Dalla parte delle bambine


Qualche tempo fa ci ha contattate Mamma Cattiva chiedendoci se avevamo mai parlato di un libro che lei ama molto. Io quel libro l’ho letto la prima volta a 15 anni, e mi ha accompagnato durante la mia crescita personale come donna.
Quel libro l’ho amato molto anche io.

Dalla parte delle bambine, di Elena Gianini Benotti è uno di quei libri che ha fatto molto discutere, e che nonostante sia stato scritto circa 30 anni fa, continua ad essere molto attuale, tanto da ispirare Loredana Lipperini a scriverne una versione moderna per le bambine di oggi: Ancora dalla parte delle bambine. Abbiamo quindi chiesto a Mamma Cattiva se aveva voglia di scrivere quel post per noi, lei non ha scritto una recensione, ma una ricca condivisione di idee e pensieri sull’impostazione dei rapporti e delle conversazioni.

Io sono una bambina cattiva.

Che io sia bizzosa e fuori controllo è noto a chi mi conosce bene, nel senso che sembro buona e cara ma quando, nel privato, mi ritrovo immersa in conversazioni che non condivido, parto per la tangenziale (sto scherzando, lo so come si dice…) e inizio a girare vorticosamente, nelle mie personali rotonde.

Uno dei temi che da sempre, da quando sono nella pancia di mia madre e decido di uscire, nel lontano 1968, di piedi e senza cesareo, mi fa uscire di senno è che esistano caratteristiche, indoli, preferenze intrinseche al sesso di un bambino, che esista una natura femminile e una natura maschile.

Mi spiego. Io non credo che i maschi e le femmine siano uguali. Sono cattiva mica scema. [pullquote]Io non credo che i maschi e le femmine siano uguali. Sono cattiva mica scema.[/pullquote] Penso molto banalmente che tutte le differenze tra maschi e femmine si riconducano semplicemente e banalmente al fatto (ed è un fatto) che gli uomini hanno un apparato sessuale e le donne ne hanno un altro che, per di più, la natura ha destinato a riprodurre gli individui. A parte questo io parlo sempre di persone e di individui unici e che siano maschi e femmine a me importa molto poco. Sono molto più attenta e in ascolto dei contesti storici, sociali e culturali.

Per me questo è un approccio alla vita, è una scelta di conversazioni, è un modello che applico nella mia famiglia fatta della sottoscritta, di un doc e di due bambini, un maschio e una femmina. Oltre questo nucleo, più passa il tempo, invece di intestardirmi e arrabbiarmi sempre di più, tendo a scoraggiarmi e a chiudermi sempre più in me stessa. Oltre il nucleo c’è una famiglia esterna, inattaccabile, di maggioranza. Siamo circondati da persone che ci amano e che sono sangue del nostro sangue (altra definizione che mi fa inorridire) ma che quanto a pensiero sono ai nostri antipodi. Questo non mi autorizza a farne dei nemici ma tutto diventa più complicato.
Oltre questo nucleo ci sono gli amici, quelli che ti scegli, quelli che ti fanno ridere, quelli intelligenti e quelli meno. Poi ci sono i conoscenti e più allarghi il raggio e più l’orecchio si apre agli estranei, agli sconosciuti, quelli che ascolti sull’autobus o all’autogrill al tavolo accanto.

Ecco, io faccio una gran fatica a trovare qualcuno che la pensa proprio come me.
Nei momenti più negativi mi sento proprio sola tanto che comincio a pensare di sbagliarmi, che tutti voi la fuori avete ragione e io sono una povera scema frustrata che si ostina a mettersi di traverso nelle cause perse.

Poi questa estate ho letto un libro. Un libro degli anni 70 che per il titolo avevo sempre snobbato. Come se un libro lo giudichi dal titolo, come se una persona la potessi pesare dalle prime parole che dice. Pensavo fosse superato un libro degli anni 70, come se una persona anziana nelle cose che dice possa essere non ascoltata. [pullquote]Pensavo fosse superato un libro degli anni 70, come se una persona anziana nelle cose che dice possa essere non ascoltata. [/pullquote]Combattere contro i luoghi comuni premia sempre. E’ come dare una chance in più a una persona bollata di una sola etichetta.

