Bambini allattati al seno hanno meno problemi comportamentali a 5 anni

Avete sentito l’ultima novità? Pare che i bambini allattati al seno almeno 4 mesi sviluppano meno problemi comportamentali a 5 anni di età. Sto parlando di problemi gravi, non che sono più indisciplinati degli altri!
State sorridendo anche voi? Anche io me lo sono chiesto: ma con tutto quello che succede nella vita di un bambino, ma come si fa a mettere in relazione due momenti così distanti tra loro?
Un po’ divertita per l’ennessima scoperta mediatica, ma anche curiosa come una scimmia, sono andata a leggere qualcosa sull’argomento. E ho scoperto che lo studio è stato effettuato all’Università di Oxford (quindi mica pizza e fichi, eh!), e quindi ancora più curiosa sono andata a leggermi questa notizia direttamente dalla fonte.

Molti dei vantaggi dell’allattamento al seno sono noti, dal fatto che aiuta contro la depressione post partum, alla diminuzione di incidenza di tumore al seno, ai vantaggi per l’osteoporosi. Eppure in qualche modo ho una resistenza a mettere in relazione un problema comportamentale con l’allattamento, come se si trattasse di due sfere diverse. Eppure forse così non è.
Lo studio si intitola Breast feeding and child behaviour in the Millennium Cohort Study e analizza i dati del Millenium Cohort Study in UK, in cui 10037 coppie madre-figlio, di cui 9525 nati a termine e 512 nati prematuri, sono state intervistate sull’allattamento del bambino all’età di 9 mesi, e sul suo comportamento a 5 anni.

In pratica nel primo incontro quando il bambino aveva 9 mesi si sono raccolte informazioni circa il suo allattamento, se ci sono stati o meno tentativi di allattarlo al seno o se si è utilizzato il latte artificiale sin dall’inizio, e in caso per quanto tempo si è allattato al seno. Quando lo stesso bambino ha compiuto cinque anni, si è chiesto al genitore di valutare il suo comportamento facendo un test chiamato the Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ) che ha lo scopo di valutare deviazioni significative dal comportamento medio tipico di quell’età. Questo test viene considerato un ottimo mezzo per identificare bambini con problemi comportamentali seri, che includono problemi emozionali, problemi di condotta, iperattività, problemi con i compagni, e comportamenti prosociali. Più il punteggio è alto più seri sono i problemi del bambino.

Il 15% dei bambini appartenenti a questo campione mostra una deviazione comportamentale significativa, contro il 12% dei bambini nati a termine. Gli studiosi hanno cercato la correlazione tra questo dato e l’allattamento al seno, ossia detto brutalmente hanno controllato quanti di questi con alto punteggio al test sul comportamento sono stati allattati al seno e quanti no. Poi hanno fatto una analisi statistica per verificare se questa correlazione può predire il risultato del comportamento a 5 anni.
Dall’analisi nuda e cruda risulta che la correlazione c’è ed è significativa e che servono almeno 4 mesi di allattamento materno per diminuire la probabilità di sviluppare problemi comportamentali. Però poi hanno controllato altri fattori, quali situazione socio-economica della madre, madre single o sposata, fumatrice o meno, lavoratrice o meno, se il bambino è stato messo al nido alla nascita o meno, insomma hanno preso in considerazione gli altri fattori che sono notoriamente correlati con lo sviluppo comportamentale del bambino e hanno ricontrollato i dati corretti per questi fattori. Il risultato, seppur attenuato, resta comunque significativo: i bambini allattati meno di 4 mesi o non allattati affatto presentano una probabilità maggiore di sviluppare problemi comportamentali significativi a 5 anni, almeno nel campione di bambini nati a termine.
Il campione di bambini nati prematuramente invece è troppo limitato per raggiungere risultati statisticamente validi, ma si nota la stessa tendenza anche in questo campione di bambini, ossia l’allattamento al seno sembra prevenire problemi comportamentali a 5 anni.

