La notizia è che nel Regno Unito il Commissario per l’infanzia ha ritenuto che le policy dei social network non fossero comprensibili per i ragazzi e, a seguito del report Growing Up Digital, che illustra un’ampia ricerca sul tema, ha deciso di “tradurle” e riassumerle perché fossero leggibili per diverse fasce di età.
Il Commissario, nella presentazione del documento, spiega: “I giganti dei social media non hanno fatto abbastanza per rendere i bambini consapevoli di ciò che stanno firmando fino a quando installano un’applicazione, o aprono un account. Sono questi, spesso, i primi contratti che un bambino firma nella propria vita, ma i termini e le condizioni sono impenetrabili, anche per la maggior parte degli adulti”
A me sembra un’ottima iniziativa, perché in effetti nessuno, né bambino, né ragazzo, né adulto legge le interminabili pagine delle condizioni d’uso che però accetta ogni volta che crea un account e accede a un social network. Quindi la traduzione “per bambini e ragazzi” è sicuramente utilissima per tutti.
L’operazione compiuta dall’Autorità Garante inglese ha perciò una importante funzione educativa e propulsiva di un cambiamento che DEVE coinvolgere i gestori di social media. Il passo successivo, infatti, dovrebbe essere quello di costringere i gestori a produrre documenti di policy realmente comprensibili o documenti di sintesi pensati per essere letti e capiti dagli utenti di tutte le età e,soprattutto, di tutte le fasce culturali. Ovviamente a pena di oscuramento. Non so se mai qualche Autorità garante in qualche Paese oserà spingersi a tanto, ma questo passo dell’Autorità inglese ha davvero un senso che andrebbe colto e moltiplicato in tutti gli altri Paesi.
Oltre a spiegare concretamente e chiaramente il contenuto dei termini di utilizzo, il documento inglese ha un altro grande pregio: spiega prima di tutto che l’iscrizione a un social network è un contratto, con il quale l’utente si prende degli impegni, concede dei diritti, acquista dei diritti, si assume la responsabilità delle eventuali violazioni.
In questo post “Il profilo sui social a meno di 13 anni” spiegavo già la natura della policy dei gestori di social network e le possibili conseguenze della loro violazione.
“Tutti noi, quando apriamo un profilo e creiamo un account, accettiamo delle condizioni d’uso decise dal proprietario del sito. Lui propone e noi possiamo accettare in toto, oppure non iscriverci.
Una di queste regole che accettiamo, è il limite di età. Nel momento in cui selezioniamo un’età diversa per aprire un profilo (che altrimenti non può essere aperto), contravveniamo a quelle regole che poi accetteremo: insomma, stiamo “fregando” la nostra controparte, cioè il gestore.
Si vabbè, ma che vuoi che sia? Cosa gliene importa al gestore?
Certo, spesso è verissimo: al gestore non conviene controllare con troppa attenzione. Massimizza i suoi iscritti e, se l’infratredicenne combina qualche guaio o si trova in situazioni spiacevoli, nessuno può imputargli responsabilità.
Ciò non toglie che, chi sta violando le norme contrattuali, è colui che apre il profilo.
E non conta nulla che aprire un profilo sia gratis o sia una cosa tanto semplice che si fa con due click: ad un certo punto della procedura, noi accettiamo le condizioni e sottoscriviamo un accordo, un contratto, al quale dovremmo attenerci.”
Il contratto prevede ovviamente due parti che si accordano tra loro: il gestore del social e l’utente che si iscrive. Noi utenti, come parte contrattuale, oltre che doveri, abbiamo dei diritti. I nostri diritti, oltre allo spazio gratuito di cui godiamo, sono essenzialmente legati alla privacy. Il gestore del social media ci dà delle opzioni di privacy, che vanno dalla totale cessione di ogni nostra informazione, alla protezione di alcuni dati (attenzione: alcuni! Mai tutti i nostri dati). Per questo l’utente, a qualsiasi età, DEVE essere in grado di: capire cosa sta concedendo, valutare cosa vuole o non vuole concedere, agire sugli strumenti di controllo della privacy per limitare come meglio crede i dati che “regala” al gestore.
E qui viene la seconda “notizia” legata a questa vicenda.
La “traduzione dal legalese” effettuata dall’Autorità inglese, opportunamente tradotta in italiano, nei giorni scorsi ha avuto una grande diffusione su Facebook, estrapolata dal suo contesto originario (nessuno ne riportava la fonte) e di solito annunciata con frasi del tipo “sapete che quello zozzone ladro di Facebook può farvi questo?” e giù tutto l’elenco di quello che può Fare Facebook se non gestite opportunamente la vostra privacy.
Da qui qualche riflessione.
L’operazione compiuta nel Regno Unito è davvero utile e, secondo me, lo è più per gli adulti che per i ragazzi.
Davvero non sapevate cosa può fare delle vostre informazioni, dati e immagini, quel brutto cattivone di Facebook? E allora perché avete flaggato “accetto” quando vi siete iscritti? Perché il testo da legger era lungo? Ma allora perché non vi siete occupati della vostra privacy, per “limitare i danni”?
Come sempre i “vecchi” pensano ai danni di Facebook, come se lì ci fosse tutto l’internet del mondo, ignorando completamente gli altri social network e ignorando anche la più grande profilazione dell’Universo conosciuto: Google. Avete provveduto a regolare quali vostri dati può raccogliere Google?
Mi domandavo perché il Garante inglese avesse predisposto diversi documenti per diverse fasce d’età a partire dai 7 anni (utilizzando per ciascuna un diverso grado di complessità del linguaggio), quando i social network ammettono utenti come minimo dai 13 anni. Dopo aversi pensato un po’ su, ho capito che anche questa è stata una mossa vincente: inutile nascondersi dietro a un dito, sui social è pieno di bambini al di sotto del limite d’età consentito e proprio loro vanno protetti di più, visto che si può dedurre che alle spalle non abbiano una famiglia attenta e consapevole (altrimenti il profilo non lo avrebbero).
Infine, ho riconsiderato un fatto che mi ha raccontato un’amica che vive negli Stati Uniti. La sua figlia maggiore ha iniziato la scuola elementare e in questo istituto è stato organizzato un social network interno. I bambini hanno un loro profilo e delle funzioni social basiche, il tutto rigorosamente limitato alla scuola e accessibile a dei supervisori. Inizialmente ero critica e scettica (come del resto lo è la mia amica): ma che bisogno c’è di un social network a meno di sei anni?
Eppure ora ci sto ripensando: e se fosse un valido training per l’uso consapevole dei social media, ma compiuto, per oltre sei anni, in un ambiente superprotetto? Se fosse un modo per educarli subito a gestire le relazioni, le possibili distorsioni, la gestione della propria privacy? Insomma, se fosse un modo per far arrivare quella generazione di attuali seienni molto più pronta e consapevole delle regole, sia quelle contrattuali che quelle autodeterminate, all’età in cui si esce “là fuori” nel vero mondo social?