Il rifugio dei papà

La svalutazione del ruolo del padre la vivo ogni giorno” diceva un mio amico commentando su Facebook, in una discussione ad alto tasso partecipativo di amici padri “high-care”. Stavamo parlando dell’introduzione del congedo per paternità obbligatorio, e dei commenti alla notizia sui giornali on-line di alcuni lettori poco illuminati (diciamo così).

Il mio amico lamentava l’imperversare (termine suo) dei nonni e delle mamme. So, conoscendola, che non parlava di sua moglie, ma so anche (OK, abbiamo appurato che non esistono, ma…) che le mamme del parco possono essere un inceppo particolarmente ostico sulla strada del padre high-care. Certo, bisogna riconoscerlo, questo è un altro campo in cui gli stereotipi perpetuati dalla società e dalla televisione non aiutano. Spesso si parla della mamma del Mulino, ma con il mister ridiamo spesso del “padre del Mulino”, che è altrettanto atroce. Il padre del mulino, o il padre in pubblicità, è spesso o l’eterno bambinone, il “figlio in più” che la mamma deve accudire, o/e è il più completo inetto, specie quando si parla di bambini. Tipica scena, che mi invento per non puntare ad una pubblicità precisa, ma sapete di che parlo: lui al super decide di mettere un pacco di biscotti in carrello, e madre e figli sghignazzano perché il meschino non sa che ha completamente toppato, che quei biscotti non li comprano più da anni/non hanno l’adeguato contenuto nutrizionale/non ti danno la raccolta a punti/eccetera; oppure lui chiede ignaro cosa sia quel coso sul pavimento e i figli (ma non è mancanza di rispetto?) lo apostrofano seccati che, daaaai non puoi non conoscere l’ultimo gioco tal de tali, con la mamma che sorride complice.

Non che siamo gli unici in Italia, eh? Lo stereotipo vale a molte latitudini. Solo che magari altrove ci si inizia a fare caso un po’ di più. Ne sa qualcosa la Huggies, la famosa produttrice di pannolini, che ha impostato a inizio anno una nuova campagna pubblicitaria basata sull’idea che i loro pannolini fossero “a prova di papà”. Nello spot che ha iniziato la campagna, padri lasciati soli con i pupetti per 5 giorni, tutti insieme in una casa, ne combinavano di tutti colori. Ma il pannolino reggeva a tutto questo disastro. La campagna prevedeva un reclutamento di padri disposti a mettersi alla prova, anzi peggio, prevedeva che le madri nominassero padri per tentare la sfida: “Il modo migliore di provare che i nostri pannolini funzionano? Usare Papà come test definitivo”. Un po’ come la prova del bianco più bianco insomma: datemi un papà scafessato, e io vi dimostro che il pannolino regge. Beh, a molti papà in US la cosa non è andata giù, neanche un pochetto. In una petizione on-line, si sono dichiarati offesi da questa pubblicità altamente sessista, in cui si alimentava lo stereotipo del padre inetto e immaturo. E infatti la Huggies ha ascoltato queste voci, e ha ritirato quello spot, sostituendolo con quest’altro magari non perfetto, ma molto più rappresentativo della cura paterna.

Ora, ci sono stati commenti a questa petizione del tipo “ma come, ma non capite l’ironia?”. Oppure, “ma se tutti i padri che conosco sono davvero così!”. E via discorrendo. Ma non vi ricordano, questi discorsi, certe critiche a chi si è prodigato per segnalare altre campagne pubblicitarie che stereotipavano le donne? Se quella non era ironia, anche questa non lo è. Se quello era sessista, anche questo lo è. Per uomini e per donne insieme. C’è infatti chi sostiene che non ci sia cosa più anti-femminista (se mi permettete di usare la “f-word”) di ritrarre sulla stampa e sui media l’uomo inetto, incapace di vestirsi o di non sporcare in bagno o fare una spesa decente, e infatti sono tipicamente le fonti meno femministe a parlare in questi termini degli uomini. Notizie come quella recente sui giornali da noi che riportava che le donne inglesi spendono mediamente tre ore a settimana a rifare faccende di casa che gli uomini hanno fatto male, con tanto di classifica dei compiti che gli uomini fanno peggio, non fa che alimentare lo stereotipo che queste sono “cose da donne”, che spettano alle donne. Se questo è vero, è però altrettanto vero, secondo me, che chi ci rimette di più sono gli uomini, che vengono “svalutati” come diceva il mio amico. Non solo, nel ritrarli come incapaci di accudire, automaticamente vengono dichiarati incapaci di tutta un’altra serie di comportamenti, che abbiamo deciso essere femminili, per cui si crea (certo inconsciamente, certo nessuno/a ammetterà di volerlo fare di proposito, ma di fatto si crea) un mondo parallelo da cui gli uomini vengono tagliati fuori a priori.

