La grammatica dell’elogio: un verbo è meglio di un aggettivo

E’ sempre positivo elogiare i bambini? Ecco come gratificare i nostri figli per il lavoro fatto, senza cadere nella tentazione di lodarli sempre, minando la loro autostima invece che accrescerla

Stoccolma, interno ufficio, un paio di settimane fa. Ho appena finito di presentare il risultato del mio lavoro al capo. Lui mi ha ascoltata con molta attenzione per tutta la durata, e mi ha fatto anche qualche domanda. Finita la riunione mi dice “brava! Hai fatto un bel lavoro!” e si dirige nella sua stanza. Io sorrido compiaciuta, rimetto in ordine i miei fogli, e mi dirigo nella mia stanza. Mi siedo alla scrivania e penso “ma brava di che?” il sorriso compiaciuto è sparito dalle mie labbra e ha lasciato il posto ad un vago senso di incertezza. Che signica “brava! bel lavoro!”? Ho fatto un bel lavoro di analisi? Ho fatto un bel lavoro di presentazione? Mi sono spiegata bene? Ho colto le esigenze del cliente? Cosa diavolo significa “bel lavoro!”? Ecco ora non mi sento più soddisfatta, ora mi sento anche un po’ arrabbiata. E quel “brava!” cosa mi sta a significare? Forse non si aspettava che io fossi in grado di svolgere questo lavoro? Oddio, ecco, il mio capo pensa che io sia un’idiota, incapace e per di più insicura di me, e pensa di darmi sicurezza lodandomi come una bambina. Resto nel dubbio eterno, se il mio capo apprezza veramente il mio lavoro, o se invece mi accontenta con un brava per non dirmi che faceva schifo. Per quale motivo altrimenti non avrebbe aggiunto un motivo qualsiasi per cui sono stata brava, che so, un commento più preciso su quello che ho fatto, anche solo un mi piace il colore che hai scelto come sfondo! Ecco, almeno quello. Almeno il colore!

Rifletto. Ma forse è così che si sentono i bambini quando ci mostrano i loro disegni e noi esclamiamo “bravo!”

Alfie Kohn mette in guardia nei confronti dell’elogio, in quanto rischia di essere un altro modo di manipolare i nostri figli per fargli fare quello che vogliamo noi. Mentre all’inizio ho reagito a questa affermazione, poi mi ci sono ritrovata perfettamente, quando ho capito di cosa stava parlando. E’ esattamente quello che è successo a me in ambito lavorativo. Pensiamoci un attimo. Quando lodiamo nostro figlio perché si comporta bene, stiamo implicitamente esprimendo un giudizio sulla sua persona. Stiamo dicendo “mi piaci perché fai così” il che significa anche, ovviamente, “non mi piaci quando non fai così”.
Riflettiamoci insieme.

Non mi piaci quando disegni male.
Non mi piaci quando non finisci di mangiare.
Non mi piaci quando non dici per favore.
Non mi piaci quando fai di testa tua.

Non mi piaci. E’ veramente quello che vogliamo dirgli?

Io preferirei dirgli:
Non mi piace questo disegno.
Non mi piace buttare le cose da mangiare.
Non mi piace la scortesia.
Non mi piace quando non capisco cosa ti passa per la testa.

Perché io mio figlio lo amo, e mi piace sempre. Non c’è nulla di sbagliato in lui. Può fare cose sbagliate, così come può fare cose giuste, ma questo non modifica, o almeno non dovrebbe modificare i miei sentimenti per lui. Il mio amore è al di sopra di ogni gesto, di ogni abilità, di ogni risultato ottenuto.
Questo è il senso di quella manipolazione attraverso l’elogio.
Però ci deve essere un modo per poter dire a mio figlio che apprezzo quello che fa, un modo di lodarlo senza comunicargli giudizi sulla sua persona.

La soluzione c’è ed è anche abbastanza semplice, anche se c’è bisogno di fare un piccolo lavoro su se stessi, sopratutto se per abitudine si ripete spesso quel bravo senza pensarci troppo. La soluzione è quella che si racchiude nella regola grammaticale: usare verbi invece di aggettivi.
Il verbo descrive infatti cosa sta succedendo, l’aggettivo esprime un giudizio di merito. Nel descrivere quello che sta succedendo, comunico a mio figlio che ci sono, sono li con lui, lo vedo, vedo chi è lui, e come si comporta. Con gli aggettivi invece comunico che lo controllo, che sono pronta a valutare e a giudicare.
Facciamo un esempio pratico.
– Mamma, guarda il mio disegno!
– Che bello! Sei stato bravissimo!

