Il genitore del bimbo di talento

talenti_bambiniE così è arrivata. Una piccola civetta ha infilato una letterina nella buca della porta del numero 7. La letterina era indirizzata personalmente a Boy-one. Abbiamo aspettato che tornasse da scuola così ha potuto aprirla e leggerla da solo. Si è girato di spalle e ha letto saltando i paragrafi dei preliminari, andando dritto al punto. “Yes! I made it!”, ha esclamato con gli occhi che brillavano.

Facciamo un passo indietro, di un anno circa.

Un pomeriggio di febbraio dell’anno scorso, Boy-one torna a casa con la notizia che la sua insegnante di musica vuole cominciare un corso di clarinetto a scuola, da svolgersi nell’intervallo del pranzo, una volta a settimana. E lui annuncia che lo vuole fare. Il Mister e io siamo dubbiosi, in fondo la musica la stanno già imparando per gioco, il Mister sono un paio d’anni che così, per divertimento, gli ha insegnato le basi, seguendo un metodo per bimbi che, scientifico come sempre, si è cercato e procurato, e sanno fare dei pezzi sul pianoforte che abbiamo in casa. Per scelta non ci siamo mai messi nella situazione di portare i figli a destra e a manca per le classiche attività extrascolastiche, la nostra filosofia finora è sempre stata se ci si può arrivare senza stress, preferibilmente a piedi e di sabato, bene, sennò niente, ogni ora insieme conta, e la sera dopo la scuola si gioca tutti insieme o si legge, o si guarda qualcosa di selezionato in TV. Certo i boys hanno partecipato con entusiasmo ad attività offerte dalla scuola (tante, per fortuna) durante od oltre l’orario scolastico, e questo caso rientrerebbe nella categoria, ma poi bisogna praticarla la musica, e insomma, aggiungere anche questo, le giornate sono piene, eccetera eccetera, per dire che titubiamo parecchio. Boy-one è determinato invece, non ci sta, io e il Mister cerchiamo di mandarlo di là perché vogliamo parlarne un po’ fra noi, ma lui presidia la cucina e dice “ora voi due vi sedete qui a tavola e parliamo” (giuro, ha detto proprio così) e insomma per farla breve lo iscriviamo al corso e ci procuriamo un clarinetto di seconda mano.

L’insegnante, già alla quarta lezione, è folgorata. E anche noi, in realtà, ci rendiamo conto ben presto che qualcosa di speciale sta succedendo, anche se per carattere e natura (e anche per sano cinismo scientifico) è sempre stato difficile per noi lasciarci andare a questo tipo di affermazioni. Quindi, osserviamo, cercando di restare obiettivi, e attenerci a quel che dicono i fatti. Fatti che comunque sembrano gridare chiaro e forte, più che parlare.

Ma torniamo alla civetta.

Sotto consiglio dell’insegnante di musica, un paio di mesi fa la famiglia al completo decide di far visita ad Hogwarts. Questo ci è sembrato, entrando, il Royal Northern College of Music, di Manchester. Lì fuori c’è il mondo “normale”, qui dentro c’è un universo parallelo, fatto di ragazzi e bambini con una luce diversa negli occhi. Sì perché di sabato, quando le lezioni universitarie della settimana sono in pausa, il “Northern”, come viene affettuosamente chiamato da tutti qui, apre le porte ai bambini. Decine di bambini, dagli 8 anni in su, provenienti dai bordi della Scozia, fino giù nelle Midlands, selezionati personalmente dalla direttrice-Dumbledore, che conosce tutti uno per uno, dal più piccolo al più grande, si mettono in macchina la mattina del sabato, e macinano in alcuni casi anche 300km di guida per essere consegnati per un giorno nelle sapienti mani dei grandi maghi e streghe di Hogwarts e imparare incantesimi mirabolanti.

