Conflitti in classe: formare il gruppo

Una delle cose che più mi colpisce della scuola del Vikingo è la quantità di lavoro svolto per far in modo che la classe funzioni come gruppo. Almeno un’ora a settimana viene infatti dedicata a lavorare in modo specifico su questo aspetto.
Si utilizzano tecniche diverse, ed è difficile dire quali di queste tecniche sia più efficace, rispetto all’atteggiamento generale di attenzione alle dinamiche di gruppo.

amiciziaAd esempio si guardano film in cui avvengono scene tipiche di situazioni scolastiche: un bambino emarginato dagli altri, due amiche che litigano e cose care alla quotidianità scolastica. Poi si discute tutti insieme o in piccoli gruppi di quello che si è visto, si parla di emozioni, ci si domanda cosa si può fare come individui o come gruppo per evitare certe cose.
Altre volte ci si domanda: cosa posso fare per far stare bene un amico? O si dichiara apertamente cosa mi fa stare male e cosa invece mi piace ricevere dagli altri.
Si parla di chi è un vero amico, come si comporta, cosa vuol dire amicizia.
Si parla di bambini emarginati, e di come ci si sente se qualcuno ti isola dal gioco. Poi si discutono strategie per risolvere i conflitti insieme, con l’aiuto di tutti. Insomma si costruisce insieme un vocabolario di intelligenza emotiva, che include parole quali accoglienza, affetto, amicizia.
A me tutto ciò sembra bellissimo.

Un paio di mesi fa il Vikingo è tornato a casa dicendo che quel giorno non avevano fatto lezione, ma avevano giocato tutto il tempo. Vi confesso che sul momento mi sono anche un po’ stranita, per via di quella sensazione che nella scuola svedese non è che si ammazzino propriamente di lavoro!
Poi però ho capito che si trattava di giochi fatti insieme all’insegnante. E così una mattina mi sono fermata a parlare 5 minuti con lei e ho scoperto il suo punto di vista. Mi ha spiegato infatti che avevano notato che i bambini erano un po’ stanchi e nervosi, e c’era una certa aggressività nell’aria: tutti scattavano per il minimo segno di provocazione, voluta o involontaria.
Allora hanno deciso che la classe aveva bisogno di un po’ di tempo per ri-affiatarsi. Hanno stabilito una giornata libera dallo studio in cui dedicarsi ad attività di team building.
Ha aggiunto un commento per chiarire che le femmine erano ancora più aggressive dei maschi, motivo per cui hanno deciso di lavorare divisi per genere. A ciascun gruppo hanno proposto giochi classici, come ad esempio il lasciarsi cadere all’indietro fidandosi che un compagno li prenderà al volo, ma anche dei giochi inventati. Ad esempio hanno costruito un memory insieme, in cui ciascun bambino doveva dire una cosa che lo faceva arrabbiare molto, per esempio “io mi arrabbio molto quando i miei compagni non mi ascoltano” e poi hanno giocato a trovare la carta con il nome del bambino e quella a lui corrispondente, impegnando i bimbi in uno sforzo per ricordare cosa fa arrabbiare chi. E attraverso la creazione del gioco stesso, hanno riflettuto sulle emozioni degli altri e su cosa possono fare per ciascuno dei loro compagni in modo molto specifico.
Perché non basta dire “bisogna essere gentili”, che detto così in generale fa perdere di vista cosa c’è dietro questa frase, ma si identifica un bambino specifico e un suo bisogno specifico, e allora diventa molto più facile ricordare che Tizio si arrabbia se non lo ascolto, e ricordarlo anche quando siamo in giardino e lui sta cercando di dirmi qualcosa e io non ho molta voglia di aspettare che finisca di dirmelo.

Vi starete senz’altro chiedendo se tutto ciò effettivamente elimini i conflitti. Assolutamente no. I conflitti, le liti, gli atti di prepotenza non vengono eliminati, ma vengono sicuramente dati dei segnali forti su cosa è lecito e cosa no, e gli effetti di tutto questo lavoro di prevenzione si vedono e in classe si respira un clima di rispetto incredibile.
Siamo solo in prima elementare, e quindi ho l’esperienza di soli due anni di questo metodo (in Svezia si fa un anno propedeutico a 6 anni, e la prima si inizia a 7 anni) e staremo come sempre a vedere cosa ci riserva il futuro.
Per per il momento, vi dico la verità, io mi sento molto tranquilla su questo aspetto, perché so che se succedesse qualcosa, la questione verrebbe affrontata.