Oppure:
– Mamma, guarda il mio disegno!
– Fammi vedere tesoro. Dunque questo è il sole. E questo che cos’è?
– E’ il mondo, mamma.
– Hai disegnato il mondo che gira intorno al sole! E vedo che sul mondo hai disegnato i continenti.
– Si. E questa è una nuvola.
– Ecco, la nuvola non l’avevo riconosciuta. Perché c’è una nuvola? E’ brutto tempo?
– Si. Sta per piovere.
– Ho visto che ci hai lavorato molto su questo disegno. Sei stato molto concentrato. Ti sei divertito?
– No, non tanto. Ora sono stanco. Voglio giocare ad un altra cosa.

Ecco. Voi quale preferite? E quale pensate abbia dato più soddisfazione al bambino?

Con questo non voglio dire che non si debba mai dire bravo. Però pensiamo a cosa stiamo cercando di dire. Magari possiamo dire “bravo! So che ti costa fatica mantenere la concentrazione a lungo, ma ti sei impegnato e ci sei riuscito!” Insomma contestualizzare quel bravo, spiegare cosa è che è fatto bene e perché, togliendo il più possibile il giudizio che nasconde sulla persona. Io credo che questo sia importante comunicare ai nostri figli, e secondo me ha molto più valore della pioggia di bravi che gli vengono rovesciati addosso quotidianamente, e che invece potrebbero minare la sua autostima o nella migliore dell’ipotesi passare totalmente inosservati.
Voi che ne pensate?

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55 thoughts on “La grammatica dell’elogio: un verbo è meglio di un aggettivo”

  1. Ma cuginetta inappetente chi??? mica la Burrosa!?!?!?! Senno’ da dove viene il nickname???
    Comunque la storia del disegno brutto me la ricordo anche io, se non sbaglio e’ in Intelligenza emotiva per un figlio (tanto per restare in tema…).

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    • @Barbara non la burrrosa, l’altra cuginetta 😀
      @Morgaine interessante questa differenziazione che fai tra percezione di se e autostima (se si possono tradurre in questo modo) E mi sembra di capire dal tuo commento che in sostanza servono entrambi i tipi di apprezzamento, ma come sempre con un senso della misura. Però io conosco gente che ha bisogno che gli dici che è stato bravo perché ha aiutato a preparare la cena, o perché ha apparecchiato la tavola e non parlo di 5enni, ma di adulti. Allora questo discorso mi sta molto a cuore, perché ho paura che la faccenda dell’elogio può essere molto pericolosa se fatta male, anche senza cattiveria.
      @Claudia TU non conosci mia madre 😀

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  2. sui nonni e i ricatti morali ho anche io una bella sinfonia eh, che va in overture se non mangi la minestra la nonna si dispiace (!) passando al ma tu vuoi piu’ bene al nonno X o al nonno Y e si conclude con la fanfara del guarda cuginetto Z come e’ bravo a fare le addizioni, e lui e’ anche piu’ piccolo di te. Diciamo che fra un rodimento e un abbozzamento, quando sono lucida e LONTANA i miei bravi 3000km, mi rendo conto che il gap generazionale e’ una cosa mica da ridere, che loro sono cresciuti in questo modo, probabilmente (non me lo ricordo ma avro’ sicuramente rimosso) hanno cresciuto noi cosi’ e al contempo hanno dovuto soffrire per i primi strappi, mia madre e mia suocera erano donne che lavoravano negli anni 50 o 60, se non e’ facile per noi figurati per loro. Questo per dire che il discorso sui nonni va preso con le pinze, non ci si puo’ fare granche’, e sicuramente anche noi saremo nonni disastrosi, dopo esser stati genitori favolosi ovviamente :-D.