Il giorno della visita abbiamo potuto ammirare qualcuno di questi incantesimi: novenni che ci hanno emozionato con un assolo di violino, tredicenni che improvvisavano del jazz, quindicenni col piglio di orchestrali consumati che facevano ascoltare i loro arrangiamenti di pezzi famosi. Tutti con la stessa luce negli occhi. Abbiamo guardato negli occhi Boy-one, per capire se ci fosse anche in lui la stessa luce, ma solo la direttrice-Dumbledore, che vuole ascoltarli personalmente uno per uno, solo lei possiede il cappello magico, il Sorting Hat. Boy-one ha quindi prenotato un’audizione, si è recato ad Hogwarts, armato del suo fido clarinetto, e dei pezzi di piano che nel frattempo aveva imparato in questi anni, sereno, sempre lui, sempre il solito Boy-one, mai stressato, ma determinato, ed è entrato, da solo, nello studio della direttrice, per indossare il cappello magico. Ne è uscito dopo venti minuti, ed è cominciata l’attesa, perché ce ne sono tanti di bimbi, e tante audizioni. Tre settimane di audizioni, tutti i giorni della settimana.

E poi, finalmente, l’altro giorno, la civetta è arrivata. E a settembre prossimo, Boy-one andrà ad Hogwarts.

The end.

Perché sto raccontando questa storia, e soprattutto che c’entra col tema del mese?

Perché tutta la vicenda mi ha insegnato una o due cosette sulla genitorialità che vorrei provare a condividere con voi.

1. Può capitare anche a te! Ho sempre pensato che queste storie non mi appartenessero. Cioè, dai, andiamo, sono io, no? Ma ti pare che io… che noi… che lui… Nel giorno della visita al Northern, la direttrice ha tenuto un discorso di benvenuto, dove ha parlato un po’ dei bimbi, di quello che fanno, di quello che viene chiesto loro, di come devono imparare a gestire la cosa in autonomia (nessun imboccamento col cucchiaino, qui, anche i piccoli devono prendersi le proprie responsabilità), seguito dalle performances di alcuni alunni. Io ho ascoltato lei, ho applaudito loro, e il primo pensiero che si è affacciato nella mia testa è stato: “vabe’, sono anni luce avanti”. Cioè io avrei pensato questo se al posto di boy one ci fossi stata io. Non è alla mia portata, queste son cose che accadono nei film. Poi ho guardato boy one, seduto al mio fianco, che osservava quei bimbi, non con uno sguardo intimidito o di inferiorità, ma come uno che crede che, si, ora loro sono bravissimi, ma se mi ci metto, ce la posso fare anche io. E allora tu, genitore, ci devi un po’ credere. Non nel senso di sognare ad occhi aperti, o di spingere avanti i tuoi figli perché vuoi che diventino qualcuno e tutte queste scemate che noi grandi sappiamo concepire così bene nelle nostre menti piccole e insulse, no, ci devi credere con gli occhi di un bambino di 9 anni, che guarda e vede e ci crede che sì, si può fare. La magia sta tutta lì. A volte noi grandi ci facciamo frenare dal nostro stesso scetticismo, e non è giusto che lo ereditino i nostri figli. O ci facciamo trasportare dalle nostre stesse ambizioni, e anche questo non è giusto. Io ho imparato a sedermi in disparte e osservare, se la magia c’è, si paleserà prima o poi, e non bisogna interromperne il flusso.