Il libro è: Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti

Mi sono subito chiesta perché mai mia madre non l’avesse letto. Magari le avrebbe suggerito una strada diversa, diversa dal sacrificio gratuito. Ma forse era troppo presto. Io l’ho letto nel 2000 ed è stato troppo tardi. Non è cambiato quasi nulla da allora, forse solo la possibilità di conoscerlo prima il sesso di un bambino e così preparare in tempo il corredino rosa o celeste.

Riga dopo riga la mia teoria, cresciuta in me spontaneamente senza l’influenza di alcuna lettura, quando ero troppo piccola per scegliere, ha trovato innumerevoli conferme. Perché la differenza chiave tra un carattere genetico e uno ambientale è che il primo non è modificabile e te lo tieni per quello che è, mentre il secondo è argilla malleabile e lavorabile. Se fin da piccoli ci convincono che alcune cose di noi fanno parte del nostro DNA, biologicamente, siamo destinati a rimanere fermi e a rassegnarci nei nostri limiti. Se invece abbiamo la consapevolezza di avere un carattere, un talento, un temperamento, un’opportunità svincolata dal nostro sesso abbiamo in mano il timone del cambiamento e quindi dell’autorealizzazione. [pullquote] Se invece abbiamo la consapevolezza di avere un carattere, un talento, un temperamento, un’opportunità svincolata dal nostro sesso abbiamo in mano il timone del cambiamento e quindi dell’autorealizzazione.[/pullquote]

I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze…*

E io sono nemica dei pregiudizi, degli stereotipi, delle tipizzazioni.

La tipizzazione prestabilita in senso biologico è tale esclusivamente nei riguardi della procreazione; tutto il resto è culturale, fino a dimostrazione contraria.*

Fino a prova contraria. Per me non esiste il proverbio popolare che “l’eccezione conferma la regola”. Per me esiste il metodo empirico della scienza per cui ogni eccezione confuta la teoria.

Non me ne vogliano le persone che amo, che stimo, che frequento. Tutte quelle che nelle loro conversazioni usano continuamente frasi inutili e indimostrabili, senza fare lo sforzo di chiedersi se hanno senso, se esiste un’alternativa. Non sono quelle che mi impediscono di amarle e di frequentarle. Prevalgono altre ragioni per cui continuo a tenerle strette nella mia vita.
Ma dentro di me sono veramente cattiva e non riesco a fare mie quelle frasi, quelle conversazioni.

Provate a dimostrarmele e io ho sempre l’ultima parola, come dice sempre mio padre.

Per quanto riguarda le bambine, perché non lasciare a quelle che potevano avvertire il bisogno di affermazione una parte aggressiva e attiva di se stesse la possibilità di identificarsi liberamente con il personaggio del lupo? E’ questa libertà che si dovrebbe concedere, cioè di scegliere secondo i propri personali bisogni di individuo, invece di pretendere dai bambini che aderiscano per forza agli stereotipi inventati dalla nostra cultura e che sacrificano senza alcuno scopo positivo qualità ed energie umane preziose, che possono appartenere indifferentemente all’uno o all’altro sesso.*

*Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti

Se ti fosse venuta voglia di leggere questo libro, compralo cliccando qui: Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita e aiuterai questo sito a crescere.

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Il ruolo dei genitori negli stereotipi di genere

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67 thoughts on “Dalla parte delle bambine”

