To be or not to be… una famiglia, la dislessia, e lo studio dell’inglese

Ci sono momenti in cui il desiderio di proteggere i nostri figli diventa quasi un malessere fisico. Vorremmo poter evitare loro sofferenze, delusioni, fatiche incongrue. A volte questo desiderio viene anche assecondato dall’ambiente, ci sono scorciatoie possibili, anzi le scorciatoie sono addirittura consigliate: perché non approfittare? Questa è la storia di Daniela e di suo figlio G, e di una scorciatoia che invece, loro, non hanno voluto prendere. E, com’è come non è, avevano ragione.

 

Sono una mamma…… e l’unica cosa che desidero è che mio figlio sia felice.

Lo desidero con tutto il cuore e il dato di fatto che sia dislessico non deve essere un impedimento.

Tre anni fa ci siamo trasferiti all’estero per motivi di lavoro, G aveva appena finito la quinta elementare. Malgrado paure e difficoltà era stata una bella avventura. Quel bimbo così intelligente e così veloce e attento a cui però sfuggiva la stucchevole differenza tra una b e una d o quella ancora più irritante tra una a e una e era pronto per le medie ma doveva affrontare un passo molto più importante e delicato: il trasferimento all’estero e l’inserimento in una scuola in lingua inglese.

La questione per l’inglese è nota: per i dislessici è molto più idonea una lingua che si legge cosi come si scrive (italiano, spagnolo, finlandese, francese, finanche il tedesco che per quanto complessa dal punto di vista di regole non lo è affatto come decodifica in lettura..). L’inglese per contro è tra le lingue più complesse che vi siano: è possibile riportare ad una regola fissa solo una minima parte della lingua il che rende difficile leggere e scrivere l’inglese molto più che leggere e scrivere l’italiano… Nessun problema per la lingua parlata la comprensione e la conversazione: è per questo che la normativa garantisce ai bambini dislessici la possibilità di utilizzare strumenti compensativi (come i correttori automatici o maggiore tempo a disposizione per test ed esami) o addirittura l’esenzione dall’inglese scritto.

I pareri degli esperti erano piuttosto critici e miravano molto a mettere in guardia da possibili forti ripercussioni psicologiche che un fallimento in età adolescenziale avrebbe potuto provocare.

Io, già prima, da mamma, non riuscivo ad accettare l’idea che mio figlio dovesse rinunciare a priori all’apprendimento pieno dell’inglese o in generale che non potesse accedere a tutte le possibilità di apprendimento come gli altri bambini. Parlando di inserimento in una scuola inglese l’ipotesi della “esenzione” dallo scritto era ovviamente cosa improponibile.

La decisione di trasferirsi era veramente molto pesante: sono partita con l’idea che se per mio figlio fosse stato troppo svantaggioso sarei tornata in Italia. Ne abbiamo parlato con lui (nostro figlio) e abbiamo deciso di assumerci i rischi che con molto zelo i medici ci avevano evidenziato.

Abbiamo affrontato tutto apertamente e in piena armonia con nostro figlio.

I primi a dover accettare l’idea di essere dislessici sono proprio i dislessici. Malgrado i pareri medici che ci evidenziavano le difficoltà oggettive e i record statistici negativi abbiamo deciso di partire e abbiamo lavorato per rinforzare in ogni modo l’autostima del bambino: realizzazione sociale, leva su altre materie e aree di forza particolarmente distintive, posizionamento della problematica della dislessia come un fattore comune e non particolare.

Abbiamo lavorato sui tanti punti di forza e sulla accettazione consapevole dei propri limiti.

Nostro figlio ha per suo conto saputo vedere e utilizzare schemi  alternativi e vincenti: per esempio più parole si conoscono nella lingua parlata più è facile “riconoscerle” anche quando scorrono scritte sulla pagina di un libro in mezzo ad un fiume di altre parole oppure quando bisogna scriverle….

Dopo 3 anni posso dire che la storia di mio figlio è una storia positiva, fatta di attenzione costante, di persone mature e intelligenti che hanno affrontato nella scuola il problema delle disabilità dell’apprendimento e di una speciale abilità che in nostro figlio abbiamo cercato di coltivare: quella di capire le proprie caratteristiche personali e di adattarvi il modo con cui si studia si impara e ci si relaziona con gli altri.

Daniela (& G)

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13 thoughts on “To be or not to be… una famiglia, la dislessia, e lo studio dell’inglese”

  1. Mia figlia, dislessica, era stata sconsigliata da tutti gli insegnanti delle media di fare il liceo linguistico.
    Anzi, a dirla tutta, proprio di evitare il liceo a favore di una qualche scuola più easy, come un tecnico o un professionale.
    Noi genitori la abbiamo supportata ed incentivata in questa scelta che consideravamo ottima, soprattutto in funzione di un possibile suo trasferimento (fuga) fuori dall’Italia.
    Adesso è alla fine del 3° anno, mai nemmeno stata rimandata anzi, ha abbandonatodopo 3 mesi l’istituto che era stata la prima scelta proprio perchè scarsamente impegnativo ed educativo.
    E per assurdo, la lingua straniera in cui riesce meglio è per assoluto l’inglese, mentre francese e spagnolo la appassionano assai meno.
    Pare che i dislessici siano mediamente più intelligenti dei non, e di certo le molte tecniche compensative che attuano anche spontaneamente sono un ottimo supporto naturale nell’apprendimento.
    Non partiamo da dei preconcetti, MAI!, la vita di un dislessico sarà sempre un pò in salita, ma potrà cmq arrivare ovunque.

