Papà, che vuol dire omosessuale?

Quali sono le parole giuste per spiegare l’omosessualità ai bambini e poi ai ragazzi? Ne parliamo con Marco The Queen Father, l’autore di un blog i cui contenuti sono così ben bilanciati, tra ironia e profondità, da far quasi passare in secondo piano la qualità della sua scrittura. Marco racconta la sua storia quotidiana di padre omosessuale, che ha “osato” desiderare un matrimonio e la paternità.
Parlare con ironia della sua famiglia omogenitoriale, è il suo modo di combattere una battaglia per l’informazione, che poi è la chiave del rispetto.

– Come si spiega l’omosessualità ai bambini? Nel momento in cui possono nascere le prime domande, anche in una famiglia eterosessuale, quale pensi sia la chiave per parlarne con naturalezza?
E poi quali sono le parole giuste per parlarne agli adolescenti, nel momento in cui, magari spinti dal “branco”, dovessero mostrare atteggiamenti omofobi?

Mamma… Un domandone! Come esporre l’omosessualità e combattere l’omofobia in famiglia…. Come genitori capirete che i bambini non affrontano nessun argomento, neanche quelli più ‘delicati’ con malizia. Quella è una cosa che imparano da noi.
La naturalezza nell’affrontare un argomento nasce dal sentirsi a proprio agio con certi temi, non è una cosa che si può fingere così su due piedi. Per questo c’è da fare un po’ di lavoro a monte per ‘preparare’ i piccoli ad abbracciare la varietà del sociale senza pregiudizi né preconcetti. E non necessariamente solo nell’ambito di tematiche inerenti alla sessualità.

L’atteggiamento della famiglia nei confronti di tematiche sociali come l’omosessualità influisce terribilmente sulla percezione che il piccolo ha di queste.
Per esempio, io sono cresciuto in una società dove la massima offesa per un maschietto era quello di sentirsi chiamare ‘femminuccia’ e questa era una cosa condivisa da tutti. Anche dai miei genitori, che si incavolavano con me ogniqualvolta un amichetto mi prendeva in giro.
“Cretino! Perchè ti fai dare della femminuccia?”
E io non capivo cosa ci fosse di così degradante nelle femminucce, o in un maschietto che preferiva le Barbie al pallone da calcio… Capivo solo che me ne dovevo vergognare anche di fronte ai miei.

Ma la lezione era quella: datemi del pidocchioso, del poveraccio, dello straccione, ma della femminuccia proprio no.
Il problema inizia così.
Inizi a pensare che mostrare caratteristiche comportamentali legate all’altro sesso sia qualcosa di cui provar vergogna, ed ancora non sei neanche ‘sessuale’, nel senso, non hai ancora sviluppato la tua sessualità, qualunque essa sia. Insomma, sai già che devi attenerti a degli schemi precisi a rischio di essere buttato fuori dal branco o dalla famiglia.

Una volta poi che gli ormoni iniziano ad andare sulle macchinette a scontro che hai nel cervello, arrivano i veri guai, perchè devi iniziare a fare i conti con delle vere e proprie pulsioni verso l’altro sesso.
Se poi queste pulsioni sono invece rivolte verso il tuo stesso sesso ecco che subentra quel senso di ‘errore/orrore’ che abbiamo imparato già quando ancora le ragazze ci facevano schifo perchè preferivamo andare in bicicletta tutto il giorno.

Uno degli errori che facciamo come genitori è quello di far credere ai piccoli, che la loro sessualità ed identità maschile o femminile sia un bene primario suscettibile di ‘contaminazione’ o ‘devianza’. Insomma, gli insegnamo prestissimo a farsi le paranoie quando invece un atteggiamento paritario nei confronti di ambo i sessi sarebbe più utile ad ‘elasticizzare’ le giovani menti nella loro percezione dell’omosessualità, perchè la bambina-maschiaccio è simpatica a tutti, il bambino effeminato invece mette tutti in imbarazzo.
Anche i genitori.