Avete esperienze simili nella vostra scuola? Come si lavora nella vostra classe per prevenire i conflitti?

PS. Il cartello in foto riporta le riflessioni sull’amicizia scaturite da una di queste discussioni in classe. Dice:

Un buon amico…
– è gentile sia con le femmine che con i maschi
– aiuta gli altri
– abbraccia
– dice cose gentili
– può invitare al cinema
– conforta quando qualcuno è triste
– può fare un regalo a qualcuno oppure un disegno
– è una persona con cui ci si diverte
– gioca giochi
– parla e ride
– può invitare qualcuno a casa
– loda gli altri
– decide i giochi insieme
– amicizia è amore
– fa gli auguri se uno compie gli anni
– chiede se si vuole fare parte del gruppo
– permette a tutti di giocare insieme
– ascolta
– è gentile con i grandi e i piccoli
– tratta gli altri come vuole essere trattato
– vuole bene per quello che si è
– chiede come stai se ci si è fatti male

La rubrica scuole crescono è scritta anche grazie ai vostri contributi e vuole evidenziare buone prassi in ambito scolastico. Se hai un’esperienza positiva che vuoi raccontarci in quanto insegnante, genitore o alunno, scrivi il tuo contributo per quest rubrica inviando il tuo testo a info@genitoricrescono.com. 

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12 thoughts on “Conflitti in classe: formare il gruppo”

  1. @Anna Alessandra in realtà non è che nella scuola italiana non si faccia nulla, ma questi aspetti, come tanti altri, sono completamente demandati alla buona volontà e alle capacità degli insegnanti. Non c’è un obbligo, ma io di buona volontà ne vedo tanta. Moltissimi genitori richiedono (o a volte pretendono) attenzioni individuali complete (per non dire totali) verso i propri figli e non si sognano nemmeno di dedicare del tempo a portare avanti la classe, quindi il problema non è solo della scuola o degli insegnanti.
    E poi la scuola è molto anche lo specchio della società, e allora cosa ci aspettiamo?

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  2. Credo sia così che dovrebbe funzionare la scuola! Inutile far passare contenuti quando c’è un muro di emozioni negative in mezzo. In Italia tutto si basa sul rapporto premio-punizione, come si farebbe con topi da laboratorio. Ma ciò è quantomeno riduttivo, quando non addirittura violento.
    Mi piacerebbe sapere di più sull’esperienza svedese: quanti alunni per classe? Quanti insegnanti? Quante ore a scuola e come distribuite?
    Visitai una scuola svedese molti anni fa. Ambiente nemmeno lontanamente paragonabile al nostro.

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  3. Assolutamente fantascienza. Nella scuola italiana si fa poco o niente per affiatare i ragazzi tra di loro, non si fa nulla per evitare che leader negativi prendano in mano la classe e impediscano agli altri di esprimersi liberamente. Anzi in alcuni casi ci si aspetta che a insegnare solidarietà e rispetto per gli altri siano gli insegnanti di religione (sic). I ragazzi passano tantissime ore insieme (anche troppe) ed occorrerebbe un progetto organico che coinvolga tutto il corpo insegnante per creare lo spirito di gruppo nella classe.
    Insomma un disastro, almeno per quanto riguarda l’esperienza vissuta da mia figlia, che ora fa la prima media e tira un sospiro di sollievo per essersi così liberata dei suoi vecchi compagni di scuola.
    Un vero peccato

