Chi vuole fare i compiti a casa?

compitiQuando è successo che i compiti a casa dei figli diventassero un affare di famiglia?
Devo essermi persa qualcosa tra la mia infanzia e quella di mio figlio. Mi ricordo anche io di essere stata aiutata in qualche compito: magari una ricerca o qualche operazione di matematica (per me) più complicata. Ma non ricordo di aver avuto la necessità di qualcuno col fiato sul collo per fare questi benedetti compiti!
Odio generalizzare, ma devo purtroppo ammettere che i nostri figli sono meno indipendenti nello svolgimento dei loro compiti in genere, non solo compiti scolastici, ma piccole incombenze di vario genere: fanno meno commissioni, si accudiscono di meno e pensano meno a curare le loro cose.

E così è sempre più frequente vedere bambini attoniti davanti al loro diario: cosa devo fare? E subito dopo: uffa, non mi va!
Perché il problema non sono i compiti di per sé, ma i bambini che passano più tempo a combatterci contro che a svolgerli.
Che fare quando si ha un figlio che lotta disperatamente contro i suoi compiti a casa? Posso dirvi quello che abbiamo fatto noi (che non è detto sia corretto, ma ci abbiamo provato).

Insegnare a organizzarsi

Prima di tutto dobbiamo renderci conto che molto spesso, fin dalla prima elementare, i compiti vengono assegnati con una modalità che per noi era tipica della scuola media. I maestri, non più realmente “maestro unico”, fanno un planning settimanale delle lezioni e assegnano compiti per diversi giorni successivi. Così, nel fine settimana, non si hanno solo i compiti per il lunedì, ma anche quelli di varie materie per i giorni successivi.
Questo metodo, che comunque trovo molto utile per insegnare l’organizzazione, non è sempre di rapida intuizione per i bambini delle prime classi. L’idea di anticiparsi dei compiti, di programmare a seconda degli impegni della settimana, non è poi così naturale e può risultare incomprensibile. Perché togliere un’ora di gioco alla domenica, se tanto il compito non è per domani?
Almeno all’inizio, in questo mi sembra utile intervenire: insegnare a programmare è anche un compito della famiglia e non può essere solo della scuola, perché si deve insegnare a programmare secondo i nostri impegni personali, diversi per tutti. Insegnare a essere flessibili e adattabili è una gran lezione di vita, che va ben oltre i programmi settimanali.
Se il martedì c’è lo sport, meglio studiare la domenica sera la lezione per mercoledì, se già assegnata, così magari dovrà essere solo ripassata.

Aiutare in casi specifici

Di fronte all’ostilità per i compiti, poi, è necessario accertarsi che nostro figlio non abbia bisogno di aiuto in qualche specifica materia. Non si può sempre dare per scontato che sia “svogliato”. E’ necessario capire se una certa materia lo intimorisce, perché non è entrato nei suoi meccanismi. A volte i bambini hanno semplicemente paura di non riuscire e si scoraggiano.
Se c’è una difficoltà o un’ostilità specifica per certe materie o un certo tipo di compito, un sostegno da parte nostra come genitori può essere utile. Solo per quel tipo di compito, è giusto sedersi accanto e provare ad affrontarlo insieme, almeno le prime volte, almeno per superare il blocco.

Trovare insieme il momento giusto

Interroghiamoci anche sui tempi e sugli orari: vai a fare i compiti appena tornato da scuola, così te li levi! Vai a fare i compiti dopo esserti riposato un po’! Vai a fare i compiti subito dopo pranzo! Vai a fare i compiti prima dello sport altrimenti sei stanco!
Si, ma magari quello sono i tempi giusti per noi, per come eravamo da studenti, e non per i nostri figli.
Un bambino attivo può essere più produttivo dopo aver fatto sport e scaricato le energie in eccesso, piuttosto che prima. Un altro può rendere meglio dopo essersi rilassato giocando. Uno può trarre giovamento da un ripasso serale.
Insomma, cerchiamo di interpretare i loro tempi: i nostri possono essere consigli, ma se vediamo che per loro funziona diversamente, perché non lasciarli fare?