Un risvolto ben più cupo nel concepire la cura come femminile, è quello che vede con sospetto l’uomo a contatto con i bimbi, specie piccoli. E non parlo di parenti o amici che conosciamo bene, ma in generale: la stampa riporta quotidianamente storie raccapriccianti di abusi, che in un certo senso non ci creano dissonanza nel quadro dello stereotipo di cui parlavo, e, inconsciamente, lo alimentano. Ho sentito di molte persone che “non si fiderebbero” di un nido con educatori uomini, per dire, anche se poi sono i primi ad ammettere che il settore educativo è troppo sbilanciato verso le donne. E, così come, per le donne, certe scelte di carriera sono inibite dalla mancanza di modelli, di altre donne mentori o comunque ispiratrici, allo stesso modo l’accudimento, per professione o per vocazione, per i padri a volte viene inibito dalla mancanza di confronto con altri modelli, dalla mancanza di supporto della comunità. L’esigenza di una rete di “mutuo supporto” si è sentita molto di recente in UK, forse proprio grazie ad un cambiamento di paradigma nella società: l’uomo che torna a casa e si mette sul divano mentre la compagna sfaccenda in casa è, pare, un’immagine del passato. Certo c’è ancora disparità, ma in media gli uomini spendono 2 ore e 28 minuti al giorno in faccende domestiche, laddove le donne ne spendono 4 e 40 in media, una ricerca dimostra, con il gap che si accorcia anno dopo anno. Se però per cose come cucinare ci si può ispirare a modelli come Jamie Oliver, per la cura dei bambini ci sono ancora delle foreste oscure da valicare. E allora, ecco un proliferare di “fathers’ playgroups”, ce ne sono davvero tantissimi, anche a dimostrazione che il papà a casa non deve essere troppo insolito. Sono la declinazione del classico gruppo di gioco genitori-figli under 5 (quindi prima della scuola), ma riservato esclusivamente ai padri, non inteso come posto per la partita di calcetto, ma proprio perché i padri possano fare gruppo fra loro, per cercare insieme una dimensione che sia loro propria dello stare con i bimbi e le bimbe, non una copia di quel che fanno le mamme, senza sentire l’alito della mamma che imperversa. Come un rifugio insomma, il rifugio dei papà. Tutto ciò non è soltanto una nota di colore, o comunque non deve esserlo: se ci fermiamo qui, siamo neanche a metà della questione. La sfida più grande è proprio l’emancipazione, maschile questa volta, dallo stereotipo, il riappropriamento della dimensione della cura, che comporta tutta un’altra serie di battaglie ben più importanti, che le donne hanno forse già ben chiare in mente, per argomenti affrontati con la definizione stessa di questione di genere.

In un saggio abbastanza denso ma molto leggibile, e che per una volta posso segnalare nella traduzione italiana, “Ragazzi Veri”, William Pollack, uno psicologo di Harvard che studia la “mascolinità” (sono sicura esista un termine più appropriato e tecnico in italiano, ma non lo conosco), denuncia la “crisi silenziosa” dei ragazzi, che sembrano sicuri ma nascondono una profonda solitudine ed un malessere interiore, una tensione costante nel sentire di dover aderire al “Codice dei Ragazzi”, come lo chiama l’autore, quattro imperativi fondamentali che alimentano lo stereotipo maschile: (1) “sii forte” (mai mostrare debolezze, dire sempre che va tutto bene, recita sempre), (2) “spacca tutto” (il mito dell’eroe che affronta i perigli più estremi per ciò in cui crede, per cui i ragazzi non devono mai tirarsi indietro dall’infilarsi in situazioni o attività pericolose), (3) “sii carismatico” (il mito del “cool”, di chi non ha paura, di chi ha sempre la risposta pronta, di chi non fa mai figuracce) e (4) “niente roba da femmine” (e non c’è bisogno di aggiungere altro). Il testo parla di molti modi in cui questo codice si manifesta, e di come la società, ma anche i genitori, non volendo magari, alimentino questo codice. E credano in questo codice loro stessi: un episodio nel libro parla di una madre che, anche sospettando “per istinto” che ci fosse qualcosa che non andava, tuttavia assecondava il primo comandamento del “codice” e continuava a autoconvincersi che fosse a posto. La conseguenza primaria dell’adesione incondizionata al “codice” è questo crescere i ragazzi come uomini in miniatura, nel separarli precocemente dalla dimensione emotiva, che deve essere sempre mantenuta sottochiave. Dopotutto boys don’t cry.  Salvo poi chiedere loro di recuperarla questa dimensione tutta d’un botto, quando diventano padri a loro volta. Il processo non è semplice, e la chiave sta ancora una volta nel rompere il “codice”, ad esempio, per noi donne, accettare che esista anche un altro modo per concepire l’accudimento, oltre a quello materno, che è non solo altrettanto valido, ma spesso importante e indispensabile, così come ci teniamo a dire che esiste un altro modo, oltre a quello maschile, per concepire il mondo del lavoro e la società. Ed ecco dove il rifugio dei papà può diventare davvero una rete di supporto, e non solo una nota di colore.