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    • @supermambanana ti dico da noi con il Vikingo che mangiava come un bue e la cuginetta inappetente, e loro a dire “guarda quanto mangia tuo cugino! Guarda quanto è bravo che finisce di mangiare tutto!” e io a cercare di parare colpi. Il risultato è stato naturalmente non che la cuginetta iniziasse a mangiare, ma che il Vikingo smettesse di mangiare, perché fino a quel momento mangiava per se stesso, dopo non più. Capisco il gap generazionale, però anche un po’ di buon senso non guasterebbe eh! Comunque sono d’accordo con te, saremo dei nonni disastrosi, ma intanto voglio concentrarmi sul mio ruolo da genitore favoloso 😀

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  3. Si il riconoscimento del processo non del risultato….vedere davvero quello che hanno fatto e non solo quello che ha prodotto il loro sforzo poichè non tutte le ciambelle riescono col buco ma se insegniamo loro la gioia nel farle non smetteranno mai di provarci:)

    ma detto questo :Serena ho apprezzato molto l’articolo,Brava!ehehheheheh
    Roby

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  4. non ho letto tutti i commenti. ultimamente infatti non commento qui perchè ce ne sono troppi e non ho tempo e mi perdo e mi sento inadegnata. :)) ecco, fatta la mia lagna del giorno, mi preme rispondere a Giuliana perchè a lei e alle sue osservazioni su questi temi ci tengo moltissimo (mi perdonino quindi tutti gli altri commenti non letti).
    il senso che io trovo in questo discorso, e che con fatica cerco di applicare a me stessa, alla mia storia famigliare e a quella che lascerò ai miei figli è questo: distinguere i comportamenti dall’identità. Io posso essere soddisfatta o insoddisfatta di un comportamento o del suo risultato tipo un voto a scuola (quello che giuliana chiama con grande timore performance, e ha ragione) ma non TI AMO per quello. Questo vale anche per l’amore di se stessi. Ti amo per chi sei, per le tue rsorse e le tue qualità, e questo amore e queste risorse non sono messi in discussione da un singolo comportamento. quello si può cambiare e migliorare, ma io non ti faccio sentire non amato per quello.
    Specificare gli elogi è sempre una buona pratica, solo per far capire le risorse che si possiedono, quelle già espresse e quelle da allenare di più, e questo infatti deve fare anche un capo, come una madre e un padre. Ma l’amore è l’amore. niente mi ha addolorato
    di più di un “non mi vuoi più bene?” di mio figlio dopo un rimprovero, e dopo che io e il papà gli abbiamo risposto decisi in due-tre occasioni che quello non è MAI in discussione anche quando siamo arrabbiati, non l’ha più chiesto. speriamo bene.
    Sull’analista (ma basta anche un life coach..) sono d’accordo. per capire la differenza tra identità (aggettivi) e comportamenti (verbi) ci metti un bel po’, ma poi ne fai tesoro.

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  5. Credo che il fatto di porsi il problema di articolare le lodi e i rimproveri ai nostri figli in modo da comunicare che li amiamo in ogni caso sia già indice di una sensibilità superiore alla norma.
    @Claudia, molte persone purtroppo ragionano ancora nell’ottica del “ricatto”, per carità magari inconsapevolmente ma lo fanno.
    Esempio recente: la nonna vuole che la nipote parli al telefono con gli zii, lei per capriccio non vuole ed esce la frase-ghigliottina “se non vuoi parlare con loro allora vuol dire che non vuoi bene alla nonna”.
    Terribile, io non sono intervenuta perché non era diretto a mia figlia (e il genitore non è intervenuto) ma credo che questo modo di fare sia dannoso e sbagliato.
    Se posso cerco sempre di spiegare che se una persona non fa quello che vogliamo (anche sbagliando) non vuol dire che sia un atto contro di noi, ma questa equazione obbedisci=bravo è più comune di quanto pensiamo.

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    • Grazie Lorenza, che a volte mi sembra che sono l’unica a vederli questi comportamenti in giro e mi vengono i dubbi che ci sia qualcosa di sbagliato in me (o nel mio circondario).

      @Flavia hai centrato esattamente il mio punto, pur non avendo letto tutti i commenti 🙂

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  6. “non fare il monello o non ti voglio bene” è quasi da assistenti sociali.
    mi sa che il problema più che la parola usata è l’atteggiamento generale.
    se i nonni esultano “bravo” e poi tornano a farsi i fatti propri, senza ascoltare con vero interesse il racconto del nipotino, allora il messaggio che passa è “ti dico bravo epr farti contento ma non me ne frega una cippa”.
    se invece esultano “bravo” e poi stanno ad ascoltare il pargolo il messaggio che arriva potrebbe suonare più come “mi piace quello che hai fatto e mi interessa ascoltare cosa hai da dirmi e mi piace che tu mi renda partecipe della tua creazione e delle tue idee”.
    stesse parole, comunicazione diversa.
    non so se così sono riuscita a spiegarmi meglio.

