Sarò sincera con voi.
L’altra sera prima di addormentarmi osservavo il buio con gli occhi sbarrati e mi dicevo che sono così stanca da non riuscire non solo a focalizzare quali sono gli argomenti su cui riflettere ma neanche a rispondere con un commento alle cose belle che vengono pubblicate ogni giorno (leggasi per esempio l’articolo di Supermambanana).
Altro che contrappunti!
Grazie al cielo, però, da un pensiero ne nasce un altro .
E ripensando all’articolo cui faceva riferimento Supermambanana (e per altro, avendolo probabilmente in parte frainteso) ho ridacchiato tra me e me su quella che non ho trovato altro modo per definire se non “la mia attuale sindrome da nido pieno“.
Questo pensiero è andato rapidamente a crashare contro una battuta di un’amica che mi diceva “un figlio te lo perdonano, due no” e la contemporanea lettura del libro di Marina Piazza “le trentenni”.
“Spesso appaiono sulla stampa inchieste, articoli, domande rivolte alle donne: perché non vogliono più assumersi il ruolo né di moglie né tantomeno di madre? Che cosa dovrebbe fare la società per aiutarle, proteggerle, sostenerle?
Oppure, alternativamente: dove, in quale perverso circolo emancipativo le donne hanno perso il loro istinto materno?
Secondo me, date le condizioni con cui la società italiana e il sistema di welfare accolgono i nuovi nati e le loro madri (e padri) questi interrogativi sono in realtà circondati da un alone di falsa coscienza e di colpevolizzazione a senso unico nei confronti delle donne (se il tasso di fecondità in Italia è il più basso al mondo è colpa delle donne che sono egoiste e dedite al loro interesse, anche professionale, e quindi non si sacrificano per il bene del paese; se i figli crescono male, è colpa delle madri che non dedicano loro il tempo necessario, e via dicendo).” (Marina Piazza, op. cit.)
E tra una e l’altra cosa, il rimbalzo è avvenuto sul valore Istat 2001 secondo cui in Italia siamo a 1,2 figli a donna.
Quindi ho un 0,8 figlio di troppo a riempirmi il nido !
E improvvisamente ho iniziato a pensare che questo è il classico pensiero che fa male, che non aiuta.
Seguitemi: se davvero soffro di sindrome da nido pieno, ossia – per riprendere con un riassunto azzardato il pensiero della Piazza – di una confluenza eccessiva di diktat idee obiettivi in una manciata di anni – pensare di aver fatto 0,8 figli di troppo non aiuta.
Così come non aiutano i sensi di colpa.
E ho pensato a come mi sto comportando a cosa sto facendo dei miei sensi di colpa (se sto crescendo, per collocare questo appunto sotto la giusta ottica, dato il titolo dato a questo blog dalle mie ospiti …) e soprattutto a cosa aiuta e a cosa non aiuta.
Per dirlo sempre con la Piazza:
Quali sono le strategie personali e di coppia che permettono di sostenere la nascita di uno o più bambini?
(nota personale: in questo periodo non mi sento granché strategica, ma ci sono momenti in cui si può razzolare male ma alzare la testa per provare a pensare bene o almeno spero 😉 )
Mi sono detta che non aiuta quest’enfasi accorata sull’importanza del nido caldo della mamma fino ai 3 anni della vita del bambino.
Mi sono detta che non aiuta non decodificare il pianto dei bambini quando vengono inseriti al nido.
Mi sono detta che non aiuta questo immaginario collettivo per cui bisogna fare tutto (“ah, quando avrai due figli non avrai più tempo di consultare l’agenda, non stare neanche a comprarla”).
Aiuta (me) incontrare luoghi di cura per i bambini (la tata, la tagesmutter, per esempio) che siano quella “famiglia” allargata che non esiste più (sono pochi, sono casi di eccellenza, ma ci sono).
Aiuta (me) sapere che il pianto significa il dolore dovuto all’amore estremo che c’è tra di noi. Non “odio questo posto, ti odio perché mi lasci qui, starò malissimo” ma “ti amo tanto, mi dispiace tu vada via. Magari mi divertirò un mondo, ma tu sarai il mio sole”.
Aiuta (me) conservare me stessa e le mie esigenze ancora (in qualche modo) al centro della mia agenda (che ho comprato! e di mio gusto).
Mi sono detta che non aiuta pensare di essere in dovere di fare qualcosa per la casa mentre i figli riposano (della serie: “ah, riposano, bene, ora la to-do-list prevede: preparazione cena, elenco della spesa, ordine, stirare, lavatrice…”).
Mi sono detta che aiuta pensare di usare quel tempo per essere una persona migliore (ndr. – per cena: pasta al volo, la spesa e la lavatrice, direttamente con i figli quando si svegliano, ordine, stirare: non pervenuto; ora: gambe in alto sul divano e … recupero mentale, che qui si ha bisogno di una mamma, magari riposata e se possibile felice).