Nell’esibizione di caratteristiche comportamentali appartenenti all’altro sesso, come nell’interesse sentimentale/erotico verso un altro uomo, noi maschi commettiamo il massimo tradimento verso il nostro clan: assumiamo i connotati del sesso opposto, quindi contaminando la nostra sessualità “predominante” vissuta come bene primario.
E non lo dico io, lo dicono dotti psicologi e psichiatri.
Avete mai ragionato sul fatto che tanti uomini etero non hanno grossi problemi con le lesbiche (a parte il senso di ‘spreco di figa’ per metterla sul quel tono là…), ma assumono atteggiamenti castigatori e derisori se si tratta invece di un omosessuale maschio, mentre le donne sono tendenzialmente più tolleranti nei confronti di ambo le categorie?
Come se fosse più grave per un uomo essere gay che per una donna… Come se l’omosessualità fosse prima di tutto sentita come una minaccia all’identità sessaule maschile.
C’è questa formazione di base che va smossa.

L’omosessualità non deve essere trattata come una disgrazia, una perversione, come qualcosa da discutere sottobanco a mezza bocca e di cui vergognarsi.
Le battutacce da caserma sui gay (chiamateli poi come volete… A casa mia si chiamavano ‘froci’, ‘ricchioni’ e ‘zozzoni’… Un termine positivo non sapevo neanche che esistesse…) evitatele. Evitate di ridicolizzare l’omosessualità, anche senza malizia.
Se volete educare i vostri figli e trasmettere loro l’idea che qualcosa sia serio e meritevole di rispetto, dovete iniziare voi.

[quote]Quindi questa è una chiave verso la naturalezza: incorporare parole come ‘omosessualità’ nel lessico famigliare e cercare di salvare il termine dalle grinfie della perversione e del taboo.
Omosessualità non è una parolaccia.
È una variante del comportamento di alcuni individui. Come il colore della pelle, o il livello di intelligenza.
Adesso non vorremmo mica prendere uno a sassate perchè è meno intelligente di noi? O ha la pelle di un colore diverso? O è omosessuale? Capisco la reticenza dei genitori di usare parole contenenti ‘sesso’ con i piccoli. Ma allora usate ‘gay’ no? È pure più carino…

Il 90% di quello che esce dalla bocca dei piccoli è il riciclaggio delle parolone di mamma e papà. Solitamente, famiglie con un atteggiamento liberale nei confronti di sesso e sessualità (specialmente nel nord Europa) crescono figli altamente tolleranti ed a proprio agio con certe tematiche e con la propria sessualità (senza poi menzionare i bassissimi livelli di gravidanze under-18 e di violenze sessuali di cui le società più ‘bacchettone’ sono piene…).

Stavo leggendo un interessantissimo articolo sulla primissima infanzia che mostrava come il nostro atteggiamento di genitori varia nei confronti dei nostri piccoli a secondo del loro sesso. Che sembra la scoperta dell’acqua calda, ma è invece un po’ più sottile la cosa…
In genere i maschietti vengono ‘maneggiati’ con meno delicatezza delle femminucce, specialmente dai papà, i giochi sono più fisici e ‘violenti’ ed il tono di voce con cui parliamo loro fin da neonati è più forte.
Se il maschietto casca e si fa male al ginocchio cerchiamo di minimizzare l’accaduto e gli diciamo di smettere di piangere, di ‘essere grande’ o di comportarsi da ‘ometto’.
Così i maschietti imparano che mostrare i propri sentimenti e le proprie paure è un segno di debolezza. Di conseguenza, crescendo, se si imbattono in un maschietto ‘diverso’ (uno che piange quando cade, piange quando lo prendono in giro, piange quando lo spingono per terra e gliele danno di santa ragione…), lo interpretano subito come un ‘debole’, una ‘femminuccia’.
Il passo per arrivare a chiamarlo ‘frocetto’ è breve perchè il più è stato fatto.

