La grammatica dell’elogio: un verbo è meglio di un aggettivo

E’ sempre positivo elogiare i bambini? Ecco come gratificare i nostri figli per il lavoro fatto, senza cadere nella tentazione di lodarli sempre, minando la loro autostima invece che accrescerla

Stoccolma, interno ufficio, un paio di settimane fa. Ho appena finito di presentare il risultato del mio lavoro al capo. Lui mi ha ascoltata con molta attenzione per tutta la durata, e mi ha fatto anche qualche domanda. Finita la riunione mi dice “brava! Hai fatto un bel lavoro!” e si dirige nella sua stanza. Io sorrido compiaciuta, rimetto in ordine i miei fogli, e mi dirigo nella mia stanza. Mi siedo alla scrivania e penso “ma brava di che?” il sorriso compiaciuto è sparito dalle mie labbra e ha lasciato il posto ad un vago senso di incertezza. Che signica “brava! bel lavoro!”? Ho fatto un bel lavoro di analisi? Ho fatto un bel lavoro di presentazione? Mi sono spiegata bene? Ho colto le esigenze del cliente? Cosa diavolo significa “bel lavoro!”? Ecco ora non mi sento più soddisfatta, ora mi sento anche un po’ arrabbiata. E quel “brava!” cosa mi sta a significare? Forse non si aspettava che io fossi in grado di svolgere questo lavoro? Oddio, ecco, il mio capo pensa che io sia un’idiota, incapace e per di più insicura di me, e pensa di darmi sicurezza lodandomi come una bambina. Resto nel dubbio eterno, se il mio capo apprezza veramente il mio lavoro, o se invece mi accontenta con un brava per non dirmi che faceva schifo. Per quale motivo altrimenti non avrebbe aggiunto un motivo qualsiasi per cui sono stata brava, che so, un commento più preciso su quello che ho fatto, anche solo un mi piace il colore che hai scelto come sfondo! Ecco, almeno quello. Almeno il colore!

Rifletto. Ma forse è così che si sentono i bambini quando ci mostrano i loro disegni e noi esclamiamo “bravo!”

Alfie Kohn mette in guardia nei confronti dell’elogio, in quanto rischia di essere un altro modo di manipolare i nostri figli per fargli fare quello che vogliamo noi. Mentre all’inizio ho reagito a questa affermazione, poi mi ci sono ritrovata perfettamente, quando ho capito di cosa stava parlando. E’ esattamente quello che è successo a me in ambito lavorativo. Pensiamoci un attimo. Quando lodiamo nostro figlio perché si comporta bene, stiamo implicitamente esprimendo un giudizio sulla sua persona. Stiamo dicendo “mi piaci perché fai così” il che significa anche, ovviamente, “non mi piaci quando non fai così”.
Riflettiamoci insieme.

Non mi piaci quando disegni male.
Non mi piaci quando non finisci di mangiare.
Non mi piaci quando non dici per favore.
Non mi piaci quando fai di testa tua.

Non mi piaci. E’ veramente quello che vogliamo dirgli?

Io preferirei dirgli:
Non mi piace questo disegno.
Non mi piace buttare le cose da mangiare.
Non mi piace la scortesia.
Non mi piace quando non capisco cosa ti passa per la testa.

Perché io mio figlio lo amo, e mi piace sempre. Non c’è nulla di sbagliato in lui. Può fare cose sbagliate, così come può fare cose giuste, ma questo non modifica, o almeno non dovrebbe modificare i miei sentimenti per lui. Il mio amore è al di sopra di ogni gesto, di ogni abilità, di ogni risultato ottenuto.
Questo è il senso di quella manipolazione attraverso l’elogio.
Però ci deve essere un modo per poter dire a mio figlio che apprezzo quello che fa, un modo di lodarlo senza comunicargli giudizi sulla sua persona.

La soluzione c’è ed è anche abbastanza semplice, anche se c’è bisogno di fare un piccolo lavoro su se stessi, sopratutto se per abitudine si ripete spesso quel bravo senza pensarci troppo. La soluzione è quella che si racchiude nella regola grammaticale: usare verbi invece di aggettivi.
Il verbo descrive infatti cosa sta succedendo, l’aggettivo esprime un giudizio di merito. Nel descrivere quello che sta succedendo, comunico a mio figlio che ci sono, sono li con lui, lo vedo, vedo chi è lui, e come si comporta. Con gli aggettivi invece comunico che lo controllo, che sono pronta a valutare e a giudicare.
Facciamo un esempio pratico.
– Mamma, guarda il mio disegno!
– Che bello! Sei stato bravissimo!