Il libro ha per sottotitolo “salviamo i nostri figli dai falsi miti maschili” e si basa su una ricerca di molti anni in cui l’autore, in buona sostanza, ha ascoltato. Ascoltato incessantemente i ragazzi parlare, di loro stessi, delle loro famiglie, delle loro paure, delle loro aspirazioni. Alcune conversazioni fanno davvero pensare. E qui non posso non fare un appello accorato, come madre di due boys, alle madri e padri di girls fra voi. Spesso sento discorsi su cosa volete insegnare alle vostre bambine, e come ex-bambina a mia volta non posso che gioire e fare il tifo per questa nuova generazione di ragazze che si preannuncia così magnifica e vitale. Ma al contempo, vi prego, non abbandonate i nostri boys, non li ostracizzate, non insegnate alle vostre ragazze a “diffidare” per principio, a pensare “i ragazzi sono così, lasciali stare”. Imparate a conoscerli, se non avete un boy sottomano in famiglia, procacciatevene uno (hehe) e allenatevi a guardarlo fisso negli occhi, statelo a sentire, abituatevi al suo linguaggio, fate un dribbling mentale fra tutte le chiacchiere sconclusionate che è capace di tirar fuori dal minimo spunto, e ascoltatelo per davvero, e se lo sentite, il “codice”, affiorare, cercate attentamente anche quella fiammella triste, in fondo in fondo agli occhi, e soffiate per spegnerla. E abbracciatelo, forte.

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19 thoughts on “Il rifugio dei papà”

  1. @supermambanana, quando il mio capo a una festa mi chiese di servirgli del gelato perchè “è un lavoro da donne”, io gli risposi “sono convinta che con un minimo di impegno ce la puoi fare anche tu”… entrambi con sorrisetto ironico, s’intende. Sono perfettamente d’accordo che quello di denigrare gli uomini sulle faccende di cura e su qualunque altra cosa sia un atteggiamento molto poco femminista, così come sono convinta che molti si autodenigrino solo per essere lasciati in pace. E mi dà fastidio.
    @Marcella forza e coraggio. Quando mio nipote aveva 12 anni mi venne a raccontare che era un pò preoccupato della sua reputazione fra i coetanei. Era amico di troppe ragazze e non era abbastanza cool, le ascoltava, si dedicava troppo. Io scoppiai a ridere e gli dissi che nel giro di qualche mese avrebbe avuto la fila dietro, e che dopo le ragazze sarebbero arrivati anche i maschi a chiedergli amicizia e complicità. Lui ci pensò un pò e poi mi disse che in effetti aveva un sacco di pretendenti e i suoi amici nulla. Meditate, gente…

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  2. Bellissimo post!
    Forse sarò off topic, ma gli addetti marketing (so che alcuni bazzicano anche GC) si potrebbero rendere conto che questi stereotipi hanno stancato?
    Non parlo solo degli spot per bambini, ma di qualsiasi genere: c’è lo spot del deodorante per ambienti che si aziona da solo, ma il marito non capisce che il coso spruzza ogni 20 minuti e stà lì come un allocco a sbracciarsi, finché la moglie non schiaccia il pulsantino e lo guarda con sufficienza.
    Ci sono gli spot di prodotti per donne che però hanno come target gli uomini (fessi, naturalmente), come spiegare altrimenti lo spot della biancheria intima con modelle inarrivabili? Io non la comprerò mai perché se mio marito ha quell’immagine nella testa e poi vede me, vabbè che l’amore è cieco…
    Ecco, capisco che la pubblicità deve essere sintetica, però magari uno sforzo in più si può fare, no?