Non sei meno maschio se vuoi piangere o giocare con le pentoline invece che con le pistole, non sei meno femmina se vuoi fare le buche con la ruspa invece che pettinare la coda al Mini Pony.
Ci sono maschi che giocano a pallone e maschi che giocano con la Barbie. Ci sono femmine che giocano a ‘signora mia’ e femmine che giocano a ‘camionisti’.
E così ci sono maschi che sposano i maschi e maschi che sposano le femmine. Ed è tutto qui.
Sono comunque maschi e femmine.
Senza dimenticare che dietro all’omosessualità c’è comunque il sentimento, l’amore, ma quello non si spiega, si dà.
Riceverlo con costanza è generalmente l’insegnamento più valido per ogni bambino e lo spaventapasseri più efficace contro atteggiamenti ostili di ogni tipo.

– Hai raccontato nel tuo blog il momento in cui hai preso coscienza della tua omosessualità. Quali sono le parole per parlare a un adolescente della sua omosessualità, se la si riconosce? Un genitore come può accogliere un figlio omosessuale e comunicare la sua disponibilità a parlarne e ad accettarlo? Nella tua esperienza quali sono state le parole dei tuoi genitori o quelle che avresti voluto sentirti dire?

Per esperienza vi dico che la cosa migliore è aspettare che lui si faccia avanti. C’è comunque tutto un lavoro di ‘preparazione del terreno’ per così dire che i genitori devono fare per rendere questo passo più facile per il figlio.
Intanto smettetela di fare domande sceme ed imbarazzanti tipo “Ce l’hai la ragazza?” ed aiutatelo a evitarne da parenti ed amici. Io odiavo quando mi paragonavano ai galletti del quartiere, sempre a spomiciazzare con qualche ragazza e mi facevano sentire ‘diverso’ perchè non ingaggiavo in quel tipo di condotta.

Passate commenti positivi su quel tipo gay che conoscete o su quell’attore gay che ammirate.
Interessatevi alle cose che interessano a vostro figlio, che sia la moda, il ballo, il pallone o quell’amico del cuore con cui litiga sempre, sforzatevi di fare parte della sua vita pur rispettando la sua privacy e condividete il più possibile.
Io ero l’unico che si mise a studiare moda e costume dopo una lunghissima sequenza di cugini tutti muratori o elettricisti o poliziotti.
Questa cosa è sempre stata un po’ lo scherzo tra parenti.
“Ma non sai che gli stilisti son tutti froci? Perchè vuoi essere stilista?” e giù sorrisini.
Bastardi.
Se volete che lui vi parli di sé, dovete rassicurarlo che una volta fatto il ‘coming out’ voi sarete sempre lì, tanto quanto prima, ad amarlo e supportarlo.
Non è astrofisica.
Ma non arrogatevi mai il diritto di fare domande o di fare insinuazioni. Scoprire ed ammettere di fronte a se stessi di essere gay è una delle cose più difficili e sconvolgenti nella vita di un adolescente (specialmente se cresciuto con tutti i ‘dogmi sociali’ esposti sopra…), date a vostro figlio il lusso della libertà di scegliere quando dirvelo e la sicurezza del vostro appoggio.
Il mio coming out è stato un po’ una tragedia. Lo dissi prima a mia madre e lei la prese malissimo.
Si rimproverava di avermi coccolato troppo da piccolo.
“Si vede che me lo merito! Dovevo essere più dura…” e giù a piangere lacrimoni. (vedete però come si ricollega al discorso che facevo prima?)
Andava fuori di cervello pensando a cosa dire alla gente che le chiedeva puntualmente di me. E io che urlavo “Ma che cazzo di problemi ti fai? Vogliono solo sapere se sto bene, non cosa faccio a letto!”.
Ero diventato una vergogna da tener nascosta.
Ero furioso e ricordo di averle detto di non parlarmi finchè non avesse digerito la cosa.
“Mi rifiuto di essere trattato come un delinquente da mia madre! Sai quanto ci ho messo io a digerirla ‘sta cosa? Adesso fai tu la tua parte…”
Quelle parole ancora mi fanno male.
Io ero già a Londra, vivevo da solo ed avevo conquistato una certa indipendenza emotiva dai miei genitori. Dir loro della mia omosessualità era un rischio che mi sentivo di poter correre.
Lei mi implorò di non dir nulla a mio padre “Non capirebbe!” (perchè lei, volpe, invece la aveva presa bene…).
Anni dopo, esce fuori che papà lo aveva sempre saputo e che non è mai stato un problema, ma voleva fossi io a dirglielo.
Addirittura abbracciò il mio Steven dicendogli “Per me sei come un figlio!”. Parole che mai mi sarei aspettato da mio padre, burbero, serio, tutto di un pezzo e anche abbastanza incazzoso.
Questo mi fa ancora piangere di commozione.
Eh sì, sono ancora una femminuccia. Che ci volete fare.
Ne vado fiero.
[quote1]Se pensate che vostro figlio sia gay, aspettate che sia lui a mettersi a nudo, a nessuno piace sentirsi strappare la corazza di dosso, specialmente quando la si è indossata per anni.
Ricordatevi anche che non avrete mai la possibilità di rimangiarvi le parole che gli direte, quindi fate attenzione a come le scegliete.
Se poi volete davvero un consiglio, non dite nulla, abbracciatelo stretto e basta, cucinategli il suo piatto preferito, festeggiate.