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    • Claudia eppure ti assicuro che se ne sentono molti su quel tono con molte variazioni sul tema.
      Sono d’accordo che se si va oltre al bravo il messaggio è lo stesso, però io credo che le parole siano importanti, e spesso si pensa che avendo detto bravo si è fatto quello che si doveva. Io li vedo i nonni che con sincerità e grandissimo affetto gli dicono che è bravo, ma pure che è bravissimo, ma non è la stessa cosa. Non gli stanno comunicando che non gli interessa, tutt’altro. Ma gli stanno comunicando che gli interessa per i motivi sbagliati, quelli del risultato finale, e non credo che quello sia il loro intento reale. Lui inizia a spiegare a far vedere, e loro continuano a dire bravo, si lo vedo, sei bravissimo! Lo ascoltano veramente? Boh, non lo so. Sembra di si. Ma gli dicono solo bravo, lasciandogli una sensazione strana, e questo io lo vedo in lui, e sinceramente lo capisco. Mi viene da dirgli (e spesso ci litigo e glielo dico) ma vuoi guardare cosa ti sta facendo vedere? Vuoi apprezzare il lavoro che c’è dietro? Vuoi sentire il perché ha fatto così, il come ha pensato, quale processo c’è dietro? Mia madre si arrabbia con me, e mi dice “ma glielo sto dicendo che è bravo! Che altro vuoi che gli dica?” Manca semplicemente il resto.

      E poi io stessa sento che troppo spesso mi fermo a quel bravo, perché uno magari è semplicemente impegnato in altro, o non ha tempo o voglia, o a noi sembra che non è che sia molto da dire. E invece per loro c’è tanto da dire. E poi magari arrivano anche a metterci alla prova come quella bambina che faceva apposta i disegni brutti (mannaggia che non mi ricordo dove l’ho letto). Insomma pensiamoci bene a come lodiamo i nostri figli e al perché lo facciamo in un certo modo, perché le parole sono importanti.

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  7. Se davanti ad un piatto di lasagne dico buone queste lasagne non significa che se mi avessero messo davanti una parmigiana di melanzane non mi sarebbe piaciuta. Mi spiego? E’ secondo me lo stesso ragionamento fallace del “se ti dico bravo quando fai X vuol dire che quando non lo fai non sei bravo”, c’e’ un salto nella conclusione che non mi convince. Credo che per tutte noi che stiamo qui a interrogarci grazie al vostro portale, e altri blogs, sia ben chiaro che se c’e’ l’amore alla base e questo e’ chiaro e limpido e inequivocabile, possiamo permetterci sia di dire bravo sia di dire sto disegno lo potevi fare meglio. Come dici benissimo tu stessa, i bimbi lo capiscono il messaggio comunque, lo sentono se l’elogio e’ vero o strumentale. Se non sentono una base di amore sotto, se sentono di dover dimostrare ai loro genitori di essere bravi per averne l’attenzione, allora il problema e’ ben piu’ profondo di un bravo messo li’ con leggerezza. I tuoi sono forse ancora piccoli, ma una volta che la scuola entra in ballo, e cavolo se dobbiamo metter chiaro che i compiti di fanno e che farli male non e’ giusto, e al contempo che riuscire a leggere un libro per la prima volta da capo a fondo con espressione e’ un traguardo da festeggiare almeno con un dammi un cinque. Condividere i traguardi con loro, con i tuoi occhi nei loro occhi che luccicano per qualcosa che finalmente gli e’ riuscito, non e’ cosa cui rinuncerei per le paturnie di Dr Kohn, sinceramente.

