Stanno nella pancia, sono necessarie alla vita, hanno bisogno di energia per essere smaltite e differenziate, producono forza e sensazioni positive. Ecco quanto ritrovo in comune tra le vivande con cui ci garantiamo ogni giorno di procedere e le emozioni che attraversano il nostro cielo emotivo alla velocità delle nuvole.
È praticamente impossibile, io credo, trovare un principio alla vicenda che lega le nostre emozioni e il nostro rapporto con il cibo. Inevitabilmente, sembra di non rintracciare un prima o un dopo, un prioritario e un secondario. La nostra storia si lega a quanto e come ci alimentiamo. Le emozioni, ci raccontano come viviamo questa storia: le rabbie, l’insofferenza, i ricatti, i digiuni, la tristezza, le fobie, la gioia sono tutti segnali di un “noi” che grida la sua identità di fronte al piatto che la vita gli ha presentato per il suo sostentamento.
Da genitori, le cose si complicano. Se superiamo la gravidanza senza troppe ansie (tra una toxoplasmosi e un diabete gravidico per non dimenticare le carenze di ferro e di vitamine) che già ci proiettano verso il bambino che deve nascere (io ero specialista nel “sono responsabile della salute del bambino che ho in pancia: come spiegargli che è sordo a causa di una toxoplasmosi contratta perché mi sono voluta concedere un sushi o un’insalata poco lavata?” e poco valevano i consigli del mio saggio ginecologo tutto d’un pezzo “se non l’hai presa prima è perché il tuo stile di vita è già sufficientemente “pulito””), lo stesso non può dirsi dopo la nascita.
Non importa a quale credo apparteniate (allattamento a richiesta, alla tracy hogg, ad orari, biberon per necessità o per scelta): non è tanto l’oggetto che scegliete ma quanto costa in termini emotivi ad interessarmi. In ogni caso, attraverserete vincoli (la tua sopravvivenza passa da me), senso di colpa (sono in grado di nutrirti? Sopravviverai? Sarò abbastanza per te?), rabbia (è mai possibile che non possa farmi una doccia senza che tu abbia bisogno di mangiar-mi?), gioia, appagamento, fusione, amore.
E poppata dopo poppata, un giorno quel ammasso morbido di carne che odora di latte e pipì e sembra ancora parte della vostra pancia apre gli occhi.
Non so se sia un caso, ma entrambi i miei figli lo hanno fatto durante la poppata, di spalancare gli occhi e guardarmi, quasi a dire “osservami, sono io. Dimmi chi sono, osservandomi, mentre mi nutri”.
Il legame, tra cibo, identità, emozioni, è condensato in questi attimi, in cui ci ritroviamo a fare la vocina per raccontare alla nostra prole chi è e quanto è bravo e via dicendo.
“L’essere nutrito e accudito è il primo rapporto d’amore che il neonato sperimenta con la madre o con l’adulto di riferimento e che gli dà la sicurezza della continuità perché quese cure vengono ripetute più volte al giorno quotidianamente. Si tratta quindi di una sensazione mentale di continuità che è alla base della futura sicurezza del bambino e il cibo assume per lui il significato affettivo di un presenza rassicurante” (Alda Marcoli Il bambino arrabbiato, Favole per capire le rabbie infantili)
Da questo punto in poi, parafrasando la Marcoli, diventa facile prendere qualunque accadimento stia accadendo o sia accaduto dal lato opposto a quello che ne consente un corretto utilizzo.
Qualunque cosa stia accadendo a voi o al vostro bambino, qualunque problema di rapporto con il cibo, più o meno connotato psicologicamente, non è un “vostro” problema, di cui siete colpevoli: capovolgete il ragionamento. La vita è piena di problemi. Può essere che un bimbo (o il bimbo che voi eravate) stia utilizzando il cibo come mezzo per comunicarvi qualcosa. Spesso un bambino non ha altri mezzi che pianto cibo e sonno per raccontarvi se ha paura, se si sente soffocato perché lo accudite ma con troppa ansia, perché non riesce a separarsi da voi e comprendere chi è lui. Nonostante i vostri sforzi e le vostre migliori intenzioni.