Quello è il gesto che dice più di tutto “Per me sei sempre il mio bambino ed io ti amo!”.

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72 thoughts on “Papà, che vuol dire omosessuale?”

  1. Anch’io ho dei dubbi sull’omosessualitá come ‘variante del comportamento’ inteso come risultato culturale, ma perché ritengo, da quel poco che ho capito, che sia di origine biologica.

    la prima volta in cui ho sentito parlare di omosessualitá é stato forse verso gli otto anni, c’era un servizio al TG su un convegno a proposito. Lí ho chiesto ai miei che cos’era, e mi hanno detto, con naturalezza, che alcune persone si innamorano di quelle del proprio sesso. A me é sembrato strano, ma ho preso la notizia come dato di fatto, un dettaglio non determinante della vita di una persona.

    Se mio figlio fosse omosessuale?
    A me non farebbe differenza, ma mi farebbe male sapere se venisse discriminato in base ad una caratteristica della sua vita privata. probabilmente lo metterei in contatto con uno dei miei migliori amici, che é gay, per poterne parlare se sente che é qualcosa di problematico per lui.
    IL mio moroso, pur di mentalitá aperta, ha ammesso invece che proverebbe un certo disagio, perché a lui l’idea della sessualitá homo maschile mette a disagio. Un po’ mi é dispiaciuto, anche se so che comunque amerebbe suo figlio ugualmente.

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  2. @Close, magari perche’ Gandhi non ha parlato (credo) di padritudine mentre la Badinter scrive di mammitudine? 😛

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  3. @ Polly

    Ho dei dubbi sul fatto che l’omosessualità femminile sia vista più di buon occhio. Di sicuro se ne parla molto meno; ma il suo utilizzo per le produzioni a luci rosse a uso maschile mi fa pensare che venga presentato come una finta, per l’appunto come dici tu “curabile” con l’uomo giusto, e che dunque in fin dei conti una donna lesbica per se stessa e non perché recita davanti ad un uomo, faccia perfino più paura di un uomo gay.

    @ Mammamsterdam

    Io ho la stessa esperienza che riporta Marco, mamma che quasi sviene dal dolore e papà tranquillo, ma per una figlia lesbica – e infatti mi ero data come spiegazione che i papà vanno in crisi per i figlio gay e le madri sono solidali, e specularmente per l’omosessualità femminile.

