Nella infinita lista di consigli per crescere bambini felici e buoni cittadini del futuro, quelli riguardanti l’autostima hanno sempre avuto un posto d’onore. Siamo tutti d’accordo su quanto sia bello riuscire a trasmettere la consapevolezza che ogni bimbo e ogni bimba può fare tutto nella vita, non ci sono limiti, basta volerlo.
Il punto è però che non basta volerlo, e spesso nella nostra voglia di comunicare autostima, ci dimentichiamo di trasmettere anche questo di messaggio: che volere sarà anche potere, ma poi bisogna anche fare.
E quindi soprattutto di recente sta crescendo la consapevolezza che forse possiamo fornire un servizio migliore alla generazione che ci segue se, insieme (o al posto?) di incoraggiamenti senza riserve, premi solo per aver partecipato, punti per premiare lo sforzo e complimenti per averci provato, riusciamo ad insegnare anche quello che in inglese chiamano “grit”: la grinta, la determinazione, la tenacia.
In studi recenti, la psicologa statunitense Angela Lee Duckworth, dopo aver analizzato centinaia di casi di persone che riuscivano a raggiungere obiettivi nella vita, qualsiasi obiettivo si fossero preposti, o che comunque si dichiaravano soddisfatti della propria vita, ha concluso che la componente che fa la differenza non è né il talento (che è un concetto elusivo e molto fuorviante, e tutto sommato non rilevante), né il quoziente di intelligenza, e nemmeno il supporto della famiglia o lo stato economico e sociale, ma questo famoso “grit”.
Lei definisce grit come la grinta, la capacità di provare passione e perseveranza per obiettivi a lungo termine, il restare con tenacia aggrappati all’obiettivo, senza lasciarsi sopraffare dai fallimenti, dalla fatica, dalla lontananza della meta. Nelle sue parole, avere grinta è vivere la vita come una maratona, non come uno sprint.
Le persone con grinta non sono soltanto, o tanto, persone di successo (anche perché il successo si può declinare in mille modi) ma persone determinate a cercare la propria felicità, a trovare un senso o uno scopo nella loro vita, ad essere impegnati.
Si conosce tutto sommato poco su questo tratto psicologico non cognitivo, e come promuoverlo, specie nei bambini. Una mentalità di crescita aiuta, ma serve di più. Serve allenarlo.
E allora uno degli strumenti che possiamo utilizzare per aiutare i nostri bimbi a crescere è lavorare su questo allenamento. E un modo può essere quello di metterlo in pratica proponendo loro una attività. Solo che non può essere un’attività qualsiasi. Le caratteristiche di una attività che migliora la grinta sono che:
- deve essere qualcosa cui si diventa bravi solo con la pratica quotidiana, e che porta risultati a lungo termine, più che gratificazioni immediate (quindi non valgono i videogiochi, in caso ci stiate provando)
- deve essere cognitivamente “difficile”, mediamente più difficile delle tipiche attività quotidiane (quindi non valgono i compiti, vedi sopra)
Un esempio perfetto? La musica.
La musica come esempio di attività che ti fa capire che la storia del talento non ha molto senso, l’orecchio musicale eccetera, se esiste o non esiste, è irrilevante, si diventa bravi solo provando e riprovando. Ma se si diventa bravi, ooohhhh che meraviglia, che brivido, che soddisfazione.
La musica come esempio di attività che ti fa sperimentare che il lavoro sodo paga, che le ore e ore macinate a fare pratica trasformano un oggetto inanimato in un generatore di armonie sublimi.
La musica come esempio di attività che diventa divertente solo quando si diventa competenti, e quindi bisogna superare la naturale frustrazione di dover fare cose semplici quando magari nella mente già ci si immagina di suonare Bohemian Rhapsody.
La musica come esempio di attività a LUUUUNGO termine. E qui occorre un disclaimer importante: non sono solo i bambini che devono imparare la grinta nel perseverare, anche i genitori devono fare lo stesso. Il che vuol dire che il mantra “ah, le attività extrascolastiche, guarda li lascio fare finché si divertono, se mi chiedono di smettere smettiamo” vale fino ad un certo punto, sorry.