Insegnare la responsabilità

Ma poi? Si può davvero continuare sempre a gridare e obbligare per fare i compiti a casa? A un certo punto è necessario prendere le distanze ed educare alla responsabilità.
I compiti a casa non sono una responsabilità nostra come genitori, ma, dato che sono commisurati alle capacità dei bambini, sono una LORO responsabilità.
In concreto cosa possiamo fare? Trovare il coraggio di non farglieli fare! Trovare il coraggio di mandarli a scuola impreparati e di sperimentare le conseguenze: un voto basso, magari una nota sul diario. Non una punizione, ma una semplice concatenazione di causa ed effetto: una conseguenza legata a una azione (o meglio a un’omissione).
Non vuoi fare i compiti? Non vuoi studiare? Non farlo. E vediamo l’effetto che fa.
Di solito a nessuno piace trovarsi in difficoltà, non ritrovarsi al passo con gli altri. Quindi spesso il messaggio, in questo modo, passa: ecco a cosa servivano i compiti a casa! Ecco perché sono utili. L’amor proprio fa il resto.
Noi, nel momento di maggior crisi e opposizione, abbiamo fatto così. Non farli.
Spiazzante! Sconcertante! Al punto che dopo poco si metteva a farli da solo.
Restituiamo ai bambini un rapporto con la scuola che sia solo loro: fatto di momenti buoni e momenti difficili. Lasciamoli sbagliare, prendere cantonate, fare errori. Che in fondo sono piccole cose e un voto, in più o in meno, non conta nulla.

Spesso l’idea di andare i figli allo sbaraglio ci è un po’ ostica. In fondo proviamo un senso di protezione istintivo e mandarli ad affrontare una conseguenza negativa, anche se limitata, ci risulta sgradevole.
A volte poi pensiamo di essere giudicati male come genitori se mandiamo a scuola il figlio impreparato: penseranno di noi che siamo distratti, poco interessati, se non addirittura poco autorevoli, deboli.
Ma il punto è proprio questo: tiriamoci fuori dai loro compiti (scolastici e non). Impariamo a fare un passo indietro, dopo aver fatto il nostro dovere, che è quello di fornire loro gli strumenti per affrontare i loro compiti, doveri, impegni.
Questo è qualcosa che resta ben oltre il compito per casa.

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19 thoughts on “Chi vuole fare i compiti a casa?”

  1. @ mammame: Su questa pseudo-notizia invece il post lo sto ancora meditando.
    Noi andiamo a scuola a piedi, accompagnati. Mi considero parzialmente scusata perché non ci sono marciapiedi ed ovviamente in orario scolastico c’è il delirio di macchine in divieto di sosta, doppia fila, ecc…
    Di tornare però non se ne parla proprio: i bambini, fino alla quinta elementare vengono consegnati solo ed esclusivamente a maggiorenne delegato. E secondo un’interpretazione dell’Avvocatura di Bologna che si può trovare sul sito dell’iniziativa, questa prescrizione non sarebbe limitata agli alunni della scuola primaria ma si applicherebbe genericamente agli alunni minorenni. Ve l’immaginate questi nonni, ormai novantenni, ad aspettare i nipotoni davanti al liceo?
    Io non so dove si andrà a finire dove nulla si regola più sul buon senso e tutto sullo scaricabarile delle responsabilità nel timore di una denuncia.
    A scuola in bicicletta? Sì, come no.
    http://momatwork2011.wordpress.com/2012/03/28/mobilita-sostenibile-e-posizioni-insostenibili/
    Sapete com’è andata a finire? Che il consiglio d’istituto davanti al quale è stata portata la questione ha deliberato che sì, si può fare, però prima deve venire il responsabile della sicurezza del Comune ad individuare un luogo idoneo ed opportunamente delimitato, poi si dovrà deliberare modalità, tipologia e costi della delimitazione, poi si dovrà vedere se la copertura economico-finanziaria lo consente, poi…
    Nel frattempo abbiamo già una struttura inagibile da tre anni per una serie di rimpalli tra Comune, ditta incaricata della manutenzione ed Istituto.

