all’accesso alla sanità.
Cerchiamo di capire di più con l’aiuto di Chiara Peri, che si occupa di migranti nel suo lavoro e che tante volte è riuscita a chiarire, con i suoi articoli, la situazione dei flussi migratori in Italia, al di là della percezione mediatica e dei pregiudizi
Nei giorni scorsi il Consiglio Regionale della Lombardia ha respinto la mozione presentata da Patto Civico e Partito Democratico che chiedeva l’accesso alla pediatria di base ai bambini stranieri anche se privi di permesso di soggiorno. Una decisione squisitamente politica, si potrebbe pensare, su cui ogni amministrazione può avere le proprie opinioni e orientamenti. Le cose non stanno proprio così. Lo hanno sottolineato in questi giorni diversi autorevoli soggetti, dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) all’Associazione Culturale Pediatri: la decisione del Consiglio Regionale lombardo, oltre che irragionevole, sarebbe illegittima perché in contrasto rispetto a precisi obblighi nazionali e internazionali.
Vediamo, sinteticamente, perché.
– In Italia non esistono bambini “clandestini”. Come confermato da pronunce proprio del Tribunale di Milano, un minore non può mai essere considerato “irregolare” essendo comunque non espellibile ai sensi dell’art. 19 della legge italiana sull’immigrazione.
– Questo diritto è già previsto. La Convenzione dei Diritti del Fanciullo prevede, all’art. 2, il diritto all’eguaglianza dei minori, indipendentemente da cittadinanza e condizione di soggiorno, e al suo art. 24, il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Non si tratta di vuote parole di principio: le Convenzioni internazionali sono a tutti gli effetti vincolanti anche in Italia. Lo precisa, se ce ne fosse bisogno, l’art. 2, co. 1 del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998): allo straniero «comunque presente» nel territorio dello Stato spettano «i diritti fondamentali della persona umana previsti […] dalle Convenzioni internazionali in vigore».
– Ma la legge si può sempre interpretare. Giusto. E infatti è stato fatto. La difformità delle prassi, specialmente in materia di prestazioni sanitarie, è ben nota. Per essere certi di garantire il rispetto delle norme suddette, è stato recentemente stipulato dalla Conferenza Stato-Regioni un apposito Accordo contenente indicazioni per una corretta applicazione delle normative sanitarie per immigrati. Tale accordo prevede, tra l’altro, il riconoscimento del pediatra di libera scelta anche per i minori senza regolare permesso di soggiorno. L’effetto giuridico dell’accordo è quello di obbligare le parti stipulanti (Stato, Regioni e Province) ad ottemperare agli impegni assunti, nel rispetto delle competenze che caratterizzano ciascuna amministrazione. Del resto, nessuna Regione potrebbe ritenersi lesa nella propria autonomia dall’applicazione di un accordo al cui perfezionamento ha espresso il suo assenso il Presidente della Regione stessa.
E allora perché ne stiamo parlando?
In primo luogo perché gli Enti locali “hanno i loro tempi”. Ad oggi l’Accordo Stato-Regioni è stato recepito dalla Regione Lazio, dalla Provincia Autonoma di Trento, dalla Regione Puglia, dalla Regione Liguria, dalla Regione Campania, dalla Regione Calabria e dalla Regione Friuli Venezia Giulia (potete monitorare gli aggiornamenti qui). Ma anche perché, come dimostra il caso della Regione Lombardia, questo passaggio continua ad essere tutt’altro che scontato.
Dovrebbe esserlo, e non solo in virtù di quanto, in maniera abbastanza inequivoca, prevede la legge. Soprattutto questa e analoghe misure dovrebbero essere previste in un’ottica di buon senso, di efficienza e di responsabilità. Lo sottolinea bene un comunicato dell’Associazione Culturale Pediatri: negare il pediatra a un bambino che vive in un territorio (al momento, per i figli di migranti irregolari, è previsto fino ai 6 mesi di età) significa mancate vaccinazioni, mancata profilassi, mancata intercettazione di malattie complesse e spesso banali nelle prime fasi, ma poi complesse nelle evoluzioni (si pensi al ritorno della tubercolosi). Last but not least, dei bambini non assistiti regolarmente accederanno anche in modo improprio al pronto soccorso. Siamo sicuri che i cittadini lombardi, che i politici che hanno boccaito la mozione rappresentano, vogliano davvero questo?
Nel nostro Paese è purtroppo consuetudine considerare l’immigrazione terreno di dibattito ideologico, da percorrere a colpi di slogan. In questo fuoco incrociati di “buonismi” e “cattivismi” è facile perdere di vista il bene comune (che pure dovrebbe essere interesse precipuo di quasiasi politica) e la concretezza della vita quotidiana. L’esperienza di noi genitori ci dice che “immigrazione” significa, nelle nostre città, soprattutto compagni di scuola dei nostri figli, vicini di casa, colleghi. Prima di unire le nostre voci alla tifoseria da stadio che da sempre accompagna queste questioni, proviamo un momento a metterci nei panni di tante persone in carne ed ossa, che fanno i conti, ogni giorno, con le nostre stesse difficoltà.