Resta da capire come tutto ciò sia possibile. Un’ipotesi presentata dagli autori dello studio è che la composizione del latte materno, con la presenza di catene di acidi grassi e ormoni che hanno un ruolo importante nello sviluppo del sistema nervoso centrale, si ripercuota nello sviluppo comportamentale del bambino. Purtroppo nello studio manca il dato relativo al tipo di latte artificiale utilizzato, ma la maggior parte dei latti da un decennio a questa parte contengono questi grassi, e non differiscono in maniera sostanziale dal latte materno in questo aspetto. Un’altra ipotesi fatta è che i bambini allattati con LA hanno subito più infezioni e quindi siano stati ospedalizzati, ma anche questa ipotesi è difficile da verificare, perché non si hanno dati in merito.

Quindi qui abbiamo un risultato statistico che da un’indicazione precisa: i bambini allattati al seno per almeno 4 mesi hanno meno probabilità di sviluppare problemi comportamentali all’età di 5 anni.
Non abbiamo la minima idea del perché questo sia possibile, anche se la composizione del latte materno potrebbe essere una variabile molto importante.

Una nota importante prima di decidere se allattare meno o più di 4 mesi, proprio perché non si sa il motivo alla base dello sviluppo di problemi comportamentali, bisogna riflettere sul fatto che l’età di 4 mesi è semplicemente data dalla statistica di quelle famiglie britanniche che si sono sottoposte allo studio, e risulta che quella è la lunghezza in cui normalmente si allatta esclusivamente al seno in UK. Se ripetessero lo stesso studio in un paese in cui l’allattamento esclusivo dura più a lungo, si potrebbe scoprire che 6 mesi è meglio di 4 mesi. Spero con questo di non avervi confuso di più le idee.

Ora la domanda è: sapendo i risultati di questa ricerca, vi sforzereste di più a cercare aiuto per far funzionare l’allattamento? O pensate che sia solo un’altra cosa che va a pesare nella bilancia dei sensi di colpa materni? Ma in colpa non si dovrebbero sentire le mamme, ma le strutture di sostegno che non funzionano, i pediatri che danno informazioni sbagliate sull’allattamento, le ostetriche che danno le aggiunte in ospedale alla nascita, gli ospedali che non propongono il rooming in (assistito, non abbandonando mamma e bebé a se stessi)?

ATTENZIONE: questo è uno studio statistico e non uno studio deterministico. Questo significa che, ammesso che i risultati dello studio siano corretti, il figlio della signora Pina che allatta al seno può venire su con problemi comportamentali o meno tanto quanto il figlio della signora Maria che è allattato con latte artificiale. E’ come la storia dei polli: gli italiani statisticamente mangiano 2 polli a testa alla settimana, solo che io non ne mangio da un mese. Chiaro? Quindi vi prego di non farvi venire sensi di colpa sulla base di studi come questo che hanno ben altri scopi.
Allattare fa bene al bambino, ma con il latte artificiale si cresce bene lo stesso, e ancora di più se questo rende più tranquilla e serena la mamma!

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145 thoughts on “Bambini allattati al seno hanno meno problemi comportamentali a 5 anni”

  1. Scusate la lunga assenza dovuta ad un viaggio di due settimane privo di connessione. Ritorno su questo post al solo scopo di dire che sono ovviamente anche io dell’idea che allattare va bene, e non allattare va bene lo stesso. E questo lo abbiamo scritto talmente tante volte qui su genitoricrescono che probabilmente l’ho dato troppo per scontato nella stesura di questo post. A scanso di equivoci quindi introduco una frase in coda al post proprio per chiarire questo aspetto, e nella speranza di non scatenare nessun senso di colpa materno. Il senso della mia ultima frase voleva essere questo, ma vedo che è stato letto in altro modo e quindi chiedo veramente scusa a chi si è sentito offeso dall’ultima frase.
    Grazie per avermelo fatto notare.