  1. @MammaCattiva allora la vediamo allo stesso modo.
    @Barbara no, io penso come te che sia una loro responsabilità o meglio un loro PRIVILEGIO come per le madri (perchè crescere i figli è faticosissimo ma anche un grande privilegio per me, un dono unico).
    Per me sono onesta: sarebbe stato anche un bell’aiuto. Ho avuto un baby-blues (non voglio chiamarla depressione eprchè mi sembra troppo confrontato ad amiche che davvero ci son passate) coi fiocchi e mi sarebbe servito.
    Ma la prospettiva ” a freddo” è la tua: partecipazione a una cosa che dovrebbe essere di entrambi. Io dico che la PREVALENZA è naturale che epr i primi mesi sia della madre. Io poi sono così: molto “nature”, molto “country”, discretamente “figlia dei fiori” (o “ruspante” come amo definirmi essendo parecchio gallina a volte). Quindi per me è stato improtante anche capire che Belvetta e, credo, tutti i bimbi quando nascono sono “animaletti” immaturi alla vita fuori dal grembo materno (cavalli, mucche, molti mammiferi sono già in grado di stare in piedi ad esempio) e che perciò necessitano maggiormente della mamma.
    Non ho problemi a dire che la nostra natura “animale” è importante nei primi mesi di vita.
    Ci ho messo tempo a fare pace con me stessa e vivere a pieno questa realtà. Normalmente viviamo in un mondo che vuole separare al più rpesto al fisicità madre-figlio anche se questo è contrario ad ogni più elementare legge della natura.
    Questo dico.
    Ma che i figli vadano curati da entrambi è verissimo. Che i padri si debbano ricavare uno spazio nella cura dei figli è super-vero. E sai perchè? Perchè se no ci perdono LORO e più ancora i bambini. E questo è davvero brutto e triste.
    Io non penso che sia una questione di dovere e responsabilità, o meglio non solo (i figli sono anche dovere e responsabilità ovviamente) ma soprattutto di PIACERE. Quello che non capisco di molti (moltissimi) uomini e come possono privarsi del piacere di accudire i propri figli.
    Cavolo cosa si perdono!

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    • Questo confronto tra Rocciajubba e Barbara è molto interessante, ed è certamente meno semplice di quanto sembri. Chissà che non riusciamo a dedicarci un intero mese.

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  2. @Roccajubba, mi sa che ci siamo capite benissimo invece 😛
    Il nostro modo di affrontare la cura dei figli (inteso some l’insieme di cose che servono a farli crescere in salute e felicità) nella pratica è molto simile, quello che è diverso è l’idea che ne abbiamo dietro. Naturalmente io non sto dicendo che i bambini non hanno bisogno della madre, lungi da me, ma io penso che abbiano altrettanto bisogno del padre, e di vederlo coinvolto e interessato nella loro crescita esattamente come la mamma. Che poi uno dei due faccia certe cose e non altre e viceversa va benissimo, per carità: il Prof i primi tempi era terrorizzato dal bagnetto (e come essere umano ha tutto il diritto di avere le sue paure), e allora meglio che lo facessi io piuttosto che TopaGigia lo vivesse come un momento carico d’ansia. Ma al momento dei vaccini io sono crollata, non ce la facevo a seguire anche un’altra faccenda burocratica e allora il Prof ha preso in mano le schede ed è tornato sulla questione solo per comunicarmi il giorno dell’appuntamento. Ecco, se ho capito bene quello che dici (e correggimi se sbaglio) tu questo lo vedresti come un aiuto che lui ha dato a me, io invece lo vedo come una responsabilità anche sua, e se crescendo ci saranno altre occasioni di questo tipo credo che TopaGigia si sentirà più sicura e più parte di una famiglia in cui si collabora e ci si rispetta, che poi è l’idea che vorrei darle.

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  3. @Lanterna, Mammacattiva, Barbara mi sa che non ci siamo capite.
    Io non penso che TUTTA la cura sia della madre. RIbadisco che ho cercato in ogni modo di coinvolgere mio marito e vivo male questo fallimento perchè se mi fossi impuntata di più, se non fossi stata circondata solo da persone che mi dicevano “ti sbagli” (sbagli a coccolare tua figlia, sbagli a non farlo, sbagli ad allattare, non allatti abbastanza, sbagli a protarla fuori col freddo, sbagli a coprirla…erano sempre e solo sbagli), se avessi avuto la forza di smollargliela in mano e uscire forse oggi Belvetta si affiderebbe di più a suo padre.
    Però sono anche convinta che la figura materna sia fondamentale nel primo anno di vita e molto importante nei primi tre.
    E spero di non ferire nessuno perchè è lontano anni luce dalle mie intenzioni ma penso che sì, un bambino dovrebbe essere adottato da neonato perchè una carenza della figura materna nei primi anni crea nel bambino una sofferenza altissima (penso che sia una delle cose peggiori dell’attuale legge sulle adozioni: l’allungamento dei tempi che portano i bambini ad essere adottati sempre più in là negli anni).
    E ripeto: PENSO CHE UN PADRE DOVREBBE SEMPRE AVERE UN RUOLO NELLA CURA DEL FIGLIO, ma anche che uomini e donne non siano uguali.
    Il che non significa inquadrare le donne in un ruolo servile, sarei RIDICOLA a dirlo viste le mie scelte di vita, visto il mio carattere e il mio modo di educare mia figlia (“tu puoi fare quello che vuoi da grande, essere ciò che vuoi” è una delle frasi che le dico più spesso).
    Significa solo che uomini e donne sono complementari e non intercambiabili.
    E questo mi sembra più arricchente che omologarci tutti in un unico contenitore.
    La PARITA’ fra i sessi è l’obiettivo per me, non l’UGUAGLIANZA.