2. Il talento non viene gratis. Insieme a quello di cui al punto uno, questo è anche un bel pezzo di mito da sfatare. Chiaramente boy-one ha talento. Ma questo non significa che lui non debba lavorare sodo per tirarlo fuori, che si sieda al piano, o imbocchi il suo clarino, e le sinfonie escano fuori senza sforzo alcuno. Certo pare ovvio, ma val la pena ricordarlo, perché a volte ho l’impressione che si pensi che se ci vuole sforzo per far qualcosa, allora non ne vale la pena, quello dotato, quello “portato” è quello che ci riesce al primo colpo, e lascia tutti a bocca spalancata, wow. Beh, no, questo, di nuovo, succede solo in televisione. Ci vuole sforzo, il che significa anche che boy-one non è questo bambino un po’ fra le nuvole che aaahhhh la musica è tutta la mia vita, non mi posso staccare dal mio clarinetto o ne soffro fisicamente. No. Affatto. Boy-one è un bambino che gioca, che legge, che litiga col fratello, che va alle feste, che gioca a pallone, che va a nuotare, che fa a palle di neve. E che, anche, suona. Spesso, perché ha l’estro – ora che anche suo fratello suona, non sono rari i momenti in cui si piazzano agli strumenti, così, per gioco, per tirare su gli accordi di una canzone degli One Direction (si, lo so, no comment) per esempio. Ma spesso, perché gli ricordiamo che deve suonare, e lo deve fare tipo dovere quotidiano, un po’ come i compiti scolastici. È su questo punto che tipicamente ci si scontra. Perché capita alle volte che non voglia suonare, non voglia fare queste noiosissime scale ogni giorno.  A volte si urla, a volte si piange. Proprio come succede per la questione compiti scolastici. E, non a volte, ma tutte le volte, significa che noi dobbiamo sederci con lui, per un bel po’ di tempo ogni sera, per fare le cose insieme, insomma, si lavora, lui e noi, parecchio, il mister ad onor del vero più di me, visto che lui conosce la musica e può seguirlo meglio. Anzi, seguirLI ora, che sono in due. Il tempo da investire è davvero tanto.

3. La solitudine fa compagnia. E mi aggancio alla fine del punto precedente, perché potrei ora elencare una per una le perplessità che possono stare passando per la mente di chi legge in questo momento, primo perché le ho sentite rivolte verso di me, e secondo perché sono le stesse perplessità che avrei io se fossi dall’esterno e osservassi la mia famiglia. Se deve essere un sacrificio per lui, che senso ha? Se non si diverte, che senso ha? I compiti sono diversi, quelli sono per la scuola dell’obbligo, ma questo? Non sarebbe meglio si godesse l’infanzia? C’è tanto tempo per lavorare, fatelo giocare ora. Questi poveri bimbi sbattuti a destra e a manca, ma l’ozio allora, le qualità insostituibili del sano ozio dei bambini? Siete sicuri che non stia cavalcando un vostro sogno, non stia realizzando un’aspirazione vostra? Siete, insomma, genitori arrivisti? Ci sono tante risposte che potrei dare, perché queste domande sono le mie domande, tutte, una per una. Potrei darvi tantissime altre argomentazioni, ma la verità è che una delle cose che più ci ha convinti sul Northern-Hogwarts è stato parlare con gli altri genitori. Che uno appunto si immaginava tutti arrivisti, una serie di Mamme e Padri Tigre con le zanne sguainate e l’obiettivo finale della Filarmonica di Londra bene fissato davanti a loro, o questo o niente. E invece no, il sabato, mentre i maghetti e le streghette sono immersi nelle loro lezioni, i genitori si ritrovano tutti nell’atrio/ristorante, tipicamente tirano fuori un libro o il laptop, e aspettano. E aspettando, chiacchierano, e capisci che le perplessità sono sempre le stesse, che i problemi sono tutti uguali, che tutti, anche il violinista eccezionale che avevi appena ascoltato, la mattina non vogliono fare le scale, ma che comunque tutti (e, annotiamo nel nostro cuore con sollievo, anche boy-one fra tutti) ogni volta che vengono presi in disparte, e fra una coccola e l’altra gli si chiede come va, sei stanco, vuoi mollare, guarda che non c’è niente di male, non preoccuparti, rispondono sempre con un moto inconfondibile dell’anima che NO! MAI! Non togliermi la musica, a questa cosa non ci rinuncio. E allora ha senso tutto, anche il tuo spronarlo sulle scale. Ed è bello sapere che tu genitore non sei solo, anche se soltanto dentro Hogwarts. Ma esiste un altro aspetto di questa “solitudine”: chiaramente tutti questi bimbi hanno una passione che non riescono a condividere con la maggioranza dei loro amici. Non solo musica, può capitare per varie passioni, uno sport, un hobby, l’informatica, la matematica, la scrittura, qualsiasi cosa. E capita che dopo aver finito di parlare di cartoni, One Direction e calcio, si possa voler condividere anche l’ebbrezza di un’acciaccatura sulla sonatina di Beethoven. Ma ovviamente, viene complicato, in quarta elementare. Viceversa, Hogwarts è un posto dove si può, dove ci sono altri bimbi come te che lo capiscono, e annuiscono convintamente. Io penso che sia importante per boy-one che questo posto esista, e che lui ne possa fare esperienza: penso sia importante che i ragazzi con un talento sappiano che non sono “strani”, almeno tanto quanto per i loro genitori è importante sapere che non sono soli.