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  2. no ho letto nel dettaglio tutti i post perché mi spiace ma ho poco tempo.
    Sono contenta però che qualcun altro condivida quello che cercavo di dire.
    Se non mi sbaglio questo blog é rivolto ai genitori, allora credo che bisogna fare un pochino attenzione anche ai titoli e a quello che si scrive.
    Il senso di colpa é una brutta bestia soprattutto perché ti colpisce nei momenti in cui sei più debole emotivamente e te lo porti dietro (fino ai 5 anni del tuo bambino e di più!).
    Non metto in dubbio la buona fede di Serena nello scrivere il titolo però bisogna fare molta attenzione, se non hai provato quel maledetto senso di colpa non capisci quanto può ferire e riportare a galla dolore.

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  3. Solo una precisazione, prima ero di corsa e non vorrei essere fraintesa. non è un attacco al fatto che è stato pubblicato l’articolo, non sono mai stata per la censura di nessun genere e se è stato fatto uno studio simile nessuno sbaglia a dirlo. Metterei un puntino sulle i dicendo che nelle ultime righe non parlerei di colpa, perchè non deve per forza esserci una colpa se non si allatta, ma al massimo di impegno da parte delle strutture, quello si.

    Ma non voglio di nuovo perdermi. Non è sbagliato che questo articolo sia stato pubblicato qui. Lo sbaglio (per me, è una mia idea e non è legge) è come è stato posto a priori. Un articolo può essere posto così in una comunità di ricercatori, che si occupano di numeri e percentuali, dati, cause ed effetti, e dove magari le mamme lo prendono come studio e non come critica. Fuori da lì doveva essere posto molto molto diversamente. Ho conosciuto mamme che hanno dovuto smettere per prendere medicine per problemi di salute (una mia vicina per un’operazione, ma non solo lei). Se alla preoccupazione per la tua salute e al dispiacere per dover rinunciare in anticipo ad allattare tuo figlio (magari dopo aver stretto i denti per riuscirci il primo mese) ci aggiungi un dato del genere… Ecco, è qui la mia accusa, solo questa, lo studio avrà mille fondamenti giusti, ma ha evidenziato il più triste (e incompleto da solo come è scritto)

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  4. sono molto in sintonia con gli ultimi due post di Close e Daniela, e anche molto solidale con la scimmietta di Silvia 😛

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  5. Claudia, non è scarsa capacità di spiegare. E’ che molte non superano il limite, il visibile, giustamente. Confesso che leggermi un intero articolo in inglese per me è un impegno non da poco, mannaggia alla scuola, e a me che non ho mai approfondito. E tutto il resto chiede tempo, impegno, per mettersi lì e guardare, capire, confrontare.

    Quando parlo di umiltà intendo: pensa con chi parli, e parla di conseguenza.

    Se parli con ricercatori, l’articolo è perfetto, quello originale.

    Se parli con genitori (come qui), su cui la percentuale di ricercatori ed esperti è bassa (anzi, mi stupisco di quanti siate…), mentre è alta quella di mamme, che l’allattamento l’hanno provato, e sicuramente molte non l’hanno portato avanti per tanto… Allora fermati, riassumi e pensaci bene.

    Pensa: direi a una mamma che non è riuscita ad allattare che i bambini non allattati hanno facilmente più problemi comportamentali? Lo direi così crudo e nudo per aspettarmi poi che lei faccia domande?

    No, non penso. Perchè quella mamma o è una tigre e gentilmente ti manda a stendere (scusate, senza offesa, è ironica… mi sono immaginata io con mia suocera che si fa un’uscita del genere 😉 ) e o fragile e crolla ancora un gradino più su.

    Diresti che si è studiato l’ambiente della famiglia, che spesso se è sereno si riesce ad allattare, meglio e più a lungo, che serve sostegno alle mamme per questo, che dovrebbero dimenticarsi casa e lavoro, e quindi almeno all’inizio non avere troppe interferenze, che dovrebbero avere un appoggio, e quindi un marito presente (e il lavoro dovrebbe concederlo) che con queste premesse è più facile che sia serena, quindi che riesca ad allattare, anche se non è detto. E quando c’è tutto questo, quando il figlio può essere allattato da una madre serena, sta meglio.

    I figli di madri serene che allattano col sostegno della famiglia sono spesso più sereni a loro volta.