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  3. Eccomi con le lacrime agli occhi, mamma di un dodicenne maschio fuori dagli schemi. Dolce, sensibile, curioso del mondo e che tenta di giocare a calcio solo per sentirsi un po’ più simile agli altri maschi.
    A lui piace la musica, la scienza, la storia; non aderisce al“Codice dei Ragazzi: “sii forte”, “spacca tutto”, “sii carismatico”.
    Ma è difficile se intorno a lui il “codice” è un must, se si sente preso in giro per non essere un asso nel calcio o nel fare a botte o nell’avere sempre la risposta pronta dei tipi simpatici.
    E non basta dirgli che è meraviglioso così, che non deve essere uguale a nessuno, per spegnere quella fiammella triste in fondo agli occhi.

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  4. ma infatti Barbara, proprio per quello in molti dicono che la denigrazione e’ in effetti anti-femminista, perche’ sottolinea un “per forza non siamo buoni, non sono cose per noi!” ed e’ comoda, perche’ ti offre un perfetto alibi per non fare la prova. Non che sia un atteggiamento esclusivo, e un po’ quando senti dire da certe persone (in questo caso donne specialmente) “ah, io delle macchine non capisco niente”, oppure che si mettono in atteggiamento difensivo davanti alla tecnologia, o alla matematica, non e’ per me! si stanno denigrando da soli, pero’ si stanno anche dando una scusa per non approfondire la questione

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  5. Sono totalmente d’accordo con tutto. Io però vedo molte situazioni di uomini che paiono non sentire fastidio dall’essere denigrati, basta che non gli si rompa le scatole con sveglie notturne, pannolini puzzolenti ed esigenze infantili che scavalcano le loro. Insomma io di uomini così ne vedo ancora tanti. Sono dalla parte dei padri, zii, nonni high care, li capisco e mi incavolo insieme a loro per episodi come la pubblicità di cui sopra (orrenda, la prima, in effetti, anche perchè le madri mica andavano a lavorare, no, facevano la manicure, sport, si rilassavano…) ma mi trovo mio malgrado in mezzo a gente che ne riderebbe, di quello spot.

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  6. Marzia, e Sara, si anche i miei sono ancora piccoli, paffutelli, e felici. Ma l’adolescenza non e’ lontana, ed e’ li’ che comincia l’agone, ecco. Speriamo vah.

    Close, quanto e’ vero, e quanto mi sento a disagio questo modo di essere “femminista”.

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  7. i maschietti a volte sono demonizzati, questo è vero, e soprattutto di pensa che “tanto..sono maschi”, cioè se anche c’è un barlume di bellezza crescendo la perderanno. io non l penso. i miei maschietti sono bellissimi e felicissimi. se sono tristi non dipende da loro essere maschi ma dalla vita in generale

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  8. Questo post ti dà il colpo di coda. Tu sei lì che pensi si stia facendo della sociologia, che ti si diano informazioni da donna di scienza come è la supermambanana e ZAN! Sul finale arriva la stoccata alla mamma-di-maschio. E la mamma-di-maschio lì si trova con la lacrima all’occhio.
    Insomma, io un po’ condivido l’esordio di mammamsterdam… se non fosse che se le mie due co-rubricanti mi si mettono ad insultarsi, qui finiamo male!

    Ellegio: “ché le maestre sono imprevedibili, e magari potremmo scoprire che anche i mercati lo sono, non so”. Ecco, io lo dico da un pezzo anche parlando con quelli là del marketing, che qualcuno ne conosco. Stupiteli i mercati, diamine! La gente è meno prevedibile di quello che pensate voi, conformisti! Dategli un po’ di fantasia, che magari vi accorgete che vendete due biscotti in più!

    Close: “io trovo preoccupante anche il discorso che si è affermato strisciando secondo cui le donne sono moralmente superiori agli uomini… finisce seriamente con l’infantilizzare gli uomini… almeno in alcuni settori della vita.” No, dico, ma che bei lettori che abbiamo!
    Ma quando svalutiamo i maschi adulti (mariti, compagni, colleghi, superiori, sottoposti,…) ci accorgiamo che svalutiamo un po’ anche i nostri figli? Che messa così ci penseremmo due volte prima di dare dell’inetto a un uomo.

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  9. A parte il fatto che mi ha fatto scompisciare il commento di Mammamsterdam, anche io penso che questo sia un post prezioso…
    Non so voi, io trovo preoccupante anche il discorso che si è affermato strisciando secondo cui le donne sono moralmente superiori agli uomini. Sono a metà del libro di Elisabeth Badinter e ho finalmente potuto dare un nome alla psicologa che ha impostato per prima questa teoria: Carol Gilligan. Qesta teorizzazione della maggiore maturità e insomma responsabilità delle donne diventa speculare alla teoria dei cervellini che circolava nell’800 e finisce seriamente con l’infantilizzare gli uomini… almeno in alcuni settori della vita.

