Prima che diventasse un evento glamour, il decluttering si chiamava “pulizie di primavera” ed era una cosa faticosa solo fisicamente. Era sufficiente armarsi di detersivi, tempo, pazienza e strategia.
Si cominciava dal terrazzo – con la potatura dei rami secchi e delle consuetudini portate avanti per forza di inerzia – e si proseguiva all’interno: camere, armadi, ripostigli e anima. Con le mani affaccendate e la mente libera era possibile arrivare a quello stato sospeso della coscienza in cui nessun pensiero assume una forma compiuta e l’istinto guida le decisioni future: i lavori da cambiare, i rapporti da stringere e quelli da abbandonare, i viaggi da programmare. Alla fine della giornata, sporchi ma soddisfatti, la casa brillava e il futuro si stendeva altrettanto nitido davanti a noi.
Con la promozione a decluttering, però, la faccenda ha assunto un peso specifico diverso. L’avevo intuito dopo aver ordinato alla mia diciassettenne di sistemare la propria camera.
“Mi rifiuto!” aveva risposto sprezzante “Piuttosto, faccio del decluttering”.
Se era un problema solo terminologico, per me andava bene. Ma non lo era.
La ragazza aveva solo finto di assecondare una mia richiesta, in realtà, me ne resi conto presto, l’iniziativa era stata sua. Erika aveva iniziato a muoversi secondo una strategia elaborata a mia insaputa, ché questo fanno i ragazzi: crescono senza permesso e tutto quello di cui era fatta la loro vita sino a un momento prima, improvvisamente non gli appartiene più.
Così, anche quella che era stata la vita di Erika adesso di spandeva in file ordinate sul pavimento della sua camera.
I primi a essere eliminati erano stati gli attrezzi della ginnastica ritmica assieme a 23 paia di scarpette a mezza punta. Tre ore al giorno di allenamento al giorno, tutti i giorni; collegiali nei fine settimane e gare la domenica. Batticuore, tensione, spirito di squadra, sconfitta, esaltazione: niente che non rientrasse in un sacchetto di plastica.
“E dunque, non tornerai più ad allenarti?” le avevo chiesto col labbro tremolante. “È come per i grandi amori che rifiutano di trasformarsi in un affetto tiepido. Meglio niente, piuttosto” aveva risposto saputella.
A seguire, la pila di magliette colorate. “Ma se ti piacevano così tanto solo tre anni fa!” “Quindi nella preistoria. Appartenevano al mio periodo truzzo. Guardami adesso: ti sembro truzza?”.
In effetti, no. La ragazza aveva da tempo sostituito stampe e oblò strategici con un abbigliamento dark e monacale più consono alle introspezioni di chi era finalmente uscita dalla fase bimbominkia.
Infine, le collane dei libri per bambini. L’epopea di Gatto Fantasio, compagno di letture fino a notte fonda, aveva lasciato il passo alle inquietudini di Patrick McGrath, autore più adatto a decrittare certi slanci del cuore.
Ed è stato in quel momento che ho capito: le pulizie di primavera si fanno quando l’identità è definita ed è sufficiente dargli una ripulita, il decluttering diventa necessario quando si è in via di definizione. Quando, ad esempio, non si è più bambini né ancora adulti, bloccati tra la nostalgia di un’infanzia appena lasciata e le aspettative dell’età adulta. Nell’età di mezzo – che è cosa diversa dalla mezza età – l’archiviazione del proprio passato diventa necessaria per far spazio alla persona che si sta per diventare.
“Non per un problema di spazio” si era affrettata a dichiarare Erika.
Qual era il problema, allora? “Difficile da spiegare” aveva risposto prima di rimanere in silenzio mentre quello che rimaneva della sua infanzia veniva impacchettato per essere dato via.
Quale fosse il problema l’ho capito guardando Toy Story 3, il più strappalacrime dei cartoni animati Disney Pixar, ed era tutto rappresentato scena finale: quella in cui Andy, prima di partire per il college, ha un momento di esitazione nel cedere il suo giocattolo preferito alla bambina ma poi si fa coraggio, prende fiato e lo dona alla sua nuova proprietaria per essere libero di tuffarsi nella sua nuova età.
Era necessario che Andy regalasse il suo cow boy giocattolo per diventare adulto? No, però sì. Perché non stava pulendo la sua cameretta, ma facendo decluttering – che è poi quello che facciamo tutti quando abbiamo l’esigenza di cambiar pelle. Solo, quando sono i figli a farlo diventa straziante, chissà perché –
Rossella, dammi un consiglio. Come faccio a fermare tutto un attimo prima che buttino le scarpe da danza, prima che si radano i peli, prima che non vogliano più leggere con me i classici della letteratura, prima che rifiutino le escursioni alla domenica?
quando loro smetteranno di fare tutte queste cose con te, tu ti sarai già rotta le palle di farle con loro.
Fanno 5$, prego
😀