Alimentiamo l’integrazione

disabilità ciboMettere l’alimentazione come tema del mese è un invito a nozze (al pranzo, in particolare) per un amante della buona cucina come me.

Un ragazzo tedesco che ha fatto il Servizio Civile internazionale qui dove lavoro non mancava mai di sottolineare che il bello dell’Italia è che non si fa nulla senza piazzarci un momento conviviale: una cena o un piccolo buffet.

Ora potrei sfoderarvi la frase fattissima che la Cucina è parte fondamentale della nostra cultura, ma vorrei riuscire ad andare oltre questo luogo comune.

La cucina ci educa al bello e al buono; il bello ed il buono non sono scontati per le persone svantaggiate, come non lo sono per i bambini.

Ricordo che al nostro matrimonio proponemmo il menù kids, copiando l’idea da altri matrimoni. Il menù kids è un pregiudizio: dice che i bambini preferiscono patatine e hamburger solo perché non vogliamo provare ad educarli ad assaggiare, a sperimentare, ad aprirsi.

Certo, è una gran comodità, non c’è dubbio: mangiano in fretta e corrono a giocare, invece che starsene due ore ad aspettare il controfiletto di angus all’aceto balsamico e pepe verde che poi devi sacramentare altre due ore solo per fargli capire che non moriranno assaggiandolo.

Mia madre mi racconta che da piccolo mangiavo così poco, ma così poco, che quando trovò quelle due cose che non la facevano tribolare, iniziò a propormele tutti i giorni. Sopravvivenza, si chiama. Preoccupazione di mamma, anche.

Ricordo un genitore di un ragazzo disabile incontrato tanto tempo fa: diceva che suo figlio beveva solo Coca Cola ed esibiva tutta una serie di motivi per cui anche il medico, alla fine, si era arreso all’evidenza e diceva di dargli Coca Cola. Con l’acqua si strozzava.

Ma alla fine sono bolle di sapone, sono giustificazioni che ci diamo: quel ragazzo beveva benissimo l’acqua, se non c’era sua madre da fare impazzire nei paraggi. I miei figli mangiano la mela a scuola, mentre a casa sembra che gli proponi escrementi di zebra. Io ho iniziato a mangiare verdura a 18 anni: mia madre non si era mai stancata di propormela.

Credo che il cibo possa essere un’occasione educativa, un’opportunità e non solo perché è importante mangiare in modo completo e vario.

Accettare i nuovi gusti ed i nuovi sapori allena all’apertura mentale, al superamento dei pregiudizi; ogni volta che diamo per scontato che nostro figlio non potrà affrontare la piccantezza di un peperone, l’amarezza del radicchio o la durezza del masticare un gambetto di insalata, perdiamo l’occasione per fargli superare le sue barriere mentali, lo rinforziamo sul fatto che le sue paure possono essere controllate solo rifugiandosi nel conosciuto, nella chiusura.

È un piccolo aspetto dell’apertura mentale, certo, che non si raggiunge solo mangiando in modo completo; e che nessuno si senta in colpa se ieri sera il cartoccio del prosciutto è stata la soluzione ad un momento di empasse familiare.

Solo che anche il momento del pasto, come tutti gli altri che passiamo con loro, è importante per aiutarci ad orientare il loro futuro (ed il nostro) che io mi auguro aperto, includente e solare.

Diceva un mio vecchio insegnante di religione al liceo: “Anche Gesù le cose più importanti le ha fatte mangiando”.

Ora, dico, se c’è riuscito lui…

– di Gaetano El_Gae Buson

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5 thoughts on “Alimentiamo l’integrazione”

  1. @ anna: soprattutto io ho notato che proprio a scuola vale la pena farli sperimentare perché lì mangiano cibi che a casa non mangiano. L’effetto emulazione degli altri è sempre benefico. Naturalmente augurandosi che tutti non scelgano la pasta in bianco 😉

    @ polly: grazie mille!

    @ Barbara: credo che si tratti sempre di sopravvivenza. Nel caso di voi genitori speciali è ancora più difficile perché vi preparate ad una gara lunga, dove l’orizzonte è più lontano. Ma prova a custodire gelosamente quel crampetto allo stomaco; lo farò anche io con il mio: è quello che potrà salvarci 😉

    @ monica: diciamo che per il corso di ristorazione non ho le physique du role. In ogni caso grazie per i complimenti

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  2. ma… non è che terresti un corso alle società di ristorazione? giusto così per dire, o forse anche no…
    perché: “Accettare i nuovi gusti ed i nuovi sapori allena all’apertura mentale, al superamento dei pregiudizi; ogni volta che diamo per scontato che nostro figlio non potrà affrontare la piccantezza di un peperone, l’amarezza del radicchio o la durezza del masticare un gambetto di insalata, perdiamo l’occasione per fargli superare le sue barriere mentali, lo rinforziamo sul fatto che le sue paure possono essere controllate solo rifugiandosi nel conosciuto, nella chiusura.” è una gran bella verità! Bel post

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  3. Ormai lo so: quando leggo qualcosa scritto da te, so che farà anche male. 🙂 un dolorino sottile, un crampetto allo stomaco lo provo sempre. Questa volta fra le righe, nella storia abbozzata di una mamma (o papà ) alle prese con il figlio disabile, un furbone a cui piace la coca cola. E mi fa tenerezza e mi fa paura, perché l’essere iperprotettivi verso i figli è una tendenza diffusa della nostra generazione, ma diventa un problema pesante per i genitori speciali, come me. A tavola e nella vita, quel cristallizzarsi sul “non ce la può fare” come dice Polly, diventa un limite. Uno in più.
    Ma non è facile…

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  4. Concordo, per questo motivo quando a scuola la mensa offre un pranzo “particolare” (tipo una volta pizzocheri, o pasto tipico francese – inglese o come domani la paella) mi rifiuto come tanti fanno di scegliere la dieta “in bianco”.
    Non ti può piacere tutto ma devi assaggiare tutto.
    Caso mai la dieta in bianco gliela segno il giorno della pizza, che se dopo averla assaggiata per otto mesi proprio non la mangia, magari ci può essere davvero qualcosa che non le piace.

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