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    • Ma supermambanana siamo certamente d’accordo! Non mi sognerei mai di dire che non bisogna condividere con i figli la gioia di aver raggiunto traguardi, gioire insieme anche per il percorso fatto, condividere l’emozione. Essere orgogliosi dei propri figli è una cosa, condizionare il proprio amore per i figli sulla base del raggiungimento o meno di certi traguardi è un’altra. Io sto parlando di un altro genere di elogio, quello strumentale, che purtroppo vedo spessissimo in giro. Prima di tutto mi sembra giusta la considerazione che fai sull’età dei figli, ma non perché i traguardi da raggiungere sono diversi, più o meno complessi, ma perché il linguaggio stesso e la consapevolezza di quello che si sta comunicando attraverso il linguaggio è più evoluto e permette di chiarire le cose meglio. Parlando di bambini piccoli sento dire in continuazione frasi quali: “bravo! hai mangiato tutto!” oppure “non fare il monello o non ti voglio bene”. Quando mio figlio fa vedere l’astronave che ha costruito con i lego ai nonni, non vuole che gli dicano che è bravissimo a costruire astronavi, vuole condividere con loro la gioia per quello che ha costruito, vuole descrivergli dove ha messo i vari cannoni, spiegare loro come ha ragionato. E non è che se i cannoni li avesse messi in un’altra posizione sarebbe stato meno bravo. Invece si sente dire bravo, seppure con enorme entusiasmo e trasporto, ma finisce tutto li. E io la leggo quella delusione nei suoi occhi, e infatti dopo un po’ lui si stufa di fargli vedere le sue astronavi. Avevo letto su qualche blog che ora mi sfugge quale, di una bambina che faceva apposta un disegno brutto, e lo faceva vedere alla mamma per controllare se avrebbe detto brava! E allora quel brava perde ogni significato, non credi?
      Allora condividere i traguardi con loro cosa significa? Per me significa fargli vedere che ci sono, che li osservo, che so quanta fatica gli è costata, o che ho visto e apprezzato quanto amore ci hanno messo in quel loro lavoretto. E allora il risultato finale passa decisamente in secondo piano. Se l’astronave è bella o meno non ha più la minima importanza.

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  8. Anche in italiano “bravo” non è un giudizio di valore ma un giudizio sull’abilità di eseguire un determinato compito.
    Sarà che i miei figli sono più grandi, ma loro fanno entrambe le domande (“sono bravo?” e “ti piace?”).
    Io però devo ammettere che non mi faccio troppi scrupoli se devo dire a qualcuno di loro che non mi piace una cosa che sta facendo. Dico anche “non mi piaci quando litighi con tuo fratello” e “non mi piaci quando butti le cose per terra”. Spero che non abbiano mai dubbi sul mio amore, ma non riesco non pensare all’amore come qualcosa di viscerale, separato dal giudizio su aspetti della persona che possono anche non piacermi.
    Sono grave?

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  9. Diciamo, dunque, che l’inglese è più pedagogicamente corretto dell’italiano!
    Francamente anche io mi sento un po’ “stretta” se devo stare attenta anche quando mi sfugge un “bravo!”. Più di una volta, però mi è capitato che il Sorcetto mi abbia chiesto esplicitamente: “perchè bravo?”… Ecco, allora li ti viene da fermarti un attimo a riflettere, no?

    Comunque ho il sospetto che se il capo non avesse apprezzato il lavoro, te ne avrebbe dette di tutti i colori… o forse mi regolo sui capi italiani e non su quelli svedesi?

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  10. Mhhh, muble muble, fammi riflettere…
    Come ti saresti sentita se il tuo capo non avesse detto niente? Se avesse detto solo “grazie”? O se ti avesse criticata?
    Dire “bravo” ad un bambino, come ad un adulto, è un segno di apprezzamento. Se l’apprezzamento esiste bisogna comunicarlo. Far sentire qualcuno apprezzato accresce l’autostima. Nei bambini, ancora più che negli adulti, è una cosa fondamentale. Secondo me è più un problema linguistico. In inglese il “bravo” si traduce con “well done” che letteralemnte vuol dire “ben fatto”. E’ un riferisi a quello che si è fatto piuttosto che alla qualità della persona.

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  11. @ SERENA mi sa che il problema è proprio il fatto di aver avuto tua madre che ti diceva “brava” senza essere realmente interessata, allora. perchè qui i “brava” in 30 anni li posso contare sulle dita di una mano e le poche volte che sono arrivati significavano che quella volta c’era stata attenzione da parte dei miei genitori e che avevo svolto un lavoro ineccepibile sotto ogni punto di vista, in cui non c’era verso di trovare il modo per criticarlo.
    😀

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    • ok, forse non sono riuscita a spiegarmi bene. Nel discorso della mia reazione con il mio capo effettivamente ci sono un sacco di cose in ballo, quali il fatto che stavo facendo un tirocinio per un lavoro mai svolto prima, in un campo completamente nuovo, e quindi avevo bisogno di sapere cosa stavo facendo di buono, e anche cosa stavo facendo di sbagliato (che sicuramente c’era qualcosa di sbagliato). In questo caso il giudizio me lo aspettavo, proprio perché è un rapporto di lavoro, e quindi non solo voglio il giudizio, ma lo voglio anche spiegato nel dettaglio, per poter aggiustare il tiro. Ora forse l’esempio non è calzante con il discorso dei bambini, perché il rapporto non è di lavoro, ma era la riflessione dalla quale io ero personalmente partita e quindi ve l’ho riportata tale e quale.