    E’ diverso? A mio parere c’è un abisso, ecco…. Sottolineare che se allattatai (con serenità) stanno bene è molto meglio che sottolineare che se non allattati (senza specificare il perché) stanno peggio. Questa è la gravissima pecca che trovo nel post ed eventualmente nell’articolo. Se poi spieghi che è meglio la serenità nel non allattare che la difficoltà nel farlo, con un sorriso e una pacca invece che con un 3% o quel che sia, cambia ancora di più.

    Umiltà non è saper spiegare. E’ pensare a chi spieghi, a cosa vuoi che recepisca, e a cosa percepisce. Qui ci stiamo difendendo tutti. Ma chi legge e accusa il colpo?

    Poi per carità, ho visto peggio di peggio, ma qui su gc, l’isola della libertà genitoriale, mi casca il mondo! Tutto qui, senza polemica 🙂

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  6. Claudia

    grazie. Giusto per precisione: sono ricercatrice anche io, ma forse perché mi occupo di scienze del linguaggio, sono particolarmente attenta alla comunicazione.

    Condurre uno studio su qualunque aspetto della vita e del mondo è perfettamente legittimo, ma il modo di comunicare i risultati è fondamentale. Chi sono i destinatari dell’articolo?

    E’ la comunità accademica, che lo recepisce con il giusto distacco e risponderà andando a vedere punto per punto, discutendo, correggendo, traendo inferenze. Ed eventualmente discutendo di filosofia della scienza nel senso che intende Gekina.

    Ma comunicare i risultati di uno studio con il linguaggio proprio della comunità accademica – appunto focalizzandosi su UNO studio e non su un gruppo di studi – alla comunità di genitori, ecco questo secondo me è molto opinabile e rischia di fare cattiva divulgazione scientifica.

    Che è poi quella che viene fatta in certi corsi preparto: allattate perché poi i vostri figli si ammaleranno meno, saranno più disciplinati e più bravi in matematica – e la neomamma che per X motivi non ce la fa, non potrà non ripetersi il mantra ad ogni influenza, malattia infettiva, capriccio ed insuccesso scolastico…

    Per di più, qui si toccano sensibilità molto profonde e a mio personalissimo avviso l’ultimo paragrafo del post induce nel tranello mentale del “è tutta colpa tua”. Quando invece GC è una perla rara nella rete perché di solito non lo fa.

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  7. Vedo che la discussione su questo post prosegue. Vi chiedo scusa se non parteciperò in alcun modo, in assenza di Serena (che è in vacanza), perchè è un argomento sul quale mi scendono proprio due saracinesche sugli occhi e mi si accartocciano le orecchie. Appena provo a seguire la conversazione, la scimmietta nel mio cervello si mette a cantare a squarciagola 44 gatti… Scusate, è più forte di me.

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  8. @Close:

    > Nella tabella fornita a pagina 4 dall’articolo, la prima colonna riporta le % di abnormal SDQ, per cui in pratica ogni mese di allattamento in più equivarrebbe a 3% in meno di problemi comportamentali

    Ah ma quelli sono i risultati PRIMA di aver corretto per tutte le varie sorgenti di errore. Quindi alla fine è anche meno.

    E questo Daniela non lo dico perché voglio discutere ogni virgola e soprattutto ogni numero, ma per farti stare tranquilla, te e le altre mamme che giustamente non volete leggervi l’articolo. La differenza è POCA. Per la singola mamma e il singolo bambino è praticamente irrilevante.

    Guarda Daniela, sono pienamente consapevole della scarsa capacità di un ricercatore di spiegare una ricerca scientifica a qualcuno che non ha studiato materie scientifiche. Lavoro da 15 anni e mia madre ancora non ha capito cosa faccio – indubbiamente perché non glielo so spiegare. L’umiltà non mi manca. Mi manca la chiaroveggenza, nel senso che se non mi si fanno domande, se non mi si dice “guarda ‘sta cosa che hai detto non l’ho capita e che cacchio vuol dire il termine X che hai usato”, io non posso sapere che non si capiva. Magari dopo mi vengono i dubbi che non si capiva, ma è troppo tardi.

