Quello che le donne fanno meglio

abilita_donneLe donne, si sa, ascoltano di più. Sono portate per la cura e l’accudimento. Riescono quindi con successo in quei lavori per cui la comunicazione e l’empatia sono fondamentali. Se dedite a lavori in campi tradizionalmente più astratti, come la matematica, o l’informatica, si dimostrano più interessate solo laddove riescono a cogliere l’aspetto più immediatamente fruibile, quello pratico, quello per esempio che la matematica, o l’informatica, possono apportare di buono per la società nel particolare, piuttosto che nell’astrazione, un luogo questo, l’astrazione, dove viaggiano con meno agevolezza.

I Brasiliani, d’altra parte, hanno il calcio nel sangue, metti un bambino brasiliano con la palla al piede e vedi che ti combina. Questo sicuramente non si può affermare, e infatti sono geneticamente negati a giocare a pallone, degli… o degli…

Devo continuare? O si capisce l’antifona?

Ho seguito con interesse la discussione in calce al post di Serena sull’identità di genere declinata nei giocattoli, e ne voglio rilanciare qui un commento che vorrei approfondire. A provocazioni come quella di Serena la classica risposta è quella di “ma mia figlia gioca con le macchinine”, o “ma mio figlio gioca a cucinare”, o ancora “mio figlio ha una serie di bambole, e sono il suo gioco preferito”, o “mia figlia aborre il rosa e le principesse”. Tutto ciò è ovviamente positivo, e aiuta a rafforzare il messaggio che non ci sono “compiti” o ruoli riservati agli uomini o alle donne. Solo che esiste un altro punto che secondo me è importantissimo, e che non sempre viene preso in considerazione, soprattutto (ahimè lo devo dire, ma sono pronta ad essere smentita) dai genitori delle bambine, e cioè: quali “skills” sviluppano le bimbe nel gioco, e quali i bimbi. Non quale cultura o subcultura di genere stanno acquisendo mentre giocano, ma proprio quali abilità mettono in pratica. Se guardiamo a questo aspetto, diventa meno rilevante che esista chi si veste da principessa e chi da pirata, sono entrambe situazioni in cui i bambini fanno finta di essere un personaggio e lo reinterpretano con fantasia. Così come non è rilevante che ci sia chi gioca a cucinare e chi a riparare un’automobile, sono entrambe situazioni in cui i bambini fanno finta di essere un adulto, quindi sviluppano la stessa classe di abilità.

Il che mi porta alla questione scatole per costruzioni.

La cosa che meno mi convince delle costruzioni “per bambine” non è che siano rosa, o che rappresentino la donna in modo limitante, certo questo mi infastidisce non poco, dal punto di vista dell’identità di genere appunto, ma dal punto di vista degli “skills” il tutto sarebbe irrilevante qualora le costruzioni per bambine avessero la stessa complessità di quella delle costruzioni per bambini. Un bimbo di nove anni come il mio primogenito si ritrova con scatole di mattoncini da un numero congruo di pezzi (2000? 3000?) e con una certa difficoltà di assemblaggio, che gli mette davanti quelle buone ore di attività intensa e concentrazione. Posso dire lo stesso di una bimba di nove anni con la sua scatola rosa/violetta? Se la risposta fosse si, non sarei poi troppo preoccupata,  potrei anche passar sopra alla scatola rosa, o ai personaggini stereotipati, ma, mi dicono dalla regia, la risposta è no, una scatola per la fascia di età 8-12 anni ha un numero medio di pezzi intorno a 500. Sei volte di meno di una scatola teoricamente indirizzata ai bambini. Per dire che la bimba di nove anni deve aver poco da montare, per poi poter passare alla fase due del gioco, il far finta coi personaggi, al più presto. Ecco, questo a me infastidisce non tanto, tantissimo!

Allarghiamo la questione allora, genitori di bambine, quali sono secondo voi le abilità che le vostre bimbe stanno sviluppando col gioco? E in particolare, ci sono secondo voi giocattoli che le allenano al pensiero logico-matematico? La mia è una domanda sincera, voglio capire cosa esiste lì fuori. Se si, bene. Ma se no, perché? Non vi è mai venuto in mente? Perché non servono? O perché non sono portate?

Fast forward.