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  4. Mio figlio non frequenta una scuola pubblica, ma come sempre molto dipende dal singolo insegnante. La sua maestra è davvero brava ed è molto attenta agli aspetti specifici di ogni bambino e alle dinamiche del gruppo.
    Prima di tutto ha l’abitudine di assegnare nuovi compagni di banco ogni 15 gg circa, così che tutti abbiano l’opportunità di relazionarsi con tutti.
    Poi due volte l’anno li divide in 4-5 squadre che durante le attività scolastiche (e non solo) accumulano punteggi e devono collaborare per il raggiungimento di un obiettivo comune. Quindi il buono o cattivo comportamento di uno, diventa un vantaggio o svantaggio per tutti … direi che il risultato in termini di lavoro di gruppo è stato ottimo.
    Poi quest’anno, al posto della lezione di religione (e parliamo di una scuola cattolica), hanno deciso di lavorare con un’insegnante esterna (psicologa) che è partita dal libro di Leo Lionni “Pezzettino” per far discutere i bambini circa i lati positivi di ognuno, le differenze, le peculiarità, l’autostima e molto altro. Alex non parla molto ma dal lavoro che ho visto sul quaderno credo che qualche buon pensiero resterà.
    Insomma siamo lontani dall’intelligenza emotiva come esplorata nelle scuole svedesi ma non mi lamento.

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  5. Io sono piuttosto delusa da quanto non ha fatto la scuola di mio figlio in questo senso. Purtroppo in 4 anni le divisioni si sono solo accentuate, lasciando i maestri a volte del tutto inconsapevoli (veramente?) delle divisioni e conflitti, altre del tutto inermi, senza un progetto per intervenire.
    Anche l’inclusione degli stranieri è stata carente e non si è sfruttata la grande occasione educativa della multietnicità della classe.
    Sarà sempre un mio grande rimpianto, ma da parte della maggior parte dei genitori c’era solo interesse per la “fine dei programmi”…
    Ecco, la corsa a finire il programma piuttosto che fermarsi a riflettere è stata il grande male di questa classe, che ora ha davanti solo un anno di quinta elementare e poi manderà i suoi componenti in altre classi, in altre scuole, tra altre persone.
    Ce l’abbiamo messa tutta per ovviare. Molto ha fatto lo sport, molto l’amicizia.
    Quello che è mancato veramente è una preparazione specifica ad affrontare questi argomenti: prima della volontà, la consapevolezza dell’importanza del problema e la conoscenza degli strumenti.

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  6. Mia figlia va alla scuola materna dove quasi il 50% dei bambini è straniero e ha dovuto imparare l’italiano sui banchi, per cui molti degli sforzi sicuramente sono stati catalizzati da quello, e il primo anno da quanto mi hanno detto è molto focalizzato sull’inserimento e il rispetto delle regole. Ho avuto pochi minuti per vedere quello che fanno, i pochi minuti all’arrivo a scuola e poi un paio di colloqui durante l’anno. Ho notato comunque che le maestre cercano di interrompere le situazioni in cui si manifestano determinati comportamenti, distraendo i bambini in altre attività oppure cambiando i posti a sedere. Vedo che l’attenzione c’è, anche se non parliamo proprio di un programma educativo per insegnare i bambini a gestire i conflitti da soli. Quello sarebbe molto interessante. Nelle classi dei bambini più grandi (4,5 anni immagino) vedo diversi poster – che chiamerei “motivational posters” – sul rispetto interetnico, il valore di aiutare i nostri compagni, ecc.

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  7. Mi piace moltissimo questa cosa! trovo che ci sia grande intelligenza e lungimiranza nell’idea di “sprecare” un giorno di lavoro/lezione/studio per lasciare che i ragazzi si ritrovino e si Scarichino/ricarichino. Le mie due figlie vanno ancora alla scuola dell’infanzia e in una classe so per certo che hanno lavorato molto sull’inclusione, sul rispetto e sono una bella classe unita e solidale. Nella classe della seconda mi sembra invece che questo discorso non si faccia e se devo essere sincera si vede in quanto ogni bambino è per sé o al limite per il suo amichetto/a.

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  8. Come al solito leggendo questi tuoi post la prima reazione è un moto di sanissima invidia!
    Io sono molto indecisa se proseguire la scuola Waldorf Steineriana, ora frequenta l’asilo, o andare in una scuola normale.
    Certo leggendo della realtà svedese non ci sarebbe bisogno della scuola con pedagogia differente e la scelta sarebbe semplice.
    Hanno un’attenzione particolare all’individualità e al gruppo al contempo . Si pensa all’alunno come ad un essere umano e non come un numero che in futuro dovrà produrre. Sono molto fortunati i bimbi svedesi e sono molto felice per voi che avete questa splendida opportunità, di vedere i vostri figli considerati come protagonisti attivi. Ma è così difficile capire che questo è il metodo giusto e sano?
    Grazie Serena

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