Per approfondire
– L’Accordo “Stato –Regioni” sull’assistenza ai cittadini immigrati stranieri e comunitari (20.12.2012)
– Il commento dell’Accordo a cura dell’Associazione Studi giuridici sull’immigrazione
– Un articolo sui costi presunti
Ringraziamo Mauro Biani per averci concesso l’uso della sua vignetta su questo tema.
NOTA:
Si ricorda che la legge italiana (D.L.vo n. 286 del 25 luglio
1998, art. 35 co.3) non solo prevede che “ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”, ma anche che (comma 5 dell’art. 35 dello stesso Decreto) “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità”. Dato che si parla di accesso alle strutture (e che il senso della norma è che lo straniero senza permesso di soggiorno non eviti cure essenziali per timore di essere denunciato) il divieto di segnalazione non vale solo per il personale sanitario, ma per il personale amministrativo che opera presso le strutture sanitarie e persino per il personale di polizia presente presso le strutture stesse. Del tutto fuori luogo e dettate da ignoranza della normativa sono state quindi le dichiarazioni di alcuni politici della Regione Lombardia a riguardo.
Sslve .cio permesso sogiorno da poco fa oportato da mio paese miei figli che no ano permesso .sono andataala adla e lovi no me anno voluto dare il pediatra senza questo permesso la geggi e proprio cambiata?sono residente in puglia loro estudisno pure qui .prima molto prima loro avevano il pediatra mo noperche?
Cio mio permesso sogiorno da due messe o portato miei figli che no anno permesso sono andara in la asla eloro no mi vogliano dare il pediatra a loro e possibili loro ano sei anni cio residenza loro estudiano qui pure…me potete aiutare espeguiado che sucede
Fino a sei mesi di vita del bambino non è “clandestina” neanche la madre, che ha diritto al permesso di soggiorno per maternità. Il problema dunque non si pone.
Ma che schifo!
Close hai ragione fanno di tutto x creare problemi dove non ci sono!
Peccato che lo facciano anche sulle ns pelli.
Chiara: ma il pediatra era previsto solo fino a sei mesi?
Grazie x questa segnalzione
Spero nessuno, Chiara, anche perché (vedi nota) la cosa nonostante tutto è ancora vietata dalla legge!
CloseTheDoor hai ragione mi ero dimenticata i medici che dovevano denunciare i clandestini, mi piacerebbe sapere veramente in quanti l’hanno fatto…
Provo a rispondere alla domanda. Non mi risulta che la normativa, nel caso del tuo collega, sia stata applicata correttamente. Che io sappia, infatti (cito dal sito di una USL toscana) “per i cittadini domiciliati in Comuni diversi da quello di residenza (domicilio sanitario) la scelta del medico di famiglia o del pediatra di fiducia è a tempo determinato da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 1 anno. Automaticamente il domicilio sanitario comporta contemporaneamente la cancellazione della scelta del medico di provenienza. La scelta è espressamente prorogabile, qualora permangano le motivazioni che hanno determinato il domicilio sanitario (lavoro, salute, studio”. Non so però se anche l’applicazione di questo dipenda da prassi regionali. Di certo qui a Roma questa scelta a tempo determinato che chi è residente altrove si fa senza problemi.
Chiaradilo: è la stessa politica che ha chiesto ai medici di denunciare i clandestini e voleva rendere adottabili i figli dei clandestini. E’ bastato l’effetto annuncio perché gli ambulatori di mezza Italia vedessero scemare le richieste di immigrati con qualche dubbio sul loro permesso di soggiorno. Il risultato è stato sicuramente di fare in modo che una bella percentuale di persone non si curassero più, mi immagino anche che qualche mamma abbia partorito clandestinamente, in modo che si creino delle “sacche” incontrollate di virus e poi gridare all’untore. Cioè se il problema non c’è, lo crei e così puoi agire da salvatore.
Premesso che sono d’accordo con voi, vorrei sapere perché un mio collega meridionale si è visto negare l’accesso alla pediatria per le figlie avendo domicilio ma non la residenza in Veneto: gli è stato spiegato che per avere accesso alla pediatria avrebbe dovuto fare domanda di residenza. All’epoca lo trovai normale, oggi meno perché io ho avuto diritto a un medico di base in città – sempre in Veneto – dove ero domiciliata ma non residente. La normativa non dovrebbe essere uguale per tutti, cioè non basta scegliere UN medico di riferimento sul territorio, che sia seguendo il domicilio o la residenza?
(Excusatio non petita: so che questo commento sembra OT, ma sono sicura che nella mente di chi legge rimane sempre l’ombra della disparità di trattamento con gli italiani.)
Come si fa a commentare un argomento del genere? Come si fa a pensare a chi amministra e gestisce la Regione Lombardia senza un brivido? E, soprattutto, qual è l’obiettivo di una politica del genere, dissuadere l’immigrazione facendo ammalare tutti i bambini? Non posso crederci, Milano è una città molto migliore di così, i lombardi che io conosco sono molto meglio di così, questa cosa mi fa accapponare la pelle, sulla pelle dei bambini, bo.