    Quindi, io mi sforzo di essere comprensibile, ma tu per favore dimmelo se una cosa non si capisce.

    E lo so che entrare nei dettagli è una seccatura, anche io ho già passato troppo tempo su questo post.

    Ciao!

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  9. @ Claudia

    Nella tabella fornita a pagina 4 dall’articolo, la prima colonna riporta le % di abnormal SDQ, per cui in pratica ogni mese di allattamento in più equivarrebbe a 3% in meno di problemi comportamentali

    (http://press.psprings.co.uk/adc/april/adc201970.pdf).

    Dato che i bambini allattati per più di 4 mesi riportano una percentuale del 6%, se ne desume che un bambino allattato per 6 mesi sia al sicuro da tutto 😉

    @ Supermambanana

    non è questione di “pestare i piedi”; io credo che non ci si renda ben conto di che cosa possa significare il mancato allattamento in alcune dinamiche familiari.

    Conosco alcune storie di maternità in cui il mancato allattamento è stato un detonatore di ansie patologiche – cosa che mi è stata confermata in modo circostanziato da una psicologa: se qualcosa non va nella dinamica familiare, mi ha spiegato lei, la prima domanda che fa è se il bambino è stato allattato al seno.

    Ma non perché mancano gli anticorpi al bambino, ma perché viene rimessa in discussione la legittimità della mamma in quel ruolo.

    Un collasso nervoso dopo il parto, un parto troppo traumatico, una complicanza del neonato che è finito in pediatria per un mese e si è andato avanti a furia di latte tirato… Le storie sono tante, e tutte si sono concluse con la colpevolizzazione della mamma che non aveva abbastanza latte. Oggi sono colpevolizzate perché “non ci hanno provato abbastanza”. Con il risultato che ho visto in un’altra mamma: con il senso del dovere tipicamente friulano, ha allattato fino all’anno entrambi i figli anche se era stravolta di stanchezza, con il risultato di far fuori le difese immunitarie, e oggi ha contratto una malattia autoimmune non curabile.

    Scusatemi se sembro catastrofista, sono dell’avviso che se i sanitari hanno l’obbligo etico di fornire tutto il sostegno possibile all’allattamento, fornendo consigli non giudicanti, reperibilità al telefono ecc. … penso che ad un certo punto bisogna sapersi fermare, e soprattutto secondo me tutti dovrebbero rivedere questa benenedetta scala di priorità, per dirla con Wonderland “allattare va bene; non allattare anche”.

    Comunque vorrei scusarmi comunque se sono stata troppo veemente, ho la massima stima di Serena, ma questo post per me ha toccato un nervo scoperto, e vorrei che si facesse una seria riflessione su una tematica importante per la genitorialità.

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  10. Ecco, non ho detto che ha preso una brutta piega, non io, ma… ma ora mi sento sotto accusa, perché sembra che qui ogni virgola venga analizzata al peggio. Se lo studio vuole aiutare le mamme, deve essere posto in altro modo. Su questo non torno indietro. Sul resto, ho detto santa ricerca, da suicidio dire di no, santo LA, insomma, non sono contraria a niente!

    Però qui sta diventando un ricercatrici contro non ricercatrici, pro e contro studio, ecc..

    Ma non basta essere più terra terra? Qui ci si perde tra numeri, percentuali, e tutto il resto, su un argomento dove conta un lato umano che si vede poco. Perché dire che i bimbi allattati al seno hanno meno problemi compotamentali? Lo trovo terribilmente e crudelmente superficiale. Ok, basta leggere tutto, ma non tutti possono, io non ci sono ancora riuscita e ho speso qui più tempo di quel che avrei. Ma quel titolo in grassetto si vede eccome! I bambini con un ambiente sereno stanno meglio, l’allattamento al seno in un ambiente sereno funziona meglio, le due cose sono correlate per l’ambiente, non di per sé da sole. Così si che aiuterebbe…

    Detto questo, mi ritiro, non continuo a sparare a zero, a difendere affermazioni che non sono da difendere, no, non sono al livello di una ricercatrice, nemmeno un po’, non sono una che può capire tutte le sfaccettature, se è discorso da ricercatori, non c’entro, se non lo è, è il caso di renderlo più umile. Tutto qui quel che penso. Che piaccia o no, va bene uguale, giuro! 😉

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  11. @Close non trovo il 3%, mi aiuti? A me sembrava molto di più, ma forse era la versione non corretta per tutti i confounders.