Oppure:
– Mamma, guarda il mio disegno!
– Fammi vedere tesoro. Dunque questo è il sole. E questo che cos’è?
– E’ il mondo, mamma.
– Hai disegnato il mondo che gira intorno al sole! E vedo che sul mondo hai disegnato i continenti.
– Si. E questa è una nuvola.
– Ecco, la nuvola non l’avevo riconosciuta. Perché c’è una nuvola? E’ brutto tempo?
– Si. Sta per piovere.
– Ho visto che ci hai lavorato molto su questo disegno. Sei stato molto concentrato. Ti sei divertito?
– No, non tanto. Ora sono stanco. Voglio giocare ad un altra cosa.

Ecco. Voi quale preferite? E quale pensate abbia dato più soddisfazione al bambino?

Con questo non voglio dire che non si debba mai dire bravo. Però pensiamo a cosa stiamo cercando di dire. Magari possiamo dire “bravo! So che ti costa fatica mantenere la concentrazione a lungo, ma ti sei impegnato e ci sei riuscito!” Insomma contestualizzare quel bravo, spiegare cosa è che è fatto bene e perché, togliendo il più possibile il giudizio che nasconde sulla persona. Io credo che questo sia importante comunicare ai nostri figli, e secondo me ha molto più valore della pioggia di bravi che gli vengono rovesciati addosso quotidianamente, e che invece potrebbero minare la sua autostima o nella migliore dell’ipotesi passare totalmente inosservati.
Voi che ne pensate?

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55 thoughts on “La grammatica dell’elogio: un verbo è meglio di un aggettivo”

  1. Simpatica analisi del “brava”. Ma è molto meglio un brava che “va bene” o un mugugno.
    Non sei tuo figlio a cui puoi fare tante domande del suo disegnino e tenerlo incuriosito e attento mentre cerca risposte alle tue domande.

    Un “brava” in genere significa che tutto il lavoro fatto è soddisfacente. Che andava fatto proprio così.

    Comunque, dopo aver lettoti, posso dirti BRAVA! (Con l’esclamativo).

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  2. E’ un articolo di qualche tempo fa ma per me è attualità… ho da poco letto il libro di Kohn e in effetti mi sto sbizzarrendo sulle risposte da dare a mia figlia. Hai ragione anch’io odio quando mi dicono brava, faccio molti lavori manuali, e a volte vorrei un apprezzamento più concreto tipo se piacciono i colori, se è cucito bene e così via. L’altro giorno al ristorante mi hanno fatto i complimenti perchè le mie figlie (3 e 1 anno) sono state brave… nel senso che hanno soddisfatto le aspettative di chi non vuole bambini “fastidiosi” (cioè normali e vivaci) mentre mangia.
    Così ora ogni volta che la tata soddisfatta mi fa vedere qualcosa, tipo che si è vestita da sola le dico “Bene, così la prossima volta lo puoi fare senza il mio aiuto”. A loro interessa farcela da soli per se stessi come a noi in fondo… potranno dirci tutti i brava del mondo ma se non ne siamo convinti noi!

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  3. Grazie Serena per lo spunto di riflessione.

    Quello di cui parli – “contestualizzare quel bravo, spiegare cosa è che è fatto bene e perché, togliendo il più possibile il giudizio che nasconde sulla persona”- mi ha fatto pensare a quello che ho letto di Carol S. Dweck sull’intelligenza entitaria (l’intelligenza considerata come un tratto fisso) e l’intelligenza incrementale (l’intelligenza considerata come un tratto che può essere migliorato attraverso l’impegno).

    In breve, la Dweck sottolinea l’importanza di lodare l’impegno piuttosto che l’intelligenza. I bambini lodati per la loro intelligenza tendono ad evitare compiti di apprendimento impegnativi quando mettono in discussione la propria abilità. Riconoscere l’importanza dell’impegno abitua i bambini a essere responsabili in prima persona di quanto gli accade. É importante riflettere con i bambini su come si è ottenuto un risultato, vedere come è possibile impegnarsi di più se le cose sono riuscite meno bene e come è possibile svolgere meglio quel tipo di compito.