4. C’è differenza fra supportare e spingere. Lo spettro del “ma staremo facendo bene?” non credo ci lascerà mai. Ma come spesso accade nella genitorialità 2.0, quando l’anima diventa troppo pesante, google is your friend. Nella ricerca di consigli su come gestire i bambini di talento senza essere invadenti o stressanti, questa distinzione, fra supporto e spinta, fra coltivare e forzare, ci ha convinti. Posso coltivare un talento, facendo in modo che il bambino ne possa sviluppare tutte le potenzialità, e questo non è spingere, non è forzare. Diventa forzare se cerco di bloccare qualsiasi altro input, se questo diventa il fulcro intorno al quale tutta la vita del bimbo deve necessariamente girare (“non giocare a pallone che ti puoi spezzare le dita e poi come suoni? Non ti raffreddare, sennò come canti? Non puoi andare alla festa perché non hai finito di studiare il tuo pezzo oggi!” eccetera). Ma, posto che lo sviluppo del bimbo e le esperienze che gli vengono fornite rimangono in sintonia con la sua età, allora evitare di supportare il talento è altrettanto deleterio. Di più! Non supportare il talento sarebbe, per me, da irresponsabili. Accontentarsi di dire che si, i miei bimbi sono geniali, e non fare nulla per stimolare, usare, sviluppare questo genio, sarebbe, per me, non fare il mio dovere di genitore fino in fondo, come se decidessi che visto che il mio unenne ha tanto tempo per camminare in vita sua poverino, meglio tenerlo nel passeggino ora, così si riposa. Anche perché il nostro concetto di riposo, e di stanchezza, è molto molto influenzato dalla nostra esperienza di adulti, fermare un cervellino di 9 anni in pieno moto non è farlo riposare, è farlo frustrare. Ed è importante instillare in un bimbo di 9 anni il concetto che le cose, se si fanno, si fanno “bene”, che l’impegno non è tantissimo (a lui chiediamo di far pratica con lo strumento per 20 minuti al giorno, non è tantissimo, tutto il resto della giornata lo può gestire a piacimento, visto che non hanno compiti quotidiani qui in UK) ma è un impegno, e va mantenuto con responsabilità.