Le donne sono sotto-rappresentate in molti settori della vita pubblica e lavorativa, ce lo siamo detto tante volte. Ma in particolare, cosa che a me sta a cuore personalmente e professionalmente, sono sotto-rappresentate nelle scienze, in ingegneria, in matematica, e nei campi di ricerca affini a questi. Esiste un buco nero, un triangolo delle Bermuda, nel quale il quantitativo di ragazze che ama la matematica a scuola si perde, e dall’altra parte del tunnel, nelle posizioni accademiche o di ricerca ad alto livello, non si ritrova più quasi nessuna. Il deserto dei Tartari. La maggior parte delle volte che affronto questo discorso, una volta arrivati al nòcciolo della questione, la risposta che mi sento dare spesso è che forse le donne “non sono portate”. La dimostrazione di questo teorema sarebbe il fatto che anche in grandi organizzazioni, università, centri di ricerca, che si definiscono gender friendly, se si conta il numero di ricercatori e donne in posizioni prevalenti su tutte le facoltà, non ci sono chiari segni di discriminazione, anzi, il rapporto donne/uomini è florido e sano, ma se poi si scende ad esaminare quelle scientifiche, si nota la differenza. Ragion per cui non possiamo dire sia l’organizzazione che discrimina, ma ci sono settori meno frequentati. Tutto qui.

Beh, non è tutto qui. Non se giudichiamo risibile la tesi sui Brasiliani e il calcio per lo meno. E per fortuna di recente ci si è cominciati per lo meno a porre qualche domanda. Che cos’è che rende questo settore così alieno? Se non ammettiamo sia una questione di esser “portati”, qual è la questione invece? Perché diventa una trappola: se cominciamo a pensare a lavori “da donna”, e attenzione, anche se non li chiamiamo in questo modo, anche se li decliniamo come “lavori in cui le donne possono esprimere tutto il loro potenziale”, o “lavori che meglio si conciliano con la famiglia” (o che so… entra nel web e lavora da casa?), stiamo lo stesso ghettizzando, proprio come per i lavori domestici. Se un’organizzazione vantasse un tasso invidiabile di promozione delle donne ai punti più alti della carriera, ma guardando nel particolare tutte le donne, con stipendi pure equiparabili a quelli dei loro colleghi maschi, fossero nello stesso tipo di attività (tipo, se in accademia fossero tutte in posizioni più legate all’insegnamento, o alla cura pastorale dei laureandi, o alle relazioni pubbliche, o alla comunicazione) allora questa organizzazione non si potrebbe dichiarare gender friendly. E non mi venite a dire, ma se ci sono lavori ben pagati e magari con l’asilo organizzato che stai a guardare il pelo, perché il pelo io lo guardo eccome. Anzi, di recente, è diventato mio compito precipuo guardare ‘sto pelo.

Nel mondo accademico UK, negli ultimi anni, è nato un charter, che si chiama Athena SWAN che si pone come ragione sociale proprio il monitoraggio, e la promozione, del ruolo delle donne in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Le attività del charter sono tante, e tipicamente di due tipi, cercare di identificare le barriere, e proporre modelli, o agire da rete di supporto. Nella migliore tradizione UK, si è messo su un sistema di “punti”, di distintivi, di medaglie: bronzo, argento e oro. Un’istituzione accademica (e i singoli dipartimenti al suo interno) può acquisire il distintivo di “bronzo” se comincia (semplifico molto qui) ad affrontare la questione, a “contarsi”, a porsi obiettivi; quello di “argento” se mette in atto un piano di azione che comincia a dare risultati; di “oro” se i risultati cominciano a ripercuotersi anche nella società.

Il tutto ha avuto una spinta notevole un paio di anni fa quando uno degli enti che eroga fondi di ricerca, il National Institute for Health Research, ha deciso che non avrebbe più preso in considerazione richieste di fondi che non provenissero da istituti di medicina senza perlomeno un distintivo di argento. Capperi!!!! Si son detti tutti in coro, inclusi quelli di altre discipline, non mediche (che hanno subodorato che la cosa si dovesse allargare presto anche ad altri settori). Perché dove non può il principio, può l’interesse! E insomma, per farla breve le iniziative Athena sono arrivate sulle scrivanie di rettori e capi di dipartimento. E gruppi di lavoro nascono e prosperano in tutte le università, e io sono molto contenta di essere coinvolta in uno di questi. Anche perché mi posso confrontare con questi temi con colleghe (e colleghi!) di altre discipline, e sto imparando molto, anche su me stessa.

Aiuterà questa spinta a invertire la tendenza? A stabilire una cultura dove non ci sono ghetti, dove non esistono i calciatori brasiliani “portati di natura”, ma l’esposizione e l’incoraggiamento alle scienze diventa quello che fa la differenza vera? Dove non basta trovare lavori per cui le donne sono “naturalmente portate”, dove anche se per assurdo tutte le donne fossero “decresciute e felici”, economicamente soddisfatte, ma tutte con lo stesso (tipo di) lavoro, lo stesso ci si sentirebbe di vivere in un mondo ingiusto? Vi farò sapere come va a finire, se siete interessati.