    Invece dal post di Marco mi rendo conto che non è così: è proprio l’atteggiamento del singolo individuo, più o meno insicuro, conformista e recettivo al controllo del gruppo. A me sembra che siamo tutti d’accordo che la pressione del gruppo perché il figlio sia “giusto” (normale? omologato?) prende soprattutto di mira le mamme, dato che la maternità viene generalmente considerata LA realizzazione femminile, molto di più del lavoro. Molto di più di quanto possa essere la paternità per un uomo, rispetto al lavoro. L’idea è che se fallisci come madre, fallisci come persona, fallisci in modo totale. Il discorso al contrario per un uomo l’ho sentito in rarissimi casi, ricordo in particolare un rabbino americano che diceva “io posso fare mille proseliti al giorno ma se perdo i miei figli, ho perso tutto”. Ma mi ha colpito proprio perché generalmente per gli uomini non vale. Gandhi è il padre spirituale dell’India moderna ma ha distrutto il rapporto con suo figlio, e nessuno lo sa, mentre Elisabeth Badinter è una filosofa a tutto tondo e tutti vanno a studiare il suo rapporto con le figlie.
    Secondo me questa è la ragione per cui tante donne si sentono insicure e insomma ricattabili sul benessere dei figli se fanno così o colà – e in fin dei conti, la ragione per cui certi stereotipi si trasmettono e sono così duri a morire.

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  4. Mi sto facendo delle domande – molto probabilmente inutili, visto che si tratta di un futuro remoto – ma mi chiedo, io che dico sempre che non avrei assolutamente nessun problema nell’ accettare un figlio gay: sarà davvero così? Se mio figlio mi dicesse che è gay, reagirei così bene come mi propongo ora di fare? Continuerò a pensare romanticamente che la cosa più importante è dare e ricevere amore, uomo o donna non ha nessuna importanza? Che ciò che conta sono lui e i suoi sentimenti? O mi prenderà male e mi farò delle seghe mentali pensando agli altri? Mi metterò al loro livello?

    Quando ho raccontato a mia madre della mia prima volta (ad una settimana di distanza dal fattaccio), lei mi ha dato della puttana. Poi se n’ è pentita, lei così aperta mentalmente, lei che mi ha portato dal ginecologo a 17 anni per farmi spiegare bene come funzionava la pillola, lei che…quando si è trovata di fronte a quello che aveva pensato, previsto, organizzato per bene, mi ha travolto con delle parole ignoranti e incivili.
    Io quelle parole non le ho mai dimenticate. E ieri sera, mentre parlavamo di figli gay e figlie lesbiche e diceva che “tutto si evolve, è normale che anche la sessualità cambi, che non c’ è nulla di male, ecc ecc”…io avevo stampate nel cervello le parole che mi aveva detto quel giorno.

    È troppo difficile fare i genitori. E con questa grande verità e novità chiudo.
    Paola

    P.s. Sinceramente, ma proprio sinceramente…a volte immagino un’ eventuale futura nuora e penso che se si presentasse senza tacchi e “abbinata male”, le farei una guerra che ‘sta poveraccia non avrebbe scampo. Meglio il confronto con un uomo, nel mio caso :DDD (chi mi conosce, sa perchè dico così e che in realtà sto scherzando. Ooooooohhhh)

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  5. Marco, che bella intervista.
    Grazie.
    Noi non sentiamo particolarmente “provocante” l’argomento, avendo amici e amiche gay tra i nostri amici (e quindi tra gli amici di Simo, che ha 4 anni).
    Odiamo ferocemente le domande capziose sulla fidanzatina o sul fare da femminuccia, ma stanno andando a morire anche queste, perchè non siamo i tipi da alimentare conversazioni e risatine, e, anzi, li stronchiamo recisamente e maleducatamente se necessario. Non è bello ma la gente la pianta ed ha chiaro il nostro punto di vista.
    La storia di tuo padre è infinitamente dolce.
    Buona giornata.

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  6. Close the Door, ma anche tu avevi il papà perito agrario?:-)

    Riconosco un mucchio di cose che racconti Marco, raccontatemi dai miei amici (e come madre di maschi mi da da pensare questa reazione madre-padre che mi diceva anche qualcun altro, ma che ciabbiamo noi madri, l’ invidia del pene del figlio? Boh).