5. Ma se il talento non ci sta? Come dicevo prima, ora anche boy two è entrato nel vortice, oltre al piano che sta studiando con il padre, a scuola hanno cominciato quest’anno anche un corso di violoncello, e lui ci si è voluto iscrivere. Su boy two diciamo che avremmo scommesso di meno, nel senso che se il primo è quello artistico, quello che canta da quando è nato, quello che si tuffa nei libri e se li macina per ore al giorno, boy two è quello scientifico, quello delle ripetizioni, quello anche un po’ timido, figuriamoci se si esibisce in pubblico. Manco a dirlo, una chiacchierata con l’insegnante di violoncello ci rivela che il piccoletto sta navigando a gonfie vele, a sette anni è entrato nella piccola orchestra che hanno a scuola, il più piccolo del gruppo. Era anche lui talentuoso, e non ce ne eravamo accorti prima? Non abbiamo avuto con lui l’effetto wow che avevamo avuto con il grande. Oppure semplicemente sono stati due bimbi stimolati su qualcosa che li ha coinvolti, “regalare” la musica a questi bimbi è stato davvero un dono che hanno saputo cogliere, e che il mister ha saputo trasmettere. La musica terrà loro compagnia per sempre, anche il mister quando è triste, o bloccato su un teorema, si prende la chitarra e suona. L’altro giorno boy one, cantando il ritornello di “Thank you for the music” degli Abba (un pezzo che ora non riesco a non sentire senza che mi venga la pelle d’oca, specie se cantata dai boys), si ferma, si gira verso suo padre, e dice “davvero, daddy, thank you for the music!“.  Forse, dunque, anche aspettare che si manifesti il talento, anche quello è un alibi, anche quello non è una buona prassi genitoriale? La musica nel nostro caso, ma per esempio conosco un bimbo che si è messo a scrivere perché il suo papà lo ha ispirato a partecipare, come lui fa ogni anno, al NaNoWriMo la sfida “scrivi un libro in un mese” organizzata ogni Novembre. La musica, la matematica, la letteratura, l’arte, tutto ciò che vi viene in mente, sono forse tutti regali che dobbiamo poterci permettere. Mi accorgo che spesso quando i bimbi sono davvero piccoli ci si accanisce con millemila attività interattive, studiate appositamente per sviluppare e questo e quello, il linguaggio, il camminare, lo svezzare, l’indipendenza, le prime letture… Perché però si smette non appena diventano più grandi? Mica è un compito con una data di scadenza questo.

In uno dei mille momenti di dubbio, il mister postava su facebook uno sfogo del tipo, non staremo tirando su dei bimbi “diversi”, con tutte le convinzioni ecologiche e simili che imponiamo loro? L’insegnante di clarinetto, che nel frattempo è diventata nostra grande amica e confidente, rispondeva che, posto che comunque qualsiasi cosa un genitore faccia sbaglia (eggià!) da quello che vede a scuola entrambi i boys sono molto a loro agio, sanno divertirsi con gli altri bambini e, soprattutto, “they smile a lot!”. Sorridono molto, con gli occhi e con le labbra. E questo, porca miseria, deve valere qualcosa!

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22 thoughts on “Il genitore del bimbo di talento”

  1. È il primo tuo articolo che leggo. Non so altro di voi se non quello che è scritto qui sopra. Credo che i vostri siano i famosi bambini “normali”. Perché avere dei talenti è normale, tutti ne hanno. Però i genitori e le scuole spesso questi talenti e le passioni non li coltivano e non seminano stimoli e non si da ai bambini fiducia. il famoso esperimento dell’effetto Pigmalione parla chiaro. Quindi poi da bambino “normale” si diventa bambini “al minimo”, sacrificati in un certo senso. Bambini come i vostri spiccano ma dovrebbero essere la norma, che invece è quella dei bambini “al minimo” che sono la stragrande maggioranza. Senza nulla togliere ai vostri bambini, loro sono i rappresentanti di un’infanzia libera e liberata vissuta e cresciuta nell’amore e nel rispetto. Grazie per il rispetto con cui trattate la vostra famiglia.