Mi sono detta che non aiuta la pretesa (non detta): bene, dopo due maternità dimostraci che sai ancora lavorare, che sei ancora disponibile, che fai più degli altri.
Aiuta sedersi alla scrivania consapevoli che quello E’ un pezzo di me, che lo so fare bene, che sapevo farlo bene anche prima senza che sia necessario da parte mia dimostrare alcunché.
Mi sono detta che non aiutano campagne “di massa” ma ascolto individuale, perché così come i percorsi delle Trentenni sono, ormai, percorsi individuali, tortuosi, ribelli, ricorsivi, tutti diversi, anche i consigli e le prospettive legate alla maternità e alla famiglia non possono che essere scelte individuali, strategie private.
Se il nido è pieno di obiettivi professionali appena abbozzati, di figli ancora in fasce, con pannolini, biberon, coliche e notti insonni, di nostalgia per i tempi dilatati del prima, di genitori bisognosi, di una società che chiama e pretende toppe sulle falle di un sistema di welfare ormai mezzo affondato, l’unica cosa che aiuta è la pulizia e l’onesta intellettuale di buttare fuori richiami e aspettative iscrivibili a una agenda di desiderata che ci viene appiccicata addosso.
Le pile di biancheria da stirare si ricreano, la nostra serenità come persone è una sfida da perseguire costantemente e quotidianamente.
Come disse Supermambanana (per la sindrome opposta):
L’importante è riconoscere che ci sta accadendo, che non siamo le uniche, […] e che passerà.
@Close
Conosco bene quella puntata, l’ho vista due volte, prima da sola e poi con mio marito.
La prima parte con i papà in congedo è stata per me bellissima, un vorrei ma non posso italico.
Pensare che mio marito è riuscito a prendersi due settimane di ferie per conoscere e accudire il piccolo appena nato. Ha giovato a lui e a tutti noi di riflesso. Le due settimane sono volate, ahimè.
Grazie Serena per la precisazione, avevo inserito una informazione poco corretta. Beh, se fosse obbligatoria per i padri italiani, non sarebbe male! 🙂
D’accordissimo sul congedo di paternità obbligatorio.
Noto comunque moltissime resistenze al riguardo nel Parlamento italiano proprio nel fatto di non mettere la cosa in calendario quando invece c’erano precise indicazioni in proposito dal Parlamento europeo.
Vabbè, si sa che la priorità assoluta adesso non è nemmeno la crisi finanziaria, ma il processo lungo… ma temo si tratti di una resistenza diffusa che secondo me bisogna far saltare il prima possibile, prima che la scelta di fare un figlio diventi un cappio al collo peggio del mutuo, perché conosco anche il malessere di donne rimaste a casa senza un lavoro che stanno letteralmente sclerando a parlare solo con un figlio piccolo 24h/24.
Una settimana fa in fila dal dottore ho trovato un numero del “Messaggero di Sant’Antonio” con un editoriale finale in cui la signora (purtroppo non ricordo il nome) discuteva appunto della proposta della UE del congedo di paternità, dicendo che va contronatura, che gli uomini per natura non sono capaci di pulire il sederino ad un bambino, e che insomma queste donne non vogliono più fare le mamme e che questa emancipazione chissà dove ci porterà.
Avrei tanto voluto risponderle che mio marito ha da sempre partecipato con amore all’accudimento di mia figlia e non trovo che sia contronatura, anzi, è un regalo che gli uomini fanno a loro stessi.
per quanto non voglio e non posso ignorare l’economia del mettere al mondo un figlio, io credo anche che se si uscisse dalla logica del “serve un secondo stipendio” saremmo tutte un po’ piu’ serene.
Non perche’ non sia vero che spesso (sempre?) ci vuole un secondo stipendio, ma perche’ magari ci sono quelle cui davvero piace lavorare, e trovo molto triste che siano costrette magari a mentire (agli altri e a volte anche a se stesse) dicendo che lo devono fare per lo stipendio, solo perche’ altrimenti si devono sorbire la classica domanda “ma allora perche’ hai voluto un figlio?”
@Close
A me non hanno detto ti devi vergognare ma hanno fatto in modo che mi licenziassi (demansionamento e mobbing). L’ho fatto perchè potevo farlo e ci siamo imbarcati in un mutuo non troppo oneroso.
Per intenderci se la rata del mutuo prosciuga più del 30 per cento del tuo stipendio, ho l’impressione che la banca e il lavoro straordinario diventeranno i tuoi padroni. Questo intendevo con lo stile di vita sbagliato. Ci sono tantissime coppie abbagliate dalla bella casa e così non si rendono conto che si mettono un cappio al collo per quasi 40 anni della loro vita.