    Quello che non mi spiego invece è perchè all’ estero tutti i gay che mi comunicano entusiasticamente di esserlo sono maschi e tutte le donne che conosco o si guardano bene dal parlarne, o comunque lasciano parlare l’ evidenza. Mi spiego a livello di accettazione sociale come sia la cosa vista dal di dentro.

    E anche qui in Olanda a scuola dei miei figli gli stronzetti si insultano dandosi dell’ Homo, ma ai miei ho spiegato con tutta la dolcezza che una mamma deve avere, che se li sento ancora una volta li corco di botte. Mi sa che hanno capito, o stanno attenti a non farsi sentire da me.

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  7. Ho riletto d’un fiato il post e mi è venuto un groppo in gola leggendo della reazione di tua mamma e tuo papà… Quante cose vorrei dire…
    Buona vita, Marco

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  8. Io ricordo ancora quando – potevo avere 8-9 anni – i miei genitori mi hanno spiegato che ci sono uomini a cui piacciono gli uomini e non le donne (l’omosessualità femminile in quegli anni non era ancora contemplata a livello sociale ;))
    Ricordo che hanno paragonato questa diversità ai trifogli e quadrifogli: in un prato di trifogli puoi trovare qualche quadrifoglio, è diverso ma è naturale lo stesso.

    A me questa spiegazione era bastata e oggi la trovo rispettosa e delicata, mi dico che potrei usarla per mia figlia. Che ne pensate?

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  9. Bellissimo post.
    Secondo me il lesbismo viene visto di “buon occhio” perché, nella nostra cultura machista, è visto come un “comportamento” fatto per eccitare gli uomini, come un “atteggiamento” in ogni caso “curabile”.

    Proprio ieri sera mia figlia raccontava a una sua amichetta, con la massima naturalezza, che gli uomini possono innamorarsi degli uomini e le donne delle donne. La sua amica, anni cinque, è scoppiata a ridere.

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  10. alessandra, se dici nel senso che non puo’ essere ascrivibile ad una “scelta”, si sono daccordo che, cosi’ come tutte le orientazioni sessuali, non sia comportamentale

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  11. Guarda Silvia, è una questione veramente delicata e non m’arrischio a buttar giù impressioni non organiche senza averne la competenza necessaria. Sopratutto perché la questione dell’uguaglianza dei diritti o, in negativo, della negazione dei diritti e dell’omofobia è più importante di una corretta definizione. Mi prendo però il diritto di dire che non sono d’accordo a ritenerla una “variante del comportamento”, come dice l’autore, e non credo che le difficoltà esistenziali di chi la vive dipendano solo dalla società escludente, ostile, bastarda, ecc.

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  12. “È una variante del comportamento di alcuni individui. Come il colore della pelle, o il livello di intelligenza” Non sono d’accordo. Non credo che siamo arrivati ancora a capire bene cosa sia l’omosessualità ma non credo sia una variante del comportamento.
    “Ci sono maschi che giocano a pallone e maschi che giocano con la Barbie. Ci sono femmine che giocano a ‘signora mia’ e femmine che giocano a ‘camionisti’.
    E così ci sono maschi che sposano i maschi e maschi che sposano le femmine. Ed è tutto qui” Non sono d’accordo: non è tutto qui! Anche se condivido il fatto che il tipo di giochi scelto e praticato non influisce minimamente sull’orientamento sessuale!
    Ovviamente sono d’accordissimo invece sulla necessità di mostrare rispetto per tutti (eccetto per chi può, vuole o minaccia di farti del male) e che questo rispetto passi per il linguaggio e per l’esempio dei genitori. E anche d’accordissimo che non molti degli atteggiamenti preconcetti che troppe persone attivano verso bimbi e bimbe siano deleteri e ascrivibili a paure e ignoranza.

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