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  2. Mi sono commossa… ed è stato bello ritrovare tutti i dubbi che spesso affiorano anche nella mia mente… sono una di quelle mamme che, a quanto pare, ha una figlia dotata. Anzi, sembrerebbe due. di quelle che la maestra dell’asilo ti prende in disparte e ti consiglia caldamente di mandarle a scuola. A 4 anni. Perchè sono pronte. E tu ti domandi, e ci passi la notte sveglia, se sia giusto toglier loro un anno di gioco, caricarle della responsabilità dei compiti quando gli amichetti si rincorrono in giardino. In fondo, devi forse dimostrare qualcosa a qualcuno? E chi la vuole una figlia etichettata come “genio”? e le mamme degli amichetti che ti dicono: sei matta? poverina, a scuola a 4 anni? E poi vuoi mettere, la comodità di non doversi sedere a fare i compiti con loro, almeno per un altro anno?
    Ecco, è come avere mille mani che ti tirano per la giacca, in direzioni diverse. E poi la maestra che ti rassicura e ti dice che vedrai, andrà tutto bene, e tua figlia che ti chiede, e insiste ogni giorno per andare a scuola e abbandonare la materna.
    E così con la prima, abbiamo detto sì. Ed è andata bene. Ci sono stati momenti di sconforto e di rabbia, ma chi mi dice che non ci sarebbero stati se l’avessi mandata a 6 anni compiuti? Lei è felice, la maestra mi dice che vorrebbe una classe di 24 Anita…
    Non ho “dimostrato niente a nessuno”, come sono stata spesso accusata di voler fare, ma a distanza di tre anni penso semplicemente di aver assecondato una inclinazione per lo studio e la conoscenza che lei aveva e aspettava di potersi sviluppare, e di fatto, credo di averla resa più felice. Ora il problema si ripropone con la nana n.2, e di nuovo i dubbi affiorano, perchè tutti i bambini sono diversi e ciò che è valso per la sorella maggiore potrebbe non essere vero per la minore. E se sbagliamo?
    In conclusione di questo lunghissimo commento, per il quale mi scuso, ci terrei a dire che le mie sono bambine assolutamente “normali”: bambine che giocano, il più possibile all’aria aperta, che vogliono le coccole della mamma, che fanno tanto sport… che vivono appieno la loro infanzia.
    Grazie per avermi dato uno spunto per parlare di questo argomento che mi sta molto a cuore!

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  3. Ciao!
    Vi leggo spesso, ma questa volta mi sono proprio emozionata! In bocca al lupo a tutti per la strada che avete iniziato, sarà di sicuro bella!
    Ho due bambine di 4 e 3 anni; la grande ha una spiccata attrazione per il linguaggio, la scrittura e simili e ora, grazie alla nonna che ha una vecchia tastiera, prova anche a schiacciare qualche tasto. Mi piacerebbe molto che le mei figlie si appassionassero alla musica: quando avevo 9 anni mia madre provò a farmi prendere lezioni di piano, ma, pur riuscendo bene, io non ero particolarmente appassionata e così smisi. Ora sono pentita: mi sembra che mi manchi una grossa fetta di qualcosa di bello. E mi chiedo: da un lato è giusto assecondare le attitudini dei propri figli, ma dall’altro, forse, con un minimo di insistenza (senza ovviamente stressare, si potrebbe fare loro dei grandi regali. Come fare? E’ una domanda a cui non ho ancora dato una risposta.
    A presto!

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  4. Ho tentato per tre anni di far fare danza a mia figlia….mi sembrava una cosa naturale da proporre visto che in casa non fa altro che volteggiare e ballare. Esito: nulla…niente…anzi come ha visto l’insegnante sgridare le bambine per il loro specchiarsi frequente, ha deciso che quel corso proprio non faceva per lei.
    Non ho insistito…
    Poi un bel giorno esce fuori il corso di propedeutica musicale!! Fa una prova di sua iniziativa…e ora lo vorrebbe tutti i giorni. la sua insegnante è entusiasta e mi ripete come sia svelta ad apprendere tutto per i suoi 5 anni e mezzo, e come non abbia mai un tentennamento su un esercizio o su una nota…
    Credo che con un po’ di attenzione i bimbi ci lancino continuamente dei messaggi,e che le loro potenzialità vengano fuori comunque prima o dopo…ma che sia fondamentale un ambiente propositivo e ricco di possibilità. Se sarà un talento o no lo vedremo con il tempo…intanto spero si diverta!

