Avevo progettato, per questo post, tutta una casistica utile a fugare imbarazzi e pregiudizi da parte del papà di fronte ai primi “problemi di genere” che capitano sempre con i bambini: i giochi “per maschi” e “per femmine”, discussioni su abiti e oggetti rosa o non rosa, i primi discorsi tra coetanei riguardo l’altro sesso, la violenza di alcune parolacce – molto spesso insulti sessisti – spese dai bambini per dimostrare, anche in questa discutibile pratica, di essere “grandi”.
Manco a farlo apposta, pochi giorni fa il figlio grande (terza elementare) mi torna a casa con una bella nota da parte della maestra che scompagina i miei piani: Ivan ha baciato sulle labbra una compagna che aveva espressamente detto di non voler essere baciata. Di qui la nota sul diario, dato che Ivan non ha voluto sentire né le ragioni della compagna né quelle della maestra e l’ha baciata lo stesso.
Ivan si aspettava una punizione espressa in qualche GSW (Giorno Senza Wii), la nostra abituale unità di misura della gravità delle sue malefatte. Invece gli è andata molto peggio: s’è beccato una paternale di prima categoria. A dare due sculacciate e a proibire qualcosa son capaci tutti, lasciatemelo dire, e anche io ho adottato ogni tanto questa soluzione. Però sculacciare, per quanto efficace sul momento, non lascia alcun vantaggio duraturo, è solo un modo per rimandare il problema alla prossima occasione. E proibire, si sa, aumenta il desiderio del proibito. Le paternali hanno il vantaggio, se fatte con amore e coscienza, di insegnare qualche cosa anche a te che le fai. Perché se ti ascolti, mentre parli, ti rendi subito conto se stai diventando ipocrita o violento – e se ne accorge anche tuo figlio. Quindi è meglio fare discorsi da pari a pari, cercando di trasmettere un’esperienza, piuttosto che inculcare una paura. I piedistalli lasciamoli per altre occasioni. In più, al bambino sembrerà una tale tortura essere costretto a ripensare a ciò che ha fatto insieme al papà, che probabilmente – e finalmente – la prossima volta ci penserà “prima”.
Per prima cosa, ho detto a Ivan che va mostrato rispetto per la volontà altrui. Si può non essere d’accordo su alcune decisioni, si può non trovare gradevole un rifiuto, ma ciò che riguarda le intenzioni degli altri riguardo il proprio corpo e le proprie cose dev’essere sempre rispettato. E’ una prima regola di convivenza civile, senza la quale – è facile trovare esempi casalinghi quotidianamente – non può esserci nessun rapporto piacevole tra le persone. Vale per i baci sulle labbra come per i calci nel sedere: non si può decidere nulla riguardo il corpo e le cose degli altri senza il loro consenso chiaro ed esplicito.
Quindi ho cercato anche di far capire a Ivan che va mostrato rispetto per le espressioni degli altri, per il loro linguaggio, per i loro gesti. E’ una violenza anche fare finta di non aver capito un “no”, non tenere conto di uno sguardo infastidito, di un gesto di allontanamento, di un’opinione contraria. “No” vuol dire proprio no, e lui – né nessuno – si deve permettere di interpretarlo come una cosa di poco conto. Il rischio è quello ben noto della favoletta “al lupo al lupo!”; se è vero che per un bambino il valore ironico del linguaggio è molto complesso da comprendere, credo sia meglio partire da una posizione di massima coerenza e fiducia in ciò che dicono gli altri. Per rapporti più complessi, per espressioni più sofisticate, ci sarà tempo.
Poi gli ho detto quello che mi premeva di più: deve avere più rispetto per un gesto bello come il bacio. Baciare è bellissimo, ma non è un gioco: può avere un grande significato, e un bacio non va speso come se per tutti avesse lo stesso valore. Io lo ammetto, bacio molto spesso i miei figli, e quindi probabilmente Ivan ha trovato il gesto naturale, semplice da rifare. E’ stata dura fargli capire – o anche solo provarci – che per altri suoi coetanei può essere un gesto molto raro, o di significato diverso, oppure riservato a persone speciali come la mamma e il papà. E’ così che Ivan si trova ad affrontare un ostacolo durissimo: constatare che non tutto quello che succede “in casa” può avere lo stesso valore fuori, con gli altri. Ciascuno attribuisce ai gesti sfumature di significato diverse, e può capitare di essere violenti e offensivi volendo solo baciare. Pensando a quanti fraintendimenti del genere ancora avvengono tra me e persone ben più “rodate” nei rapporti umani, per gesti molto meno carichi di significato di un bacio, la strada di Ivan per capire (e ottenere) il rispetto è appena all’inizio. Dàje, amore de papà.
Come succede per tutte le paternali, non ho la minima idea di ciò che sia arrivato nella testa e nel cuore di Ivan. Staremo a vedere. Mi pareva il caso di farlo fermare un po’ sull’episodio, fargli capire anche solo col tempo speso a parlarne che il rispetto è qualcosa di importante, anche se per ora non sembra un concetto molto carico di conseguenze. Intanto io mi sono ricordato che devo avere rispetto per le sue cose e per le sue volontà, e farlo vedere, nei limiti della coesistenza possibile di due mondi così diversi come il mio e il suo – e quelli degli altri abitanti della nostra casa.
Sì, certo, alla fine delle chiacchiere l’ho baciato.
@Roberta
Grazie, ma comunque mi capita di fare discorsi anche ad Andrea (quasi cinque pure lui). Sono certo che molto, del linguaggio, gli sfugga, ma mi pare comunque produttivo che assista al “momento” del discorso, percependo la mia partecipazione e le sensazioni che accompagnano le mie parole. Quelle, ne sono certo come per tutti i bambini, è perfettamente in grado di capirle.