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23 thoughts on “Quello che le donne fanno meglio”

  1. @ellegio davvero? sono proprio fuori dall’ambiente e mi incuriosisce. Provo a indovinare: ortopedia? oncologia?

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  2. grazie a tutti per commenti e spunti. Lanterna il problema di certe facolta’ (toglierei medicina, tradizionalmente li’ ce ne sono di donne) e’ proprio che le ragazze non sono ispirate per niente, il mio collega del gruppo Athena di ingegneria e’ il capo di dipartimento (e gia’ il fatto che il capo di dipartimento abbia voluto in prima persona essere il membro del comitato la dice lunga) e mi dice che al momento sono alla classica attitudine del “basta che respirino”: ci sono stati molti bandi ultimamente dove cercavano accademici, tutti mandati fuori con tanto di stemmi, logo e commenti su quanta enfasi stanno mettendo sulla gender equity eccetera, ma non si e’ presentata nessuna candidata donna. NESSUNA candidata. Capisci il livello dell’allarme rosso?

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  3. @Lanterna, l’assurdo è proprio che le donne continuano a dimostrare di essere alla pari con gli uomini negli studi, ma poi la loro carriera di alto livello è ostacolata. La situazione va migliorando? Forse si, 20 anni fa quando ero all’università a fisica eravamo circa al 50%, a matematica le femmine erano leggermente più dei maschi ma a ingegneria un mio amico raccontava di sole 5 femmine nel suo anno, e due hanno mollato presto per il trattamento che ricevevano da professori e colleghi studenti.
    Per i giochi, spero di non dilungarmi troppo, chi mi conosce sa che su questi temi mi scaldo sempre. Credo che noi genitori di una figlia unica siamo avvantaggiati in questo: riversiamo su di lei tutte le nostre aspettative e desideri, e cerchiamo di “non farle mancare nulla” (avvantaggiati nel male, intendo, riversare non è mai un buon segno). Per molto tempo mi sono detta: forse la soluzione sta nel far capire ai genitori dei maschi che gli stanno togliendo qualcosa: il giocare molto a giochi di relazione (che quasi sempre comprendono la cura), lo sviluppo di un’emotività che abbia una buona dose di empatia eccetera. Ma forse, amaramente, ora mi rendo conto che è meglio non svilupparla questa dimensione, se non vuoi finire a fare l’infermiere geriatrico a casa. Meglio essere uomini duri e portare a casa la pagnotta, no?

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  4. Ciao
    Con una bimba di due anni e’ un po presto. Anche se gia adesso preferisco I giochi gender neutral.
    Questo discorso filosofico su nasce prima l’avversione o non viene proprio sviluppata mi interessa parecchio! Ai miei tempi si giocava tutti maschi e femmine con lego o meccano di 3 mano e non c’era il problema della scatola rosa 🙂
    Pero vorrei far crescere mia figlia cercando di sviluppare TUTtE le sue potenialita’ e non bloccarla in stereotipi antiquati.
    Grazie per lo spunto di riflessione, vedremo come andra quest’avventura! (L’educare la pupa)
    Ciao

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  5. Incentivi economici fanno miracoli. Se anche ci fosse un orientamento politico per muoversi in questa direzione, però, si può sempre invocare la crisi quindi mettiamoci l’anima in pace. Io, piuttosto, mi sto chiedendo se poi le donne questo lo vivono come problema. E mi rispondo che forse no: tra quelle che tanto loro sono arrivate comunque, e quelle che giocare a fare il sesso debole è meglio, mi sa che la questione non è mica tanto sentita.
    Sui Lego e i giocattoli in genere sono d’accordo. Ci sono una marea di giochi pensati apposta per stimolare le capacità logico matematiche, spesso il problema è che i bambini, semplicemente, vogliono i giochi che sono di moda tra i coetanei e la spinta a socializzare è molto forte.

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  6. Serena, non volevo dire che nel mondo accademico sia tutto rose e fiori, anzi.
    Però mi sembra che, almeno in partenza, la presenza femminile ci sia e sia in crescita, almeno nel mio ateneo. Però con che coraggio incoraggiamo una ragazza a studiare ingegneria, se poi molte di loro subiscono mobbing sul posto di lavoro, per il solo fatto di essere donne?
    Dall’altro lato, io sono figlia di madre perito informatico, quindi per me non è poi così naturale che la donna sia per le lettere e l’uomo per le scienze, così come non penso che la cura e la comunicazione siano innate nelle donne, vengono solo stimolate.