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  2. Ho fatto esattamente lo stesso passo indietro, non potevo permettere di infilarmi in un altro tunnel senza uscita. La scuola è di mio figlio, suo dovere e responsabilità. Poi io ci sono, volentieri, come supporto o anche solo come “compagnia”, ma basta inseguirlo ore per fargli svolgere un compito da 10 minuti.
    Per adesso è molto fortunato, impara velocemente e di solito gli basta stare attento in classe. So bene che riesce a prendere ottimi voti pur non aprendo i libri a casa, anche questo sta nel suo ambito di organizzazione. Quando non gli basterà più spero che abbia la stessa capacità di analisi e agisca di conseguenza.
    Purtroppo sono ancora un po’ indietro sul fronte “compiti domestici” …lì c’è ancora bisogno di molto allenamento!

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    • Linkate pure articoli o vostri post sull’argomento. Se si inserisce più di un link a commento, però, il sistema manda in spam. Mettetene uno ogni commento. Grazie.
      M@w rilinkaci pure i tuoi post.

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  3. Oggi mia figlia è andata a scuola impreparata per una verifica sulle tabelline (seconda elementare). Se mi avesse detto che ce l’aveva avremmo potuto fare una ripassata nel week-end, usando uno dei tanti aggeggi che le ho preparato per mostrarle uno studio non solo mnemonico, non solo sedentario e non solo finalizzato al voto delle verifiche. Invece me l’ha detto stamattina, aggiungendo “non voglio andare a scuola”.
    Ovviamente a scuola c’è andata ugualmente, senza aver ripassato le tabelline, ma la lezione “se sapevi di avere una verifica e non ti sentivi abbastanza preparata, avresti potuto ripassare da sola o chiedere di farlo insieme”.
    Devo dire che sono piuttosto confusa sull’argomento. Mia figlia è rapidamente passata dall’entusiasmo per il sapere alla distinzione tra il sapere richiesto per la scuola (per definizione brutto, inutile e noioso) e quello “facoltativo” che la vede leggere libri sull’antico Egitto e comporre figure geometriche. Il problema è che tanto più vasto si fa il sapere richiesto dalla scuola, tanto più risicato diventa il resto, rafforzando la mia convinzione che una scuola che sapesse semplicemente incanalare tanta energia o che richiedesse molto poco sarebbe probabilmente la scuola giusta per una bambina come lei. Però mi chiedo anche se sarebbe la scuola giusta per quei bambini che al di fuori del sapere scolastico ricevono pochi stimoli o che anche in loro presenza non manifestano interesse. Forse in quel caso la scuola tradizionale è l’unica in grado di fornire quella minima base di conoscenza indispensabile.
    Il nostro approccio è stato quindi quello di affiancarci nell’insegnamento di questi primi anni in maniera piuttosto invadente sperando che riscocchi nuovamente quella scintilla che le permetta di andare avanti da sola avendo elaborato un metodo ed una motivazione interna. Quello che ho visto, ad esempio è la sua difficoltà ad organizzarsi nel tempo a disposizione, soprattutto quando c’è una pausa di qualche giorno in cui non riesce a collocare gli impegni già presi oppure a quantificare l’entità dei compiti.
    Certo è che affrontarli di malavoglia prima ancora di aver aperto la cartella non aiuta.

    Ho scritto qualche post un po’ più vasto sull’argomento; provo a mettere qualche link, ma di solito non funziona.
    Infatti, non funziona, il commento è finito in spam.

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  4. Giuste osservazioni: anche non correggere i compiti prima che lo facciano i maestri è molto importante, altrimenti torniamo a farli diventare un “nostro” compito, piuttosto che uno loro.
    Sull’utilità o meno dei compiti a casa, sul metodo didattico, certo, ci sarebbe da riflettere. Ma come dice giustamente Cristiana, al momento sono ancora richiesti dalla scuola: quindi sono un impegno che è richiesto ai nostri figli. In qualche modo, devono farli.

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  5. Sono ultra d’accordo su tutta la linea. Quando ho un dubbio che abbia qualche difficoltà e/o non abbia capito qualcosa, quasi sempre ci prendo e allora sostengo. Poi, non sempre riesco a trovare le giuste distanze, ma il ricatto della mamma degenere che manda il figlio senza compiti non lo subisco per niente. I compiti servono per consolidare una conoscenza e piuttosto mi preoccupa che poi non sia in grado a scuola di affrontare il percorso che gli viene richiesto. Qualche giorno fa leggevo sul giornale un articolo che riguardava l’andare a scuola da soli e menzionava uno studio, mi spiace ma non ricordo bene la fonte statistica che riportava. Apparentemente non c’entra e invece secondo me c’entra moltissimo. La conclusione era comunque la stessa: la tendenza dei nostri figli ad essere meno autonomi e responsabili, in relazione all’età. E’ sicuramente vero che il contesto è mutato radicalmente rispetto a quello nel quale ci siamo mossi noi, ma è mutato anche il nostro atteggiamento di genitori e da questo punto di vista secondo me in peggio.