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  5. E’ emozionante questo post! grazie per averlo scritto!!
    io ho suonato e suonato, da ragazzina, non lo sentivo come impegno, soffrivo se stavo lontana dalla mia chitarra classica (… poveri vicini) la passione era così forte che lo desideravo sempre, il mio maestro diceva (agli altri, non a me, infatti l’ho saputo di recente!) che avevo l’istinto per la perfezione, lo scrivo con un filo di vanità, peccato aver smesso in un momento difficle per la mia famiglia.
    Ieri la mia bimba grande (quasi anni) che fa già musica con un piccolo coro ha ascoltato a scuola una fiaba musicale, i musicisti erano dei bambini di 8,9 10 anni, ed è rimasta folgorata. A letto prima di dormire ha chiesto: ‘mamma, lo compriamo un pianoforte?io voglio imparare’ e io ne ho voglia quanto lei

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  6. Dimenticavo un dettaglio tutt’altro che irrilevante: è stato determinante nel farci capitolare nelle giusta direzione il racconto di una lontana parente, reincontrata per caso un Natale. Neurologo, ha due figli ormai grandi che hanno continuato ad affiancare lo studio di violino e violoncello al normale curriculum scolastico, fino al liceo. Le sue informate parole son state: ‘Grazie al fatto di averla assorbita con la musica, la matematica se la sono fumata con assoluto agio e velocità’. Auguri ai maghetti, per il sentiero musicale e tutto il paesaggio al contorno.

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  7. Complimenti per l’articolo, che ho apprezzato davvero tanto in tutti i punti che hai posto all’attenzione.
    Non ho molto da aggiungere se non ricordare a me stesso che il percorso che faccio mio rispetto ai miei figli prevede da una parte il desiderio che cresca in loro quell’autostima necessaria per essere sereni di fronte a se stessi. Eventualmente ad apprezzare e coltivare il talento speciale se c’è, o comunque ad amare chi si è.
    Dall’altra a non cercare per forza talenti che non ci sono: nella consapevolezza che non sono un di meno, ma rappresentano unicità. Nel senso che ogni talento credo sia un opportunità per essere se stessi e per offrire ad altri spazi di bellezza ( per fortuna esistono tanti che li possiedono). Il non averne di particolari orienta la vita non verso orizzonti di mediocrità, ma verso la scoperta di continue altri ricchezze, in se stessi e nel mondo che ci circonda. Il “talento” del saper apprezzare e ammirare.

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  8. Suono da quando avevo 8 anni e non pesavo neppure il sax. Ora ne ho 50 e sono una frana, la mia musicalità ha dei grossi limiti, ma continuo a suonare. La musica anche se non sei un talento ti farà sempre compagnia, è come saper leggere, è una cosa che ti farà sempre comodo, quindi avvicinate i bimbi alla musica anche se non saranno talenti, e poi come ci dice per boys2 mai dire mai…

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  9. E io son qui, commossa da questo post, che cerco le parole per rispondere 🙂
    Credo che la parte più difficile sia riuscire a distinguere il supportare dallo spingere.
    In famiglia siamo una fissata di letteratura, musica e teatro (eccomi) e un ex nazionale di basket.
    Ovvio che ad entrambi farebbe piacere vedere nostra figlia indirizzata verso un certo tipo di scelta. Ma è una cosa che deve, appunto, scegliersi da sola.
    Noi possiamo soltanto darle le info di base. E supportare le sue scelte.
    Il fatto di avere un insegnante di musica che organizza un sacco di cose a scuola l’ha sicuramente aiutata a scegliere un tipo di attività piuttosto che un’altra. Ora vuole imparare a suonare il piano. E prendere lezioni di canto.
    A me basta vederla felice e serena.
    E se poi il talento non viene fuori non importa.
    Complimenti per Hogwarts!! 🙂

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  10. Grazie per questo bel post e questa condivisione, che mi fa molto riflettere, soprattutto sul lasciare spazio e accogliere i talenti (impensati) dei nostri figli, e farlo “a gratis”, senza che per forza debbano diventare i numeri uno. E un pizzico di invidia per Hogwarts!!