    (se ti interessa puoi dare un’occhiata anche qui: http://www.psico.univ.trieste.it/~colautti/psi/corsi_01/pp_dweck.pdf)

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  4. lo sai che anch’io ho letto il libro e non ero convinta di essere daccordo perchè io dico sempre bravo a mio figlio credendo di fare bene, ma in effetti se quelo bravo lo si esplica ha ancora più effetto

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  5. @Gloria, Morgaine, supermambanana anche io noto che il peso dei genitori è completamente diverso da quello di nonni o altri “esterni”, però i miei figli i nonni li vedono 3 volte l’anno, e ci parlano via skype, è chiaro che non c’è paragone. Eppure quando stiamo 2 mesi in Italia il Vikingo acquisisce immediatamente certi atteggiamenti conseguenza del modo di fare differente. Poi una volta tornati a Stoccolma ci si lavora un po’ su e si ritorna nei nostri criteri. Però con la situazione italiana in cui molto spesso i nonni si prendono cura dei nipoti per molte più ore al giorno dei genitori, la situazione può diventare pesante (e basta farsi un giro su genitorisbroccano per vederlo). E li è tutto un compromesso nel rapporto con più persone di riferimento, e bisogna insegnare ai bambini a distinguere i messaggi. Però sono d’accordo anche io che è possibile.

    @Stefano Eccheccievoffa’! Certo che sopravviverà 🙂

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  6. La questione del “bravo, hai mangiato tutto” mi sembra molto importante e mi soffermeró su questa. All’inizio tendevo a lodare mio figlio se finiva il piatto. Da un po’, ho smesso perche’ mi sono reso conto che probabilmente, a volte sbaglio la dose: quando mi servo il mio piatto, so quanta fame ho. Quando lo servo a Esteban, indovino. Quindi, e’ probabile che non abbia voglia di finire il piatto. Quando vedo che rallenta la frequenza dei bocconi gli chiedo se vuole continuare a mangiare e, spesso, mi dice “me piené”, che é una via di mezzo tra “me llené” (mi sono riempito in spagnolo) e “sono pieno”. Insomma, gli elogi riguardo al mangiare sono per lo piú finiti. Infatti, ora lo elogio se prova qualcosa di nuovo perché spero cosí di invogliarlo per lo meno a provare le cose. L’altro giorno si é mangiato la testa del coniglio divertendosi perché poteva attaccarlo e distruggerlo cavandogli gli occhi, facendo la linguaccia con la lingua dell’animale, ecc. “Bravo! sei bravo perché lo hai assaggiato”. Mentre invece, “non sei bravo” se per compiacermi mi dici per esempio “si, voglio l’uovo” e poi, non lo avvicini neanche con il pensiero perché, in realtá, non ti va o non hai fame e me lo fai buttare via. Ecco, in questo caso non sei bravo e te lo dico! e te lo motivo! perché la vita non é fatta solo di elogi e soddisfazioni: si cresce anche con i “non sei stato bravo”.
    Siccome peró nessuno é perfetto, lo ammetto, ogni tanto un “oh! hai mangiato come un leone, bravo!” ci scappa lo stesso. Eccheccievoffa’? sopravviverá ugualmente.
    Un abbraccio, Stefano.

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  7. Morgaine, questo commento mi ha fatto pensare e sono molto daccordo con te, e mi riallaccio anche al commento di Gloria su. I miei dai nonni si comportano diversamente, che uno dice ma a casa no? No. Sanno che possono tirare la corda, e la tirano, a volte anche in nostra presenza. Se a casa sanno che, per dire, il biscotto prima di pranzo non si ha e non gli viene neanche in mente di chiederlo, dai nonni lo chiedono, a volte vedi che ti guardano di sottecchi ma paiono pensare, qui e’ casa di nonna, posso andare tranquillo di sgarro. Allo stesso modo so perfettamente che a scuola hanno dei comportamenti, che uno dice lo stesso ma a casa no? non si permetterebbero di dire NO se la maestra chiede di mettere a posto qualcosa ad esempio. Hanno registri diversi a seconda della situazione. Mi pare non solo normale ma anche sano e importante per il loro futuro, uno dei cardini della convivenza civile, e che evidenzia le persone con problemi, e’ proprio quello di saper scegliere comportamenti diversi a seconda dell’ambiente. Del resto anche io ricordo perfettamente l’ebbrezza delle vacanze dai nonni, quando dire il NO ai miei che dicevano di fare questo o quello, cosa che non avrei mai fatto a casa, diventava parte integrante della vacanza. E quindi chiudo un occhio (anche due, insieme a bocca e naso) quando siamo dai nonni adesso. Insomma non mi preoccuperei troppo della coerenza con il mondo esterno, del resto i bimbi pesano in modo del tutto diverso le parole che vengono da un genitore rispetto agli altri (e un nonno rispetto alla maestra), me ne accorgo, guardate che son bravi eh?