      Questo non è un post contro l’elogio, assolutamente no. Questo è un post contro l’elogio usato come manipolazione, per far fare ai figli quello che vogliamo “bravo quando non fai i capricci” per intenderci, inteso più che altro come “ti voglio bene (solo) quando non fai i capricci”.
      E poi è anche un post per riflettere insieme sul fatto che forse quando i nostri figli ci dicono “mamma, guarda il mio disegno!” vogliono proprio dire GUARDA il mio disegno, e non ESPRIMI UN GIUDIZIO sul mio disegno. Credo che i bambini non abbiano nessun motivo di volersi sentir dire che sono bravi, semplicemente non ne sentono il bisogno, finché noi non gli facciamo sapere che potrebbero anche NON essere bravi. Se invece il bambino sta chiedendo esplicitamente un giudizio in merito al suo disegno, allora l’elogio ci sta tutto, se il disegno ci piace veramente. E se non ci piace dovremmo trovare il modo per criticare il disegno, ma non la persona che lo ha fatto, o le sue abilità generiche in fatto di grafica, o colore, o quello di cui si tratta, e magari cogliere anche, se ci si riesce un qualcosa di positivo, tanto per non distruggergli completamente l’autostima (ma qui dipende dal bambino ovviamente, e da come prende le critiche).
      Sono riuscita a spiegarmi meglio ora?

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  12. anche qui in UK non ci sono voti e giudizi personali, ma credo che Kohn sia ancora piu’ radicale di cosi’

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  13. Hai ragione Serena, a volte è difficile, ma assolutamente non impossibile far sentire loro che apprezziamo quello che fanno.
    A volte si è imprecisi nell’elogio, perché si è distratti, perché quel bravo è risolutivo e sbrigativo.
    Ma hai ragione, i bambini si sentono molto più apprezzati se sentono l’empatia, se percepiscono che il loro lavoro è stata riconosciuto, visto nel dettaglio, capito.
    Non hanno bisogno di sapere se per noi il disegno è bello o brutto, quando mai, poi diremmo a nostro figlio che il suo disegno è brutto???
    Hanno bisogno di sapere che li stiamo guardando, che siamo lì con loro!

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  14. Sono d’accordo con Claudia-cipi, la serie di considerazioni di inizio lavoro mi sembra una gran s@@# mentale tipica di noi donne. Il capo ha detto brava perchè ho fatto un buon lavoro. Altrimenti mi avrebbe elencato le debolezze del lavoro fatto. Punto. Devo dire che neanche i miei hanno proprio esagerato con le lodi, anzi, era dato per scontato che fossimo brave (hai fatto la metà del tuo dovere, diceva mia mamma – qualche volta lo dice anche adesso) e vi posso garantire che se avessi dovuto dipendere dai miei per la crescita della mia autostima adesso sarei proprio messa male.
    Penso anche che in linea di principio il ragionamento delle lodi che viene fatto può anche funzionare, però onestamente penso anche che talvolta attribuiamo a dei bambini anche molto piccoli delle involuzioni di pensiero, dei salti mentali che invece sono propri degli adulti. Io penso che il trucco sia sapersi adeguare anche all’età dei nostri pargoli: il bravo che buon andare bene per il duenne (@Lorenza) probabilmente non va bene per un bimbo di 10 anni.
    e comunque, in medio stat virtus: nè troppo, nè troppo poco!

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  15. Concordo e condivido quanto ha scritto Serena. Quando è nata la mia pima bimba ero abbastanza paturniosa se usare il “brava” o il ” bene!”…
    Tra letture e corsi mi avevano sconsigliato di usare il brava, esattamente per quello che ha scitto Serena sopra,ma il bene … mi sembrava così freddo!
    Ora dopo 5 anni uso Bene! Brava!Caspita!Però!vediamo un po?Uhmmm… interessante… generalmente però discuto con lei delle sue creazioni, e sono sicura che lei capisce se si è impegnata in una cosa opp. no.

    Diversamente quando combina guai, li mi devo imporre di non giudicare lei , ma ciò che ha fatto. Il giudizio negativo sulla persona non cambia, mentre l’azione si, quindi io non giustifico l’azione!… ma questo penso sia un altro capitolo…
    Ciao
    Sabrina

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