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  4. @Roccajubba, in parte ti ha già risposto Lanterna. Voglio solo aggiungere che la biologia è molto più elastica di quanto a volte pensiamo (se quello che dici tu fosse un bisogno così assoluto, i bambini adottati o orfani di madre mostrerebbero dei problemi già nei primi mesi di vita), e che noi umani ormai siamo esseri molto più sociali che biologici.
    @Chiara, non mi pare che nessuno di noi in queste discussioni abbia sottolineato come giusto che una donna che voglia costruirsi una carriera debba rinunciare alla sua femminilità. In effetti non mi pare che ci siano stati commenti di persone che abbiano ammess di spingere le proprie figlie a giocare solo con le bambole e i propri figli solo con le macchinine. Quello di cui abbiamo sempre parlato è se sia giusto o meno mettere dei limiti in base al genere, cioè vietare alcune cose perchè non sono “adatte” a maschi o femmine. Io ho una figlia, le metto volentieri le gonne ma mi fa piacere che giochi con le macchinine, tanto per intenderci, e se fosse un maschio gli metterei i gilet ma non gli vieterei di giocare con le bambole. Sono riuscita a spiegare la differenza d’approccio?

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  5. Fino ad ora vi ho letto in silenzio perché sulla questione di genere mi trovate molto dubbiosa e poco militante. Io sono stata allevata forse fuori da questo tipo di stereotipi, ma all’interno di un ben radicato “stereotipo sociologico”: a me, figlia intelligente, non era richiesta mai alcuna faccenda domestica (e infatti non le so fare). Studiare era il mio lavoro e scintillare di superiorità intellettuale. Superiorità che comprendeva, ovviamente, il disprezzo per ogni vezzo femmineo, da Candy Candy (anche se mi piaceva, di nascosto) ai vestiti, alla cura di me stessa. Il risultato di questo approccio solo apparentemente illuminato (in realtà assolutamente sessista, se ci pensate bene) è stato che solo oggi inizio a fare a patti, goffamente, con il mio essere donna. Istintivamente quindi mi verrebbe da dire che mi auguro di educare mia figlia con la finalità di vivere se stessa con equilibrio. Senza preclusioni, certo, ma anche senza battaglie ideologiche. Vorrei che fosse una persona un po’ più riconciliata con se stessa, ecco. Scusate l’off topic!

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  6. Ecco, a me questa cosa della biologia non convince. Da un lato è innegabile che li gestiamo, partoriamo e allattiamo noi. Dall’altro, invece, una volta che l’ho soddisfatto nei bisogni in cui sono insostituibile, perché non può subentrare il papà? Così magari il bambino può imparare a riconoscere come rassicurante anche il suo odore e il suo battito cardiaco.
    In casa mia è andata così, anche perché ho allattato per pochissimo tempo, e non mi pare che i miei figli ne abbiano sofferto. Tuttora, ci sono alcuni compiti che sono miei o di mio marito solo perché li facciamo meglio (io lavaggio nasale, lui bidet, per dire). Mi sono persino impuntata con me stessa perché, quando devono vestirsi, sia lui a scegliere gli abbinamenti: ne saltano fuori abbinamenti a volte agghiaccianti, ma ho imparato che ogni cosa che voglio controllare io è una palla in più al mio piede.