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  7. Mah, in realtà io in ambito accademico non vedo tutta questa discriminazione. Certo, i dinosauri sono quasi tutti uomini, ma è una questione generazionale. Ma, dalla generazione di mia madre in poi, le donne non sono poche, in università, anzi, sono sempre di più (a medicina, penso che siamo proprio in parità perfetta, come studenti).
    E sono tante anche tra gli assegnisti, perché tanto tra essere precari nel privato ed esserlo in università, con la speranza che si liberi un posto, non c’è molta differenza.
    Il problema si pone nel privato, quando un ingegnere come mia cognata o una mia carissima amica deve farsi accettare non tanto dai datori di lavoro, quanto dai colleghi.
    Secondo la mia osservazione, le donne che vengono dalle facoltà scientifiche si fermano tutte lì, a quello scoglio. Ed ecco perché molte poi si riversano nei grandi concorsi della speranza.
    Io del resto ero content manager con un buon bagaglio di skill tecnici e di progetti e-learning, ma alla fine mi sono dovuta rassegnare a fare la segretaria nel pubblico, e cara grazia.

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    • @Lanterna purtroppo i dati parlano chiaro, e anche nel mondo accademico le cose non vanno affatto come dovrebbero. La discriminazione avviene purtroppo, persino nell’analisi del numero di pubblicazioni necessarie ad un uomo o ad una donna per una posizione. Questo è vero in tutto il mondo e ci sono moltissimi studi che lo mettono in evidenza. Senza parlare del fatto che le donne si tagliano in partenza e non scelgono di studiare materie scientifiche o di ingegneria.

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  8. Mia figlia ha la “fortuna” di avere due genitori scienziati. Per noi viene naturale trasmetterle le nostre conoscenze. Siamo i primi a cercare di fare sì che si interessi e sviluppi le capacità tipiche del pensiero scientifico (innanzitutto la curiosità). Come facciamo? Le diamo molta scelta nei giochi. Le proponiamo anche le costruzioni ma non quelle “da femmina”. E la portiamo a fare esperienze: nella natura ma anche nei musei che offrono attività per i piccolissimi. Vogliamo darle tutti gli strumenti per conoscere il mondo, perché lei è una persona che se lo merita, merita di conoscere tante cose, di meravigliarsi e di avere voglia di scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Poi con il tempo capirà quali sono le sue skills ma sento che dobbiamo darle la possibilità di scoprirle e nel mente sperimentare tutte le sue capacità.

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  9. condivido veramente tutto questo post.
    La regia aggiorna dalla festa di compleanno di un mio nipote, ieri, fratello della ragazzina di 7-8 che non ha ricevuto i lego Friends da noi.
    Quei lego Friends deve averli ricevuti da altri, perché ne ho viste due scatole: etá consigliata sulla scatola 5-12 anni. Livello di complessitá = complessitá dei Duplo (tant’é che questa ragazzina gioca ancora in parte coi Duplo). Confronto coi lego tipici del fratello: quest’ultimi comprendono elicotteri con gli ingranaggi e motore, un’enorme base spaziale di star wars, diorami con harry potter, castelli etc.

    Segnalo anche, (da una segnalazione di questo post della Lipperini: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/category/ancora-dalla-parte-delle-bambine/page/2/ ) questo link:
    http://www.buzzfeed.com/hillaryreinsberg/16-ways-the-toy-industry-is-stuck-in-the-stone-age

    computer per boys: 50 funzioni, aspetto ‘vero’
    computer per girl: 25 funzioni, aspetto da giocattolo, costa il 25% in meno del primo.
    come dire, neanche tanto simbolicamente: sulle tue abilitá tecnologiche, girl, investiamo il 50% in meno. Mettitelo in testa giá da subito.

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  10. Per forza siamo interessati. a questa cosa degli skill indotti credo negli stessi termini e ti faccio l’ esempio dei genitori che in una discussione in proposito insistevano che no, è proprio così, al maschietto interessano le macchine, i motori, è la femmina che proprio di suo ha altri interessi (bambini di 3-4 anni). In quel momento passa un aereo e il padre eccitatissimo: “Marco, Marco, guarda c’ è un aereo, lo vedi l’ aereo, guarda che bello l’ aereo grande”.

    Poi al silenzio sarcastico dell’ intrlocutore, e con tre toni sottovoce: “Ahem, Anna, tu l’ hai visto l’ aereo, vero?”

    Mi sa che con queste premesse no, Anna di aerei ne ha sempre visti ben pochi in vita sua e se è successo, è stato per caso o per sua iniziativa. E se diceva lei: “mamma, guarda, l’ aereo”, magari le facevano: si ma adesso alzati o ti sporchi il vestito.

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