E poi torniamo al nido, se il congedo parentale fosse obbligatorio per il padre, cambierebbero anche le reazioni del datore/datrice di lavoro (la mia era una donna), ne sono sicura, basta vedere il caso Svezia.
Per quanto io sia assolutamente favorevole al sistema di congedi parentali svedese, per ovvie ragioni 🙂 ci tengo a precisare ancora una volta che in Svezia non c’è congedo parentale obbligatorio per il padre. Ossia il padre non ha nessun obbligo di occuparsi del figlio. Solo che i giorni di congedo parentale paterno non sono trasferibili, quindi se non li prende lui sono persi e non li prende nessun altro. (si veda: https://genitoricrescono.com/congedo-parentale-in-svezia-e-questioni-di-genere/ per approfondimenti).
Detto ciò sono d’accordo anche io che una politica di congedi parentali differente, che spinga i padri a stare a casa a prendersi cura dei figli, risolverebbe gran parte delle problematiche legate al lavoro delle donne, oltre a ristabilire equilibri famigliari più sani, e influire quindi positivamente sulla crescita dei bambini. Non ultimo, sono certa che le donne potrebbero essere aiutate a smetterla con questa catena di sensi di colpa e sensi di ineguatezza, visto che casomai, l’ineguatezza si inizierebbe a vederla come di entrambi i genitori.
http://www.youtube.com/watch?v=lOakkd8ylCQ
http://www.youtube.com/watch?v=y_KM4mGeKO0
Miriam scusami una cosa al volo: quando dici che i calcoli sul mutuo andrebbero fatti prima, in realtà credo che la stragrande maggioranza delle coppie che mette al mondo un figlio tardi (per tardi intendo intorno alla quarantina) lo fa perché si sente strozzata dalla possibiltà di non farcela economicamente e di non vedersi rinnovare il contratto a progetto.
Nel momento in cui ce la fai e ti butti, sei ‘graziata’ come donna se trovi quel benedetto nido che ti permette di continuare sul lavoro senza che il titolare ti dica che ti devi “vergognare” di aver avuto un figlio – consiglio a tutti il documentario di Riccardo Iacona “Senza donne” in cui riportano appunto una serie di reazioni di questo tipo.
Sono assolutamente d’accordo sul fatto che la riflessione sulla genitorialità riguarda tutti, non solo le donne.
E’ proprio perche’ i figli sono considerati ‘cose da donne’ che c’è tutto questo avvitamento sul vorrei-ma non posso-ma poi mi silurano-ma mi sento in colpa ecc.
Abbiamo un figlio solo e nessun desiderio di allargare la famiglia, nemmeno con le condizioni facilitanti della Svezia. Eppure nonostante non volessi, vicende lavorative lunghe che non racconto, sono rimasta a casa e mi occupo quasi a tempo pieno di quello che gira intorno ad una famiglia.
Mi piace? A tratti sì, il tempo che ho adesso per leggere, stare con mio figlio e me stessa è incommensurabile. Ma il disagio dopo qualche anno serpeggia.
L’articolo di Celia Dodd è intrigante e commovente.
Però:
Come mai l’ha scritto lei e non il padre? (per lo meno non ci risulta l’abbia fatto).
Come mai siamo sempre e solo noi madri a disquisire di ciò?
Lipperini ha ragione ad indicarci una certa strada di lettura, a interrogarci attraverso i testi di Badinter; tutte però vanno a rimescolare il nostro profondo e non quello del nostro partner.
Allora ci deve essere qualcosa di pregresso, qualche passaggio/educazione che ci fa drizzare sempre le antenne e le viscere quando si tratta di figli/e.
Poi banalmente, lo dico vergognandomi, non riesco a sospendere il giudizio sul genitore (in condizioni economiche discrete) che lascia un* figli* di pochi mesi, otto/dieci ore al nido. Il nostro stile di vita andrebbe ripensato, i calcoli sul mutuo andrebbero fatti prima…
Molto interessante questo punto dell’articolo di Dodd:
I have always tried to keep my identity as a person as well as my identity as a mother. It wasn’t just that I missed them, it was feeling that I had moved into a different phase of life. Despite having several part-time jobs and plenty of interests, my primary identity was being a mother.”
This is in line with research in the 1970s by the American sociologist Lillian Rubin, which found that – contrary to received wisdom – stay-at-home mothers were generally pretty relieved when their children left. Of course they missed them for a while, but they’d had enough of mothering and were ready to move on to more “me time”…
Mi ha toccato molto “my primary identity was being a mother”!
E noi che di figlia ne abbiamo una ma con un solo stipendio, vista la sua esiguità, non potremmo vivere? Anche io vorrei fare la mamma a tempo pieno, vorrei anche quel 0,8% in più di figli, ma non me lo posso permettere.