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  6. anche io ho fatto così non li vuoi fare? non farli, non è un problema mio, oppure se c’è qualche errore lo avviso, lui guarda svogliato e non lo trova? non posso farci niente lo troverà la maestra… e lui allora sì che s’impegna!

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  7. Grazie del post!
    Sono assolutamente d’accordo sulla responsabilità cui è necessario educare i nostri figli.
    Aggiungerei tuttavia alcune considerazioni.
    A volte la cosa che ci costringe a costringerli nell’esecuzione dei compiti è l’idea di non mandarli a scuola senza compiti fatti, per evitare di passare noi come genitori che non si sono occupati a dovere dei propri figli. Vorremmo dei figli perfetti in grado di farci fare bella figura, possibilmente da subito.
    E qui arrivo al secondo punto. E’ necessario educare alla responsabilità, ma dipende anche dall’età. Un conto è un bambino di 8 anni, un conto è uno di 6. Non do i numeri a lotto, sono le esatte età dei miei figli, con i quali utilizzo strategie diverse, i virtù della loro diversità caratteriale e di età.
    E poi provo a mettermi dalla parte dei bambini: nella maggior parte dei casi i compiti sono noiosi, una pura ripetizione di ciò spesso hanno già fatto in classe. Si lo so, repetita iuvant. Ma se il detto ci è giunto in latino, forse si rifà ad un tempo diverso, lontano, toppo lontano dalle modalità assolutamente nuove di apprendimento dei nostri bambini.
    Vorrei leggere il libro di Maurizio Parodi, Basta compiti, pubblicato da Sonda, per capire se davvero può esistere un’altro modello pedagogico più vicino alla vitalità e alla creatività dei bambini.
    Ovvio che si, e ci sono fior fiori di pedagoghi che ne parlano, da Freinet alla Montessori, e oltralpe ci sono tutti gli studi condotti sul pensiero laterale.
    Suggerisco quindi questo http://mag.wired.it/rivista/storie/2011/09/06/sir-ken-robinson-insegniamo-ai-nostri-figli-a-pensare-lateralmente.html, così per provare a vedere le cose in modo diverso.
    Resta poi il fatto che bisogna trovare una soluzione nell’immediato e per chi ha figli come me in età da compiti, non può certo aspettare la rivoluzione del sistema scolastico.
    Quindi grazie dei suggerimenti.

    Cristiana

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  8. … chissà se troverò il “coraggio di non farglieli fare”… in teoria la penso così. Anzi, anche in pratica! Sarà una bella avventura… vi aggiornerò il prox anno!

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  9. Sono perfettamente d’accordo con te, e anche se qualche opposizione ancora c’è sempre il metodo è quello giusto per noi. Soprattutto non mettere bocca dopo che ha fatto il compito da solo, se non è come vorremmo noi, la maestra dirà se va bene o meno, il mio accetta meglio le sue critiche che le mie.

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  10. Noi non abbiamo i compiti fissi a casa, perché già stanno a scuola fino alle 15 e poi alle 18 qui si cena. Però figlio 2 che ha scuola a volte decide di non fare niente, a volte deve finire a casa quello che non ha fatto, e come dici tu si passa più tempo a discuterci e tenerlo fermo al tavolo che a fare 2 sommette o una frase. Mia madre gli ha spiegato che non è una cosa molto furba non fare i compiti a scuola perché così nel pomeriggio i suoi amici giocano e lui deve lavorare. Ha funzionato per un paio di giorni. Con la scuola stiamo verificando se ci sono dei trucchi che lo aiutino (il paraorecchie contro il rumore se fatica a concentrarsi? Vedremo).
    Comunque io esco pazza e suo padre è molto più bravo e metodico di me epr i compiti, ma devo dire che apprezzo l’ occasione epr capire meglio cosa fanno a scuola in quel momento.

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