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  7. @Rocciajubba, provoco che è il mio mestiere. Ma non è che questa cosa della voce e dell’odore sia una bellissima suggestione? A me sembra che appartenga più al mondo animale che al mondo umano, fatto di casualità, di scelte, di variabili e incognite. Quando era incinta ogni sera facevo sentire ai miei bimbi nella pancia la musica di un carillon, sempre la stessa e quando sono nati indubbiamente quel suono accogliente li calmava. Ma perché era caldo e armonioso o perché lo riconoscevano? E se fosse stato perché lo riconoscevano era pur sempre una cosa meccanica e non la mia voce. I bambini hanno bisogno di amore, della mamma certo ma di amore prima di tutto. Se scientificamente fosse vero quello che dici non si spiegherebbe la felicità e l’equilibri dei bambini adottati (quelli cresciuti con amore) e di quelli che perdono la mamma alla nascita o prematuramente. Uomini e donne non sono uguali ma le diversità dimostrabili alimentano solo creazione e non castrazione.
    Le necessità naturali di un bambino sono calore, nutrizione, cura, educazione.

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  8. @Barbara è BIOLOGIA! I bambini seguono l’odore e la voce della madre che conoscono fin da dentro l’utero.
    Non lo dico io ma pediatri, pedagogisti, ostetriche in tutto il mondo e tutte le culture.
    Il che non significa che un padre se la possa cavare BENISSIMO ma che la necessità naturale di un bimbo nel primo anno di vita sia stare prevalentemente con la madre. Mi bacerei i gomiti se DaddyBear avesse curato più Belvetta ma semplicemente non l’ha fatto. Indipendentemente dalle mie richieste, dal mio stare male, dal seno con la carne che si staccava perchè mi mordeva (@MammaCattiva te lo dico io: scuse e egoismo allo stato puro).
    E tu hai ragione: se non c’è questo sostegno alla madre e al figlio un padre poi non può pretendere un rapporto profondo con i figli.
    E la cosa peggiore è che i bambini ne soffrono.
    Ma questo non significa che uomini e donne siano uguali. Non lo siamo.
    Non lo saremo mai. O non sare “l’altra metà del cielo” gli uni per gli altri.

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  9. @Gloria, MammaCattiva: i commenti sono un po’ dappertutto. Io cerco di reagire sempre: se sono persone che conosco abbastanza bene spiego anche tranquillamente che voglio che giochi con qualunque cosa le interessa e che non voglio insegnarle che ci sono cose da maschi e da femmina perchè io stessa non lo credo. Se perseverano peggio per loro, non so se si è notato che sono piuttosto agguerrita sulla questione…Con gli “incontri occasionali”, al “tu non puoi giocare con questo” detto da altri bambini rispondo tranquillamente “perchè no? vuole solo giocare con te, ed è felice di dare a te i suoi giocattoli se vuoi” (naturalmente vengo regolarmente smentita dall’urlo feroce di TopaGigia che a quel punto si ricorda che i suoi giochi sono bellissimi)…
    Nessuno dei 6 i nonni costituisce un problema, per nostra fortuna (anzi!!), mentre qualche occasione è capitata con le zie e i cugini, e allora la cosa è più spinosa perchè sono persone che dovrebbero conoscermi e rispettarmi, ma essendo genitori da più tempo di me si mettono sul piedistallo. Con mia sorella non ho peli sulla lingua, però, e non è mancato un “non voglio che la sua massima aspirazione nella vita sia di fare la velina”. Con mia cognata ho cercato di far intervenire il Prof che però si è defilato e ho lasciato perdere. Spero che abbia capito il mio silenzio e che non ci riprovi (lei ha 2 figli maschi).
    Sono d’accordo con Serena di evitare gli scontri più duri davanti ai bambini.
    @Rocciajubba mi dispiace ma non sono d’accordo con te. Io penso che a ogni età i bambini abbiano bisogno sia della madre che del padre, forse in modi diversi e a fasi alternate, ma queste fasi sono imprevedibili e dipendono dal bambino, quindi secondo me entrambi i genitori devono essere disponibili in ogni momento a fare qualunque cosa. Sono felice che mia figlia sappia che può essere vestita, nutrita, lavata, coccolata, sgridata, intrattenuta, accompagnata a scuola eccetera sia dalla mamma che dal papà, e se un giorno vuole farsi coccolare dal papà prima di andare a letto può chiederlo con tutta tranquillità.
    Perdonami la provocazione: cosa intendi quando dici che “è la natura che è così”? La natura ci fa portare in grembo i figli e partorirli, ma poi dove sta scritto che hanno più bisogno di noi mamme? Ci sono infinite situazioni diverse, conosco madri che sono andate nel panico appena loro figlio di pochi mesi scoppiava a piangere e il padre gestire la situazione perfettamente, calmando bambino e madre con pochi gesti e parole. Ho visto questi stessi padri guidare la moglie a gestire un piccolo… insomma non si può mai dire.