Lo stesso può accadere con le varie forme di disturbo alimentare che compaiono nelle diverse fasi della crescita. Continua la Marcoli
“anche il bisogno del bambino di sentire rispettati i suoi confini che sono quelli che gli permettono di viversi come essere autonomo e separato dai genitori, altrimenti nei casi esasperati può arrivare a soffrirne il suo stesso rapporto con la vita”.
Ritorno al principio: è impossibile non fare i conti con le emozioni che ci ribollono nella pancia ed è impossibile non negoziare un rapporto tra se stessi e il cibo di cui ci nutriamo. Ne traiamo piacere, ci sfoghiamo la nostra rabbia, colmiamo i buchi delle nostre angosce e tristezze. Sarebbe assurdo perseguire una specie di atarassia nei confronti degli uni e degli altri: al contrario, è utile, per rispettare chi siamo, lasciare sempre spazio per definire le emozioni e rapportarsi con ciò che ci nutre in maniera autonoma, libera, liberante.
“ci sono molti individui che per tutta la vita saranno sempre sul punto di morire di fame, nonostante le madri, si fossero, a suo tempo, preoccupate coscienziosamente del loro nutrimento, del loro sonno e della loro buona salute. Pare che neppure gli specialisti si siano ancora resi conto che, malgrado ciò, a quei bambini è mancato in molti casi qualcosa di essenziale. Nella nostra società non è ancora diventato di pubblico dominio il fatto che il bambino tragga il suo nutrimento spirituale dalla comprensione e dal rispetto delle sue prime persone di riferimento e che esso non possa venir sostituito dall’educazione e dalla manipolazione” (A. Miller, Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri, Torino, 1989)
– di Silvietta –
Grazie Monica, grazie per i saluti e i complimenti e per il modo con cui approfondisci quanto ho cercato di dire “dovremmo metterci in ascolto, non solo del bambino, ma anche di noi stessi, perché l’atto di nutrire non si esaurisce con il gesto fisiologico, ma va oltre, ed è un atto reciproco, un atto che riguarda la relazione…”
anch’io credo che sia possibile farlo solo se pensiamo quest’azione come un’azione di crescita,… ed essere assieme a farlo ci aiuta a sentirci forse sostenuti anche quando questo ascolto si fa difficile o complicato per le interferenze dal passato.
grazie, dunque 🙂
Ah!!!! Come non ho potuto riconoscere “la penna” della mia stratosferica amica Sivliettaaaaaaaaaaa
Scusaaaaaaaaaaa!
A prestooooooooooo
Ecco appunto… Quel libro è nello scaffale… da anni… in attesa di essere ancora letto, ma nel frattempo ho letto molto sull’argomento, e proprio oggi;) ho pubblicato la doppia recensione di due libri di cui uno… indaga sul perché… di certi “capricci” a tavola dei bambini, che altro non sono che messaggi per cui il bambino ha sostituito le parole col cibo per comunicarli ai propri genitori… e noi… gli educatori… gli insegnanti… i nonni e tutti coloro che interagiscono col bambino al momento dei pasti… dovremmo metterci in ascolto, non solo del bambino, ma anche di noi stessi, perché l’atto di nutrire non si esaurisce con il gesto fisiologico, ma va oltre, ed è un atto reciproco, un atto che riguarda la relazione… E’ un tema affascinante e poiché genitori non si nasce ma si diventa, è bello che esista uno spazio come questo per confrontarsi e perché i genitori… crescono;)
grazie a voi 🙂
Ada Marcoli è sul mio comodino sempre. Ho avuto la fortuna di scoprirla grazie a una persona speciale. Guarda caso ne parli anche tu… Un abbraccio
Ma come fai? come fai a dire cose che sembrano tanto scontate e vanno invece a toccare l’ essenza profonda? Va bene, prendo atto che `e inutile chiedertelo, probabilmente non lo sai manco tu. Ma grazie comunque