Certo rimanere vigilanti per capire se proprio odiano profondamente la cosa è fondamentale, non mi fraintendete, anche perché non si può sviluppare grinta con una attività per cui non ci sia passione, per definizione. Ma chiariamo subito che tocca rendersi conto che tutti (TUTTI!) i bimbi odiano fare le scale e fare gli esercizi quotidiani, e tutti (TUTTI!) gli adolescenti arriveranno ad un periodo di rigetto. Lo dimostrano svariati studi psicologici su giovani musicisti. Proprio perché la musica come attività non ha la componente di adrenalina e immediata gratificazione che, ad esempio, uno sport può dare anche durante gli allenamenti. Del resto è per quello che è una buona scelta per lavorare sulla grinta.
E quindi anche il genitore deve imparare a perseverare, dimenticarsi utopie e discorsi romantici tipo “ah, il fuoco sacro, la missione, il rapimento della musica, la passione negli occhi, non vede l’ora di prendere lo strumento” e fare un bagno di realtà, magari con l’ausilio dei (pochi ma presenti) gruppi di supporto per genitori di musicisti, o informandosi sulla psicologia della musica. Deve sopportare con stoica determinazione la lagna che accompagna più spesso di quanto si vorrebbe la pratica quotidiana. Acconsentire che sperimentino la frustrazione, non proteggerli dalle sconfitte.
Ma anche, occorre resistere alla tentazione di acconsentire che smettano ai primi accenni di difficoltà o noia. E infatti Angela Duckworth propone una regola importante per questa attività: il patto è che si continua per il periodo prestabilito (che sia un anno, un semestre, due anni, dipende dall’attività), che bisogna accettare che ci saranno alti e bassi, e che non si può mai smettere in un momento di “bassi”. La decisione deve essere ragionata, non dettata dalla frustrazione, perché anche abbandonare possa essere un modo per costruire grinta: non è un fallimento decidere di smettere, se è un momento di crescita e non di rinuncia.
E, si, deve impegnarsi a renderla piacevole, per quello che è possibile. Mettendo un po’ di divertimento nella pratica, tipo per i più piccoli inventandosi giochini per scegliere i pezzi da provare. O cercando tutte le opportunità per suonare insieme ad altri bimbi, per esempio in una piccola orchestra giovanile. L’obiettivo a lungo termine sempre in vista. Magari aiutarli a crearsi piani, per esempio nel diversificare la pratica, o negli obiettivi a medio e lungo termine (voglio imparare tale brano per Natale, e suonarlo davanti ad un pubblico di amici).
Insomma, ma questo lo avevamo capito nell’anno zero o no? Anche questo compito genitoriale comporta una bella fatica. Ci vuole grinta per costruire grinta.
Cara Supermambanana, sono mamma di un maschio al terzo anno di violino e una femmina che ha appena iniziato a suonare il flauto traverso. Mi ritrovo totalmente in ogni tua parola.
Mio marito ha sempre sostenuto che non vede il cosiddetto «fuoco sacro» nel primogenito, ma come dice sempre il suo maestro: ” Se va bene forse si trova un bambino su mille con questo famigerato «fuoco sacro», con gli altri si deve lavorare molto, sia come maestri sia come genitori”.
Credo che studiare uno strumento aiuti i bambini a capire che nessun ostacolo è così insormontabile se ci si impegna per superarlo. Aiuta anche i genitori a sviluppare doti di coaching inimmaginabili 😉
grazie Murasaki! Sapessi come è importante per me confrontarmi con esperienze simili, bisognerebbe fondare dei gruppi di supporto per genitori di musicisti 🙂
Ma quindi non esistono già gruppi di supporto? Ti prego supportami tu… 😉
Un tema a me particolarmente caro proprio perché carente nella mia formazione! Concordo sull’importanza di insegnare la perseveranza ai figli. Non so se sia la grinta, perché quella mi dà più l’idea di essere uno stato emotivo anche oscillante, mentre la determinazione deve restare costante pure quando non si ha voglia. Il tutto sempre restando però in ascolto e lasciando attivo lo spirito critico, perché anche imparare ad arrendersi e a cambiare idea nella vita serve.
grazie per il commento Tullia: in effetti abbiamo ponderato a lungo qui a genitoricrescono se “grinta” fosse una buona traduzione per “grit”, è quello che restituisce il vocabolario, ed è il termine che hanno usato a TED per tradurre l’intervento di Angela Lee Duckworth, ma concordo che l’italiano ha più presente la componente emotiva di quella caratteriale nella parola grinta. In inglese il significato è davvero perseveranza, caparbietà nel restare ancorati all’obiettivo 🙂
Questo articolo è davvero molto interessante e ben scritto, grazie!
molte grazie!