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  8. Peró secondo me i nonni hanno e avranno sempre un carisma diverso (e inferiore a quello dei genitori) agli occhi dei bambini.
    I bambini capiscono benissimo che i nonni sono piú permissivi, e concedono anche i complimenti con piú facilitá, i nonni sono come una ‘vacanza’.
    La mia nonna materna ripete ‘brava’ all’ossessione, anche se solo le dici che hai fatto pasta al pomodoro per cena, ma non ho mai messo in dubbio che lo dicesse perché nonna, e non perché il complimento é ‘pensato’. Al contrario, un apprezzamento o una critica proveniente dai miei genitori ha sempre pesato molto di piú.
    Quindi io non mi preoccuperei tanto di come fanno o che dicono i nonni, a meno che i figli non passino piú tempo con loro che con noi genitori.
    Altro esempio: mia suocera ha l’abitudine di elogiare mio figlio se questi mangia tutto e tanto: io non sono d’accordo perché per me uno deve mangiare la quantitá che si sente. Ma sono anche consapevole che il peso delle parole della nonna (con tutto il rispetto per lei, che é una donna meravigliosa) non é lo stesso peso delle nostre parole di genitori, per cui non ne faccio una questione di stato.

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  9. Vi leggo da qualche giorno e di conseguenza rifletto da qualche giorno. Questa estate ho letto “Genitori efficaci” e proprio ora sto leggendo “Amarli senza se e senza ma”. Tra i due libri trovo alcuni punti che sono molto simili, e come al solito (come per la questione sul genere) mi viene da riflettere sul “fuori”, e vedo che avete iniziato a farlo anche voi…

    Perché quando ci troviamo dai nonni, o a scuola, poi è tutto un “brava”, o cattiva, o in ogni caso un usare dei registri di linguaggio completamente diversi. Qui mi viene il dubbio allora: ma non è che poi alla fine sembriamo alieni noi, ai loro occhi?

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  10. SERENA, LORENZA, di quelle uscite tristemente infelici ne sento tante anche io e ogni volta salterei alla giugulare, ma non posso… però, ecco, quello per me è inequivocabilmente sbagliato, quindi non lo prendo nemmeno in considerazione in una discussione del genere. penso che qui stiamo parlando di sottigliezze per persone che un minimo di sensibilità ed attenzione già la usano. o forse non ci ho capito niente?

    SERENA ma a tua madre hai già spiegato con calma ed a chiare lettere che forse tuo figlio vorrebbe delle risposto diverse dal solito “bravo”, magari una domanda, suggerendole magari anche di fare una prova e vedere come reagisce il bambino? col mio compagno a volte funziona… in pratica se gli do tutte le istruzioni (che manco a una scimmia) e lui decide di provare e vede dei risultati positivi, allora si convince che forse, ma forse, potevo anche non aver del tutto torto e poi ci si impegna di più, quando se lo ricorda. meglio di niente…

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  11. Tempo fa ero andata ad una conferenza di una coacher(?) svedese, Mia Törnblom, offertami dal mio moroso per i miei problemi d’autostima (al contrario di Serena, i miei genitori erano molto piú prodighi di critiche che d’incoraggiamenti, per cui adesso sono un po’ troppo alla ricerca dell’apprezzamento altrui, invece di fare le cose perché mi piacciono e basta).
    Comunque, in questa conferenza si era parlato dei due modi che ha la lingua svedese per indicare l’autostima: ‘självkänsla’ e ‘självförtroende’. L’una é l’autostima per “quello che si é”, l’altra l’autostima per “quello che si fa”, se non vado errata. La conferenziera diceva che si punta il piú delle volte solo sulla seconda, trascurando la prima: per cui ci sono frotte di adulti che sanno fare un sacco di cose, ma si sentono ugualmente delle me*de, e cercano costantemente approvazione.
    Lei citava proprio la questione dell’educazione e degli elogi ai bambini per evitare queste situazioni. Qua c’era l’esempio del disegno. Se si pensa che il bambino ha disegnato qualcosa bene e/o ha fatto dei progressi, non é sbagliato dirgli ‘bravo’, perché si rinforza la självförtroende. I ‘bravo’ servono, ma devo essere sinceri, circostanziat, e non essere l’unica forma d’interessamento.
    Perché c’é anche il självkänsla (percezione di sé), che invece viene rafforzato mostrando interesse e facendo dei commenti positivi al fatto che il bimbo esprima dei sentimenti attraverso le sue opere, tipo ‘oh guarda, c’é un bel sole giallo’, oppure ‘dai, e lí hai fatto un lupo, dove sta andando?’ ‘vedo che ti piace metterci una balena quando fai il mare’, cose del genere.
    Oddio, spero di aver reso il concetto, a me quella volta era parso interessante

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