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  10. In merito al mio “La cura, l’accudimento sono azioni che possono essere eseguite indistintamente da un maschio e una femmina.” non significa che nego che un bimbo abbia bisogno della sua mamma, soprattutto nel suo primo anno di vita. Ecchecaspita, così cattiva pensate che sia? 😉

    Io aggiungo, non tolgo.

    Gli uomini sono in grado di fare tutto fuorché partorire e allattare quindi dividere i compiti, dare amore, affetto e coccole significa ridurre il tempo della fatica, in cui la mamma stremata può ritrovarsi; significa entrare in contatto diretto e intimo con il bambino. Anche quello è imprinting. Non capisco quegli uomini che dicono che non sanno farlo. E’ una scusa e in molti casi egoismo. Capisco invece quelli che non lo fanno perché la mamma è così perfezionista che non glielo lasciano fare: “come lo fa la mamma non lo può fare nessuno”. Solo dio è onnipotente e fino a prova contraria.

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  11. @Barbara rispondo su un paio di cose su cui mi sento chiamata in causa.
    La prima è la condivisione della cura: io penso cche nel primo anno di vita un bambino abbia PREVALENTEMENTE bisogno della mamma. Non in modo esclusivo. Ma prevalente sì. E’ la natura che è così.
    Allo stesso tempo penso che tu abbia ragione nel dire che un padre deve prendersi cura da subito almeno in parte del proprio figlio/a.
    Io ho sempre insistito con DadddyBear perchè lo facesse e lui non mi ha ascoltata. Risultato? Belvetta non si fida di lui, o meglo non si AFFIDA a lui. Ieri sera sono uscita per un impegno dopo cena e lei era isterica e non voleva stare col padre.
    E ti assicuro che ho fatto di tutto per coinvolgerlo tranne impormi perchè penso anche che se le cose si fanno a forza i bambini lo sentano eccome.
    La seconda cosa sono le favole: io ho aspettato a proporre i classici Disney per un bel po’. Prima Winnie Pooh e poco altro perchè noi guardiamo in generale poca TV e piuttosto che vedere un cartone usciamo al parco o cuciniamo o disegniamo o lavoriamo in giardino.
    Ora ogni tanto (una volta a settimana circa) chiede di vederli e glieli metto. Dura direi una mezz’ora e vuole solo certe scene (es: i nani in miniera).
    Per il resto io cercco di leggerle storie più che altro e noto che le favole classiche la interessano meno e preferisce storie di animali o cose “educative” (scusate non mi viene un termine migliore) o giochi di parole tipo “Sembra questo sembra quello”.
    Credo che anche le favolee abbiano uno spazio temporale di interesse preciso e che piacciano a maschi e femmine indistintamente, solo che normalmente si propongono (mistero il perchè) solo alle femmine.
    Lo dirò alla nausea: alla fine alle bambine secondo me vengono lasciate più porte aperte. Se una bimba vuole correre e saltare al massimo è un maschiaccio (termine urendo per me e sgrido Belvetta quando lo usa!) ma se un maschio vuole imparare a cucinare apriti cielo…gli mettono in mano subito 3 robot e 5 soldatini per ccompensare.