Post che capita giusto.
Io sto aspettando il secondo, e sinceramente sono spaventata dal fatto che il poco tempo che ho adesso, sará ancora meno dopo. In particolare, la pratica di illustrazione digitale, che vorrei far diventare un lavoro prima o poi, potrebbe subire un arresto.
Perché ho scelto comunque di provare?
1- Perché vivo in uno Stato (Svezia) con un welfare stupendo per genitori e figli
2- perché il papá ha una mentalitá paritaria e non considera un attentato alla virilitá prendersi cura dei bambini e della casa
3- perché economicamente funziona
4- perché i miei suoceri ci danno sempre una mano pratica e senza invadenza (quando sono andata in visita in italia i miei era tutto un dispensare consigli non richiesti e critiche velate su qualunque cosa)
Badinter: non ho letto i libri, ma c’era un post dalla Lipperini recentemente.
Quello che mi scoccia su questa faccenda della maternitá, é il fatto che molti/e debbano metterci pezza, e con questo intendo il dire alle MADRI, non ai genitori: fare figli/non farli, farne uno/due/tre/cinquanta, farli a 20/30/50 anni, fare l’epidurale/non farla, allattare a lungo e/o a richiesta, dare il LA, desiderare una carriera/non desiderarla, eccetera. Qualunque cosa si faccia, c’é sempre qualcuno pronto a teorizzare, filosofeggiare, giudicare.
E noi qua a sentirci inadeguate perché tutti han da dire.
Quando ne parlai in terapia, lo psicologo mi disse che, se ci fosse una genitorialitá giusta, perfetta e migliore delle altre, non ci sarebbe tanto versamento d’inchiostro a proposito, ci sarebbe una ricetta e basterebbe seguire quella. Invece tutto dipende da come sei tu genitore, dalle circostanze, da com’é il bambino. Io mamma (o papá) dovevo prendere la decisione che mi faceva stare meglio.
Cosí mi sono fatta fare la ‘poco naturale’ epidurale perché non sopporto il dolore, ho allattato mio figlio fino a tre anni non perché fosse ‘naturale’, ma perché stava bene a me e a lui (vedasi post qui su GC), infischiandomene di ruoli sociali e teorie di chicchessia. Se il mio prossimo figlio deciderá che a dieci mesi la tetta non é piú interessante, andrá benissimo uguale. L’epidurale me la faccio rifare perché é stata un gran sollievo. Eccetera.
Grazie di questo post, un abbraccio perché anche io vorrei tanto quello 0,8% di bimbo in più e non ho idea di come rimescolerà gli equilibri sul lavoro. Ci sarebbero tante cose che vorrei scrivere ma tornerò più tardi… In ogni caso W ELISABETH BADINTER
@D e’ davvero un peccato che chi voglia fare la mamma e basta debba fare i conti con questo disagio. E’ anche un peccato che chi voglia fare la mamma E qualcosaltro debba fare i conti con altri disagi.
Io ho il nido pienissimo: 5 figli. E un lavoro di responsabilità.
Non me ne faccio nulla di essere brava: onestamente, vorrei fare la mamma e basta.
Non dico che tutte dovrebbero fare così, ma a me non piace la tendenza a lasciare i bambini al nido dai pochi mesi di vita, ai nonni (se va bene), alle baby-sitter: è un sistema tagliato a misura di noi adulti, non certo di bambino. Sarò fatta male io, ma a me sembra più prezioso essere una brava mamma che una brava professionista. Solo che non posso: per mantenere una famiglia di 7 persone ci vogliono per lo più due stipendi (tranne casi fortunati).
E quindi? Quindi passo le notti insonni anch’io, a lavorare o a pensare alle cose da fare. L’agenda ce l’ho.
Ma non sempre sono la persona che vorrei essere.
In questi giorni ho letto la Badinter (non l’ultimo libro sulla maternità, ma uno precedente, La strada degli errori). Lei insiste molto sul fatto che le femministe si stiano facendo fregare (da circa 10 anni) dalla retorica della maternità naturale, della simbiosi col bambino, del rapporto speciale mamma/figlio (contrapposto a quello padre/figlio), ecc.
Ne scriverò appena ho tempo, ma il mio primo pensiero leggendo la Badinter è stato: puro buonsenso.
ben detto sorella, dammi il cinque 🙂 a me comunque ha aiutato moltissimo avere il secondo figlio, e il fatto che fosse a soli 20 mesi dal primo, mi ha “curata” da molte ansie, certo la vita era incasinata, ma per un assurdo meno ansiosa di quando ce n’era solo uno (adesso molto meno incasinata pure, quando ieri boy-one stava aiutando boy-two a fare i compiti ho capito che abbiamo proprio svoltato).