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  11. Quando il talento è gioia che esplode e determinazione che lavora allora direi che Hogwarts è il minimo! Nel tuo racconto vedo i bambini al centro di ogni scelta e non certo i desideri repressi di genitori in cerca di riscatto. Inutile negarlo il talento e non è neppure giusto minimizzarlo, per fortuna che la vita offre più strade di quelle attese. Hai ragione a dire che il volto sorridente dei boys a scuola restituisce il senso di tutto, vale eccome come prova che il percorso che avete intrapreso è quello giusto.
    Mi è piaciuta molto la parte della solitudine che fa compagnia … spero di conoscere presto la sensazione!
    E complimenti ai maghetti!

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  12. Sottoscrivo tutto quanto. La nostra ora settenne ci ha sfinito dai tre ai cinque e mezzo, tutti i giorni, chiedendo ‘allora quando comincio a studiare violoncello???’. Abbiamo ceduto. Abbiamo fatto benissimo. Poche settimane fa con i suoi amichetti (altre 108 creature dai 4 ai 14 anni) ha suonato la sinfonia dei giocattoli, attribuita a Mozart padre. Incredibile come si sono divertiti. Ed io pensavo: se la me stessa di qualche anno fa fosse passata fuori dalla sala del concerto, sarebbe rimasta strabiliata e/o inorridita. Avrei creduto di assistere a una performance di bambini prodigio corredata da genitori assatanati e narcisisti. Sono tutti mocciosi normalissimi, che quando non suonavano saltavano sui divani col muso marrone di cioccolata. I genitori, di tutto: dall’architetto al giocatore di rugby, dall’erede di cospicua dinastia di musicisti alla massaia che va di uncinetto. E tutti più preoccupati dalla balaustra divelta per nascondercisi dietro che dall’intonazione dell’Allegretto. Sì, le scale sono noiose. Ma ‘Mamma che bello, suono e mi vibra la pancia!’ appartiene a un ordine di grandezza infinitamente maggiore.

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  13. Articolo bellissimo che condividerò con molto piacere. Ed in effetti, giuro, la prima cosa che ho pensato quando sono diventato padre è stata proprio la responsabilità di riuscire far esprimere mia figlia al meglio delle sue potenzialità aiutandola, prima, ad esserne consapevole. Un obiettivo gigantesco, a ben guardare, se penso a quanta poca stima di sé stessa abbia ancora oggi sua madre (sempre e sistematicamente una delle migliori in qualsiasi cosa si cimenti).
    Ed è altrettano pazzesco che, alla fine della fiera, a traghettare il “genio” dei figli tocchi sempre a persone normalissime. Se non addirittura ad esperti di scialuppe di salvataggio, come il sottoscritto 😉

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  14. Io sono una di quelle che non hanno voluto mantenere l’impegno della musica, ma proprio perché la musica per me era un passatempo e non sarebbe dovuto essere un impegno: invece di studiare seriamente, avrei fatto meglio a prendere qualche ripetizione per arrangiarmi con gli accordi delle canzoni e poco più.
    La mia cosa principale era un’altra, ovvero la scrittura.
    Mio marito invece è come il tuo: la musica lo consola e gli fa compagnia, come per me la scrittura.
    I miei figli boh, forse sono ancora piccoli. Amelia ha un grande talento per la danza, da sempre, ma non ho gli strumenti per avviarla a questa disciplina senza che diventi mortificante (non voglio assolutamente che faccia danza classica, non ha il fisico adatto e temo le insegnanti fissate con la magrezza). Per ora fa ginnastica e le viene benino, ma si vede che non è la sua cosa principale.
    Ettore chissà. Ettore è un mistero. Vedo che ha genio e talento, ma non ho ancora capito per che cosa batterà il suo cuore. Forse le storie, che già ora si racconta in modo più articolato e con un linguaggio più ricco della sorella grande.
    La cosa più bella è proprio scoprirli, questi talenti.

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