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  2. E‘ vero Soni per i ragazzi dislessici, sebbene di solito siano molto intelligenti, è obiettivamente molto piu faticoso studiare e raggiungere gli stessi risultati dei ragazzi che dislessici non sono.. E’ per questo che sono fondamentali, oltre ad insegnanti preparati e consapevoli delle problematiche di DSA, anche tutti quegli strumenti soprattutto compensativi – e se necessario anche dispensativi – con cui anche la legge inizia a tutelare i nostri ragazzi in modo da cercare di colmare, almeno in parte, lo svantaggio di essere dislessici: per esempio un ragazzo dislessico ha diritto ad un tempo maggiore per l’esecuzione di un compito…
    La mia esperienza di genitore ha al centro l’obiettivo della serenità e dell’autostima di mio figlio attraverso la comprensione di cos’ è la dislessia, il supporto specialistico e la valutazione degli strumenti che nel nostro caso specifico si sono rilevati utili rispetto a quelli di cui G. ha potuto fare a meno.
    Ad Alessandra consiglio di fare riferimento al sito dell’Associazione Italiana Dislessia che riporta aggiornamenti continui e tutte le attività a supporto dei genitori e degli insegnanti – corsi di formazione specifici, una sezione dedicata alla scuola, le normative e molto altro.

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  3. Potresti darci più dettagli per favore?
    Sono un’insegnante (di matematica e fisica) e quest’anno mi trovo ad insegnare in una scuola – Liceo Artistico di periferia romana – in cui la presenza di dislessici è altissima e nessuno ha abbastanza tempo o voglia di fermarsi a spiegarmi cosa fare.
    Ciao e complimenti comunque per la vostra affettuosa determinazione.

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  4. Volevo dire che i professori inglesi insegnano adeguatamente ai DSA perchè adeguatamente formati visto che il problema è molto sentito e più conosciuto, cosa che in Italia non succede. Non so se è per questo che si esonera o meno, ma so per certo, raccontato da professori che insegnano in Inghilterra, che nonostante tutto anche i ragazzi inglesi che godono di un buon insegnamento appropriato hanno grosse difficoltà… per cui rara avis e se non ben spiegato è disinformazione.

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  5. Se posso dire la mia da dislessica che ha studiato in francese anche la lingua francese è molto difficile perche molti suoni si scrivono in 3/4/5 maniere diverse generando grande confusione!
    Ho studiato anche inglese e italiano sicuramente la lingua che mi ha dato meno problemi è l’italiano.
    Ci tengo a precisare che purtroppo quando ho studiato io non c’era nessun aiuto….dovevi solo sperare di avere un insegnante comprensivo….inutile dire che la maggior parte delle volte non era cosi!

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  6. @soni, non son sicura di aver capito che intendi. Non e’ una notizia, e’ un racconto. Finche’ sono vissuti in Italia, G poteva usufruire dell’esonero dall’inglese scritto, come trovi al link dell’Associazione Italiana Dislessia che c’e’ nel post. Daniela (ma spero possa affacciarsi lei per confermare meglio) si e’ impegnata fin da allora per cercare di non privare G di questo skill, e l’affacciarsi del trasferimento all’estero ha ovviamente reso importante la sua partecipazione alla scuola a tutto tondo. Non mi pare si sia parlato di preparazione dei professori inglesi?

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  7. Se notizia vera è un caso molto raro. Conosco inglesi e professori inglesi che hanno dovuto fare corsi speciali particolari per insegnare nella scuola inglese. Non occorre essere dislessici gravi per non riuscire ad imparare l’inglese. Come notizia è un pò superficiale e “disinformante”.

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  8. Una bellissima esperienza che penso possa rasserenare tanti genitori.
    Soprattutto condivido la capacità, che avete saputo trasmettere a vostro figlio, di lavorare sui propri punti di forza e di accettare i propri limiti, so per l’esperienza con il mio piccolo che è difficile, ma credo sia una delle vie migliori per affrontare i disturbi di apprendimento.
    Trovare l’equilibrio tra il risparmiare ai nostri figli la delusione, la fatica, come dici tu, incongrua, e nello stesso tempo dargli la spinta ad usare al meglio le loro tante capacità, insegnargli ad utilizzarle per superare le difficoltà, richiede un grande impegno e un inimmaginabile carico emotivo. Lo so perché, come tanti altri, lo sto vivendo da diversi anni e per questa vostra testimonianza vi ringrazio.

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  9. Andrea 🙂 la pagina dietro quel link è un divertissement, è una poesia nota che scherza sulle difficoltà di leggere e scrivere l’inglese.

    Vorrei anche, visto che ci sono, chiarire per conto di Daniela che il mio incipit al suo racconto non voleva assolutamente sminuire il diritto acquisito dei bimbi con dislessia all’esonero dall’inglese scritto. La scorciatoia cui mi riferivo era piuttosto un voler gettare la spugna a priori, solo perché comodo, e non con cognizione di causa, ogni caso va valutato in modo a se stante, il diritto all’esenzione esiste ed è molto importante per tutelare i dislessici gravi.

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  10. FT
    Mi sa che c’è un link sbagliato… ho cliccato su “tra le lingue più complesse che vi siano” e mi è uscito fuori un sito che non c’entra niente.
    /FT

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  11. Vedi, dici tutte cose sagge e rincuoranti e ogni tanto ci vogliono pure di storie vincenti come la tua, che ci ricordano che fare leva sull’ autostima del bambino e sulle cose che sa fare bene aiutano a risolvere anche quelle che sa fare meno bene. Se ci fissiamo tutti sulla cosa difficile perdiamo a volte di vista il bello e il buono.

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