Non sapevo neanche che cosa volessero dire decluttering e debranding, prima di questo mese. Ora lo so, e capisco che sono i soliti nomi nuovi per qualcosa di molto antico – sono filosofo, lasciatemi stare, è un problema mio.
Di fare il padre che dice sempre “no” mi sono stufato presto: figli e figlie ci mettono poco a capire che, in certi casi, è meglio non parlarti proprio tanto la risposta è quella. Quindi ho dovuto cambiare strategia, altrimenti mi sarei perso tantissime loro parole, tanti dialoghi e occasioni di confronto per crescere insieme.
Quando si tratta di svecchiare il parco giocattoli, di fare il cambio di stagione dei vestiti, di risistemare la stanza per nuove esigenze, di impiegare la paghetta dei nonni o i risparmi del compleanno, mi devo ricordare che le relazioni con gli oggetti usati quotidianamente vanno rispettate. Essi ricevono dal nostro uso un valore che si sedimenta nei ricordi, e costituiscono anche loro, pur nella mera materialità di plastica, carta, metallo o legno, parte della nostra identità, e di quella di figli e figlie.
Queste relazioni vanno rispettate, in qualche modo, e non è assolutamente necessario interromperle sempre. Ci si deve sforzare di cambiarle in altro: preferiamo donare invece di buttare via; meglio trasformare invece di smontare; è più sano scambiare piuttosto che acquistare sempre di nuovo.
Il meccanismo cui ci ha abituato il consumo è un continuo portatore di piccole infelicità, perché spinge a concepire l’uso degli oggetti come se fosse obbligatoriamente legato alla nostra proprietà, e al nostro esclusivo uso. Siamo apparentemente costretti, in questo modo, a interrompere continuamente relazioni d’uso – che pure un valore affettivo e sensibile lo hanno, in molti casi – quando potremmo trasformarle in altre relazioni, o in nuovi usi. Figli e figlie potranno imparare che lo spreco degli oggetti e del denaro è, in parte, anche uno spreco della propria energia spesa nelle relazioni: “risparmiare” facendo ordine, regalando, scambiando ciò che non usiamo più è anche non svuotarsi di valori, memorie, ricordi, ma conservarli trasformandoli in cose forse anche più piacevoli.
Ecco che ho risparmiato anche tanti “no” ad acquisti inutili e superflui, perché è stato possibile evitare di negare e invece proporre scambi e riutilizzi. Si rimettono in circolo non solo oggetti e beni, ma anche modi per uscire dal trito meccanismo del consumo fine a se stesso e del denaro come unica misura del valore delle cose.
Intorno a noi sono pochissimi, in realtà, gli oggetti e i beni che si consumano fino al loro totale esaurimento o alla distruzione materiale. Molti potrebbero essere usati più correttamente e conservare un valore di scambio prezioso non solo perché monetizzabile concretamente, ma perché trasformabile in occasioni di nuove e inopinate relazioni con altre persone e altri oggetti e beni.
Perché in realtà è di relazioni che ci dovremmo nutrire continuamente, molto più che di cose.