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  12. Daniela, che questo studio non abbia una grande rilevanza per il singolo individuo, penso che siamo tutti d’accordo.

    Per il resto, la conoscenza – non solo scientifica – ha questo vizio di arrivare a pezzettini, e sono pezzettini di cui all’inizio non è sempre charo il significato. Anzi, raramente quando uno comincia una ricerca, sa già dove andrà a finire e che ripercussioni potrà avere. Quindi la domanda sull’utilità di fare uno studio io non la capisco proprio.

    Io ti faccio solo notare che il latte artificiale è migliorato molto negli ultimi 40 anni e non per virtù dello spirito santo, ma perché c’è stata gente che è andata a ravanare nelle differenze col latte materno e nei loro effetti sui bambini, e queste differenze un po’ alla volta – dove è possibile – vengono colmate. Anche se ravanare nelle differenze può voler dire “pestare i piedi” alla categoria delle mamme che oggi per un qualunque motivo non allattano, è anche in base a studi come questo che i bimbi di domani avranno un latte artificiale sempre più vicino al latte di mamma. A loro vantaggio, e speriamo con buona pace dei sensi di colpa.

    Inoltre, e l’ho già scritto sopra, se studi successivi confermeranno che la correlazione osservata non è imputabile alla composizione del latte materno, questo implica che la differenza sta nelle condizioni al contorno dell’allattamento, e queste condizioni le può riprodurre anche una mamma che allatta col LA. ‘Sta cosa forse non ti dice niente a te, ma potrà essere molto utile ai tuoi figli quando saranno genitori.

    Studi come questo non sono fatti per dare alle mamme consigli concreti su come crescere i figli, se alla fine sono venute fuori più domande che risposte hanno già raggiunto il loro scopo, sulle questioni rimaste aperte si proverà a trovare delle risposte con la prossima ricerca.

    Certo è vero che molte mamme non sono ricercatrici e se leggono un articolo del genere si spaventano, ma il problema non si risolve certo evitando di fare gli studi. Questa discussione è diventata chilometrica proprio perché mamme ricercatrici hanno cercato di spiegare (sicuramente a volte non riuscendoci) i punti salienti dell’articolo ad altre mamme non ricercatrici. Se questo è prendere una brutta piega…

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  13. No, assolutamente. Ma che il latte di mamma fa bene sia da un punto di vista fisico che psicologico è già stato dimostrato ampiamente, o sbaglio? Ok, controlliamo, ma poi evitiamo di ripubblicizzarlo in modo così crudele… Il titolo di questo post è una batosta per chi voleva ma non ha potuto allattare. Lo studio intero penso che per quelle mamme sia illeggibile. tutto può essere studiato (anche se non trovo un’utilità pratica a questo studio mentre tanti ne mancano) e la curiosità è la dote migliore dell’uomo, lo dico sempre a mia figlia, chiedi chiedi chiedi, e cerca di capire tutto. Ma non infieriamo, ecco… Che poi andiamo a studiare perché le mamme sono depresse e scopriamo che sono troppo sotto pressione. Ma va là? Sono doloranti, stanche, stressate, quasi pensano di passare al biberon, poi si ricordano che per colpa di questo il figlio a 5 anni potrebbe avere problemi comportamentali maggiori e… insistono, soffrono, piangono. Ha senso? No. E se ne ha, studiamo anche i benefici del LA, che consoliamo anche chi è dall’altra!

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  14. Daniela ma allora se volessimo seguire questa linea di ragionamento qualsiasi studio che potrebbe contribuire a rendere piu’ depressa una categoria di persone (tipo, l’ennesimo studio che associa il sovrappeso a varie condizioni, se consideriamo quante persone sono in depressione perche’ non riescono a perdere peso) dovrebbe essere dichiarato inutile a priori?

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