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  10. Ogni parola di questo post e’ da tenere, rileggere, tirar fuori al momento giusto. Per ora mio figlio non segue alcun codice, sta fuori da qualsiasi obbligo ‘di gruppo’, magari non aiuta la sua vita sociale ma lo tiene ‘neutrale’ rispetto agli stereotipi di genere. Pero’ ne vedo tanti, la divisione maschi/femmine nei giochi dell’intervallo e’ più rigida di quanto non fosse 35 anni fa nella mia scuola, accade solo a noi? E questo non lo comprendo, e’ un mio limite. Leggero’ anche Ragazzi Veri e proverò a capirne di più, mi rendo conto di non essere abbastanza pronta alla gestione del ‘codice’, se si presentassero i segni.

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  11. UFFAA, rettifico, Italia: donne CINQUE ore e 41 minuti, uomini 97minuti. Basta, vado a lavorare che e’ meglio.

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  12. @mammamsterdam :-PPPPP

    @lanterna, vero, ma e’ anche vero che e’ quel “a modino” che a volte ci frega. Il testo che citavo menziona il pericolo delle madri “gatekeeper”, le madri a guardia del cancello, che inconsciamente fissano gli standard della cura per loro e per i partner, tipo ogni volta che dicono al partner “non lo tenere in braccio cosi’ puoi fargli male” (e chi di noi non lo ha detto neanche una volta?) 🙂

    @LGO e c’hai raggione, porca miseria, volevo dire AL GIORNO, non alla settimana, sgrunt! I dati vengono da uno studio comparato al “Centro per la Ricerca sull’Uso del Tempo” (ebbene si, esiste anche questo) dell’Universita’ di Oxford, chi e’ interessato puo’ contattarmi e posso passare la pubblicazione (che non metto on-line per ovvi motivi di copyright, e’ sulla rivista scientifica “Sociology”). Per curiosita’, i dati raccolti riguardano molti Paesi, e sulla stessa statistica l’Italia annota un 3ore e 41 minuti per la donna al giorno, contro i 97minuti per l’uomo.

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  13. Io l’impressione che il mondo visto dalle pubblicità sia abbastanza lontano dal mondo vero ce l’ho in generale, mica solo sui padri. Non faccio quel mestiere lì, ma forse osservare quello che ci succede intorno invece di rappresentare non si sa cosa sarebbe un esercizio più interessante (un po’ come quelli che a scuola facendo i temi non scrivevano quello che pensavano ma quello che avrebbe fatto piacere alla maestra, hai presente? sbagliato, poi, ché le maestre sono imprevedibili, e magari potremmo scoprire che anche i mercati lo sono, non so).
    (Per alleggerirmi il peso di preparare al futuro i boys e le girls che mi girano per casa, mi concentro su dettagli marginali: ma se gli uomini dedicano al lavoro domestico 2 ore e 28, e le donne 4 ore e 40, per un totale di 7 ore e 8 minuti a settimana, il resto chi lo fa?)

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  14. Clap clap clap!
    Io oltretutto li capisco, ‘sti padri volenterosi ma pasticcioni, perché io sono così: l’importante per me è che i bambini stiano bene, se poi le cose non sono fatte a modino come vorrebbe la mamma del parchetto chisse.
    La differenza tra me e mio marito è che io, se mi sento inadeguata, tendo a rinunciare, mentre lui dice “che problema c’è?” e si butta, forte anche della maggiore prestanza fisica (se io dovessi portarmi uno zaino con tutto l’occorrente giornaliero per un bambino di 6 mesi, mi spaccherei).
    Se lui non fosse così, non avremmo fatto un sacco di cose che sono felicissima di aver fatto.

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  15. Stronza. Io già sto messa come sto messa con questo codice maschile degenerato che stiamo cercando di rompere per i miei di boys, soprattutto in questi giorni, e tu mi tiri fuori questo finale. Che mi fa tanto bene perché mi rafforza nell’ idea che stiamo facendo la cosa giusta. Ma io sono una girl e questo mondo maschile di battaglie a calci nello stomaco, minacce e stronzate non lo reggo. Cioè, io sto qui che cerco di non piangere mentre vorrei spaccare tutto e so di non poterlo fare perché devo dare l’esempio. Le parole giuste nel momento in cui ne ho bisogno, direi. Grazie Flo.

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