    @MammaCattiva io hai luoghi comuni rispondo di solito che in casa mia mio padre ha sempre fatto di tutto (tranne stirare…un disastroooooo!) seguendo il principio per cui “Ho una moglie e due figlie mica tre cameriere” alternato a “Mangiare mangiamo tutti, vestirci ci vestiamo tutti e sporcare sportchiamo tutti quindi tutti si sistema tutto”. E che con questo credo vado avanti a educare mia figlia.
    Poi ogni tanto rido anche io quando fa le disquisizioni sui trattori e la prendo in giro chiamandola “la mia ccamionista” ma lo faccio con un orgoglio che non ti dico!!! E si vede (almeno così mi dicono!).

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  12. @Mamma Cattiva: certo, però, che tu ci provochi, eh!
    Anche io ho spesso la sensazione che dici tu, di sentirmi sola, e di non incontrare mai nessuno che la pensa come me. In rete, credo, è più semplice. Non sei obbligato a frequentare chi non ti piace, prima di presentarti ad una persona (o come in questo caso ad un gruppo di persone) la “conosci bene”, leggendo magari il blog più e più mesi (a me succede, di seguire moltissimi blog che condivido e non commentare quasi mai) prima di “entrare nel gruppo”.
    Se sotto molti aspetti la rete e la vita sono molto vicini, sotto questo credo che siano molto lontani, invece. Perché i familiari, gli amici, i genitori degli amichetti, le mamme del parco, le insegnanti… Quelli (a parte gli amici, che in ogni caso spesso lo sono per tanti altri motivi) non te li scegli. E sentirsi un pesce fuor d’acqua è all’ordine del giorno.
    Come rispondo alle provocazioni? Se sono di un conoscente, non rispondo. Se sono i nonni rispondo sul momento, a costo di essere sempre presa per “quella a cui non sta bene niente”. Se sono familiari o amici dipende dal contesto. Se c’è spazio e modo per un confronto, rispondo. Altrimenti rimando.

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    • Io penso che la maggior parte delle persone butta li delle frasi senza pensarci troppo. Io in questi casi non mi faccio problemi a farlo notare, con gentilezza, ma a farlo notare. Ad esempio mia suocera che è più portata verso queste divisioni di genere a volte ha delle reazioni istintive che io non approvo. In quei casi cerco di intervenire con un afrase per aggiustare il tiro, e lei mediamente reagisce quasi chiedendo scusa e rendendosi conto della questione. Ad esempio con il Vikingo che questestate voleva una bambola come la cuginetta, e la nonna istintivamente ha detto una frase, che non ricordo alla perfezione, ma una cosa tipo: “ma tu no!” Al che io ho detto: ma certo Vikingo, se vuoi una bambola possiamo vedere se la troviamo al negozio di giocattoli domani, così puoi giocare a portarla in giro come fa papà con il tuo fratellino”. A volte sono più diretta e dico direttamente: non vedo nessun problema se vuole indossare una collana/un fermaglio/una maglietta rosa! Perché non potrebbe farlo? Domande dirette a volte aiutano, perché spesso ricevono una risposta del genere: e già, perché no?
      Poi i casi più duri, richiedono ovviamente più sangue freddo, e in quel caso secondo me lo scontro diretto, soprattutto davanti ai figli, è da evitare.

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  13. Ogni tanto passo e sbircio ma non potrei 😉
    Non so se essere rincuorata o scoraggiata dai commenti che mi sono molto più vicini che lontani. Al solito, dove sono tutti quelli che là fuori almeno una volta al giorno citano luoghi comuni a sproposito?
    Perché alla fine io la semplificherei anche questa cosa. E se appunto trovassimo sempre un’alternativa, tipo invece di:
    – le femmine si truccano, i maschi no = i bambini (tutti) sono già belli e non hanno bisogno del trucco.
    – le femmine giocano con le bambole, i maschi con le macchine = i bambini giocano con le cose che loro piacciono. A te cosa piace?
    – hai la pancia tonda (vomiti, sei brutta, sei triste)…allora è sicuramente femmina = E’ sicuramente gay 😉

    Voi cosa rispondete alle “provocazioni”. Soprattutto, lo fate?
    Perché spesso sono i familiari, gli amici, anche quelli che stimate.
    Facile replicare ad un estraneo ma gli altri?

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